Libera ricerca del vero

Autore: cercogesu Page 1 of 2

Radio Maria stasera: esorcistica e psichiatria

© Radio Maria Italia – Trasmissione Esorcistica e Psichiatria del 16 aprile 2024, ore 21.00. Titolo della puntata: «FRAGILITÀ UMANA, SOFFERENZA E MISTERO D’INIQUITÀ». Ideata e condotta dal Dr. Walter Cascioli.

Padre Salmann, La fede

Don Giampaolo Centofanti su Avvenire

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Mons. Pagazzi

Mons. Ricciardi, Omelia III Domenica di Pasqua

Mons. Dal Covolo, I Padri della Chiesa e la cultura dell’Europa unita

I PADRI DELLA CHIESA E LA CULTURA DELL’EUROPA UNITA

+ Enrico dal Covolo

Il significato del ricorso ai Padri per una cultura dell’Europa unita

Inizio con una domanda, che ci porta direttamente al cuore del nostro tema: qual è il senso e la portata del ricorso ai Padri della Chiesa per una cultura dell’Europa unita?
Ma forse, per chiarire meglio questa domanda, devo farne prima un’altra: chi sono esattamente i Padri della Chiesa?
Tali sono ritenuti quegli scrittori ecclesiastici dei primi secoli che, distintisi per la santità della vita, l’eccellenza e l’ortodossia della dottrina, meritarono di essere insigniti dalla Chiesa del titolo pregnante di padre. Di conseguenza, a chi si compromise con l’eresia non fu assegnato il titolo di padre, ma – genericamente – quello di scrittore ecclesiastico.
Noi qui ci riferiamo agli uni e agli altri scrittori, e cioè adopereremo l’appellativo di Padri della Chiesa in modo piuttosto ampio, intendendo abbracciare tutta intera l’antica letteratura cristiana.
Una questione non secondaria riguarda poi la cronologia dei Padri, o meglio chi si debba considerare come “l’ultimo dei Padri”. Per l’Occidente, la manualistica di solito chiude con Isidoro di Siviglia, morto nel 636. Oggi però alcuni studiosi convengono con me che converrebbe spostare più avanti questo punto d’arrivo, e che bisognerebbe considerare piuttosto Bernardo di Chiaravalle (+ 1153) come “l’ultimo dei Padri”.
Ma che rapporto esiste tra questa letteratura patristica e una “cultura dell’Europa unita”?
Al riguardo, risulta spontaneo citare alcune parole scritte da Ireneo verso la fine del II secolo: “La Chiesa”, egli scrive, “benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura il messaggio e la fede ricevuti, come se abitasse una sola casa. Le lingue del mondo sono diverse, ma la Tradizione è unica e la stessa. Né le Chiese fondate nelle Germanie hanno ricevuto o trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo”.
Così Ireneo, guardando alla diffusione della Chiesa nell’ecumene, estende lo sguardo da Roma, “centro del mondo”, verso i quattro punti cardinali, descrivendo un’Europa “allargata”, ormai invasa dal Vangelo e dalla sua potenza unificatrice.
Grazie a questo atteggiamento, con cui la Chiesa dei Padri “in pieno accordo proclama, insegna e trasmette le verità ricevute, come se avesse una sola bocca” – per riprendere qualche altra parola del Vescovo di Lione –, l’insegnamento dei Padri diventa un fondamento ineludibile per l’identità culturale dell’Europa.

Bisogna introdurre tuttavia qualche precisazione.
In primo luogo dobbiamo ammettere che le espressioni di Ireneo si riferiscono a un’area geografica che non coincide con l’Europa attuale e che, per comodità, abbiamo chiamato “Europa allargata”. Non possiamo infatti parlare dei Padri senza citare Origene e Agostino, che sono africani, o i grandi Vescovi cappadoci (Basilio e i due Gregori), originari dell’Asia minore; dobbiamo quindi ricordare che la civiltà di quei secoli si sviluppa, più che all’interno del continente europeo, nell’area che si affaccia sul Mediterraneo, intessendo contatti tra quelle che oggi conosciamo come località appartenenti a diversi continenti: tra Roma e Alessandria, tra Antiochia e Costantinopoli, tra Smirne e Lione, tra Milano e Ippona, e così via. Ma non possiamo dimenticare che molto di quelle culture “extraeuropee” è passato, lungo i secoli, proprio nel cuore e nella vita del nostro continente; non potremmo infatti parlare del medioevo occidentale senza riferirci all’africano Agostino, né possiamo comprendere il mondo slavo dell’Europa orientale – dalla penisola balcanica fino a Kiev e a Mosca, la “terza Roma” –, se non tornando alla “seconda Roma”, cioè a Costantinopoli, che dall’estremo Oriente meridionale dell’Europa simbolicamente raccoglie tutto quanto proviene dall’Oriente vicino e lontano.
In secondo luogo, se i Padri vedevano nell’identica fede l’elemento unificante e universalistico del nuovo mondo che veniva creandosi con la propagazione del Vangelo, allo stesso tempo essi diventavano eredi e portatori di una sapienza antica, anch’essa europeo-mediterranea. Grazie a loro, anzi, quella cultura veniva salvata da una decadenza inarrestabile e reimmessa in un nuovo circolo vitale. Come è noto, infatti, numerosi Padri hanno ricevuto un’ottima formazione nelle discipline dell’antica cultura greca e romana, dalla quale mutuarono le alte conquiste civili e spirituali. Essi, imprimendo all’antica humanitas classica il sigillo cristiano, sono stati i primi a gettare il ponte tra il Vangelo e la cultura profana, tracciando per la Chiesa e per la società europea un ricco e impegnativo programma culturale, che ha profondamente influenzato i secoli successivi, e dal quale oggi non si può in alcun modo prescindere.
Proprio qui si radica l’invito pressante – rivolto soprattutto ai giovani e agli uomini di cultura della nostra Europa –, affinché, leggendo le opere dei Padri, si alimentino alle stesse radici della cultura cristiana, e comprendano meglio i propri compiti culturali nel mondo di oggi.

Il magistero della storia

Vorrei richiamarmi ora a quel grande biblista e studioso dei Padri, che fu il cardinale Carlo M. Martini.
Alla domanda: “Il messaggio degli antichi autori cristiani è davvero attuale per la cultura europea d’oggi?”, egli ha risposto: “Sicuramente. Essi ci sono vicini soprattutto nella riflessione sulle radici della nostra cultura. Essi hanno contribuito decisamente a diffondere il messaggio del Vangelo, e il loro studio non è un puro ritorno alle origini, ma è in continuità con i problemi della cultura e della società di oggi. In definitiva, appare doveroso e urgente impegnarsi per una scoperta ulteriore degli antichi scrittori cristiani nella formazione intellettuale, culturale e spirituale, a cominciare dai giovani che frequentano la scuola e l’università. Ritengo infatti che valgano per tutti le parole con cui san Benedetto, patrono d’Europa, concludeva la sua Regola, invitando i monaci alla lettura dei Padri, poiché – spiegava – ‘gli insegnamenti dei santi Padri possono condurre l’uomo al grado più alto della perfezione'”.

Occorre dunque investire generosamente nel campo dell’educazione giovanile, perché la cultura di questa vecchia Europa (troppo spesso “sazia e disperata”) possa trovare una linfa nuova.
Naturalmente, per poter accostare in modo fecondo gli scritti dei Padri, occorre guardarsi da due rischi estremi, fra loro contrapposti. C’è da una parte il rischio di chi pretende di rintracciare nella memoria del passato formule idealizzate o ricette immediatamente utilizzabili nel nostro oggi. Nelle mie ricerche ho studiato con particolare interesse i primi tre secoli della Chiesa. Mi è parso chiaro che in questo periodo i cristiani si trovarono ad essere autentici soggetti di “nuova cultura”, nel confronto ravvicinato tra eredità classica e messaggio evangelico. Ma le soluzioni patristiche del dialogo fede-cultura non furono certo univoche: talvolta nella stessa persona si riscontrano atteggiamenti intolleranti, e viceversa posizioni aperte e possibiliste. In ogni caso queste soluzioni vanno valutate come “realizzazioni storiche”, che non possiedono, come tali, altro magistero, se non quello – altissimo tuttavia per se stesso – della storia.
L’altro rischio è quello di chi non è disposto ad accettare il “carisma” della tradizione. Da parte mia sono convinto che lo studio delle antiche testimonianze è sorgente di discernimento per l’uomo di ogni tempo. Per un credente, poi, il periodo delle origini cristiane – di cui Nicea (325) rappresenta per molti aspetti un traguardo oggettivo – conserva un valore tutto speciale. E’ il momento in cui il deposito della fede apostolica si consolida nella tradizione della Chiesa. Per stare all’esempio appena citato, l’impostazione dell’incontro tra cristianesimo e cultura diede frutti decisivi – tali da non poter essere mai più dimenticati – sui piani del linguaggio, del recupero delle diverse culture e della storia intera, dell’individuazione di una comune “anima cristiana” nel mondo e della formulazione di nuove proposte di convivenza umana.
Da questo punto di vista il ricorso attento e vigile all’antica letteratura cristiana è utile, e addirittura necessario, per comprendere e interpretare il nostro presente. Ritengo che tale ricorso sia particolarmente valido dinanzi ad alcune questioni, che forse oggi più di ieri appassionano l’uomo, e in particolare la cultura europea (per esempio la questione sociale, la questione femminile, il rapporto fede-mondo, il dialogo tra le religioni e le nazioni, la pace nel mondo…), perché in ciascuna di esse il magistero della storia può contribuire decisamente ad illuminare problemi e soluzioni.
Porto come esempio il caso di Tertulliano, e la sua celebre affermazione che “la nostra anima è naturaliter cristiana” (qui l’Africano evoca la perenne attualità degli autentici valori umani e cristiani); e anche l’altra sua riflessione, mutuata dal Vangelo, secondo cui “il cristiano non può odiare nemmeno i propri nemici” (dove il risvolto morale, ineludibile, della scelta di fede, propone la “non violenza” come regola di vita: e non è chi non veda la drammatica attualità di questo insegnamento, anche alla luce della tragica crisi che stiamo attraversando).

Svolgo infine una riflessione conclusiva. La nostra vecchia Europa vive quella che è stata definita la “cultura della (post)globalizzazione”. E’ una cultura che in verità conosce numerose contraddizioni, esposta com’è al rischio ricorrente di dolorose frammentazioni. In ogni caso, è una cultura che comporta gravi pericoli, che sono anzitutto quelli dell'”appiattimento” culturale, e – al limite – di una dolorosa perdita dell’identità propria di ciascuno. Ebbene, l’itinerario storico, copiosamente illustrato dalle letterature classica e cristiana antica, continua a insegnare qualche cosa di decisivo sul mistero della persona umana e sui suoi irripetibili drammi esistenziali, sul rapporto “non globalizzabile” dell’uomo con Dio, con gli altri, con il mondo circostante, sui diversi cammini dei popoli alla ricerca della loro identità e della pace.
E’ ben noto il celebre asserto, divenuto proverbiale: Historia magistra vitae. Certo, la storia è maestra di vita, a patto però che essa trovi discepoli disposti ad ascoltarla: diversamente, senza scolari, la storia rimane una povera maestra di vita.
Viene da chiedersi se noi – uomini e donne di questa Europa – siamo veri discepoli della storia. Evidentemente non ne abbiamo ancora imparato una delle lezioni più importanti: che con la guerra tutto può essere perduto, mentre la pace è la condizione indispensabile per edificare una città a misura d’uomo.

Ci auguriamo tutti che il ricorso generoso alla letteratura dei nostri Padri contribuisca a renderci discepoli attenti della storia, per costruire un’Europa unita, autenticamente umana, in cui ogni uomo è un fratello da amare e da servire, fino al dono della propria vita.

+ Enrico dal Covolo

Il sacramento della riconciliazione

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Mons. Ricciardi, Omelia II Domenica di Pasqua o Della Divina Misericordia

Mons. Lamba all’USMI settore est

Parrocchia San Maurizio

Parrocchia di Velate

Parrocchia Moniga del Garda

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Il mistero della Sindone

Film su don Bosco

Mons. Ricciardi, Omelia di Pasqua

Parrocchia San Lorenzo, La Sindone

Francesco: Via Crucis

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Diocesi di Catania

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Milano Messa in Coena Domini

Dal Santuario di Oropa

Mons. Ricciardi, Giovedì Santo, istituzione del sacerdozio

D. Giampaolo Centofanti su Avvenire

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CEI: Restate qui e vegliate

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Notizie dal popolo

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D. Giampaolo Centofanti sulla rivista clan Destino

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Annunciazione spostata all’8 aprile

Perché le letture della Settimana Santa sono proprie

Mons. Ricciardi, Domenica delle Palme

Pregare la Settimana Santa

Mons. Spinillo

Vescovi del Lazio dal papa

Guido Oldani, Poesia e vangelo

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St Mildred Tenterden

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Seminario di Gorizia, Trieste e Udine

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Esorcistica e psichiatria: bellezza e salvezza

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione “Esorcistica e Psichiatria” del 19 Marzo 2024 ore 21.00. Titolo della puntata: LA BELLEZZA CHE GUARISCE E SALVERÀ IL MONDO. Itinerario terapeutico-salvifico. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

Padre Elia Spezzano

Parrocchia San Pio X, Matera

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San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria

Mt 1,16.18-21.24a

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore. *** Giuseppe è molto agitato, non comprende come possa Maria essere incinta. Si rovella la mente, pensa di ripudiarla in segreto… Alla fine la sera distrutto dalla stanchezza si addormenta e finalmente in questo silenzio, abbandono, favorito dal sonno, può ascoltare lo Spirito. Ecco che nella pace dello Spirito ogni cosa torna al suo posto. Come può non credere a quella ragazza così profonda e sincera? Così determinata al bene? Ecco ora ricorda le Scritture che dicono che la vergine concepirà. Lui pensava si intendesse vergine prima di concepire ma ora si avvede che la Scrittura dice proprio che “la vergine concepirà”. Inoltre loro si erano fidati insieme della particolare, apparentemente contraddittoria, chiamata che sentivano nel cuore: sposarsi eppure vivere un matrimonio illibato. Non erano poi tutti in attesa di un Salvatore mandato da Dio? La luce serena si fa strada nel suo cuore.

Diocesi di Teggiano-Policastro

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Mons. Ricciardi, Omelia V Domenica di Quaresima

Arcidiocesi di Filadelfia

https://youtube.com/@archdioceseofphiladelphia?feature=shared

Unita’ pastorale San Salvaro

https://youtube.com/@unitapastoralesansalvaro4891?si=fD0jjglOL_Wk9d-K

Autobiografia di papa Francesco

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/le-anticipazioni-dell-autobiografia-del-papa

Comunita’ pastorale

https://youtube.com/@comunitapastoralemariamadr8521?si=bXGfwkwUoRPml_3I

Guido Oldani, Vangelo domenicale in poesia

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La vita del popolo

Notiziario della Diocesi di Albano

Chiesa di Belluno -Feltre

Mons. Ricciardi, Omelia IV Domenica di Quaresima, anno B

Gli inganni del diavolo

Diocesi di Civita Castellana

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Diocesi di Mantova

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Parrocchia Osnago

Don Tonino Bello, Prima omelia episcopale in Alessano

Meditazione di Mons. Lamba

Esercizi spirituali per insegnanti ed educatori

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/esercizi-quaresimali-online-per-insegnanti-ed-educatori

Mons. Ricciardi, Omelia III Domenica di Quaresima, anno B

Messalino app

https://youtube.com/@ilMessalinoApp?si=DZi4pWO0-4SNR-4V

Mons. Lamba, Giornata mondiale del rifugiato e del migrante

Mons. Lamba, Formazione Biblica

Via Crucis per le famiglie, Diocesi di Roma

La Croce quotidiano

https://www.lacrocequotidiano.it/home

Chiesa dei servi, Padova

Arcidiocesi di Udine

https://youtube.com/@diocesiudine?si=FShXeREuWlb9npX0

Messa Mons. R. Lamba

Diocesi di Padova

Mons. Ricciardi, Omelia II Domenica di Quaresima

Mons. Dal Covolo, Buona Quaresima e buona Pasqua

Via crucis per i giovani

Esorcistica e psichiatria: fanatismo religioso

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione “Esorcistica e Psichiatria” del 20 febbraio 2024 ore 21.00, dal titolo: NEL NOME DI SATANA. Efferati fatti di cronaca tra criminalità, fanatismo religioso e demonopatie. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

Mons. Dal Covolo, I Domenica di Quaresima

I Domenica di Quaresima

Si racconta di un fabbro che, dopo una gioventù piena di vizi, decise di dare una svolta alla sua inutile esistenza: Dio divenne l’unico punto di riferimento della sua vita. Per molti anni lavorò con onestà, correttezza, praticò il bene e il senso del dovere. Però, malgrado tutta questa sua dedizione, sembrava che nulla andasse bene nella sua vita; al contrario, i suoi problemi e i suoi debiti crescevano di giorno in giorno.

Una bella sera, un amico che era andato a trovarlo, e che provava compassione per questa sua situazione difficile, gli disse: “E’ realmente una cosa molto strana che, dopo aver deciso di cambiare la tua vita e diventare un uomo timoroso di Dio, la tua vita abbia cominciato a peggiorare. Non voglio diminuire la tua speranza, però è evidente che la tua fede in Dio non ha migliorato affatto la tua vita”.

Il fabbro non rispose subito. Aveva riflettuto su queste cose parecchie volte, senza capire quello che stava succedendo nella sua vita; però, siccome voleva dare una risposta al suo amico, cominciò a parlare, e finì per trovare la spiegazione che cercava. 

Ecco che cosa disse il fabbro: “In questa officina io ricevo il ferro prima di essere lavorato, e devo trasformarlo in spade. Sai tu come si fanno le spade? Prima si scalda il ferro a un calore infernale, fin che non diventa di un rosso vivo; subito dopo, senza nessuna pietà, prendo la mazza più pesante che ho, e comincio a martellarlo parecchie volte, finché il pezzo non prende la forma desiderata. Subito dopo lo immergo dentro un secchio pieno di acqua fredda, e tutta l’officina si riempie di rumore e di vapore. E devo ripetere queste operazioni parecchie volte, se voglio ottenere una spada perfetta: una sola volta non è sufficiente!”.

Il fabbro fece una pausa, e poi proseguì: “A volte il ferro che ho tra le mie mani non sopporta questo trattamento. Il calore, le martellate e l’acqua fredda lo riempiono di screpolature. Ed è in questo momento che mi rendo conto che mai si trasformerà in una bella lama di spada. Allora lo butto in quella montagna di ferri vecchi, che tu vedi all’ingresso della mia officina”.

Fece un’altra pausa, e concluse: “So che Dio mi sta mettendo nel fuoco della sofferenza. Accetto le martellate che la vita mi dà, e a volte mi sento tanto freddo e insensibile come l’acqua che fa soffrire l’acciaio. Però, l’unica cosa che penso è: Dio mio, non smettere, fintanto che non riesco a prendere la forma che ti aspetti da me!”.

A 50 anni dal convegno sui mali di Roma

Mons. Ricciardi, Omelia I Domenica di Quaresima, anno B

Guido Oldani

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Via crucis con i due di Emmaus

Card. De Donatis, Liturgia penitenziale

Santi medici Bitonto

Disuguaglianze

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Rivista clan Destino

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Mons. Ricciardi, Omelia VI Domenica del Tempo ordinario, anno B

Diocesi di Roma, Ripartire si può

Card. De Donatis , Lettera per la Quaresima

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Mons. Dal Covolo, La pace

SALUTO

in occasione del Premio dell’Accademia Bonifaciana di Anagni

a Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Gianfranco Ravasi

Anagni, 10 febbraio 2024

Com’è ovvio, la mia non potrà essere in alcun modo una relazione introduttiva. 

Il Relatore, qui presente, è Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi, al quale da lungo tempo mi legano rapporti di stima, di amicizia e di deferente affetto. 

Grazie, Eminenza, per aver accolto il nostro invito!

Il mio sarà un semplice saluto, sia pure – se Lei mi permette – articolato in alcuni punti, con un fervido auspicio conclusivo.

1. Comincio dunque con il doveroso saluto a tutte le Autorità presenti, civili, militari e religiose; saluto in particolare – insieme al padrone di casa, il nostro Sindaco – il Grande Ufficiale Sante de Angelis, generoso Fondatore e Presidente dell’Accademia Bonifaciana.

2. Come alcuni tra voi già sanno, di recente è stata trovata – in circostanze stranamente (o provvidenzialmente) fortunate – una statua del Cristo senza mani.

L’abbiamo presentata in un’aula prestigiosa del Senato del Repubblica, un paio di settimane fa. 

Ed ecco il leit motiv di questa presentazione: “Saremo noi le sue mani”. 

Lo saremo, infatti, per avviare processi di pace e di promozione umana in questo momento storico devastato da pericolosi conflitti. Lo saremo, per restituire all’Italia e all’Europa il loro ruolo, nel rispetto dei valori autentici, di cui lungo i secoli esse – l’Italia e l’Europa – sono state depositarie e testimoni. 

Lo affermava con energia un papa santo, rivolgendosi al Presidente della Repubblica Italiana. Durante la sua visita al Quirinale, nel 1986, Giovanni Paolo II disse fra l’altro: “Il popolo italiano è destinatario e custode privilegiato dell’eredità degli Apostoli Pietro e Paolo: un’eredità vivente, come lo dimostra una testimonianza ininterrotta di santità, di carità, di promozione umana nelle realtà sociali di oggi”. 

3. In verità, è Gesù stesso che consegna ai suoi discepoli la pace: “Vi lascio la pace”, dice a loro. “Vi dono la mia pace”.

E’ su questa espressione del Maestro che vorrei svolgere due brevi considerazioni.

Ecco la prima. 

Gesù parla della “mia” pace. La sua non è dunque la pace del mondo, e non si identifica con la semplice assenza di conflitti.  La pace di Augusto e degli imperatori di Roma, la cosiddetta pax Romana, mirava proprio a questo, l’assenza dei conflitti. Ma Tacito aveva buon gioco nel ribattere: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”. Dove fanno il deserto, lo chiamano pace… 

No. La pace che Gesù consegna ai suoi discepoli è molto di più. Si rifà al concetto ebraico di shalom, che ha una valenza globale, cosmica. E’ la pace con Dio, è la pace tra gli uomini, è la pace con l’ambiente naturale, è la pace dell’uomo con se stesso. 

Testimone illustre di questa pace è Francesco d’Assisi, “fratello del Signore”. Egli stesso, patrono della nostra Italia, potrebbe pregare così: “O Cristo senza mani, fa’ di me un testimone della tua pace!”.

Ed ecco la seconda osservazione.

Nei discorsi missionari dei Vangeli, Gesù ordina ai suoi discepoli di diffondere la pace. Così la pace del Signore è un dono impegnativo, che va in qualunque modo partecipato ai fratelli e alle sorelle. 

Anziché lasciarci andare a interminabili diatribe sulla guerra giusta o ingiusta, sulla guerra di offesa o di difesa, dovremmo piuttosto impegnarci nel prevenire la guerra, e stabilire giorno per giorno una “pace preventiva”. Perché qualunque guerra – come non si stanca mai di ripeterci il Papa Francesco – è sempre e comunque una sconfitta. Sempre! 

“Sangue chiama sangue”, scrivevano già gli antichi tragici greci del quinto secolo, ben prima di Cristo.

4. Giungo qui al punto conclusivo, e al fervido auspicio del mio saluto. 

Per essere mani di pace, dobbiamo essere testimoni di pace, a cominciare da noi stessi. Uno non può dare ciò che non ha.

Molte persone, in queste settimane, mi domandavano: “Il 2024 sarà un anno migliore?”. E io rispondevo sempre con le parole di Sant’Agostino: “Sarà un anno migliore, se tu sarai migliore”. Avremo un mondo più in pace, se tu sarai un uomo o una donna di pace…

Raccogliendo la tradizione della Bibbia e dei Padri, San Benedetto, patrono d’Europa, fin dall’inizio della sua Regola invitava all’ascolto, al dialogo: Obsculta, o fili! 

Obsculta – scrive Benedetto –: è questa la lectio migliore della tradizione manoscritta, rispetto al semplice Ausculta. Obscultare è un ascolto profondo, che ti trapassa il cuore come una spada a due tagli.

E dunque obsculta, cara vecchia Europa, e convertiti. Distendi le tue mani sul mondo, per essere strumento di pace! Dai le tue mani al Cristo senza mani! 

Forte delle tue profonde radici, sii maestra di dialogo, in maniera feconda e creativa, con le culture e le religioni di questo tempo.

Dobbiamo essere grati al Cardinale Ravasi, che vorrei oggi allineare nella lista dei testimoni di pace, dalle origini della Chiesa fino al nostro tempo: e come dimenticare il Papa buono, San Giovanni XXIII, e la sua storica Enciclica Pacem in terris?

Auspico infine che le lodevoli iniziative della prestigiosa Accademia Bonifaciana non siano – come di fatto non sono – qualche cosa di occasionale, senza sèguiti concreti, ma che, con la collaborazione di tutti noi, giungano a promuovere efficacemente quei processi di pace e di promozione umana, specialmente nelle zone più povere e devastate del mondo, che essa statutariamente si propone.

Grazie, carissimo Sante, per quello che stai facendo. 

Tu e i nostri Soci affezionati stiamo dando veramente le nostre mani al Cristo senza mani, per la pace nel mondo.

              + Enrico dal Covolo

Mons. Ricciardi, Omelia V Domenica del Tempo ordinario anno B

Guido Oldani, Poesie cristiane

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La Chiesa, blog

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Gli scritti

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Madonna del Divino Amore

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Mons. Dal Covolo, Omelia per Don Bosco

OMELIA PER LA SOLENNITA’ DI DON BOSCO

Letture:

Geremia 1,4-8

Filippesi 4,4-8

Matteo 18,1-6.10

1. Abbiamo sentito narrare nella prima lettura la storia della vocazione di un ragazzo, di nome Geremia. Geremia diventerà poi un grande profeta dell’Antico Testamento.

Questa storia di molti secoli fa ce ne richiama un’altra, più vicina a noi nel tempo. E’ la storia della vocazione di san Giovanni Bosco. 

C’è una canzone molto nota, che dice così: «Camminiamo sulla strada che han percorso i santi tuoi…». Ebbene, oggi noi vogliamo parlare della strada percorsa da lui, da Don Bosco – quel santo, che Giovanni Paolo II (il quale, sia detto tra parentesi, di santità se ne intendeva molto bene…) ha definito solennemente “il padre dei giovani” –. 

In buona sostanza, la strada di Don Bosco si snoda tra un sogno e un pianto.

«A nove anni» – ecco il sogno, raccontato da Don Bosco stesso nelle sue Memorie – «a nove anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole. In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Il Signore mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi…».

Da questo sogno si snoda tutta la strada di Don Bosco.

Non sto qui a raccontarla di nuovo. Richiamo solo una celebre scena, molto felice, di un  film su Don Bosco, quello del centenario della sua morte. Si vede Giovannino, che per divertire i suoi piccoli compagni dei Becchi, fa il funambolo, e cammina in equilibrio sulla corda, a piedi scalzi, da un albero all’altro. E una voce fuori campo, la voce di Don Bosco adulto, commenta: “Nella mia vita ho sempre dovuto camminare così: guardando avanti e in alto. Diversamente sarei caduto giù…”. Don Bosco sa che a partire da quel primo sogno la sua vita è tutta guidata dall’alto: tutto scorre come se fosse stato pensato prima, per un provvidenziale disegno d’amore dedicato alla salvezza dei giovani.

E’ questa consapevolezza matura, convalidata dai numerosi segni che Don Bosco stesso sperimentò lungo il suo cammino, la causa del lungo pianto, il 15 maggio 1887, pochi mesi prima della sua morte, nella Basilica del Sacro Cuore a Roma. 

Don Bosco ha appena portato a termine la costruzione della chiesa, tra infinite difficoltà e fatiche, per obbedire a un preciso invito del Papa. Sostenuto da don Rua, che diventerà poi il suo successore, e da don Viglietti, il fedele segretario, scende nella chiesa per celebrare la Messa all’altare di Maria Ausiliatrice. La folla si accalca attorno all’altare. 

Ed ecco, appena cominciata la Messa, Don Bosco scoppia a piangere. Un pianto lungo, irrefrenabile, che accompagna tutta la Messa. Don Rua e don Viglietti sono impressionati. Tra la gente c’è un silenzio teso, che quasi si tocca. Alla fine della Messa, Don Bosco deve essere portato di peso in sacrestia. Don Viglietti gli sussurra: «Don Bosco, ma perché?…». E lui: «Avevo davanti agli occhi, viva, la scena del mio primo sogno, a nove anni».

In quel lontano sogno, gli era stato detto: «A suo tempo, tutto comprenderai». Ora, guardando indietro nella sua vita, gli pareva di comprendere tutto. 

2. Adesso diamo uno sguardo alla terza lettura, il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato.

E’ l’inizio di un discorso importante di Gesù sulle caratteristiche distintive di ogni comunità cristiana. 

C’è una domanda, una risposta e una parabola.

La domanda è espressa dai discepoli in questi termini: “Chi è il più grande nel Regno dei cieli?”. 

Allora Gesù prende un bambino, e spiega che, se non si faranno piccoli così, non entreranno proprio nel Regno dei cieli. Poi sposta il discorso sullo scandalo. Guai a voi, dice, se scandalizzerete una sola di queste persone semplici… E conclude la sua risposta con una breve parabola, quella della pecorella smarrita, riportata anche da Luca tra le parabole della misericordia. 

Ma qui, in Matteo, la parabola della pecorella smarrita ha un senso un po’ diverso: in Luca è la parabola di Dio misericordioso, padre del figlio prodigo, che lascia le novantanove pecore per cercare quell’unica che si era perduta; in Matteo è piuttosto la parabola della comunità cristiana, che non può mai “perdere di vista” le pecorelle più deboli. In Luca l’accento va tutto sulla misericordia di Dio; in Matteo, invece, l’accento va sull’impegno della comunità, affinché nessuna pecorella vada perduta.

Che cosa significa tutto questo per noi?

Per essere “grandi in senso evangelico” – non secondo le logiche di potere del mondo, ma secondo la sapienza del Vangelo –, persone e comunità devono essere realmente “sbilanciate” dalla parte dei piccoli, di chi ha più bisogno, di chi fa più fatica…

3. Proprio questa attenzione privilegiata ai piccoli è il cardine del metodo educativo di Don Bosco e del cosiddetto sistema preventivo

Così l’attenzione privilegiata ai piccoli, e la coerente amorevolezza che Don Bosco ci raccomanda, rappresentano un valore irrinunciabile per tutte le comunità cristiane, ma in modo particolare per chi vuole condividere il metodo educativo, il carisma di san Giovanni Bosco. 

Ma – obietterà forse qualcuno – non si rischia così di mortificare chi è più ricco di doti? Un comportamento di questo genere non rischia di “appiattire” la comunità? 

Risponde Dietrich Bonhoeffer, un pastore protestante che, per la sua statura morale, non esiterei a mettere a fianco di san Massimiliano Kolbe. 

Il pastore Dietrich – uno dei protagonisti del famoso attentato contro Hitler – aveva meditato a lungo sul capitolo 18 di Matteo, prima di essere impiccato nel carcere di Flossenburg, e ha lasciato scritte alcune parole, che non dovremmo mai dimenticare. Eccole: “Ogni comunità deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma anche i forti non possono fare a meno dei deboli. L’esclusione dei deboli è la morte della comunità” (La vita comune, trad. it., Brescia 1969, pp. 143-144).

Chi è più grande? Più grande è colui che si fa piccolo; chi – per servire gli ultimi – da ricco si fa povero, e nulla considera un privilegio per sé. Più grande è chi “butta” la sua vita per gli altri, soprattutto per i più piccoli e per i più poveri.

Il dono di sé – quello che Gesù Cristo proclama con la sua esistenza – è veramente “la chiave della vita”. Ma, per esperimentare questo, occorre che ci mettiamo con decisione sulla strada dei santi, la strada di Don Bosco. La storia della sua vocazione è come un «testimone» da raccogliere nelle nostre mani, è una consegna per tutti noi: che sulla stessa strada ci troviamo a camminare anche noi, ciascuno con la sua irripetibile storia di vocazione, con tutta la fede e la passione di cui siamo capaci.

E allora – volgendoci indietro a guardare il tempo che scorre, all’alba di questo nuovo anno di grazia –, allora anche a noi sembrerà di comprendere tutto: che tutto è grazia, perché il dono e le promesse di Dio non deludono mai.

                                                                        + Enrico dal Covolo

Guido Oldani, Commento in poesia ai vangeli domenicali e festivi

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Mons. Ricciardi, Omelia IV Domenica del Tempo ordinario, anno B

Beati i poveri

Mons. Dal Covolo: Laicalita’ nella storia della Chiesa

LAICI, LAICITA’ E LAICALITA’

DAI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA A OGGI.

L’insegnamento di Paolo Siniscalco

In un mio piccolo libro, intitolato Chiesa Società Politica, ho trattato la questione dei laici e della laicità nella Chiesa dei primi tre secoli. Nel capitolo conclusivo ho messo a confronto tra loro due ipotesi storiografiche molto diverse: quella di A. Faivre e quella di P. Siniscalco.

Siniscalco stesso ha accettato poi di aggiungere una nota, che qui riassumo per sommi capi, rimanendo così nel tempo che mi è concesso. 

Si tratta in sostanza di una serie di tre riflessioni, che illustrano in maniera sintetica, ma pressoché esaustiva, l’insegnamento di Siniscalco su laici, laicità e laicalità nella Chiesa.

1. La prima riflessione di Siniscalco potrebbe sembrare un po’ “fuori tema”: essa fonda invece le argomentazioni successive. Concerne la storia, e il modo di concepirla e di viverla. 

Il grande pensiero umano, quale si può cogliere nelle espressioni filosofiche e religiose più alte, ha sempre affermato che la luce giunge all’uomo dal profondo di se stesso, e che quindi il suo cammino per attingere l’Assoluto deve essere diretto alla ricerca dell’interiorità, nella profondità dello spirito e nel conseguente abbandono delle cose esteriori, che sono ombra di quelle interiori. In sintesi, sono queste indicazioni che accomunano religioni e filosofie di tanta parte dell’umanità. Esse inevitabilmente tendono a ridurre la storia umana a semplice simbolo, a illusione; tendono a marginalizzare la comunità degli uomini in cammino su questa terra; il rapporto con l’altro è come escluso, o in ogni caso perde rilievo.

Una diversa prospettiva è offerta dal giudaismo, che considera e vive la storia come dimensione essenziale e reale, senza per questo sminuire il grado dell’interiorità. E’ nel tempo infatti che Israele è salvato, perché Dio interviene nel tempo. Per cui si può ben parlare di grandi tappe del mistero della salvezza, attraverso cui passa la storia degli Ebrei, tappe che sono testimoniate dalle Scritture: l’elezione di Abramo, l’esodo dall’Egitto, l’alleanza, l’esilio babilonese, per non ricordarne che alcune.

Secondo la fede cristiana, con il Nuovo Testamento, in Gesù Cristo, il Dio-uomo entrato tutto nella storia, la storia è entrata tutta in Dio. Il tempo è redento e condotto nella sua pienezza. La storia insomma è perfetta in Cristo, ma attende di essere compiuta per l’agire degli uomini.

Se il laico – per riprendere una definizione di Y.M.-J. Congar – è colui per il quale le cose esistono, e la loro verità non è come divorata e abolita da un rinvio superiore, appare con chiarezza tutta l’importanza che il laico ha in una visione della storia, in cui Dio entra, e chiama l’uomo ad essere suo collaboratore.

2. Trascorriamo così alla seconda riflessione di Siniscalco. Procedendo nel discorso, egli rileva che nell’esperienza giudaica e cristiana è introdotta una nuova categoria, quella della fede, che costituisce, per chi ne è partecipe, un modo nuovo di collaborare alla creazione di Dio, il quale dà alla persona una libertà creatrice, e le accorda l’autonomia in un universo retto da leggi. 

Se la fede di Abramo si definisce in questo modo: “Per Dio tutto è possibile”, la fede del cristianesimo implica che tutto è possibile anche per l’uomo. Nella visione cristiana ha qui il proprio fondamento la libertà umana, che trova la sua fonte e garanzia appunto in Dio. Dove è lo Spirito di Dio, proprio lì sta la libertà; se invece non c’è Dio, non c’è neanche la libertà.

Nella prospettiva a cui ora si è fatto cenno, è centrale la relazione di laicità tra il cristianesimo e il mondo, tra l’annuncio di Cristo e l’uomo in generale, che sta nel riconoscere l’autonomia e la consistenza della creazione e, di conseguenza, l’atteggiamento di rispetto verso il mondo, nel quadro della salvezza del cosmo e del regno di Dio.

Paradossalmente si può affermare che “Dio è laico”. Nella sua libertà, egli dà inizio con un atto creativo all’universo, lo riconosce “buono”, cioè conforme con il fine e l’ordine della creazione stessa; e crea l’uomo a sua immagine e somiglianza; alla persona lascia anche la possibilità di errare, di peccare.

In questo medesimo senso si può capire perché qualche teologo abbia affermato la laicità di tutta la Chiesa. Non a caso Paolo VI, parlando della Chiesa appunto, ha detto che essa ha un’autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri: espressioni, queste, che sono state riprese alla lettera nell’Esortazione Christifideles Laici di Giovanni Polo II.

3. Su questa linea – prosegue Siniscalco – si rende necessaria una terza riflessione. Nel piano di Dio la santificazione e la salvezza delle persone avvengono all’interno di una dimensione comunitaria. Dio ha voluto scegliere e costituire un popolo che lo riconoscesse e lo servisse. L’antico patto, l’alleanza con i giudei, ha preparato e “figurato” il nuovo patto: da esso è nata la Chiesa ex iudaeis et gentilibus. Cristo ha infranto il muro che separava gli uni dagli altri e ha unito in sé ambedue i “popoli” nell’unico “uomo nuovo”, riconciliato con Dio mediante la croce.

I popoli dunque sono strutture interne al disegno della salvezza, sono pienamente coinvolti nell’opera di Dio. Con ciò la dimensione personale della “chiamata”, o la rilevanza della coscienza del singolo, non sono minimamente scalfite, ma introdotte in una linea comunitaria essenziale nel progetto di Dio. Precisamente per il rapporto con l’altro l’uomo può vivere l’Assoluto, dato che per la rivelazione biblica l’Assoluto altro non è che l’Uno-comunione.

Ne derivano conseguenze importanti sul piano della vita della Chiesa che, a loro volta, si riverberano nella vita del mondo. Il popolo di Dio nei primi secoli della nostra éra, e oggi di nuovo – secondo le prospettive robustamente indicate dal Vaticano II –, è percepito come l’essere profondo della Chiesa. Il popolo è prima della distinzione nella Chiesa tra laico e chierico: prima della distinzione, perché l’emanazione di Cristo è un popolo. Questo popolo è una comunità, e nella comunità c’è anzitutto l’uguaglianza, e poi l’autorità, la quale ultima è un servizio al popolo. 

Ancora nella Christifideles Laici, al numero 15, si legge: “La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell’uguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del popolo di Dio”. La dignità battesimale rende quindi partecipi tutti i membri della Chiesa di un unico dono, che è la grazia di Dio, e tuttavia questa comune radice assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo dai presbiteri e dai religiosi. Poiché, prosegue l’Esortazione apostolica, “tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare, ma lo sono in forme diverse, il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio. Ivi sono da Dio chiamati, in quanto persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti d’amicizia, rapporti sociali, professionali, culturali”.

Qui esattamente si tratta della “laicalità” propria dei laici, e non di tutti i membri della Chiesa. Per i laici, infatti, il mondo diviene l’ambito e il mezzo della loro vocazione cristiana. Nella loro situazione intramondana, Dio manifesta il suo disegno, e comunica loro la particolare vocazione di “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (Lumen Gentium 31).

4. Siniscalco aggiunge infine una conclusione alle sue tre riflessioni, e così concludo anch’io. 

Laicità e laicalità, puntualizza Siniscalco, sono in sostanza le basi dell’essere e dell’agire del laico. Ambedue sono essenziali. Ambedue hanno il loro fondamento e il loro modello nel mistero del Dio neotestamentario, che è uno e trino. Occorrerebbe studiare dell’una e dell’altra la consistenza scritturale, storica, teologica, pastorale, esistenziale. E’ mia impressione – afferma Siniscalco – che finora i due elementi siano stati talvolta confusi o non siano stati sufficientemente distinti e approfonditi. D’altronde non si può dimenticare che, se l’esperienza del laico cristiano è stata continua durante i secoli, la riflessione su tale esperienza, e la consapevolezza che ne deriva, si stanno sviluppando solo da qualche tempo a questa parte: ed è notevole il fatto che esse prendano luce dai primi secoli cristiani.

Da una parte la laicità è la dimensione nuova e propria del cristianesimo. Essa esige la distinzione – che non è separazione né confusione – tra piani diversi, che pure agiscono in modo unitario nella vita dell’uomo. Di qui ha origine il rispetto per ogni realtà, che ultimamente è il riconoscimento di quella libertà che Dio ha dato all’uomo.

Dall’altra parte la laicalità è una dimensione (e una vocazione) che prende vita nell’ambito della comunità, corpo di Cristo, dove le funzioni e i compiti sono diversi, ma unica è la dignità per il battesimo ricevuto.

Sopra tutto e per tutti, nella Chiesa prevale l’essere “semplicemente” cristiani, quale che sia la vocazione e il servizio a cui ciascuno risponde nell’orizzonte ecclesiale e secolare.

+ Enrico dal Covolo 

D. G. Centofanti su Avvenire

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Card. De Donatis e catechisti

Guido Oldani, Poesia sul Vangelo della III Domenica del Tempo ordinario, anno B

qui tutte le poesie https://cercogesu.altervista.org/?s=Oldani+&submit=Cerca

Mons. Ricciardi, Omelia III Domenica del Tempo ordinario, anno B

Veglia ecumenica a Roma

Diocesi di Lodi

Chiavi

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Fine vita o il fine della vita? Diocesi di Roma

Esorcistica e psichiatria a Radio Maria: Pericoli mortali del fai da te

Valter Cascioli: © Radio Maria Italia – Trasmissione «Esorcistica e Psichiatria» del 16 gennaio 2024, ore 21.30. Titolo della puntata: «PERICOLI MORTALI DEL FAI-DA-TE, TRA INFLUENCERS, REALTÀ VIRTUALI E FAKE NEWS», ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli. Buon ascolto!
Cascioli: P.S.: ricordo che, per motivi legati alla programmazione, la puntata odierna della mia trasmissione inizierà, eccezionalmente, alle ore 21.30

Papa da Fazio ieri. Video integrale

Il cammino della Chiesa

Nella Chiesa la cultura di fondo attuale è quella di fede e ragione.

Ma se si prende a riferimento questa astratta ragione restano in vario modo nell’ombra l’anima ed il resto pratico-emozionale della persona umana. 

Estremizzando molto per fare comprendere:

Fede e ragione: Giovanni Paolo II, dottrinarismo, tendenza alla societas christiana.

Per Benedetto XVI sulla via precedente si rischiano derive sociologiche, bisogna tornare alla fede. Ma restando, sia pure considerandola “allargata” come diceva lui, il riferimento alla ragione (anche guardata con sospetto per i suoi limiti) si tende ad indicare una spiritualità in varia misura meno attenta all’umano reale. Benedetto XVI preconizza un piccolo resto di fedeli molto convinti.

Ecco che Francesco tende a rigettare le astrazioni razionaliste e spiritualiste ma siccome il razionalismo resta la sua cultura di riferimento lo fugge più che superarlo: mettiamo i teologi su un’isola deserta a lambiccarsi il cervello e viviamo la vita pratica. Le sue scuole dell’incontro sono appunto dell’incontro ma mettendo da parte il distinto momento della formazione identitaria,  temendone le astrazioni. Ma così si getta via il bambino con l’acqua sporca.

La strada mi pare quella di accettare le possibili astrazioni nella formazione identitaria e cercare un avviamento al loro superamento favorendo in momenti distinti l’incontro, la condivisione, con cercatori di altre visuali. 

L’opporre o il mescolare identità e incontro invece favoriscono il potere che non è interessato all’autentica maturazione e partecipazione delle persone. Nel primo caso si crea un artificiale conflitto tra il bianco e il nero, nel secondo caso si omologa la gente.

Ma forse provvidenzialmente i tre papi citati colgono aspetti da integrare nel sempre nuovo oltre dell’autentico discernere del Gesù dei vangeli. Gesù cresceva nello Spirito (vedi ricerca spiritualista), che scendeva a misura, come una colomba (vedi il pragmatismo delle situazioni reali) grazie e verso i riferimenti della fede (vedi il dottrinarismo). Dunque una spiritualità semplice e serena che fa crescere gradualmente, a misura della specifica persona e non secondo schemi astratti. La Parola non è un concetto da capire con la propria mente e mettere in pratica con le proprie forze ma un seme donato (anche implicitamente, come attraverso la natura) in modo via via opportuno per quella specifica persona e che che accolto cresce in modo adeguato alla sua reale possibile maturazione.

Ma siccome le teorie trasmettono poco è la gente che quando trova pastori che comprendono il proprio autentico cammino, i propri bisogni, scoprono vissutamente questa strada semplice e serena. 

Mons. Ricciardi, II Domenica del Tempo ordinario, anno B

Guido Oldani, II Domenica del Tempo ordinario anno B

G. Lorizio , Sognare la Chiesa

San Timoteo, Santa Famiglia

Card. De Donatis, Veglia di Natale

D. J. Carron meditazione di Natale

https://ilsismografospunti.altervista.org/don-carron-natale-2023/

Mons. Ricciardi , Battesimo del Signore

V. Cascioli, Siamo tutti Re Magi

✨✨✨✨✨✨✨✨✨

SIAMO TUTTI RE MAGI

di Valter Cascioli

Carissimi, la solenne festività che oggi celebriamo con tutta la Chiesa, ci porta a vivere il mistero della vita nuova in Cristo, sul modello dei re Magi.

Pertanto, anche noi, uomini dal cuore inquieto, in quanto instancabili cercatori di Dio, desideriamo, con rinnovato impegno e necessaria solerzia, metterci in cammino per poterLo incontrare! A questo, infatti, serve la nostra vita!!

Certamente il cammino non è facile e gli ostacoli non mancano mai.
Anche noi, come i Magi, forti della regalità battesimale, siamo chiamati ad andare controcorrente, rinnegando noi stessi (l’idolatria dell’Io!) e la mentalità secolarizzata (deicida) del mondo (Erode).

Per questo, docili alle mozioni dello Spirito Santo, dobbiamo chiedere a Dio uno sguardo sapienziale: potremo così scorgere il suo Volto su quello dei fratelli che incontreremo lungo il nostro viaggio di ricerca: il Signore vuole infatti farsi trovare e manifestarsi (Teofania).

Chiediamo, allora, lo stupore dei semplici e la capacità di prostrarci davanti a Lui per adorarLo in spirito e verità, offrendo in dono noi stessi. Diventeremo così, per grazia, luce per il mondo che vive nelle tenebre.

Come ricordava Papa Benedetto XVI in una sua omelia, «i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15)».

Infine, come i re Magi che, «fecero ritorno al loro paese, per per un’altra strada», per non incontrare Erode, anche noi torneremo alla nostra quotidianità, percorrendo però una strada nuova: quella della santità, alla quale Dio ci chiama tutti, indistintamente.

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Guido Oldani, Poesia della Manifestazione

Mons. Ricciardi, Epifania

Maria, che si lascia aiutare

https://gpcentofanti.altervista.org/la-vera-profezia-e-farsi-aiutare/

Vie di svolta nella comunicazione mediatica

Questo sito non vuole aggregare notizie dei media noti ma spunti, anche come problemi, perplessità, domande, da ovunque emergano. Dunque partecipare al raccogliere contributi a quella autentica ricerca del vero ingabbiata, soffocata, dai codici formalistici dei ruoli, delle competenze e dei meri poteri. Immaginiamo un profeta in antropologia teologica? O pastori di Betlemme di apparato? O sofferenze, problemi, domande, di robottini? Ogni vita, ogni situazione, è in vario modo una grazia che apre al nuovo venire di Gesù. Ed inoltre vi sono persone preparatissime che non hanno la possibilità di intervenire sui media più conosciuti. Il contributo di questo blog è parziale perché la realtà non può venire racchiusa in scritti e perché non posso creare un’organizzazione adeguata per qualcosa di più ampio. Sono una persona che, tra l’altro, ha studiato tanto, maturità classica, laurea in scienze politiche, studi filosofici e teologici, e ho sempre cercato di cogliere gli snodi decisivi in tutte le materie. In mezzo a talora tante notizie dal pensiero unico cerco di cogliere spunti originali di qualsiasi provenienza, come dicevo, per come riesco, il contributo di ciascuno alla ricerca del vero.

Mons. Gervasi, Buon anno verso il giubileo

Iniziamo questo nuovo anno che ci porterà al Giubileo, un’ occasione per ripartire dalla luce della fede. Prepariamoci nella preghiera, come ci ha invitato a fare anche Papa Francesco. Buon 2024🙏

Cascioli: quale buon anno

«Siamo convinti, come credenti, che non possiamo limitarci al consueto augurio trito e ritrito, ripetuto in queste ore, quasi automaticamente, ad ogni piè sospinto: “Buon Anno”. La liturgia di questo giorno, nel quale celebriamo la solennità di Maria Santissima Madre di Dio (la Theotókos!) ce lo ricorda. Al posto di un semplice auspicio vogliamo allora “portare” anche noi, come Maria, un dono prezioso all’umanità: Gesù, il “Principe della Pace”. _Pertanto, che sia natale tutto i giorni: facciamo nascere Cristo nei nostri cuori, per portarLo al mondo. L’augurio scambievole diventerà così una benedizione: “Che la Pace sia con te!”, come ci rammenta il brano veterotestamentario dell’odierna liturgia (Nm 6, 24-26), perché la vera pace dell’uomo è Cristo!»_.(Valter Cascioli)

Mons. Ricciardi, Maria Madre di Dio

Mons. Ricciardi, Te Deum della comunità parrocchiale

TE DEUM DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE
Signore, alla fine di questo anno ti affido tutta la mia Comunità.
Tu sai le gioie e i dolori, le consolazioni e le fatiche di questo tempo.
Tu conosci le mie debolezze e i miei peccati;
ti chiedo umilmente di perdonarmi per le mie mancanze
e di aiutarmi nel nuovo anno ad essere migliore.
Ti ringrazio prima di tutto per i sacerdoti:
per la loro sapienza, la fede, la speranza, l’amore
e fa’ che insieme possano testimoniare
quanto sia bello e arricchente la comunione e la fraternità tra loro.
Ti ringrazio per i diaconi
e per tutti coloro che vivono un servizio nella parrocchia:
catechisti, animatori, collaboratori:
dona loro l’umiltà e la disponibilità a guardare al bene dell’intera comunità.
Ti ringrazio per i religiosi e le religiose, i consacrati della nostra comunità:
dona loro fedeltà a Dio e la gioia nel servizio al prossimo.
Ti ringrazio per tutti i componenti dei nostri gruppi, dai piccoli ai grandi.
Sentano e diffondano il clima di una famiglia che cammina insieme nella gioia.
Ti ringrazio per tutte le Eucarestie che abbiamo celebrato
e per ogni volta in cui, attraverso il sacramento, abbiamo avuto il Tuo perdono.
Ti ringrazio per la testimonianza dei malati, anziani e giovani.
Concedi la guarigione, se tu vuoi, e dà loro e ai loro familiari conforto e speranza.
Ti ringrazio per la testimonianza degli anziani, del nonni,
di coloro che, anche in comunità, sono la memoria e la sapienza per tutti.
Ti ringrazio per tutte le famiglie in cui vedo la Tua presenza,
in particolare per gli sposi con tanti anni di matrimonio, con gioie e dolori.
Ti ringrazio per i genitori;
accolgano e crescano con responsabilità i figli come dono tuo.
Ti ringrazio per i bambini nati e per quanti sono stati battezzati in questo anno.
Ti ringrazio per i bambini di tutte le età,
in particolare per quelli che hanno ricevuto quest’anno la Prima Comunione:
sappiano riconoscere sempre la Tua presenza.
Ti ringrazio per i ragazzi che hanno ricevuto il dono della Confermazione:
non si disperdano in falsi ideali e non si lascino condizionare dalle mode.
Ti ringrazio per i giovani: fa’ che scoprano che la vita ha senso solo in te.
Ti ringrazio per i fidanzati: fa’ che vivano questo tempo come una grazia.

Ti ringrazio per le coppie che si sono unite in matrimonio in questo anno:
trovino sempre la forza dell’Amore in Te.
Ti ringrazio per chi è alla ricerca della sua vocazione,
perché sappia trovare in Te la forza di dire di Sì.
Ti prego per quanti attendono un bambino: trovino vita in te;
per quanti desiderano un figlio: trovino speranza in te;
per quanti hanno rifiutato la vita: trovino perdono in te;
Ti prego per le coppie in crisi, perché riescano a dialogare alla luce della Grazia;
per i coniugi separati, perché possano ritrovare unità.
Ti prego per le famiglie dei divorziati e per chi ha subito un tradimento.
Ti prego per gli anziani soli, per quanti sperimentano l’abbandono,
per chi soffre di depressione, per coloro che piangono e si disperano,
per le vittime delle ingiustizie, per coloro che sono senza lavoro,
per chi è in cerca di una casa, per tutti i nostri poveri, per i migranti,
per coloro che sono nella miseria materiale e spirituale,
per tutti coloro che soffrono a causa di una dipendenza,
per le famiglie che vivono conflitti tra parenti, quanti convivono con la malattia,
i vedovi, le vedove, quanti sono in lutto, in particolare chi ha perso un figlio.
Ti prego per tutti i lontani dalla Chiesa, perché delusi o scandalizzati da noi.
Fa’ che possano trovare qualcuno
che dia loro di nuovo una buona testimonianza cristiana.
Ti prego per tutti quelli che si definiscono atei e per chi si è allontanato da Te:
come il figlio prodigo, sperimentino la gioia del ritorno a casa.
Ti prego per tutti quelli che sono di altre religioni,
perché vivano con rettitudine la loro fede.
Ti prego per chi è lontano dal proprio paese,
perché possa trovare qui, tra noi, la sua famiglia.
Ti prego per tutte le persone nuove che ho conosciuto in questo anno.
Spero di essere stato per loro un riflesso del tuo amore.
Ti prego per quanti sono morti in questo anno e che ora vivono in Te.
Infine ti prego per me, perché non mi stanchi mai di pregare per tutti,
di amare tutti con umiltà e nella gioia.
Maria, Vergine del Magnificat, aggiunga ciò che manca
a questo ringraziamento e a questa preghiera
e mi aiuti sempre a renderti lode. Amen.

Mons. Fragnelli, Auguri natalizi

Mons. Ricciardi, IV Domenica di Avvento, anno B

https://ilsismografospunti.altervista.org/mons-ricciardi-meditazione-su-lc-1-26-38/

Guido Oldani, La propagazione (Maria Santissima Madre di Dio)

Lc 2,16-21

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

LA PROPAGAZIONE

non ha l’ufficio stampa che diffonda

la notizia di lui adesso al mondo,

o la pubblicità già soffocante.

privo di ambasciatori o volantini

si fida di chi è indietro socialmente,

cioè i pastori privi delle trombe

e non i giornalisti in stampa o schermo,

solo così diffonderà l’eterno.

Guido Oldani, La Sacra Famiglia (Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe)


Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

LA SACRA FAMIGLIA

ed il trittico sacro compie i riti

e d’un triciclo dell’infanzia, ruote,

lui  davanti, la coppia disuniti.

due vecchi al tempio moriranno dopo

avere visto nato il salvatore,

maria si avvita dentro al suo destino

e vanno a casa per incominciare

la vita forte, pur con le sue onde,

lontano è il tempo delle catacombe.

Intervista al card. P. Lojudice

https://www.lanazione.it/siena/cronaca/il-cardinale-degli-ultimi-si-confessa-papa-francesco-e-la-nuova-chiesa-c9bacc2a

Buon Natale !

https://gpcentofanti.altervista.org/canti-di-natale/

Mons. Ricciardi, Immersi nel Verbo

Mons. Dal Covolo, Il ministro consacrato


Il ministro consacrato, completamente configurato a Cristo buon Pastore, incarna in maniera sublime la “carità pastorale”, cioè le due facce di una stessa medaglia: l’amore incondizionato a Gesù Cristo e il servizio indefesso al Suo gregge. « Sia un’esigenza dell’amore (a Cristo) pascere il gregge del Signore », direbbe Sant’Agostino.

Guido Oldani, Il Dio falegname (IV Domenica di Avvento, anno B e Vangelini apocrifi relativi alla Vigilia e al Natale)


Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Vangelini apocrifi relativi alla Vigilia e al Natale

Vigilia:    IL DIO FALEGNAME

è una raccomandata scesa in terra,

dal padreterno a maria inviata,

il gabriele dalle lunghe ali.

così nasce la religione sola

in cui il cielo si spalma nella storia,

perché dio diventi un falegname;

pure se non avrà neanche una culla,

lo zero suo trasforma il mondo infame.

Vangelo per il vespro:  L’ANGELO IN SOGNO

e due per sette, moltiplicato tre,

sono trascorse le generazioni

per giungere a giuseppe e al suo bambino.

ma la sposa maria che non convive,

lo spirito la ingravida dal cielo

e un sogno, non fake news, a lui lo spiega,

così a giuseppe tutto appare chiaro

e il tris di cuori fa una salda lega.

Mezzanotte 24 dicembre: LA NASCITA

essendo i giorni per il censimento

maria e giuseppe scendono a betlemme

e per la gravidanza scade il tempo.

poichè per loro manca una locanda

gesù è messo in una mangiatoia,

degli angeli, allora, le corali

e dei pastori sparano la gioia.

Lunedì 25, natale, aurora: PRONTI VIA

si separano angeli e pastori

come l’olio dall’acqua in una tazza,

per raccontare è nato il più perfetto.

l’accadimento è riferito in cielo,

in terra tocca questo ai pecorai

che sono ambasciatori un po’ straccioni

e si avvia la giostra della storia

priva di bombe, senza gli usurai.

25 dicembre , giorno:   LA PILA

in principio iddio è una parola,

poi è ricetta medica del mondo

nel quale in quanto luce vi si espande.

e quasi fosse un interruttore

giovanni non è luce ma l’annuncia

e chi l’afferra se ne fa una pila

con cui traversa l’ago e la sua cruna,

per salire tra tante stelle in fila.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- Inediti

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inediti

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Auguri caro padre Enrico!

22 dicembre
Nel mio quarantaquattresimo anniversario di ordinazione sacerdotale, ringrazio di cuore tutti gli Amici che si uniscono alla mia preghiera eucaristica (benché io sia ancora ad Agrigento).
Ringrazio fin d’ora per gli auguri che già mi sono giunti, sia per l‘anniversario, sia per il Natale, sia per il Capodanno… Non dimentico nessuno di voi nella mia preghiera!

Mons. Dal Covolo, Buon Natale!

Basilica San Giuseppe Seregno

https://youtube.com/@basilicasangiuseppeseregno9576?si=FYHkoiRLAf7hUwRb

Radio Maria, Esorcistica e psichiatria: Trappole mortali

© Radio Maria Italia – Trasmissione «Esorcistica e Psichiatria» del 19 dicembre 2023, ore 21.00. Titolo della puntata: “NEL TEMPO DELLE PROVE. Combattere l’iniquità svelando fascinazioni, inganni ed altre trappole mortali”, ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

Vergine delle grazie, Sassari

Monastero cottolenghino

Ufficio catechistico Trapani

https://youtube.com/@ufficiocatechistico-trapan7271?si=qXPjRPpGxxgxPzNV

Divo Barsotti, Preghiera

Guido Oldani , L’acqua e lo Spirito (III Domenica di Avvento, anno B)


Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni,
quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo:
«Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».
Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

L’ACQUA E LO SPIRITO

nell’ umano deserto del coraggio

lui ha i polmoni per gridare forte

come chi lo facesse in cima a un monte.

ed a chiedergli conto sono in tanti

tali quali come le fotocopie;

spiega loro: con l’acqua lui li lava,

gesù invece li esonera dal male

usando il cielo meglio di una clava.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Card. Lojudice sull’educazione nella scuola

https://www.orizzontescuola.it/educazione-alle-relazioni-il-cardinale-si-inizi-alle-elementari-ma-non-sia-insegnamento-limitato-al-solo-preservativo-anche-la-chiesa-deve-fare-la-sua-parte/

Santuario Beata Vergine di Castelmonte

https://www.youtube.com/live/w_9IYxHd_L8?si=h9UWLdt9mwvqrtYI

Diocesi di Molfetta

Carmelitani Scalzi Provincia di San Carlo

https://youtube.com/@carmelitaniscalziprovincia6826?si=ngml_x3wogRUvTQd

Diocesi di Assisi

Immacolata, chiave di questo tempo

https://gpcentofanti.altervista.org/lera-dellimmacolata-e-dunque-dellumanita-assunta-ritrovata-in-dio/

Guido Oldani, Il Battista (II Domenica di Avvento, anno B)


Lc 1, 26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.

IL BATTISTA

usa gesù, per battezzare il mondo

lo spirito, che è lo spray del cielo

perché il pianeta è peggio di un pitale.

e lo precede, come un battistrada,

dicendosi non più di un tirapiedi,

chi ha più fede dei posti d’ uno stadio,

allora nasce il nuovo sacramento

che ci rende più saldi di un armadio.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inedito

Parrocchia Vanzaghello

https://youtube.com/@parrocchiavanzaghello999?si=8Vov9CZWaYpYWWDB

Ateneo Universitario San Pacia’

Guido Oldani, l’Immacolata (Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria)


Lc 1, 26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.

L’IMMACOLATA

gabriele, lui è la mail del cielo,

maria è come un’acqua distillata:

“se sei d’accordo dio ti mette incinta”.

lei che del fecondare non sa niente,

accetta che lo spirito l’accenda,

“vuolsi così colà dove si puote”

e gravida è la vecchia elisabetta,

la grazia è piena inizia la vicenda.

Guido Oldani- Fondatore del realismo terminale 

Abbazia di Maria Regina

Figlie di Maria

Parrocchia Valeggio

https://youtube.com/@ParrocchiaValeggio?si=iTwT-3VkkSJMPEBP

Al Divino Amore incontro per sacerdoti

Anche per consacrati e consacrate

Abbi Cura di te
Noi preti ci prendiamo cura di tutti ma poi a noi non pensa praticamente nessuno.

Inoltre, facciamo una grande fatica a darci il permesso di prendersi cura di noi stessi: emergono conflitti con l’immagine cha abbiamo in generale del prete, con la nostra educazione e formazione, sensi di colpa…

Nascono così frustrazioni, delusioni, senso di impotenza, insoddisfazione. Siamo molto più bravi con le vite degli altri ma poi con la nostra?

L’incontro prevede una conversazione/catechesi aperta agli interventi.
Dopo aver chiarito il concetto di cura e l’obiettivo principale approfondiremo
i vari aspetti dell’avere cura di sè avendo come filo conduttore i nostri sensi esterni ed interni.

L’incontro è sia in presenza presso:

Progetto Decanto,
Via del Santuario 8, 00134 Roma
(all’interno del complesso del Divino Amore, di fronte all’Antico Santuario)

sia Online https://meet.google.com/qmc-qiui-ast

Per accogliervi al meglio avremmo bisogno di sapere quanti saremo sia in presenza sia a distanza.

Ti chiediamo di iscriverti qui: https://forms.gle/ZCBfbQPsJKhXeHam8

a cura di d. Mauro Cianci, prossimo incontro 11 dicembre ore 20,30 online ed in presenza.

Mons. Dal Covolo, Alle radici della libertà civile

LE SFIDE EDUCATIVE DELLA SCUOLA E DELL’UNIVERSITA’

NELLA CRISI DI UNA SOCIETA’ SECOLARIZZATA

+ Enrico dal Covolo

Diciamolo subito.

Non è la complessità, né la crisi di un’epoca, e neppure la secolarizzazione avanzata – molti parlano oggi di una “società postcristiana” –: ebbene, non è questo che ci fa paura. 

Altro ci fa paura: ed è quel nichilismo, di cui parleremo più avanti.

In età moderna e contemporanea – dalle dichiarazioni illuministiche sulla ragione, fino alla demitizzazione del progresso – ci siamo finalmente persuasi che, in effetti, la realtà è complessa, e che la competenza umana è limitata, fallibile, benché sempre perfettibile. 

È questa una conquista della ragione: una conquista che arricchisce di plausibilità ulteriori il senso della Rivelazione, mentre impegna la ragione stessa in un cammino inesausto di ricerca della verità. 

Sia ben chiaro. E’ una conquista che non ha nulla da spartire con il relativismo. Relativismo, infatti, non vuol dire che la ragione umana è limitata, bensì che qualunque posizione ha il medesimo valore di un’altra. 

Così la scelta del relativismo si pone in irrimediabile contrasto con la ricerca autentica della verità.

Diversa è la visione della «liquidità», o della «modernità liquida», espressioni adottate con grande fortuna dal sociologo polacco Zygmunt Bauman, per indicare che la società odierna è fragile e disunita. 

Non ci sono regole forti; si sono indeboliti le comunità religiose e i partiti politici; tutti i rapporti – e non solo quelli di lavoro – sono precari, anche nella famiglia e nella coppia, mentre l’educazione svanisce, e prevale l’impulso immediato. 

Una «società liquida e divisa» è l’esito della statizzazione del diritto naturale, per cui i valori vengono sottoposti al voto e alle decisioni della maggioranza. Conviene approfondire questo argomento, prima di entrare direttamente nel tema in esame. Si tratta forse di una premessa un po’ lunga e articolata, ma indispensabile per le argomentazioni successive. 

1. Educazione e valori

Di fatto, i valori non sono disponibili alle decisioni della maggioranza: per questo stesso motivo, essi non sono affatto negoziabili.

D’altra parte, senza valori condivisi e vissuti, non esiste una convivenza civile. 

Le religioni e la famiglia sono all’origine della convivenza civile: le religioni, perché fanno leva sulla coscienza delle persone, con il riferimento al Trascendente; e la famiglia, perché – fondata sull’amore degli sposi, maschio e femmina – porta con sé gli altri valori: dono, fedeltà, sincerità, lealtà, generosità, sacrificio, collaborazione, e così via. E questo non in forma teorica e astratta, ma nell’esistenza concreta e quotidiana. 

Senza la religione e senza l’amore di chi genera la vita, la convivenza umana non può esistere.

Il concetto medesimo di persona è entrato nella cultura occidentale attraverso una religione, il cristianesimo, in riferimento alle «Persone divine», quali «relazioni sussistenti». 

Le Persone divine sono tra loro in relazione: lo ha chiarito a sufficienza la bimillenaria riflessione teologica sulla Persona di Gesù Cristo, Uomo e Dio. In Lui vi è una sola Persona, e ci sono due nature: un solo centro responsabile, la Persona, oltre alle nature medesime. E tale Persona è relazione sussistente.

Allo stesso modo, la persona umana è relazione, è il punto dal quale scaturisce la responsabilità dinanzi ai valori. Lo ha riconosciuto anche Immanuel Kant, quando affermava che la persona umana è sempre fine, mai mezzo: e ne ha ricavato il conseguente imperativo categorico

La persona è coscienza, interiorità.

D’altra parte, la persona umana non crea se stessa, non è la fonte ultima della responsabilità e dei valori. La persona umana è creata a immagine e somiglianza di Dio.

Purtroppo, quando – in qualunque modo – si distrugge il rapporto con le Persone divine, l’uomo non riesce più a trovare l’origine ultima della propria responsabilità e dei valori, che lo caratterizzano come persona. Si indeboliscono, fino a spezzarsi, le relazioni tra le persone. In questa prospettiva, l’uomo stesso si considera – sempre praticamente: ma, spesso, anche teoricamente – un assoluto, che può disporre della propria responsabilità senza limiti, senza essere più legato ai valori. 

Senza riferimento al Trascendente, la responsabilità non ha più un punto di riferimento né una sanzione, e la libertà diventa un assoluto senza freno.

In verità, la persona umana, in quanto relazione, nasce e si sviluppa lungo tutta la vita all’interno di relazioni: l’amore generante è relazione, e prima ancora lo è l’Amore che crea la persona umana. Relazione significa responsabilità, libertà, valori. E la relazione è originariamente educativa, perché è destinata a far crescere le persone che vi sono coinvolte.

Poiché nessuno di noi è perfetto e pienamente realizzato, ognuno ha un impegno costitutivo di crescere e di migliorare lungo tutto l’arco della vita; e se la persona umana è relazione, noi cresciamo e ci sviluppiamo all’interno di relazioni umane costruite su valori vissuti. L’uomo non è perfetto in sé; l’uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. Non è il suo cogito che può cogitare tutta la realtà. Ha bisogno dell’ascolto, dell’ascolto dell’altro… Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso.

Le relazioni sono necessarie per ogni persona umana: senza di esse non viviamo. La distruzione delle relazioni comporta la perdita dei valori (e viceversa). 

È solo all’interno di relazioni costruite su valori condivisi e vissuti che avviene la nostra realizzazione, attraverso una sussidiarietà che significa scambio continuo e sempre più allargato, in vista della felicità di ognuno: esiste uno scambio di realtà materiali, come esiste uno scambio di realtà spirituali.

Dunque, le relazioni autenticamente umane sono fondate sui valori, e vivono di essi. Questi valori sono garantiti dal diritto (che non è la legge). L’obbligo giuridico «viene a definirsi come giuridico soltanto se ridotto logicamente alla pretesa che gli corrisponde». A questo punto – unicamente in questa situazione relazionale, costitutiva della persona umana – diventa un «tu devi».

Si può rileggere e meditare in tale prospettiva l’ormai celebre Discorso di Benedetto XVI al Bundestag di Berlino del 22 settembre 2011. Ma già nel suo discorso ai partecipanti al Convegno di studio organizzato dal Pontificio Consiglio per i testi legislativi, in occasione del XXV anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico (25 gennaio 2008), Benedetto ricordava un’espressione «davvero incisiva del beato Antonio Rosmini: “La persona umana è l’essenza del diritto”».

Bisogna riconoscere, in maniera coerente, che qualunque forma di comunità, di associazione o di organizzazione della convivenza è sussidiaria alla persona. La sussidiarietà è costitutiva della convivenza civile, perché permette alle persone di crescere attraverso un apporto reciproco, secondo le proprie competenze. 

Uscire da questo scambio significa allontanarsi dalla convivenza civile e da ogni realizzazione autentica della persona. 

In definitiva, tutte le forme di organizzazione della convivenza e della società civile sono in funzione della realizzazione dei diritti personali, e possono avere esiti positivi solo all’interno di un habitat di valori vissuti e sviluppati dalle famiglie e dalle religioni. Il principio di sussidiarietà intende garantire proprio questo, configurandosi come aiuto e sostegno, affinché non vi siano sovrapposizioni né imposizioni gerarchiche o burocraticne, né, infine, dispotismo in nome della libertà.

Quando, purtroppo, succede che le persone umane vengono espropriate dei loro diritti, ne conseguono due situazioni ugualmente insostenibili: le relazioni umane sono distrutte, e la convivenza civile è paralizzata. 

Non c’è bisogno di rispolverare i catechismi della Rivoluzione Francese, per documentare come gli Stati, per mezzo della scuola, abbiano cercato il consenso dei sudditi. Basti ricordare quanto ha affermato con chiarezza Judith Krug nel 1986: «La questione riguarda quali valori vadano insegnati, quelli dei genitori o quelli dello Stato. Si combatte sempre per le menti dei bambini».

È documentato come moltissimi genitori si siano rifiutati di inviare i propri figli a quel tipo di scuole di Stato. Ciò è avvenuto non solamente in Francia nel 1792; precedentemente era accaduto in Prussia dopo il 1763, quando Federico II aveva imposto la scuola governativa obbligatoria per tutti; ed è accaduto pure nel nostro Risorgimento, benché questi fatti vengano per lo più occultati.

2. La libertà di apprendimento

Se vi sono attività, che devono restare costitutivamente libere, queste sono l’apprendimento e l’insegnamento, impartiti di norma nelle scuole e nelle università. 

La persona umana ha l’obbligo morale di ricercare la verità liberamente, per libera convinzione interiore. La libertà di apprendimento è a fondamento di ogni convivenza civile. Limitarla o manipolarla significa sopprimere i valori.

In sintesi, ricordo quanto affermava Luigi Sturzo nel 1947: «La libertà in un paese è una e indivisibile. Non si meraviglino amici e avversari se io ripeto qui quel che in pubblico e in privato vado scrivendo e dicendo a tutti: finché la scuola in Italia non sarà libera, neppure gl’Italiani saranno liberi; essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni specie, perché il cittadino non ha respirato da bambino e da giovanetto e da giovane che l’aria di una scuola non libera, dove l’insegnante (vesta o no la divisa militare come ai tempi fascisti) è anche lui un salariato, servo dello Stato, che deve ubbidire alle leggi che sono annullate dai regolamenti, e ai regolamenti che vengono modificati dalle circolari, e alle circolari che sono sospese con lettere di autorità…, mentre pesa su di lui lo spettro della carriera che ad ogni passo è resa incerta da nuovi e improvvisi provvedimenti. La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati nella nobile funzione di educatori, non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale».

In questo modo, Luigi Sturzo indicava un programma di educazione, di cui conviene riprendere le intuizioni centrali.

3. L’ambiente educativo della scuola e dell’università

Partiamo da un’osservazione elementare di pedagogia: è l’ambiente stesso che educa o diseduca; è l’ambiente stesso che suscita il senso dell’appartenenza o del rifiuto

Di qui l’importanza basilare di curare l’ambiente, a cominciare dalla sua pulizia e dal suo decoro, per giungere alla proprietà e all’efficienza di tutti i mezzi e i sussidi a disposizione. Perché, alla fine di tutto, occorre realizzare un ambiente capace di comunicare ciò che vogliamo trasmettere, promuovendo senza cedimenti quella cultura della qualità, che deve caratterizzare lo stile della vita scolastica e universitaria di ogni giorno. 

Da parte sua, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2012 – significativamente intitolato, e sorprendentemente attuale: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace” –, ancora il Papa Benedetto scriveva: “Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al Trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli”.

 Il punto di appoggio di simili ambienti sono le relazioni educative. Solamente all’interno di tali relazioni può avvenire la crescita delle persone.

3.1. La relazione docente-studente è educativa quando è finalizzata effettivamente alla realizzazione del giovane. Una relazione tra persone porta sempre allo sviluppo delle persone che interagiscono, quando si svolge all’interno di un habitat di valori che provengono dall’interiorità, dalla coscienza degli attori della relazione. Nel caso specifico di una relazione educativa, nel significato profondo del termine, l’habitat di valori è finalizzato appunto alla realizzazione del giovane. 

Evidentemente vi è un apporto di realizzazione anche per l’educatore. Tuttavia l’educatore è tale solo nella misura in cui accompagna il giovane nella sua realizzazione. Tale accompagnamento consiste nel discernere e nell’aiutare la vocazione del giovane. In definitiva, l’educatore deve aiutare il giovane a scoprire le proprie attitudini, a individuare le sue aspirazioni, in vista della realizzazione di esse. Mai l’educatore deve imporre i propri schemi alla crescita del giovane. Quando il giovane scopre che l’educatore vuole il suo bene, gli corrisponde con impegno e amore, perché constata che l’educatore è al suo fianco per questo. 

Questa relazione, fondata non su fragili emozioni, ma sull’amore umano profondo, è una relazione effettivamente educativa, e sta alla base di un ambiente educativo come l’università e la scuola. 

3.2. Anche le relazioni tra gli studenti devono essere costruite sul riconoscimento reciproco dei doni che ognuno porta con sé, nell’onorare tali doni, nell’amore, nella solidarietà, nell’aiuto reciproco.

Bisogna avere il coraggio e l’energia di (far) uscire da comportamenti, che si configurano come espressioni di invidia, di superficialità, di uno scherzo che porta al misconoscimento dell’altro: il giovane educa il giovane.

3.3. L’organizzazione dell’ambiente deve essere centrata su questa tipologia di relazioni, tenendo presente che quanto si dice dei giovani vale anche per le relazioni tra gli educatori. Essi devono stimarsi, collaborare, riunendosi pure spesso, per far emergere gli aspetti eventualmente negativi e positivi dell’andamento accademico, per sviluppare questi e superare quelli, senza lasciarsi dominare da tentazioni meschine di guadagno, di successo e di potere.

La scuola e l’università sono ambienti educativi quando tutte le attività che si svolgono in esse sono così ordinate. Il docente è un vero educatore quando cerca la realizzazione dei giovani, secondo la loro autentica vocazione. 

4. La mia esperienza di docente e di formatore

Ci siamo intrattenuti finora su quel munus educativum, che la scuola e l’università devono assumere per la crescita integrale della persona umana. E’ precisamente questa l’autentica sfida educativa da affrontare in una società secolarizzata e quanto mai complessa. 

Ma adesso desidero esprimere alcune convinzioni che ho maturato nella mia esperienza cinquantennale di docente e di educatore salesiano, chiamato per lunghi anni al ministero di Rettore della cosiddetta “Università del Papa”, l’Università Lateranense di Roma.

4.1. Come docente salesiano ho avuto la gioia e la grazia di incontrare moltissimi giovani. Tra di loro sono tanti coloro che ci autorizzano, con ragionevole speranza, alla possibilità di educare a una vita buona. Ho avuto la rara possibilità di stringere rapporti e convenzioni con centri di studio, tra i più importanti dei cinque continenti.

 Ho incontrato nei miei lunghi anni di docenza nella scuola e nell’università giovani che hanno ideali alti e nobili da purificare, da liberare, da maturare. 

4.2. C’è naturalmente una riflessione complementare da svolgere. Non poche volte si incontrano educatori scoraggiati dagli insuccessi. Ci sono infatti fenomeni che fanno pensare: ragazzi sfiduciati e depressi, oppure giovani schiavi di dipendenze nocive, dall’alcool all’erotismo. Cito solo alcuni titoli di studi seri e aggiornati della sociologia giovanile, che cercano di ritrarre quello che sta capitando: Perché siamo infelici; L’epoca delle passioni tristi; Fragile e spavaldo, ritratto dell’adolescente di oggi. Un altro titolo eloquente è quello del saggio di Umberto Galimberti: L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.  

Che cos’è il nichilismo? Non c’è niente per cui valga la pena vivere e morire, combattere e lavorare, sperare e soffrire. Di qui l’insaziabilità del desiderio e la ricerca di evasioni sempre più depravate, la mancanza di senso spirituale, l’analfabetismo emotivo, fino al suicidio. Non apro il discorso sulle ricadute dell’uso dei personal media e dei social network, che con la strada sono ormai diventati luoghi dove incontrare i giovani, e magari stabilire con loro una relazione educativa. Così come non lo apro sul bullismo scolastico. 

Di fronte a questo quadro, che sembra indurci al pessimismo, allo scoraggiamento, all’inazione, entra con forza l’invito alla speranza, una virtù che non deve mai mancare al vero educatore.

4.3. Questo invito a coltivare la speranza in campo educativo non è ingenuo, pressappochistico, superficiale. Ce lo assicura quel grande genio della pedagogia, san Giovanni Bosco, il mio fondatore. Egli ha elaborato una metodologia educativa, nota come «sistema preventivo», che invita l’educatore a sviluppare le risorse di ragione, di religione e di amore che ogni giovane, anzi ogni uomo, porta con sé, magari soltanto in uno stato embrionale, scarsamente avvertito e coltivato. 

5. Conclusione

Concludo con un ultimo riferimento personale. 

Per alcuni anni, i Superiori religiosi mi hanno affidato l’incarico di Postulatore delle cause dei santi della Famiglia Salesiana. Ho avuto così la grazia di poter meglio conoscere quell’universo umano di splendide figure, che sono i santi. 

Tra loro vorrei ricordare un collega, Giorgio La Pira, professore di Diritto romano all’Università di Firenze, dotato di una straordinaria competenza nella sua disciplina, educatore eccellente sempre ricercato dai giovani, con i quali intratteneva un dialogo vivo e attento alle loro esigenze, pronto, quando le circostanze lo richiedevano, ad assumere gravi responsabilità civili e politiche, che svolse con quell’incidenza profetica che tutti, amici ed avversari, gli riconobbero. 

Perché lo ricordo oggi? 

Perché voglio dire agli educatori che operano nell’ambiente dell’università che l’esercizio della professione è la nostra vocazione per diventare santi, e per educare allievi ben preparati e onesti: purché – proprio come il professor Giorgio La Pira – sappiamo assumere quelle competenze e quelle responsabilità educative, che fanno di un professore un uomo o una donna pensosi e operosi, sempre consacrati al bene. 

Guido Oldani, Allerta (I Domenica di Avvento, anno B)


Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

ALLERTA

ignoto è il fuso orario e la nazione

ai quali faccia lui riferimento

per tornare dai propri dipendenti.

per questo state all’erta con i tempi,

che di ore ne ha il giorno ventiquattro

e il cielo è libertario nella scelta;

se vegliate sarete ben contenti,

ma dormendo vi spaccheranno i denti.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Suore missionarie

Card. De Donatis, Ordinazioni diaconali

Parrocchie Valle di Cavedine

https://youtube.com/@parrocchievalledicavedine7869?si=y05jFvkzf9TCaAjf

Carlo Maria Martini, Padre nostro

Card. Taglie al PIME

Guido Oldani, Il Giudizio finale (Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo)


Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Il GIUDIZIO FINALE

come forchette dai cucchiai divide

chi standogli davanti qui risiede

e volerà su in cielo o giù allo spiedo.

detto alla svelta, con quattro parole,

chi fa manutenzione con amore

a qualsivoglia uomo bisognoso,

traverso quello, dio in persona incontra

e a conseguente sorte vi s’inoltra.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inedito

Esorcistica, psichiatria, famiglia su Radio Maria

© Radio Maria Italia – Trasmissione «Esorcistica e Psichiatria»_ del 21 novembre 2023, ore 21.00. Titolo della puntata: “QUANDO IL MALE COLPISCE LA FAMIGLIA”_, ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

San Carlo al Corso

https://youtube.com/@sancarloalcorso7863?si=–SnnFMuZQddAXIn

Poor Clare Monastery

Clarisas Marchenas

Parrocchia Santi Fiorentini

Radio Bonaria

Don Gianfranco Basti

https://youtube.com/@GianfrancoBasti?si=EWW3Phyniy3lVQmf

Guido Oldani, I premiati (XXXIII Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

I PREMIATI

il regno di lassù è come un tale

che dà a una coppia sua di dipendenti

due all’uno, cinque all’altro di talenti.

operosi, raddoppiano la cifra

e lui che torna ne sarà contento,

che il cielo è una mezza paginetta

e il terzo ebbe solo una moneta

per giunta, pelandrone, la nasconde

ma la sua pianta non avrà le fronde.

Guido Oldani- Fondatore del realismo terminale- inedito

Francescane

Cattedrale di Verona

Carmelo di Santa Teresa di Gesù

Lourdes diretta

https://www.youtube.com/live/Zz2lqOMiBeo?si=x8uz9nBYVf9wCZZ3

Carmelitas de Faro

Guido Oldani, Gli esclusi (XXXII Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 25,1-13
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”.
Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”.
Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose:
“In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

GLI ESCLUSI

il cielo è come un treno senza orario,

si deve stare all’erta per salirvi

e non allontanarsi dal binario.

dieci ragazze attendono lo sposo,

con le lampade, cinque senza scorta

di olio necessario se lui tarda,

tant’è che arriva quando c’è già buio:

le sciocche lascia fuori dalla porta.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inedito

Perpetua Adorazione streaming

Singapore

Antico inno alla Madonna del Divino Amore

Sito Don Tonino Bello

https://youtube.com/@donToninoBelloDTBChannel?si=sS4ReK3ccRWDYVrQ

Parrocchia Montichiari

Guido Oldani, Ipocrisia (XXXI domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 23,1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

IPOCRISIA

fanno scena , riempiendosi la bocca,

hanno bagagli etici per tutti, 

ma non per sé, non sono mica matti.

bisogna non si prendano sul serio,

gesù del fiume invece è l’estuario,

chi è piccolo diventa un campanile

l’alto invece sarà uno zerbino,

perché tutto è il contrario nel divino.

Guido Oldani-Fondatore del Realismo terminale- inedito 

Saviniane

Suore ospedaliere

Guido Oldani, Le beatitudini (Ognissanti)


Mt 5,1-12a
 
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

LE BEATITUDINI

“mai uomo al mondo seppe dire meglio

del discorso che pronunciò in montagna”

pensò gandhi, che quasi fu cristiano.

il telescopio per vedere dio

sta nel petto ed è un cuore puro,

la terra nostra l’avrà l’uomo mite;

otto categorie sono beate

ma noi si è bocce in urto, poi la lite.

Guido Oldani- Fondatore del realismo terminale- inedito

Parrocchia Brambate di sopra

Prete per Cassano allo Jonio

Guido Oldani, Il più importante (XXX Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 22,34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

IL PIU’ IMPORTANTE

la storia tutta fatta di complotti,

dai sadducei si passa al fariseo

sempre pronti a servire nuovi piatti.

è uno stile un po’ pericoloso

da subire o da esercitare,

ora il comandamento principale

è nell’amare soprattutto il cielo

e gli altri come sé, ciò quel che vale.

Guido Oldani- Fondatore del realismo terminale-inedito

Card. Ravasi, Pietro

Diacono ad Avellino

Poesie di un prete tra la gente

https://gpcentofanti.altervista.org/e-ne-senti-la-voce-gv-3-8/

Rito della trasmigratio

Domenicani

Santa Maria delle grazie Este

Guido Oldani, Dai a Cesare (XIX Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 22,15-21

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

DAI A CESARE

come delle puntine da disegno

bevute in un bicchiere d’acqua fresca

è la talpa che sempre il vero storpia.

gesù risponde quello che sappiamo:

“a cesare si dia quel che è suo”

lo dice ai tentatori da strapazzo

a cui va male l’iniettare il fiele,

ma il granchio non dismetterà le chele.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inedito

Lo psichiatra e l’esorcistica stasera a Radio Maria

© Radio Maria Italia – Trasmissione «Esorcistica e Psichiatria» del 17 ottobre 2023, ore 21.00. Titolo della puntata: “MENTI PERVERSE O PERVERTITE?”, ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Mons. Gervasi, Invito per i giovani

Il respiro tolto

https://gpcentofanti.altervista.org/la-societa-degli-apparati/

Card. De Donatis agli oratori

Don Morlacchi da Israele

Guido Oldani, Gli ingrati (XXVIII domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 22,1-14

In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

GLI INGRATI

del re si sposa il figlio e il pranzo è pronto,

gli inviti hanno l’effetto di legnate

e chi li reca trova il benservito.

l’ingrato è spazzato come sterco

e l’ospite è il povero di strada

che finalmente al mondo se la gode

e il carbone è preferito all’oro

nel regno con la gloria della lode.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale-inedito

Recentissimo Mons. Lojudice a Telepace

Monastero carmelitano

Dal Covolo: Patristica e Sacro Cuore

FONDAMENTI PATRISTICI DELLA DEVOZIONE
AL SACRO CUORE DI GESU’

In questo breve intervento – che si presenta come una sorta di prolusione rispetto alle relazioni successive – vorrei richiamare tre icone patristiche, che la tradizione cristiana riprende largamente nella devozione al sacro cuore di Gesù: devozione – giova ricordarlo – perennemente attuale nel santo popolo di Dio.

1. La prima icona ci conduce nella notte dei tempi, rifacendosi al racconto biblico della creazione. 

Nel libro della Genesi leggiamo che dal fianco del primo Adamo nacque Eva, la madre dei viventi (Gen 2,21 s.): “Quando un soldato gli aprì il fianco – commenta al riguardo sant’Ambrogio – immediatamente uscì acqua e sangue, che fu effuso per la vita del mondo. Questa vita del mondo è la costa [vale a dire, il cuore] di Cristo, questa è la costa del secondo Adamo: il primo Adamo infatti divenne un’anima vivente, l’ultimo Adamo uno spirito vivificante; l’ultimo Adamo è Cristo, e la costa di Cristo è la vita della Chiesa”.

Conviene osservare che il potente squarcio esegetico di Ambrogio non elabora tutti gli aspetti dell’immagine tradizionalmente collegata con l’effusione del sangue dal cuore di Cristo. In particolare, non risulta tematizzato il riferimento giovanneo all’acqua e al sangue, né vi si trova eco della relativa copiosa allegorizzazione patristica.

Da questo punto di vista è più esplicito un passo di Rufino tratto dalle catechesi battesimali sul Simbolo.

Spiegando il lemma Crucifixus sub Pontio Pilato et sepultus descendit in Inferna, egli propone anzitutto un’interpretazione globale dei misteri della crocifissione e morte del Signore. Rufino rammenta fra l’altro che “con l’effusione del suo sangue immacolato” il Figlio di Dio distrusse i peccati di tutti, “almeno di quelli che avevano segnato con il sangue gli stipiti della loro fede”. 

Ma poco oltre egli riconosce l’insufficienza delle argomentazioni addotte, e dichiara che “queste verità devono essere ulteriormente confortate da evidenti testimonianze della divina Scrittura”. “Che se poi non sembra troppo laborioso”, egli prosegue, “descriveremo in qual modo le cose dei Vangeli siano predette una per una nei profeti”. Fedele a siffatta impostazione metodologica, Rufino presenta in questi termini l’effusione del sangue dal cuore di Gesù: “Sta scritto che Gesù, colpito nel fianco, profuse acqua e sangue insieme: hoc quidem mysticum est. Egli stesso infatti aveva detto (di sé): “Fiumi d’acqua viva scaturiranno dal suo grembo” (Gv 7,38). Ma emise anche il sangue, che i Giudei avevano chiesto scendesse su di loro e sui loro figli. Profuse dunque l’acqua, che salva i credenti; e profuse il sangue, che condanna gl’increduli. 

Tuttavia si può intendere anche questo, che egli abbia voluto simboleggiare la duplice grazia del battesimo: quella che è donata attraverso il battesimo dell’acqua, e quella che si consegue attraverso il martirio con la profusione del sangue. Ambedue si chiamano infatti ‘battesimo’. Se poi ricerchi perché si dica che egli effuse acqua e sangue dal costato, e non da qualche altro membro, a me pare che nel fianco si alluda alla donna, per via della costola. Poiché infatti la fonte del peccato giunse dalla prima donna, che fu la costola del primo Adamo, così anche la fonte della redenzione e della vita scaturisce dalla costola del secondo Adamo”.

2. Potremmo addurre numerose testimonianze ulteriori. Ma quelle di Ambrogio e di Rufino sono sufficienti per cogliere la centralità dell’effusione del sangue e dell’acqua dal cuore di Gesù, come “riparazione salvifica” definitiva rispetto al peccato delle origini.

Ed ecco – immediatamente – la seconda icona, conseguente alla prima. I Padri della Chiesa, infatti, hanno visto in Adamo, nel primo Adamo, la figura di Gesù Cristo, e in Eva la figura della Chiesa. Dal cuore trafitto del nuovo Adamo nasce la nuova Eva, la Chiesa, misticamente simboleggiata dai segni dell’acqua e del sangue, costantemente evocati in rapporto al battesimo, al martirio (il “secondo battesimo”, quello del sangue) e all’eucarestia. 

Così nella vita del credente il sangue versato e donato dal cuore di Cristo in primo luogo è esperienza sacramentale nella liturgia della Chiesa; in secondo luogo è progetto di vita per ogni discepolo, chiamato sull’esempio del Maestro a rendere testimonianza di amore e di servizio, fino al dono supremo. Così da una parte il il tema sangue salvifico effuso dal cuore di Gesù costituisce un motivo ricorrente nelle catechesi patristiche ai catecumeni e ai neofiti, e la liturgia, culminante nella solenne celebrazione del triduo pasquale, si fa essa stessa catechesi per tutti i fedeli: si pensi solo al posto centrale che già nel primo secolo Ignazio di Antiochia riservava all’eucarestia nella sua “spiritualità del sangue”. 

D’altra parte la contemplazione del sangue prezioso scaturito dal cuore di Gesù e l’assunzione sacramentale di questo sangue fondano la vita nuova del cristiano. Al riguardo, è opportuno citare almeno un passo della sesta omelia del Crisostomo Sul Vangelo di Giovanni: “Questo sangue”, esclama l’omileta, riproduce in noi la regale splendida immagine di Dio, ci arricchisce di una bellezza incredibile, non lascia deturpare la dignità dell’anima… Questo sangue sparso per noi ha lavato tutto il mondo”.

3. Ed ecco, di sèguito alla precedente, la terza icona, che giunge a varcare i confini dell’età patristica.

Il fianco squarciato di Gesù, il suo cuore trafitto, sono infine la nostra culla, la nostra sorgente, il nostro alimento, la nostra vita, la nostra consolazione. Con questo cuore – stando all’insegnamento dei Padri – dovremmo costantemente confrontarci, riplasmando, in qualche modo, il nostro cuore con quello di Gesù.

Cor ad cor loquitur, recita una famosa espressione, di cui non conosciamo l’autore. Certamente proviene dalla spiritualità agostiniana; venne valorizzata in massimo grado da Francesco di Sales, e fu assunta da John Henry Newman nel proprio stemma cardinalizio. 

Cor ad cor loquitur: il cuore del discepolo deve costantemente dialogare con il cuore di Gesù. E’ questa l’icona del discepolo amato, che poggia il suo capo sul cuore del Maestro (Gv 13,23).

L’invito che rivolgo a tutti voi, al termine di questa prolusione, è quello di somigliare sempre di più a questo discepolo, l’agapetós, colui che ha contemplato il sacro cuore di Gesù sulla croce, e che ha dato la testimonianza autentica – de visu – del sangue e dell’acqua effusi dal fianco squarciato.  

Di questo discepolo non si fa il nome, lungo tutto il quarto vangelo. Evidentemente, l’apostolo Giovanni ha voluto lasciare una casella vuota, perché ciascuno di noi potesse inserirvi il proprio nome.

      + Enrico dal Covolo

Guido Oldani, La saggezza (XXVII domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

LA SAGGEZZA

detto fatto, la vigna è di già pronta

l’affitta a un contadino disonesto

che è peggio della propria faccia tosta.

vanno i servi a riscuotere l’affitto

più volte, lui però ne fa uno spiedo

e il figlio peggio essendo poi l’erede

e interviene il padrone con saggezza

che la pietra, sembrava scalcagnata,

ma invece è forte, regge bene il piede.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale -inedito

Santa Messa a Carpenedolo

Parrocchia di Loreto, Belluno

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=http://www.duomoloreto.diocesi.it/&ved=2ahUKEwiiwsq2lsSBAxXggv0HHThkBW8Q_Bd6BAgNEAY&opi=89978449&usg=AOvVaw2N_omtSlwqa0zVf9DP-KH-

San Girolamo

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://fondoambiente.it/luoghi/complesso-monumentale-di-san-girolamo%3Fldc&ved=2ahUKEwjk4p_GlMSBAxUjhP0HHUytDzkQFnoECEsQAQ&usg=AOvVaw0BMedgej99AUpk4qxZWIw7

Omelia (inventata) di San Francesco

https://gpcentofanti.altervista.org/predica-di-san-francesco/

Risposta di Francesco ai nuovi dubia

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-10/papa-francesco-risponde-ai-dubia-di-cinque-cardinali.html

Angeli custodi

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=http://www.santiangelicustodi.org/&ved=2ahUKEwiW59_vlsSBAxXdSfEDHYpeA80Q_Bd6BAgWEAY&opi=89978449&usg=AOvVaw3gBPc6RKxVKsfTzcPskR7l

Teresa di Lisieux

https://www.acistampa.com/story/la-novena-delle-rose-a-santa-teresa-di-lisieux-18871

Guido Oldani, La meta (XXVI domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

LA META

c’è chi fa lo svogliato poi lavora

l’altro è cortese ma combina niente,

che non è l’etichetta quel che conta.

vi passeranno oltre o benpensanti

sia le puttane, di cui dite male,

che chi campa tra fogne del denaro,

loro seppero credere al battista

voi siete auto in corsa, senza pista.

Guido Oldani- Foldatore del Realismo terminale – inedito

Santi Arcangeli

https://opusdei.org/it-it/article/meditazioni-29-settembre-santi-arcangeli-michele-gabriele-e-raffaele/

Frati minimi

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=http://ordinedeiminimi.org/&ved=2ahUKEwj0g4-n9LqBAxUqgP0HHVPxBC8QFnoECCUQAQ&usg=AOvVaw3K-980Kuapo42AhC7H5ICd

Santuario Gesù Bambino di Praga

https://youtube.com/@BambinGESUdiPraga?si=-vcQoJIyHgoGNnQz

Mercedarie Santissimo Sacramento

Guido Oldani, La vigna (XXV domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 20,1-16
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

LA VIGNA

il padrone assolda dei proletari

come oggetti smarriti per la strada

e li fa lavorare una giornata.

chiama altrettanti gruppi in quattro uscite,

dando a tempi diversi stesse paghe

ciò scontenta più o meno tutti o quasi,

ignari che l’amore è ugual livello

di acqua, nei comunicanti vasi.

Guido Oldani- inedito- Fondatore del realismo Terminale

Santa Maria de la vid Abbey

https://youtube.com/@santamariadelavidabbey7747

Pastorale giovanile Pisa

https://youtube.com/@PiGiPisa?si=jC3dUpiYNfDIod6V

Esorcista e psichiatra a Radio Maria

Radio Maria Italia – Trasmissione “Esorcistica e Psichiatria” del 19/09/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: EPILESSIA O POSSESSIONE? Evidenze scientifiche e verità di fede a confronto. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli. Buon ascolto!

US Franciscans

Cistercian nuns

Diocesi di Piazza Armerina

https://www.diocesipiazza.it/

Trappisti

Addolorata

https://www.santiebeati.it/dettaglio/24450

Santa Croce

https://www.santiebeati.it/dettaglio/21500

Mons. Dal Covolo, Omelia per la XXIV Domenica del Tempo ordinario, anno A

UN PROGETTO DI EDUCAZIONE

Omelia per la XXIV domenica del tempo ordinario

Il Vangelo di oggi ci ricorda la conclusione del discorso di Gesù alle guide della comunità. E’ un discorso che ci riguarda da vicino, perché tutti noi, impegnati nel campo non facile dell’educazione (nella famiglia, anzitutto; ma anche nella scuola, nell’università, nella parrocchia e nell’oratorio, e in generale nei vari gruppi associativi) siamo guide nella comunità.

In verità il discorso di Gesù si svolge in due parti: la seconda è quella che abbiamo letto, e riguarda la legge assoluta del perdono; la prima riguarda l’attenzione privilegiata ai piccoli, agli ultimi. Le due parti risultano sostanzialmente simmetriche tra loro. Infatti ognuna di esse contiene una domanda dei discepoli (18,1 e 18,21) e una risposta di Gesù, che include anche una parabola.

1. La domanda della prima parte del capitolo è espressa dai discepoli in questi termini: «Chi è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù prende un bambino, e spiega che, se non si faranno piccoli così, non entreranno nel Regno. Poi sposta il discorso sullo scandalo. Guai a voi, dice, se scandalizzerete una di queste persone semplici… E conclude con una breve parabola, quella della pecorella smarrita, riportata anche in Luca 15. Ma qui, in Matteo, la parabola della pecorella smarrita ha un senso un po’ diverso: in Luca è la parabola di Dio misericordioso, padre del figlio prodigo, che lascia le novantanove pecore per cercare quella che si era perduta; in Matteo è piuttosto la parabola di ogni cristiano, che non può «perdere di vista» le pecorelle più deboli. In Luca l’accento va sulla misericordia di Dio; in Matteo, invece, l’accento va sull’impegno – sempre di Dio, ma anche dell’educatore – affinché nessuna pecorella vada perduta.

Che cosa significa questo per noi?

Per non scandalizzare, per non perdere di vista la pecorella più debole, per essere «grande in senso evangelico», per ritrovare sé stesso secondo il progetto di Gesù, il discepolo impegnato nella guida, nell’educazione, dev’essere realmente «sbilanciato» dalla parte di chi ha più bisogno, capace di condivisione fino al sacrificio supremo…

2. Lo stesso discorso prosegue nella seconda parte del capitolo. Qui la domanda è di Pietro – l’abbiamo sentita –, che si avvicina a Gesù e gli chiede: «Maestro, quante volte dovrò perdonare? Fino a sette volte?». Gesù risponde: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». E racconta la parabola del re misericordioso e del servo spietato, concludendo in modo estremamente impegnativo: infatti Gesù intende dire che il comportamento dell’uomo di fede dev’essere simile al comportamento di Dio. Nel caso specifico del perdono, occorre perdonare con la stessa misura con cui Dio perdona a noi: vale a dire, senza misura.

Ne consegue un insegnamento molto importante, che possiamo applicare a noi e alle nostre comunità educatrici: quella «condivisione con il piccolo» e quell’«amore ricco di misericordia» – di cui parlano le due parti del capitolo 18 di Matteo – restano dei valori irrinunciabili per ogni comunità e per tutti gli educatori, chiamati a diventare «segno» profetico di solidarietà, precisamente nella direzione indicata da Matteo: la linea dell’attenzione privilegiata al piccolo, e del perdono reciproco senza condizioni.

Conviene ribadirlo: per essere «segno di condivisione», ogni credente, e soprattutto ogni educatore, deve perdonare senza misura, sbilanciandosi dalla parte degli  ultimi. 

Ma non si rischia così di mortificare chi è più ricco di doti? Una simile condivisione non rischia di «appiattire» scuole e comunità? Risponde D. Bonhoeffer, che aveva meditato a lungo sul capitolo 18 di Matteo, prima dell’esecuzione capitale nel carcere di Flossenburg: «Ogni comunità cristiana deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma anche i forti non possono fare a meno dei deboli. L’esclusione dei deboli è la morte della comunità» (La vita comune, trad. it., Brescia 1969, pp. 143-144).

E’ questo l’itinerario della croce e del servizio, quello perseguito da Gesù e da Maria fino al Calvario. Chi è più grande? E’ più grande colui che si fa piccolo, chi – per servire – da ricco si fa povero, e nulla considera un privilegio per sé. Chi ritrova se stesso? Solo colui che «butta» la sua vita per gli altri…

3. Concludo con un riferimento personale. 

Per alcuni anni, i Superiori religiosi mi hanno affidato l’incarico di Postulatore delle cause dei santi della Famiglia Salesiana. Ho avuto così la grazia di poter conoscere meglio quell’universo umano di splendide figure che sono i santi. Tra loro vorrei ricordare un collega, Giorgio La Pira, professore di Diritto romano all’Università di Firenze, dotato di una straordinaria competenza nella sua disciplina, educatore eccellente sempre ricercato dai giovani, con i quali intratteneva un dialogo vivo e attento alle loro esigenze, pronto, quando le circostanze lo richiedevano, ad assumere gravi responsabilità civili e politiche, che svolse con quell’incidenza profetica che tutti, amici ed avversari, gli riconobbero. 

Perché lo ricordo oggi? Perché voglio dire agli educatori che l’esercizio della missione educativa che ci è affidata è la nostra vocazione per diventare santi, e per educare giovani santi: purché – proprio come il professor Giorgio La Pira – sappiamo assumere quelle competenze e quelle responsabilità, che fanno di un educatore un uomo e una donna pensosi e operosi, sempre consacrati al bene. 

Guido Oldani, Quattrocentonovanta perdoni (XXIV Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

QUATTROCENTONOVANTA PERDONI

come una spugna, ma fa da fontana,

contro natura agisce il ricco ricco

e al proprio servo abbuona una fortuna.

questi il suo debitore invece inchioda

pur per una somma piccolina

e il graziato allora è perseguito

che saranno i cieli così severi,

e pietro tu perdona volentieri.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo Terminale

SS. Nome di Maria

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Diocesi di Pavia

https://www.diocesi.pavia.it/

Monache minime

Mercedarian Sisters

https://youtube.com/@MercedarianSisters?si=KAcr8U3o-7Ve-JuP

Natività di Maria

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Guido Oldani, Due o tre (XXXIII domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 18,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

DUE O TRE

le colpe a cui mettete le manette

lo stesso poi ritroveranno in cielo

ma libere se voi le perdonate.

a chi ti nuoce, parlagli da solo,

se insiste aggiungi qualche testimone,

se occorre la comunità intervenga

qualora fosse vano, stia lontano

e pregando in due o tre, siete con me.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Parrocchie Bra

https://youtube.com/@ParrocchieUP50Bra

Servidoras contemplativas

https://youtube.com/@ssvmcontemplativas1988

All Saints parish

Saint Anselmo Abbey

Mons. Dal Covolo, Omelia per il 50° di professione religiosa

Cinquantesimo di professione religiosa

Eraclea, 3 settembre 2023

Cari fedeli e cari concittadini,

in questa domenica, nella quale ho scelto di celebrare con voi il mio cinquantesimo di professione religiosa nella Famiglia Salesiana, la Parola del Signore ci offre alcuni spunti preziosi per approfondire nella fede il significato di questa ricorrenza.

1. Anzitutto, potrei ripetere anch’io – come molti di voi – le parole del profeta Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre…”. 

Quando – cinquant’anni fa, ad Albaré di Costermano (Verona) – ho professato i voti di castità, povertà e obbedienza, non potevo certo prevedere quanto il Signore sarebbe stato buono con me. Mi ha fatto sacerdote, mi ha fatto Vescovo, mi ha donato questa splendida Diocesi di Eraclea. Mi ha riempito dell’affetto di tante persone, di confratelli e amici, e mi ha reso padre di una moltitudine di giovani… 

Grazie, Signore! Il mio canto di lode si snoda tra il Magnificat e il MiserereMagnificat per le grandi cose che il Signore ha fatto per me; Miserere, perché rimango un povero peccatore, che spesso non corrisponde alla grazia di Dio.

2. Poi, nella seconda lettura, Paolo ci raccomanda di non conformarci allo spirito di questo mondo che passa, ma di lasciarci trasformare, di rinnovarci continuamente, seguendo la volontà di Dio. 

E’ quello che ho cercato di fare in questi cinquant’anni, consacrandomi al Signore per il bene dei giovani, soprattutto i più poveri, proprio come voleva Don Bosco. Ho cercato di educarli all’amore vero, non a quello delle canzonette del mondo, ma piuttosto all’amore di una mamma, che è disposta a dare la vita per i propri figli…

3. Ma il testo più forte, che ci invita tutti alla conversione, è quello del Vangelo di oggi. Sono le parole di Gesù, che ci dice: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.

Cari fratelli e sorelle, qui sta il segreto della vita: perdersi per ritrovarsi.

E’ la legge dell’amore: rinunciare a se stessi, al proprio egoismo, per “far essere di più” le persone che amiamo. 

Certo, questo significa passare attraverso la croce: ma non dobbiamo averne paura. In qualunque vocazione, nella mia, come nella vostra, vale la legge dello spreco: buttarsi senza risparmio nel servizio di Dio e del prossimo.

La mia povera Mamma, che era una santa, mi ha insegnato, fin da piccolino: “Enrico, se non vuoi soffrire, non devi neppure amare”.

Ma che cos’è la vita, senza l’amore? Per amore io mi sono fatto salesiano, cinquant’anni fa: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”.

Pregate per me, cari figli e figlie, cari fratelli e sorelle… Stringiamo oggi, in questa Chiesa di Eraclea, un patto solenne: corriamo insieme la corsa dei santi, facciamo a gara nella santità e nell’amore.

Maria santissima, che in questo Duomo veneriamo come Concetta Immacolata, cioè senza peccato alcuno, ci guida, ci trascina per mano, e con infinito amore ci conduce al suo Figlio, al nostro Fratello e Amico, al suo, al nostro Gesù.

Amen!

+ Enrico dal Covolo 

          Vescovo tit. di Eraclea

Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

Guido Oldani, L’attrezzo (XXII domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 16,21-27

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

L’ATTREZZO

“usando il vecchio attrezzo del complotto

mi fanno fuori non direttamente

ma con le mani e i chiodi dei romani.”

come una mina pietro salta in aria

a scongiurare che mai questo accada;

Lui dopo che lo tratta duramente:

“chi dà per me la vita, se la salva

chi l’arraffa per sé finisce in niente.”

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Diocesi di Richmond

Cappuccini Cile

https://youtube.com/@capuchinoschile1497

Traversetolo: Giovanni Battista

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://parrocchiaditraversetolo.it/it/langolo_del_don/il_santo_del_giorno/2019/08/29/martirio_di_s_giovanni_battista_memoria&ved=2ahUKEwi33_qY-N-AAxVZQfEDHSp7DtI4FBAWegQIAxAB&usg=AOvVaw1WXHAbMadkhhVeupWNTebj

Parrocchia Carpenedolo

Corso della Diocesi di Otranto

Daylesford Abbey

https://youtube.com/@DaylesfordAbbey

Guido Oldani, Chi (XXI Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 16,13-20

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

CHI?

“chi dicono costoro che io sia?”

“pensano al battista, ancora intero

ed altri alla cassandra della bibbia

od ai certificati più svariati”.

pietro, nel bene e il male sempre il primo:

“Tu sei il figlio del cielo che si appresta”

“e tu il cemento armato della chiesa

su cui si fonderà l’estrema festa”.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Saint Helena catholic church, Lousiana

https://youtube.com/@StHelenaCatholicChurch

Maria Regina

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://www.santiebeati.it/dettaglio/24150&ved=2ahUKEwi82rP9idqAAxVB0AIHHT04Aw4QFnoECA0QAQ&usg=AOvVaw2dnVvMt3VnCHpy03CD-CZt

Arcidiocesi di Potenza Muro Lucano

Dominican friars

https://youtube.com/@DominicanFriarsMedia

Card. Ladaria, Messa nella memoria di Santa Chiara

Messa Sant’Elena in Quartu

Guido Oldani, La straniera (XX Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 15,21-28

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore», disse la donna, «eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

LA STRANIERA

“la mia figliola ha un diavolo nel corpo,

come il denaro nella cassaforte

che ammala chi è privato di provvista.”

Lui, un istante, uomo del suo tempo:

“il pane per i figli non do ai cani”

ma lei come un allarme strilla forte

e insistendo il miracolo gli chiede

e la grazia otterrà , tant’è la fede.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Card. Tagle al Santuario di Santa Filomena

Ordinazione diaconale a Tricarico

Esorcistica e Psichiatria: Maria

Radio Maria Italia – Trasmissione “Esorcistica e Psichiatria” del 15/08/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: MARIA, SALUTE DEGLI INFERMI E SPERANZA DELL’UMANITÀ NELLA LOTTA CONTRO IL MALE. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

Dentro lo sguardo del cielo (Assunzione)

https://gpcentofanti.altervista.org/santuario-della-madonna-del-divino-amore/

Guido Oldani, L’Assunzione (Assunzione della Beata Vergine Maria)

Lc 1,39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua

L’ASSUNZIONE

madonna mia, che storia la tua storia,

fosti calamitata su nel cielo

come un aeroplano che non vola.

già vista da un binocolo, vicina

poi, rovesciato appari su lontana

sorte , la tua, di figlia del tuo figlio

che di fede ne hai un’esportazione,

materna con la nostra carne umana.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Parrocchie San Massimiliano Kolbe e Santa Maria Assunta di Tabano, Jesi

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.smkjesi.it/&ved=2ahUKEwiR4s-drNKAAxV_SfEDHerfD8QQ_Bd6BAgcEAY&opi=89978449&usg=AOvVaw1WnNp6B08i0P8zTScnGV0_

Media Diocesi Cagliari , Mons. Baturi

La continua novità dei vangeli

https://gpcentofanti.altervista.org/nuovi-spunti-sui-vangeli/

Guido Oldani, Stare a galla (XIX Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».


Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

STARE A GALLA

il vento gli va addosso come un treno,

alla barca di loro che traballa;

sull’acqua lui avanza stando a galla.

pietro che ha poca fede lo raggiunge

ma ad ogni passo sempre più si affonda,

gesù lo salva appeso alla sua mano

e una volta sicuri tutti a bordo,

figlio di dio lo chiama pure l’onda.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Altezza dell’uomo della Sindone

https://www.ilgiornale.it/news/l-ultimo-segreto-sindone-cristo-era-alto-metro-e-87.html

Il volto di Maria

https://www.monasterodibose.it/ospitalita/lo-spazio-della-cura/14229-il-volto-di-maria

Dom Scicolone, La casa della Chiesa

https://youtube.com/@PadreIldebrandoScicolone

La Sindone

Parrocchia Trasfigurazione

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://www.diocesiotranto.it/wd-annuario-enti/parrocchia-trasfigurazione-del-signore-di-scorrano-1471/&ved=2ahUKEwjaq-233r6AAxW7hP0HHeKOAfo4ChAWegQIDRAB&usg=AOvVaw0RdD9QoYjBcU4a7GzdVVrs

Il vescovo di Chioggia e la Sindone

Guido Oldani, Sul monte Tabor (Domenica, Trasfigurazione del Signore)


Mt 13,47-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

SUL MONTE TABOR

come una cartina di tornasole

che nell’acido muta il suo colore

gesù esplode luce, tra i profeti.

sta con due padri, dio in lui si gloria

e pietro li vorrebbe lì ospitare

ma tutto si scancella e vanno a casa

coi due fratelli , pure testimoni

ben secretando, come fa la N.A.S.A.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Mistery Man

Perdono di Assisi

https://www.porziuncola.org/come-e-quando-ottenerla.html

Addolorata Castelpetroso

San Giacomo Maggiore Apostolo

Diocesi di Verona

https://youtube.com/@diocesidiverona5052

Diocesi di Acireale

https://youtube.com/@DIOCESIACIREALE

Vescovo di Treviso a Lourdes

Guido Oldani, Il finale (XVII Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 13,44-52

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

IL FINALE

ed il regno dei cieli è ciò che spendi,

meglio se tutto quanto posseduto

per giungere al tesoro stralunato.

sia cassaforte o perla o rete colma,

si selezionerà di lei il pescato,

di cui non poco si dovrà buttare

ma quel che resta dà l’eterno fiato.

Guido Oldani- Fondatore del realismo terminale

Il vangelo, commento Diocesi Ancona

Parrocchia Salcedo

https://youtube.com/@santannasalcedo

Madonna della Luce, Galatina

San Michele Piano di Sorrento

Guido Oldani, La Pazienza (XVI Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 13,24-43

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No”, rispose, “perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

LA PAZIENZA

è Lui da solo tutto il cielo intero,

semina il grano buono come il pane

di notte un sacco aggiunge la gramigna.

i dipendenti, con le mani forti

vorrebbero strappare l’infestante

ma il capo teme si danneggi il grano

allora aspetta che maturi il campo

poi brucia il gramo, resta l’importante.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inedito

Oratorio San Luigi Capriolo

https://youtube.com/@oratoriosanluigicapriolo7148

Santa Maria Lesmo

https://www.youtube.com/live/JGqQ_i7_gAw?feature=share

Esorcistica e Psichiatria: Internet e il male

Radio Maria Italia – Trasmissione “Esorcistica e Psichiatria” del 18/07/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: VINCERE IL MALE ALL’EPOCA DI INTERNET PRENDENDOCI CURA DELLA DIMENSIONE SPIRITUALE DELL’UOMO. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Diocesi di Cerignola

Santuario Pontelungo

Madonna del Carmelo

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://www.famigliacristiana.it/articolo/la-madonna-del-carmine-e-la-storia-dello-scapolare-.aspx&ved=2ahUKEwjA-oLYlfD_AhVVRPEDHU4IDuYQFnoECDYQAQ&usg=AOvVaw3HvcWSUstsswx9k-tOPLRH

Guido Oldani, La Parola (XV Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

LA PAROLA

il pesce ha la forma della barca

attraccata, su cui vi sale cristo

mentre la gente resta sulla sponda.

si sa, del seme, che è di quello buono

quando farà la semina la mano

sul sasso va o in troppo poca terra

o se lo brucia il sole o sazia il merlo

o finalmente va sul suolo giusto,

allora cresce forte il frutto e il fusto.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale -inedito

Santuario Madonna dei boschi

Santa Casa di Loreto

https://youtube.com/@santacasaloreto9780

Sant’Ambrogio, Vignate

Sacro Speco, Subiaco

https://monasterosanbenedettosubiaco.it/

Santa Maria delle grazie al Trionfale

Parrocchia Palazzago

Nuovo calendario Diocesi di Roma

https://www.diocesidiroma.it/il-nuovo-calendario-proprio-della-diocesi-di-roma/

Nuova intervista a Mons. Fernandez

https://ilsismografo.blogspot.com/2023/07/vaticano-victor-m-tucho-fernandez.html?m=1

Guido Oldani, Il sapere (XIV Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

IL SAPERE

Lui, all’intelligenza artificiale

ed ai suoi fabbricanti e venditori

il sapere più grande lo nasconde.

lo dona invece a chi non c’entra niente,

cosa che fa infuriare i sopraddetti

ed agli oppressi toglie il peso in testa,

che gli trasformerà in una farfalla,

così col loro aggravio sono in festa.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

Prima intervista del nuovo Prefetto CdF, Mons. Fernandez

https://infovaticana.com/2023/07/05/victor-manuel-fernandez-a-infovaticana-lo-que-esta-mal-esta-mal-y-yo-defiendo-la-moralidad-objetiva/

Mons. Fernandez nuovo prefetto della CdF

Un caro saluto a padre Fernandez

https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/il-nuovo-prefetto-per-la-dottrina-della-fede-e-il-libretto-sul-bacio-attaccano-me-per-attaccare-francesco/ar-AA1doXGa?rc=1&ocid=winp1taskbar&cvid=2c7aaf54795f4383a298c82c16c770f5&ei=6

Parrocchia di Gambara

https://www.youtube.com/live/dAbZq0w6oD4?feature=share

Parrocchia Velate

Pasqua Abbazia Montecassino

Perdono di Assisi

https://www.porziuncola.org/come-e-quando-ottenerla.html

Santa Maria del Lauro

Comunità pastorale Magenta

https://www.youtube.com/live/9F-8J5YfcP8?feature=share

Parrocchia Castiglione d’Adda

https://youtube.com/@parrocchiacastiglionedadda9484

Basilica Santi Pietro e Paolo, Roma

https://www.santipietroepaoloroma.it/

Guido Oldani, Il certificato (XIII Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 10,37-42In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

IL CERTIFICATO

chi ama il proprio stato di famiglia

più di gesù, trentenne falegname

è fuori dal divino e le sue rime.

e stando nel corteo delle croci

molto donando tutto si riceve,

come un bicchiere d’acqua a chi gli occorre

arandogli l’arsura con il sorso,

si sta col padre e il figlio che è tutt’uno

in una pace che non dà rimorso.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale

San Giovanni Battista in Persiceto

San Giuseppe, Seregno

Santo Spirito, Bolzano

http://www.santospiritomerano.it/parrocchia/informazioni-utili/

San Vigilio, Merano

http://www.parrocchiasanvigilio.it/

Guido Oldani, Senza paura (XII Domenica del Tempo ordinario, anno A)


Mt 10,26-33
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

SENZA PAURA

così per noi ripeterà wojtyla,

non abbiate paura, gesù disse,

ma del diavolo sì, che lui v’imbroda.

e quel che vi rivelo nell’orecchio

dai comignoli ditelo dei tetti

o siate fari che abbagliate gli occhi

e certamente poi, non vi trascura

iddio che sa d’ogni capello in testa

e per gli uccelli in cielo ha pur premura.

Guido Oldani –Fondatore del Realismo terminale- inedito

Santa Maria Assunta, Merano

https://www.smassunta.net/

Vangelo del giorno e commento su La Croce

https://www.lacrocequotidiano.it/

Psichiatria esorcistica affronto delle crisi

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione “ESORCISTICA e PSICHIATRIA“ del 20/06/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: ”Come affrontare le situazioni di crisi tra disagio esistenziale, disordini di vita, malattie fisiche, psichiche e spirituali”. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Parrocchia Santa Maria Immacolata, Belluno

https://m.facebook.com/parrocchiamussoibelluno

Missionari del Preziosissimo Sangue, Firenze

https://sangaspare.it/le-nostre-comunita/firenze-parrocchia-preziosissimo-sangue/

Sulla via dei cuori di Maria e di Gesù

https://gpcentofanti.altervista.org/chi-sono/

Basilica del Sacro Cuore, Roma

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Guido Oldani, Gli operai (XI Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 9,36-10,8

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù invò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

GLI OPERAI

ottomiliardi sono da campare,

per dare a tutti il ferro della fede

ne occorrono di bici con il cuore.

e vedendo il gregge che è allo sbando

cercate soprattutto i fuoripista,

togliete il dolo date la salute

che il cielo atterra anche se c’è guerra.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo terminale- inedito 

Don Giampaolo Centofanti a Tv2000

https://gpcentofanti.altervista.org/interventi-su-vari-media/

Arca Sant’Antonio in diretta webcam

https://www.santantonio.org/it/webcam-arca-del-santo

Vangelo del giorno e commento sul quotidiano La Croce

https://www.lacrocequotidiano.it/home

Il card. Zuppi inviato di pace

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/zelensky-zuppi

Missionari del Preziosissimo Sangue

https://sangaspare.it/

Guido Oldani, Corpus Domini (Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, anno A)


Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

CORPUS DOMINI

come se fosse un ferro di cavallo

martellato da troppi maniscalchi

è l’appeso a due legni da tre chiodi.

e la carne di pane il sangue vino

sono la cena per il viaggio in cielo

allora lo si dica per le strade

e pure se la folla è un mezzo niente,

diventeranno ali anche le spade.

Guido Oldani- Fondatore del Realismo Terminale- inedito

Operato il papa

http://ilsismografo.blogspot.com/2023/06/vaticano-svolta-conferenza-stampa-del.html?m=1

Il principio e la fine

https://gpcentofanti.altervista.org/novissimi-e-primissimi/

Santa Maria Assunta in cielo, Montecompatri

https://sites.google.com/view/duomo-di-montecompatri/home

Tre Santi, Bolzano

https://www.tresanti.bz.it/

Beata Vergine Immacolata, Vigevano

https://www.parrocchiabeatavergineimmacolata.it/

Mons. V. M Fernandez, predicazione

https://youtu.be/mfj15KVkdc8

Intervista a Mons. Victor Manuel Fernandez

https://www.religiondigital.org/america/Monsenor-Tucho-Fernandez-Plata-Argentina-Papa-Francisco_0_2564743526.html

Guido Oldani, Trinitario (Santissima Trinità, anno A)


Gv 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

TRINITARIO

nicodemo da cristo va di notte

perché fifone teme conseguenze,

che come lui di gente ce n’è tanta.

eppure anche se è una mezza tacca

la trinità di rublev gli prelude,

l’uno sta in cielo l’altro scende in terra

il terzo aiuta e il trittico si chiude.

Guido Oldani –Fondatore del Realismo terminale-inedito

Visitazione di Maria

https://lorenzolottomarche.it/itinerario/jesi/visitazione-1531

Diocesi di Porto e Santa Rufina

http://www.diocesiportosantarufina.it/home/pages.php?dpid=128

Parrocchia San Pio X a Massa

https://www.parrocchiasanpioxmassa.it/

Parrocchia Spirito Santo, Ferratella Roma

https://www.spiritosantoferratella.com/

Parrocchia Madonna Pellegrina a Massa

https://www.parrocchiamadonnapellegrina.org/

Guido Oldani, Pentecoste (Domenica di Pentecoste, anno A)

PENTECOSTE

codice rosso fu la previsione

del clima che gli accadde in quel momento

ai reduci già dentro in quella stanza.

è come una bilancia che non ruba

la penitenza che voi assegnate

e il Figlio sale, scende Chi consola

fin quando c’è il finale appuntamento,

in cui vi è chi sprofonda oppure vola.

Guido Oldani- Fondatore de Realiosmo Terminale – inedito

Diocesi di Livorno

https://www.diocesilivorno.it/

Parrocchie Trento

https://www.diocesitn.it/site/wd-annuario-enti/valsugana-primiero-78/agnedo-madonna-della-mercede-522/

Diocesi di Trento

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.diocesitn.it/&ved=2ahUKEwj6zbbEwIn_AhXFSfEDHbpqBPgQFnoECBAQAQ&usg=AOvVaw0Ip1RQU0mkDw6tqosbr8Zq

Diocesi di Alessandria

http://diocesialessandria.it/

Parrocchia Ascensione, Roma

https://m.facebook.com/parrocchiascensione

Guido Oldani, L’Ascensione (Ascensione del Signore, anno A)


Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

L’ASCENSIONE

la dozzina, misura commerciale,

grazie a loro, ha impronta del divino,

in cima alla montagna da cui “sale”.

stanno in ginocchio, alti come un gregge

fronteggiando il trepiedi trinitario

che regge tutto quanto l’universo,

Lui ascende, facendo l’apripista,

del nostro fiume al cielo l’estuario.

Guido Oldani- inedito

Vangelo quotidiano e breve meditazione

https://gpcentofanti.altervista.org/category/https-gpcentofanti-altervista-org-category-vangelo-del-giorno-e-commento/

Esorcistica e Psichiatria alla radio

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 16/05/2023 ore 21.00, dal titolo: ACCANTO A CHI SOFFRE. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Al termine gli ascoltatori potranno intervenire in trasmissione con le loro domande. Buon ascolto!

Poesie di don Giampaolo Centofanti

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.lapoesiaelospirito.it/&ved=2ahUKEwiv9onIiu_-AhUPhP0HHX1uAUIQFnoECBMQAQ&usg=AOvVaw0Y8_Hpf2Uic0fNiP-tr_r-

Cuore Immacolato di Maria, Avellino

https://m.facebook.com/parrocchiacuoredimaria

Santuario di Fatima in diretta

https://www.fatima.pt/it/pages/trasmissione-on-line

Guido Oldani, Parola data (VI Domenica di Pasqua, anno A)


Gv 14,15-21

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

PAROLA DATA

al buio non li lascia, quando parte

in quanto il padre che è una torcia in cielo

manderà in terra il raggio che consola.

Lui sta nel padre, loro dentro al figlio

come tre porte in una porta sola

e il tempo è quello della sveglia in cielo,

che unisce tutti: dice la parola.

Guido Oldani- inedito

Mons. Dal Covolo, Perché il popolo ama Maria?

PERCHE’ IL POPOLO AMA MARIA?

Un itinerario contribuisce a spiegarlo

                                                                                                        +Enrico dal Covolo

Perché il popolo santo di Dio ama Maria?

Io credo – e l’ho esperimentato personalmente – perché trovare in lei, oltre che una Madre premurosa e dolcissima, anche un modello di santità concretamente imitabile.

La storia della vocazione di Maria – narrata da Luca in un modo tutto particolare nell’episodio dell’Annunciazione, proprio perché questo racconto potesse diventare un itinerario di santità valido per ogni cristiano – rimane un modello per ciascuno di noi, e incrementa l’amore del popolo a Maria.

Qualcuno forse si chiederà: è legittimo riferire a noi quella storia di vocazione assolutamente eccezionale, che è quella di Maria? 

Risponde un monaco contemporaneo di Bernardo, Isacco, terzo abate del monastero della Stella: “Ogni anima fedele”, si legge nel primo Discorso nel giorno dell’Assunzione, “può essere considerata, nella sua maniera propria, sposa del Verbo di Dio e madre di Cristo, figlia e sorella, vergine e feconda”; e il santo abate conclude: “Erede del Signore in modo universale è la Chiesa, in modo speciale Maria, in modo particolare ciascuna anima fedele (universaliter Ecclesia, specialiter Maria, singulariter quaeque anima fidelis)” (51,8,24).

Non è dunque una presunzione confrontare la nostra storia di vocazione con quella di Maria: è invece una precisa esigenza della vita spirituale di ogni fedele. E’ un itinerario che oggi vi propongo perché vi innamoriate sempre di più di Maria. 

Quello di Luca è un racconto a cinque tappe: esse caratterizzano le storie di vocazione della Bibbia, della Chiesa, e di ciascuno di noi.

 * La chiamata-elezione da parte di Dio

“L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, di nome Maria” (cfr. Luca 1,26-27).

Ecco il primo atto di questa splendida storia, che è la storia della vocazione di Maria: è “la chiamata-elezione” da parte di Dio. E’ lui il vero protagonista del racconto. E’ Dio che manda Gabriele, è Dio che riempie di grazia… Così l’umile ancella, vuota di sé, è piena di grazia, e in lei si compiono le grandi cose di Dio.

Anche la storia della vocazione di Maria, come ogni storia di vocazione, è anzitutto dono e mistero (per usare una suggestiva espressione di san Giovanni Paolo II, quando, nel cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, egli volle rileggere con sguardo di fede la storia della propria vocazione: su questo tema ritorneremo nella meditazione di oggi pomeriggio).

E’ una lezione per tutti noi. Solo alla luce della grazia, solo assicurando il primato di Dio nella nostra vita, potremo capire qualcosa di noi stessi, e decifrare la storia della nostra vocazione.

Di fatto, rileggendo questa storia con uno sguardo di fede, dobbiamo riconoscere anche noi che al primo posto sta la santità di Dio e la sua grazia. 

Ma troppo poco ci fermiamo a contemplare questo fatto. Troppo poco ci lasciamo persuadere intimamente dall’iniziativa di grazia dello Spirito…

* La risposta di Maria

Davanti all’intervento gratuito di Dio, Maria conclude il proprio discernimento con una parola di totale disponibilità: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Luca 1,38).

E’ il secondo atto dei racconti biblici di vocazione: “la risposta” del chiamato.

Si tratta di una risposta che in Maria è totalmente positiva: vuota di sé, la Vergine è piena di grazia. Ma la risposta del chiamato può essere anche negativa: si pensi al giovane ricco. Non ha saputo svuotarsi delle sue ricchezze, non ha lasciato spazio alla grazia, e se n’è andato via triste.

A ciascuno di noi, in ogni giorno della nostra vita, è data la possibilità di rispondere come Maria, oppure come il giovane ricco.

Da parte mia, che cosa devo ancora lasciare, per seguire veramente Gesù?

* La missione

Tu hai trovato grazia presso Dio, prosegue l’angelo. “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Luca 1,31).

E’ questo il terzo momento dei racconti biblici di vocazione: né la chiamata né la risposta sono fini a loro stessi. Tutto è robustamente orientato alla “missione”, cioè all’incarico specifico che il Signore affida ai suoi chiamati. Maria è chiamata a essere madre, madre di quel Figlio, e in lui di tutti gli uomini. Ma è una missione che essa scoprirà gradualmente nel corso della sua vita, fino ad afferrarne completamente la portata solo ai piedi della croce di Gesù.

Sta qui un insegnamento importante per la nostra vita: anche noi dilateremo gli spazi della missione e ne scopriremo i risvolti più fecondi, se ci disporremo – come Maria – a un pellegrinaggio di fede, che è insieme via della croce: perché siamo chiamati a dilatare sempre più generosamente gli spazi della missione.

Ebbene, solo se ci disporremo ad abbracciare ogni giorno la croce, e a seguire Gesù, scopriremo in profondità la missione che ci è affidata.

* Il turbamento di Maria

Maria “fu molto turbata” da queste parole, e si domandava: “Come avverrà questo?” (cfr. Luca 1,26.34).

Siamo al quarto atto dei racconti biblici di vocazione: “le resistenze, i turbamenti, le tentazioni” del chiamato. Il fatto che perplessità e interrogativi ricorrano di norma in questi racconti significa che il dubbio in se stesso non è deviazione colpevole né colpa morale, ma è una tappa di discernimento necessaria. Tuttavia, occorre vigilare che il dubbio non si radicalizzi.

Le domande e le resistenze iniziali del chiamato dipendono dal fatto che Dio interpella una libertà, e una libertà responsabile, non un robot. Ma il dubbio non deve restare l’ultima parola: il dubbio permanente finisce per tarpare le ali della fede, e paralizza le possibilità di una risposta generosa al Signore.

* La conferma di Dio

“Non temere, Maria!” (Luca 1,30).

Ed ecco, finalmente, l’ultimo atto della storia: “la conferma rassicurante da parte di Dio”. 

Soltanto che, ordinariamente, questa conferma sulla storia di vocazione non la si può esperimentare in forma previa, come un’assicurazione, una garanzia preliminare, mentre ce ne stiamo a guardare alla finestra, con le braccia incrociate. Si tratta piuttosto di una conferma nella fede: il chiamato la esperimenta solo all’interno del cammino di un’esistenza donata a Gesù e ai fratelli. 

Allora, in un’esistenza impostata così, non verranno mai a mancare i “segni” di Dio, e volgendoci indietro a guardare, scopriremo che, alla fine, “tutto è grazia” – per dirla con il curato di Bernanos; o, per usare le parole di Giovanni Paolo II, che nella storia della nostra vocazione sacerdotale “tutto si tiene” –.

Non temere, Maria… Non temere, tu che ascolti la chiamata del Signore. Egli è con te!

* La storia è finita… 

… e forse ci dispiace, perché era proprio una bella storia. 

E allora, ecco la notizia migliore: questa è una storia che non finisce mai! 

E’ una storia che il Signore ripropone ogni giorno ai suoi fedeli. 

La chiamata, la risposta, la missione, il dubbio, la conferma rassicurante di Dio: sono la trama, nella quale ogni giorno il Signore tesse l’ordito della nostra storia di vocazione.

Arcidiocesi di Catania

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Parrocchia San Leonardo, Enna

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Santa Zita, Genova

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San Tommaso, Genova

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San Fruttuoso, Genova

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Guido Oldani, La comprensione (V Domenica di Pasqua, anno A)

Gv 14,1-12

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

LA COMPRENSIONE

“ il cielo è un condominio con i posti

che vado a prepararvi poi ritorno,

lontano mille miglia dall’inferno.”

la strada per salirvi è un labirinto,

pensa tommaso ignora che la via

è gesù, lui la veritiera vita

e filippo non sa che il padre è il figlio

grazie a cui c’è un miracolo ogni miglio.

Guido Oldani- inedito

San Paolo, Genova

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Nostra Signora del Rimedio, Genova

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B.M.V. Immacolata, Foggia

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San Giuseppe

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Gesu’, Buon Pastore, Roma

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Guido Oldani, Le pecore (IV Domenica di Pasqua, anno A)

Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

LE PECORE

il pastore è un’anagrafe, le appella

ed esse vanno dietro alla sua voce,

non come al ladro che le fa alla brace.

Lui è la porta dell’ovile loro

e chi la varca per entrare al gregge

è salvo e gode quel belare in fiore,

perché questo è l’ascensore al cielo,

o ci si rompe come un vaso in schegge.

Guido Oldani- inedito

Raccolta di poesie

https://gpcentofanti.altervista.org/il-canto-che-sorprende-raccolta/

Chiesa di San Pietro Martire, Napoli

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Pietro_Martire_(Napoli)

Santi Vitale e Agricola, Bologna

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San Marco al Campidoglio

http://www.sanmarcoevangelista.it/

Santa Maria Annunziata, Bologna

https://www.santamariadifossolo.it/

Madonna del Lavoro – San Gaetano, Bologna

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Guido Oldani, Emmaus (III Domenica di Pasqua, anno A)

Lc 24,13-35

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

EMMAUS

e due più Lui, un gruppo trinitario

lo scoprono quando spezzerà il pane

perché l’eucarestia è il maggior bene.

leonardo fa un cenacolo alla buona

invece loro stanno in quello vero

e in trent’anni, come ratzinger dice,

il Figlio va ,nel mondo noto intero.

Guido Oldani- inedito

Santa Maria e San Domenico, Bologna

http://www.parrocchiamascarella.it/

Sant’Anna, Bologna

https://parrocchiasantaannabologna.blogspot.com/?m=1

Il conclave

https://gpcentofanti.altervista.org/un-racconto-breve-habemus-papam/

Psichiatra V. Cascioli, La medicina di Cristo stasera su Radio Maria

© RADIO MARIA ITALIA* – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 18/04/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: “La Medicina di Cristo”. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli

Mistero

https://gpcentofanti.altervista.org/il-canto-del-gallo-ed-altri-prodigi/

Domenica della Divina Misericordia

http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/04/05/chiesa/la-parabola-del-figliol-prodigo-1

Accattoli: veracità di Francesco

http://www.luigiaccattoli.it/blog/veracita-di-francesco-su-questa-guerra-che-e-mondiale-perche-tutte-le-grandi-potenze-vi-sono-coinvolte/

Guido Oldani, Tommaso (II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, anno A)

Gv 20, 19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
TOMMASO

Lui come vita e morte varca tutto
che loro sono al chiuso per prudenza
temendo li raggiunga una mattanza.
gli dà il perdono o meno da accordare;
tommaso crede solo quel che vede,
Lui torna per mostrarsi all’uomo pio,
didimo s’inginocchia, grida: dio.

Guido Oldani- inedito

Mario Adinolfi su La Croce

https://www.lacrocequotidiano.it/tag/mario+adinolfi

Diocesi di Benevento

http://www.diocesidibenevento.it/

Diocesi di Livorno

https://www.diocesilivorno.it/

Mons. Dal Covolo, Buona Pasqua!

Camminiamo insieme con il Signore risorto e la sua Chiesa

Buona e Santa Pasqua 2023!

+ Enrico Dal Covolo, Vescovo tit. di Eraclea

Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

Poesie della Settimana Santa

su https://gpcentofanti.altervista.org/

Venerdì Santo

https://www.youtube.com/live/MQkd0NhC_Q0?feature=share

Giovedì Santo

https://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2023/04/01/chiesa/lamore-di-dio-non-incatena-ma-libera

Guido Oldani, Pasqua

Domenica santa

PASQUA

ad emmaus vanno cleopa e quell’altro,

Lui gli si affianca spiega l’accaduto

ma non gli si rivela in un sol fiato.

siccome si fa sera sta con loro

ma quando spezza il pane hanno capito

e Lui sparito tornano agli amici,

la resurrectio già  ci fa felici.

Guido Oldani- inediti

Guido Oldani, Sabato Santo

Sabato santo

SABATO SANTO

cadono a terra come pere cotte,

che l’angelo è comparso lì ai soldati

intanto già il sismografo è impazzito.

ed il sepolcro è una tasca vuota,

gesù risorto già  se n’era andato

e le marie si gettano ai suoi piedi

“dite ai fratelli, corpo anima mea

mi rivedranno presto in galilea”.

Guido Oldani, La pelle (Venerdì Santo)

Venerdì santo

LA PELLE

persino il vecchio pietro lo rinnega

se il gallo è caricato con la molla

e strilla, anche se non fa una piega.

da caifa ad anna quindi da pilato

il disgraziato segue la sua ruota

riceve schiaffi, sputi, spine e frusta

finché l’hanno stecchito sulla croce

sepolto in fretta, “puri” per la festa.

Guido Oldani, Il catino (Giovedì Santo)

Giovedì santo

IL CATINO

le mani come spazzola e sapone

le immerge e lava i piedi nel catino

a loro, “quasi” tutti sono puri.

è un po’ un teatro pietro ma consente

e lui per essi è un asciugatoio,

in modo che si scambino i lavacri

e l’animo non abbiano di cuoio.

Diocesi di Avellino

https://www.diocesiavellino.it/

Dom Scicolone, La Pasqua

https://youtu.be/D1GfJUV_TaA

Mons. Dal Covolo, omelia Lunedì Santo

L’UNZIONE DI BETANIA

Omelia per il lunedì santo

Cari Amici,

come abbiamo appena ascoltato, Giovanni nel suo Vangelo racconta che un giorno Maria di Betania unse i piedi di Gesù con un profumo prezioso: talmente prezioso che – a parere di Giuda, l’«economo» del collegio apostolico –, poteva costare trecento monete d’argento. 

Con questo gesto clamoroso, a Betania Maria rigetta gli idoli dell’efficienza e del profitto per «sprecare» il profumo della lode e del servizio.

1. Meditazione

Due semplici spunti possono aiutare la nostra meditazione. Il primo inquadra la scena nel complesso del racconto giovanneo e la collega saldamente con la morte e la risurrezione di Gesù; il secondo sottolinea un’antitesi particolarmente ricca di significati simbolici.

a. Sei giorni prima della Pasqua, mentre Gesù siede a tavola, Maria cosparge di nardo profumato i piedi di Gesù. Questo episodio dell’unzione di Betania va allineato nell’ordine dei segni giovannei, quei segni che annunciano e prefigurano la morte e la resurrezione di Gesù. L’unzione di Betania, infatti, ne anticipa il mesto rito della sepoltura.

b. La «casa piena di profumo» suona un po’ come un’antitesi alla «borsa piena» di Giuda: la logica di Cristo poggia sulla legge del gratuito e dello spreco apparente; è la logica del chicco di frumento che è consegnato alla terra, e spera e attende la vita. Non ha nulla da spartire con la calcolata efficienza del mondo. 

E’ ribadito il valore assoluto della lode che esprime l’amore a Dio, il senso della contemplazione e della preghiera (nardo purissimo), pur dinanzi agli enormi problemi del mondo (violenza e guerre, povertà, ingiustizia, sofferenze…). Questi problemi non vanno affrontati con la logica di Giuda (la borsa piena), ma con la logica del Vangelo (spreca l’unguento, sciogli la lode).

2. Per la preghiera e per la vita

Ma non intendiamo limitarci alla semplice meditazione del brano evangelico. Ciascuno di noi è invitato a celebrare nella preghiera e nella vita il mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Siamo invitati a celebrare anche noi l’unzione di Betania, identificandoci – in qualche modo – in Maria di Betania; e in quel gesto, benedetto dal Signore, anche noi potremo curvarci a lavare e a profumare i piedi del Maestro.

E subito torna alla memoria un altro episodio della passione. E’ ancora Giovanni che racconta nel capitolo 13 del suo Vangelo la lavanda dei piedi, e riferisce la perentoria conclusione di Gesù: «Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi». E Luca aggiunge, nel medesimo contesto dell’ultima cena, un’altra parola di Gesù, che segna il capovolgimento delle gerarchie mondane: «Chi è più grande? Colui che sta seduto a mensa o colui che serve? Ebbene, io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Luca 22,27). 

«Chi è più grande?», avevano chiesto una volta i discepoli (Matteo 18,1). Più grande nel regno dei cieli, continua a ripetere Gesù, è colui che si fa piccolo: precisamente colui che serve (o diakonón: Luca 22,27).

Da allora, onorare la persona di Gesù, come ha fatto Maria di Betania, significa anche onorare la persona del fratello; e viceversa, onorare la persona del fratello sofferente significa onorare la persona di Gesù. 

E’ l’esperienza di un illustre diacono della Chiesa, san Francesco d’Assisi. Si legge nella Leggenda minore di san Bonaventura: «Amante di tutta l’umiltà, Francesco si dedicò ad onorare i lebbrosi, e si assoggettava alle persone miserabili e ripudiate col giogo del servizio. Egli si diede come schiavo (servo, “diacono”) ad ossequiare i lebbrosi con tanta umiltà di cuore, che lavava loro i piedi… Perfino, per eccesso di amore inaudito, si precipitava a baciare le loro piaghe incancrenite» (Lezione 8).

E’ l’esperienza di Sabatino, un ragazzo morto a vent’anni curando i «barboni» della Stazione Centrale di Milano. Poco prima di morire, confidò che la prima volta – proprio un venerdì santo – in cui s’era messo a lavare i piedi purulenti di un barbone, aveva provato la mistica certezza di stringere tra le mani i piedi feriti di Gesù. «E’ stata un’esperienza unica», confessava, «e rimarrà per sempre indimenticabile».

In altri termini, identificarci in Maria che unge i piedi di Gesù, celebrare questo gesto nell’oggi della preghiera e della vita, significa rifare nostro – per la grazia di Dio – il progetto della croce e del servizio supremo.

Perché non basta meditare sul racconto della morte e della risurrezione del Signore: se vogliamo risorgere, dobbiamo vivere la croce, portarla scolpita nel nostro cuore come un incessante richiamo. 

Tornano alla mente le parole di san Carlo Borromeo, scosso dai singhiozzi dinanzi alla croce di Gesù: «Veramente felici coloro che hanno impresso nel cuore Cristo crocifisso, e non svanisce mai!… O felici coloro che in ogni istante custodiscono la memoria di questa passione che dà la vita! Oso dire che diventa a loro, in qualche modo, impossibile peccare» (Omelia 45).

Ma che cosa significa per me portare «impresso nel cuore» il segno della croce? Che cosa significa questo nel concreto della mia vita?

Qui la celebrazione della Parola nella preghiera e nella vita impone il discernimento e la conversione, e invita a passare attraverso i «segni sacramentali» della Chiesa, specialmente la confessione e la comunione. 

Ciascuno di noi ci pensi, nel concreto esercizio della sua missione – in famiglia, in parrocchia, nel lavoro e nella scuola, nella società… – e ne tragga le sue conseguenze (i suoi buoni propositi di bene) per questa Pasqua 2023. 

Tanti, tanti auguri a tutti voi, cari Amici, e a tutti i vostri Cari!

Mons. Dal Covolo, Inizio solenne della Settimana Santa

INIZIO SOLENNE DELLA SETTIMANA SANTA

Domenica delle Palme, 2 aprile 2023

Ecco, saliamo anche noi a Gerusalemme, 

per morire e risorgere con Gesù!

Cari fratelli e sorelle,

iniziamo insieme la Settimana Santa. 

In questo tempo, che è il più solenne e impegnativo dell’anno liturgico, vorremmo conformarci saldamente al progetto di vita di Gesù: vogliamo morire al nostro egoismo, per risorgere con lui alla vita nuova dell’amore.

1. Per rendere più concreto questo cammino di conversione, vi invito in questa Settimana Santa a prendere un modello. Vi invito a fare vostro il modello del discepolo amato, quel discepolo che rimane senza nome lungo tutto il Quarto Vangelo. Ma noi sappiamo chi è, ne conosciamo il nome: è l’apostolo Giovanni, l’autore stesso del Vangelo.

Il fatto che questo nome non compaia mai lungo tutto il Quarto Vangelo, lascia come una “casella vuota”. In quella casella vuota ciascuno di noi può scrivere il proprio nome: Enrico, Paola, Andrea, Rodrigo… Il discepolo amato puoi essere tu! Basta che tu lo voglia. Basta che tu percorra lo stesso itinerario dell’apostolo Giovanni.

2. Giovanni è il discepolo che – nell’ultima cena – poggia il capo sul cuore del Maestro. E’ un gesto di altissimo valore simbolico. Significa l’invaghimento per Gesù. Significa che tutto il modo di pensare e di agire del discepolo è ritmato dal battito del cuore di Gesù.

E’, certo, un vero e proprio innamoramento per Gesù.

E – notate – solo il discepolo innamorato giunge fino alla croce. Gli altri si disperdono, scappano.

Solo il discepolo innamorato accoglie Maria come Madre.

E il discepolo innamorato sarà il primo a riconoscere nel segno della tomba vuota la resurrezione del Signore: egli vide, e credette.

Questo itinerario del discepolo amato sia dunque il nostro itinerario, durante la Settimana Santa.

3. Il medesimo itinerario lo troviamo descritto in una splendida giaculatoria di sant’Ignazio di Loyola, che vi invito a recitare spesso in questa settimana. 

Eccola: “Che io ti conosca intimamente, o Cristo, e – tuo compagno nella Passione – possa risorgere con te!”.

Oh, sì! Che io ti conosca intimamente, che io appoggi la mia povera testa confusa sul tuo cuore, che io ascolti la tua Parola, che io mi innamori di te, attraverso la preghiera e i sacramenti della Chiesa…

Solo così potrò accompagnarti nella tua Passione, morendo al peccato e all’egoismo.

Solo così potrò risorgere con te alla vita nuova dell’amore.

Che io ti conosca intimamente, o Cristo, e – tuo compagno nella Passione – possa risorgere con te!”.

                              + Enrico dal Covolo

Domenica delle Palme

https://www.chiesacattolica.it/liturgia-del-giorno/?data-liturgia=20230402

Parrocchia Assunzione B.V. Maria, Lido dei Pini

https://lidodeipiniparrocc.wixsite.com/assunzionebvmaria

Francesco in ospedale

http://ilsismografo.blogspot.com/2023/03/vaticano-papa-francesco-ricoverato-al.html?m=1

Guido Oldani, Festa delle Palme (Domenica delle Palme: Passione del Signore, anno A)

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo

Mt 26,14-27,66

FESTA DELLE PALME

di certo non farà l’autostoppista

ma manda a dire che per lui si presti

un asino soltanto ed un puledro.

dalla città è bene stia alla larga,

là dove sta l’industria dei complotti

ma fa la marcia funebre di verdi

eppure c’è chi l’ama in modo raro,

il resto è un ambulante cimitero.

Guido Oldani- inedito

Chiesa on line?

https://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2023/03/24/chiesa/cei-stop-alle-celebrazioni-on-line

Testimoni di Gesù

https://gpcentofanti.altervista.org/miei-testimoni-perche-con-me-fin-dal-principio/

Annunciazione

https://gpcentofanti.altervista.org/annunciazione/

Diocesi di Benevento

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Figli di Dio

Esorcistica e psichiatria: accompagnare

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 21/03/2023, ore 21.00. Titolo della puntata:_ L’arte di accompagnare_. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli.

Guido Oldani, La puzza (V Domenica di Quaresima, anno A)

Gv 11,1-45

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

LA PUZZA

a betània ci sono stato anch’io

si trova nella terra di giordania,

era il duemila che mutò la storia.

lì lazzaro, defunto, già puzzava

come un piatto di carne senza frigor

ma Lui, la propria pasqua anticipando

lo toglie dalla condizione spenta,

è allora che la fede li tormenta.

Guido Oldani- inedito

Diocesi di Frosinone

Canto di Giuseppe

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Anniversario

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Canale YouTube don Giampaolo Centofanti

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Guido Oldani, Nato cieco (IV Domenica di Quaresima, anno A)

Gv 9,1-41

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

NATO CIECO

come le lampadine fatte a pezzi

è il suo sguardo, da che si è iscritto al mondo

e i cuori bui ne cercano chi ha colpa.

anche il sole per lui è un buco nero,

finché incontra il trentenne senza tempo

che gli spalma sugli occhi sputo e fango,

dal tetro pesto allora cava il chiaro

poi fa una giravolta e balla il tango.

Guido Oldani- inedito

Santuario Gesù bambino di Praga

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Diocesi di Caserta

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Arcidiocesi di Lucca

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Arcidiocesi di Siena

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Suore Don Orione

Guido Oldani, La Samaritana (III Domenica di Quaresima, anno A)

Gv 4,5-42

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». 

LA SAMARITANA

al pozzo, cannocchiale di frescura

ci sta una poligamica signora

che cambia come abiti gli amori.

per giunta lei è pure una straniera,

lui viene da una regola che è un guscio,

ma le chiede dell’acqua e in cambio dona

quella che, alle morti, sbarra l’uscio.

Guido oldani- inedito

Sincere ricerche non interessano ai grandi poteri

https://gpcentofanti.altervista.org/la-ricerca-del-vero-assente-su-molti-media/

Partecipazione sinodale

https://gpcentofanti.altervista.org/contributo-al-cammino-ecclesiale/

La confessione secondo Costadoat

http://ilsismografo.blogspot.com/2023/03/mondo-il-sacramento-della.html?m=1

Mons. Paolo Ricciardi, La Trasfigurazione

Le cartine di montagna segnano se il sentiero è per tutti, se è medio o se è per esperti. Un carpentiere, oggi, rende esperti tre pescatori – e noi con loro – su un percorso inesplorato, per poi farli discendere profondamente trasformati.
Sul Tabor li attende un “rifugio” di Luce nuovo e sorprendente. Con Gesù ci sono Mosè ed Elia, non tanto perché “la Legge e i Profeti”, ma perché conoscono i monti, il Carmelo, il Sinai… e odorano di Fuoco e di Vita. Negli occhi del primo c’è un roveto che arde; nel cuore del secondo c’è un carro incandescente che lo porta in Cielo. Di Mosè non si sa dove sia la tomba; Elia è stato rapito in alto e forse un giorno tornerà.
Entrambi, uniti a Gesù, sono illuminati e illuminano di Vita.
In Quaresima la tappa del monte richiama anche noi sacerdoti a rigustare questa Vita, attratti dal mistero del Trasfigurato, consapevoli che per arrivare a Pasqua si passa per la croce.
Anche Pietro, che vuole tre capanne – preso subito dal “fare”, come noi – dovrà passare per la croce dei tre “no”, quando tenterà invano di scaldarsi al fuoco, per giungere ai tre “Ti voglio bene”, accanto alla brace preparata dal Risorto sulla riva.
Capirà la Grazia di alzare gli occhi e di vedere Gesù solo. Ogni giorno, pure per poco, occorre che saliamo sul monte e alziamo gli occhi. Gesù solo ci “illuminerà d’Immenso”, per tornare alla pianura trasformati. Buona Domenica!

Zona pastorale Valsamoggia

https://youtube.com/@ZonaPastoraleValsamoggia

Diocesi di Faenza-Modigliana

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Santa Apollonia

Guido Oldani, La trasfigurazione (II Domenica di Quaresima, anno A)

Mt 17,1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

LA TRASFIGURAZIONE

i tre se la raccontano del cielo 

e la nuvola è simile a un sipario,

va il bianco oltre ogni desiderio.

l’altro terzetto fa da testimone

e vogliono restare, stando bene

ma giocano in anticipo sul tempo

che ancora manca quello delle iene.

Guido Oldani- inedito

Mons. Baldo Reina

Chiesa San Daniele

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Sidney, Cattedrale

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Guido Oldani, Le tentazioni (I Domenica di Quaresima, anno A)

Mt 4,1-11

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

LE TENTAZIONI

la prima tentazione è terra a terra

riguarda un sasso lievitato a pane,

che sempre fa buon sangue nelle vene.

in alto è parafulmine del mondo

che certo piacerebbe ad un pavone,

infine il mondo intero può inghiottire,

sogno dei disgraziati finanzieri,

ma in fondo è sempre un’unica canzone.

Guido Oldani- inedito

Guido Oldani, Mercoledì delle ceneri

Mt 6,1-6.16-18
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

MERCOLEDI DELLE CENERI

nei cassetti del cielo , semiaperti,

stanno in resto dei rami dell’ulivo

benedetti nel rito più impensato.

e inceneriti, sembrano del sale

come fossero fiato della neve,

ne basta un cucchiaino sopra il capo,

che persino il più morto dei respiri

si muta in aeroplano decollato.

Guido Oldani- inedito

Le ceneri

Mons. Dal Covolo, Omelia per la Messa delle Ceneri

Omelia per la Santa Messa delle Ceneri

Roma, Chiesa di Santa Bibiana

Cari fratelli e sorelle,

l’austero Rito delle Ceneri, e le parole severe che l’accompagnano: «Convertitevi, e credete al Vangelo!», inaugurano l’itinerario della Quaresima, vale a dire i quaranta giorni di penitenza, che ci conducono al solenne Triduo Pasquale.

  1. La Quaresima trascorre così tra due segni formidabili: la cenere sul capo, oggi; e l’acqua sopra i piedi, al termine della Quaresima stessa, nella celebrazione del Giovedì santo.

Dalla testa ai piedi. Di per sé è un percorso breve: se uno è alto, ma proprio alto, il percorso è di un metro e novanta, difficilmente di più. Per me, che sono piccolino, bastano centosettanta centimetri.

Eppure, il cammino di conversione della Quaresima è talmente lungo e impegnativo, che non bastano quaranta giorni: ci vuole tutta la vita.

Occorre convertire “la testa”, e proprio per questo le imponiamo le Ceneri. Bisogna far capire alla nostra povera testa che l’acqua versata sui piedi è la cosa più importante di tutte: che il servizio degli altri, così come ha fatto Gesù, è il vero senso della vita.

Bisogna far morire l’egoismo nel nostro modo di pensare (ecco, di nuovo la cenere sul capo); solo così potremo accogliere, come rivolta a noi, la profezia di Gesù a Maria, quella donna che a Betania, un giorno, gli lavò e gli profumò i piedi: «Hai fatto questo per la risurrezione».

Sì, cari fratelli e sorelle, ecco il senso profondo della Quaresima: quaranta giorni per morire e poi risorgere! Morire a noi stessi, al nostro egoismo; e risorgere poi alla vita nuova dell’amore.

2. Il Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023 si intitola così: “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”. Il Papa ha scelto una sorta di “icona di riferimento” per il suo Messaggio; l’episodio della Trasfigurazione, l’ascesa e la discesa dal Monte Tabor. «In Quaresima, scrive Francesco, siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi. L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce… Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come un’escursione in montagna». 

3. E’ questo, in buona sostanza, il pressante invito che viene a noi anche dalle Letture di oggi. Esse ci richiamano con forza le tre parole-chiave della Quaresima: le opere della carità, la preghiera, il digiuno. Con questo ordine Matteo le illustra, nel brano del Discorso della montagna che abbiamo ascoltato; e insieme ci spiega che cosa dobbiamo fare per metterle in pratica in modo corretto.

L’Apostolo Paolo ci avverte: «Ecco ora il tempo favorevole; ecco ora il giorno della salvezza!».

Perché, come abbiamo letto nel Libro del profeta Gioele, il Signore oggi si rivolge a ciascuno di noi, in tono accorato, e ci invita: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti… Ritornate al Signore, vostro Dio: egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, e grande nell’amore!». 

4. Carissimi, come vi dicevo prima, per questo impegno non bastano i quaranta giorni della Quaresima. Ci vuole un impegno più alto di due metri di statura! Ci vuole una crescita che accompagna la vita intera!

Però in questi quaranta giorni siamo invitati a realizzare un “concentrato” di questo impegno. E questo “concentrato” siamo chiamati a realizzarlo a livello personale e comunitario, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella Chiesa…

Che la Vergine Maria ci sia vicina con la sua materna presenza, perché questo itinerario quaresimale e sinodale porti frutti di salvezza eterna. Preghiamo anche perché questa materna presenza ci doni presto la pace, dinanzi alla tragica crisi che minaccia l’Europa e il mondo intero.  

Amen!

+ Enrico dal Covolo

Esorcistica, psichiatria e il male

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione “ESORCISTICA e PSICHIATRIA“ del 21/02/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: LIBERI DAL MALE. Risoluzione delle criticità nell’esercizio del ministero dell’esorcistato e nella presa in carico del disagio psichico. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

Mons. Angiuli, Ugento

Omelia a San Pio, Perugia

Mons. Dal Covolo, Esercizi spirituali in Madagascar

 A vent’anni di distanza, sono tornato a predicare gli Esercizi Spirituali ai Salesiani del Madagascar.
> Per quanto ho potuto vedere, ho trovato la Visitatoria assai consolidata, a livello di vocazioni e a livello di strutture.
> I “fondatori” della missione stanno lasciando sempre di più il posto ai Salesiani indigeni, ma continuano – benché per lo più anziani – a prestare il loro generoso servizio di esempio e di consiglio.
> Credo che una priorità vada attentamente considerata, sia nella formazione come nella vita delle comunità: si tratta della cura della vita interiore, della preghiera, della celebrazione regolare e frequente del Sacramento della Riconciliazione. Sono indispensabili per questo l’accompagnamento e la direzione spirituale, come pure la pratica discreta e amorevole della correzione fraterna.
> Le mille e mille esigenze dell’apostolato – in una regione ancora così povera, ma straordinariamente ricca di ragazzi e di giovani – non devono mai farci dimenticare che la fonte della carità autentica  è il Cuore di Gesù, al quale, come Salesiani, dobbiamo conformare progressivamente il nostro cuore, allargandolo sempre di più alla cura dei giovani poveri e bisognosi: dunque, senza alcuna mira di accaparramento o di successo mondano.
> L’esperienza degli Esercizi che ho predicato mi conferma che siamo sulla buona strada.  Occorre proseguire, senza scoraggiarsi mai.
>
>                                                   + Enrico dal Covolo, S.D.B.

Don Trevisi vescovo di Trieste

https://www.diocesidicremona.it/don-enrico-trevisi-eletto-vescovo-di-trieste-02-02-2023.html

Piccola Famiglia dell’Annunziata Monteveglio

https://www.youtube.com/live/L2RNczPv7Q8?feature=share

Guido Oldani, Regolamenti (VII Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 5,38-48
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

REGOLAMENTI

ma smettila di estirpare gli occhi

a chi ti ha reso come un proteo cieco

che vede quanto il male è un muro opaco.

saluta i troppo noti tiraschiaffi

dicendo prego a chi ti dà un cazzotto

e magari ti gratta il conto in banca,

tu sai che la giustizia ti sbilenca

e il dritto lui come il catarro arranca.

Guido Oldani-inedito


 

Abbazia di Fruttuaria

Diocesi di Tricarico

https://youtube.com/@diocesitricarico5767

Benedetto XVI

80 anni del card. Bagnasco

Santa Bernadette

https://youtu.be/V7oEqlMPqMY

Cattedrale La Plata, Argentina

https://youtube.com/@iglesia.catedral.laplata

I luoghi sacri della Tuscia

Guido Oldani, L’interruttore (VI Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 5, 17-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

L’INTERRUTTORE

“è quasi meglio essere spezzati

piuttosto che dei giusti come loro,”

così li differenzia dal belare.

“e l’acquolina in bocca è già adulterio,

del resto quanto al fare giuramenti

si compiono persino in tribunale,

dite sì e no come un interruttore

se no su in cielo vi mettete male.”

Guido Oldani- inedito

Mons. Lamba, Formazione biblica

Mons. Gervasi, Te Deum

Convegno catechistico

Parrocchia San Bernardo di Chiaravalle

Parrocchia Santi Fabiano e Venanzio

https://youtube.com/@parrocchiasantifabianoeven4390

Candelora

Mons. Marco Salvi

Le critiche del card. Pell

https://www.spectator.co.uk/article/the-catholic-church-must-free-itself-from-this-toxic-nightmare/

Mons. Romano Rossi, Omelia

Santuario Santa Rita

https://youtube.com/@SantaRitaMilano

Guido Oldani, Sapore chiaro (V Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 5,13-16
 
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

SAPORE CHIARO              (5/2)

voi siete il sale, ma se sa di niente

allora lo si dà al comparto giusto

perché finisca in scarico ben presto.

siete la luce urbana o di candela

e quindi il vostro chiaro gli altri aiuti

non state giù come impiegati in banca

mostrate finalmente gli attributi.

(Guido Oldani- inedito)

Guido Oldani, Le Beatitudini (IV Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 5,1-12a

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

LE BEATITUDINI            (29/1)

non è il regolamento dei rifiuti,

no qui, no lì, no là dei bacchettoni

ma sono voli neanche immaginati.

primi, beati i poveri nel tutto

e il mite che non ruba avrà la terra

e dio lo vede il puro molto raro

ed altro ancora e quindi così via,

del cielo tutto questo è la sua spia.

( Guido Oldani- inedito)

Parrocchia Mariconda

Padre Lombardi su Ratzinger

Santuario della Corva

https://youtube.com/@parrocchiacorva

Opus Dei

Notte dei Santi a Milano

Guido Oldani, Le reti (III Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Mt 4,12-23

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

LE RETI

il sinedrio è come un galleggiante

e il pulito battista va sul fondo,

gesù si fa da parte presso il mare.

guarisce senza farmaci e dottori

ed ingaggia i fratelli a due a due

tolti dalle famiglie e dalle reti,

senza licenza pescheranno i cuori

in slalom fra gli inganni ed i divieti.

Guido Oldani- inedito

Santa messa di Natale a Trento

https://youtu.be/c767fxke3A8

Libro postumo di Benedetto XVI?

https://es.la-croix.com/actualidad/vaticano/memorias-de-benedicto-xvi-que-contiene-el-libro-postumo-del-papa-emerito

V. Cascioli, Esorcistica e psichiatria su Radio Maria

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 17/01/2023, ore 21.00. Titolo della puntata: Dalla prigione della sofferenza psichica all’amore che salva_.Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli.

Mons. Dal Covolo a S.S. Teodoro II

SALUTO A SUA SANTITA’ TEODORO II

Accademia Bonifaciana di Anagni, 22 gennaio 2023

Sono davvero onorato e felice di formulare un saluto devoto e deferente a Sua Santità Teodoro II, Papa e Patriarca Greco-Ortodosso di Alessandria d’Egitto e di tutta l’Africa.

Il Giubileo di grazia e di indulgenza inaugurato da Bonifacio VIII nel 1300, che sarà nuovamente indetto nel prossimo Anno Santo del 2025, non poteva trovare qui ad Anagni un Ospite così illustre.

Siamo nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e a questo riguardo mi sembra opportuno fare mie alcune parole veramente ispirate di Papa Francesco.

“Dal 18 al 25 gennaio”, ha annunciato Francesco dopo la recita dell’Angelus di domenica scorsa, “si svolgerà la tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema di quest’anno è tratto dal profeta Isaia: ‘Imparate a fare il bene, cercate la giustizia’. Ringraziamo il Signore, che con fedeltà e pazienza guida il suo popolo verso la piena comunione, e chiediamo allo Spirito Santo di illuminarci e di sostenerci con i suoi doni”. Tanto più, aggiungeva Francesco, che “il cammino per l’unità dei cristiani e il cammino di conversione sinodale della Chiesa” – che, come ben sapete, è ormai da qualche tempo il tema privilegiato della preghiera e della riflessione nelle nostre Chiese –: ebbene, questi due temi, unità dei cristiani e sinodalità, sono tra loro intimamente collegati.

Inoltre, l’invito che ci viene suggerito dalla settimana di preghiera ecumenica di quest’anno, “fate il bene, e cercate la giustizia”, ci invita a non assistere come persone inermi e impotenti alle micidiali sfide del momento presente.

E’ di questi giorni la notizia di un sacerdote bruciato vivo nella sua chiesa in Nigeria, a Kafin-Koro, nella regione di Paikoro. Non è che un ennesimo, brutale fatto di violenza: una violenza inumana, che continua a perpetrarsi, a dispetto di ogni bene e di ogni giustizia.

Voglia il Signore, principe della pace – grazie anche alla Sua presenza, Santità,  qui tra noi, oggi –, voglia il Signore accogliere la preghiera ardente che si innalza dai nostri cuori per la pace nell’Europa, nell’Africa, nel mondo. In definitiva, è questo l’obiettivo primario della nostra Accademia Bonifaciana.

E Lei, Santità, voglia – con la Sua paterna benedizione – incoraggiare tutti noi, perché riusciamo finalmente ad uscire dalle nostre ambiguità e dalle nostre pigrizie.

Grazie, Santità, nel nome di Dio!

  + Enrico dal Covolo

                                                                     Vescovo tit. di Eraclea

                                            Assessore nel Pontifico Comitato di Scienze Storiche 

Anagni, 22 gennaio 2023.

Card. G. Marengo

Card. Oscar Cantoni

Redentoristi Bangalore

Guido Oldani, Foto ricordo (II Domenica del Tempo ordinario, anno A)

Gv 1,29-34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

FOTO RICORDO

chi scrisse che in principio c’era il verbo

sa che al giovanni, poi decapitato,

toccò di battezzare l’infinito,

cui lo spiritosanto va giù in testa

mandato da quell’altro del terzetto,

nel momento migliore per la foto

di tre corde in un nodo il più perfetto.

Guido Oldani-inedito

Santuario San Michele

https://youtube.com/@santuariosanmichele499

Nuovo vescovo di Vicenza

Dinamiche spirituali

https://gpcentofanti.altervista.org/loltre-e-la-forza-di-gravita/

Guido Oldani, Papa Francesco

PAPA FRANCESCO

è l’unico megafono nel mondo

dei tutti senza più laringi in gola

che furono sbranate dagli squali.

si sa che un serbatoio d’acqua intero

lo rinsecchisce un solo buco al fondo

ma francesco comunque ci fu dato,

vaccino gratis nuovo ogni minuto

che fa terrore a chi ci ruba il fiato.

Guido Oldani- inedito

Il papa ristruttura il Vicariato di Roma

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-01/papa-francesco-nuova-costituzione-apostolica-vicariato-di-roma.html

Guido Oldani, L’acquario (Battesimo del Signore, anno A)

Mt 3,13-17
 
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

L’ACQUARIO

come due pesci dentro ad un acquario

quella coppia s’incontra nel giordano

e avviene l’incontrario a fin di bene.

il maggiore dal piccolo ha la grazia

perché questa è la regola del cielo

che plana sopra il capo al nazareno

del quale si compiace senza meno.

Guido Oldani – inedito

Guido Oldani, I testimoni (Epifania del Signore)

Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

I TESTIMONI

impronte come pentole sul fuoco

sono dei tre cammelli cavalcati

dai magi sorprendenti come pochi.

servono testimoni non locali

che vengano da dove nasce il sole

e per quanto s’industrino gli infami

nel mettere bastoni fra le ruote,

comincia il viaggio delle Sue parole.

Guido Oldani-inedito

Professione solenne monache agostiniane

Chiesa di San Pio Perugia

https://youtube.com/@chiesasanpioperugia7112

Guido Oldani, Papa Ratzinger

PAPA RATZINGER

bianco, come una pagina non scritta,

di brahms ci fa pensare al noto requiem

che presto muta in vivaldiana gloria.

fu questo papa un esile aspersorio,

studiò la fede che in un lampo è chiesa,

poi rovesciando annulla la carriera

diventa, per un popolo che stona,

liutaio di un violino per l’ascesa.

Guido Oldani- inedito

Parrocchia Nostra Signora di Fatima

https://youtu.be/IZCpM0J7QTw

Maria stella del cammino

https://gpcentofanti.altervista.org/maria-e-il-dono-delle-polarita-nello-spirito/

Documentario su Ratzinger

Card. De Donatis, Messa di Natale

Guido Oldani, La settimana dopo (Maria Santissima Madre di Dio)

Lc 2, 16-21

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

LA SETTIMAMA DOPO

i giornali, tivù e pure i social

hanno tutti gli stessi proprietari

e dio si fida solo dei pastori.

è nato nel profumo di letame

e i servizi sociali non lo sanno,

solo il divino arrischia questa festa,

le greggi porteranno la notizia

che il bimbo ha tolto al male ogni malanno.

Guido Oldani- inedito

Mons. Repole, auguri

Vescovo di Mantova, Buon Natale

Il vegliare dei pastori

https://gpcentofanti.altervista.org/domanda-decisiva-ai-pastori/

Canti della pace

https://gpcentofanti.altervista.org/poesie-della-pace/

Poesie del Natale

https://gpcentofanti.altervista.org/piccoli-canti-del-natale/

Mons. Dal Covolo, Buon Natale!

Ai piedi dei muri della guerra dell’odio, che noi costruiamo, nasce ancora il Principe della pace, l’Emmanuele, il Dio con noi.

Buon Natale 2022 e felice anno nuovo 2023

+ Enrico Dal Covolo, vescovo tit. di Eraclea, Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

Diocesi di Dourados, Mato Grosso

https://youtube.com/@DiocesedeDourados

Radio Maria, Il Male e l’incarnazione

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione_ESORCISTICA E PSICHIATRIA_ del 20/12/2022, ore 21.00. Titolo della puntata:Il potere del Male ed il mistero dell’Incarnazione.Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Guido Oldani, Natale a Natale (Natale del Signore)

Gv 1,1-18
 
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

NATALE A NATALE

è un semplice badile la cometa

che le nuvole vanga fino quando

trova due bestie con i due sposati.

e sono i genitori più inesperti

ed il piccino è un cielo stralunato,

eppure è quel bambino fuori gioco

cui prima fanno feste, poi la festa

che tratta il male al modo di un bucato.

Guido Oldani- inedito

Sacro Convento Assisi

https://youtu.be/zTnxCe8q88o

Diocesi di Treviso

https://youtube.com/@diocesiditreviso8675

Incontro per il clero

Guido Oldani, L’Anagrafe (IV Domenica di Avvento, anno A)

Mt 1,18-24
 
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

L’ANAGRAFE

maria incinta, giuseppe c’entra niente

non va in televisione a fare audience

ma pensa la dismetto e  pace amen.

e in sogno c’è un postino giunto in volo

gli spiega che di mezzo è il padreterno,

lui duro come un legno che lavora

accetta il suo destino putativo,

sa che l’onore è peggio dell’inferno.

Guido Oldani – inedito

Il segno della croce

Duomo di Vigevano

Card Kasper sul papa

https://ilsismografo.blogspot.com/2022/12/vaticano-speriamo-di-tenere-ancora-per.html?m=1

Come non farsi ingabbiare dall’epoca del tecnicismo

https://gpcentofanti.altervista.org/le-filosofie-soggiogate-dalla-tecnica-e-la-via-del-futuro/

Don M. Gronchi a Vicenza

Parrocchia Gesù Buon Pastore

Guido Oldani, La conferma (III Domenica di Avvento, anno A)

LA CONFERMA

il precursore parla dalle sbarre

“chiedetegli se è lui quello che aspetto”

certo, perché è una fiera di prodigi.

e gesù dice del battezzatore

“egli è come un annuncio ferroviario

che per tempo vi informa del mio arrivo

e in cielo conterebbe meno d’altri

ma è il più grande, qui fra ogni uomo vivo.”

Guido Oldani  (inedito)

Guido Oldani, L’eccezione (8 dicembre, Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria)

L’ECCEZIONE

è nata progettata alla sua storia

piena di grazia, vuota di magagne,

come una sala operatoria linda,

avrebbe già un marito ma pazienza.

è il cielo che la copre con un’ala

quale aereo in volo a bassa quota

allora nasce il dopo del battista

e lei a tutto questo gli si vota.

Guido Oldani  (inedito)

Padre Kolbe, l’Immacolata

Card. De Donatis, omelia Dedicazione Basilica Lateranense

Cremona, Dedicazione altare

Percorsi nuovi per ogni aspetto della vita

https://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/11/09/chiesa/un-oltre-fecondo-a-360-gradi

Parrocchia Resurrezione Roma

https://www.resurrezione.net/#

D. Matteo Baraldi

Guido Oldani, Al fiume (II Domenica di Avvento, anno A)

AL FIUME

mangia le cavallette, mio futuro

e non i surgelati sottovuoto

e il pelo di cammello ha per vestito.

usa per smacchiatore l’acqua in corsa

e annuncia il tuono, di cui lui è il lampo

neanche adatto a stargli accanto ai piedi,

quello non va di certo per le lunghe

e il cielo e il fuoco intende per rimedi.

Guido Oldani- inedito

Santuario Torreciudad

https://youtube.com/c/santuariotorreciudad

Quale sinodalita’?

https://gpcentofanti.altervista.org/la-determinante-questione-di-una-vera-sinodalita/

Pastorale Massa Carrara

https://youtube.com/channel/UCcwlzKSww92PJfb0jeeWgOg

27 novembre Medaglia miracolosa

https://youtu.be/P8nYRudV9hA

Sacro Cuore, Lugano

https://youtube.com/channel/UCC5IwKIds7KayeZsUVZIYPg

Guido Oldani, L’appuntamento (I Domenica di Avvento, anno A)

Mt 24,37-44
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

L’APPUNTAMENTO

noè salva più bestie che persone

portandole con sé nella crocera

vivendo prima senza alcun pensiero.

quello che conta è avere l’occhio pronto,

mica il ladro ci manda il preavviso

e il padreterno non ci dice l’ora,

ma se si è come il camion dei pompieri,

col cielo ci porremo viso a viso.

Guido Oldani -inedito

Carron, Cornaggia, Rinascita da una nuova educazione

https://youtu.be/D49Y4mlYNuU

Mons. Fernandez, Tu Parola della mia vita

Mons. Dal Covolo, Appuntamento su Origene

https://eu.docworkspace.com/d/sICWohY6yAbC475sG?sa=15&st=0t

Quale sinodalita’?

https://gpcentofanti.altervista.org/la-determinante-questione-di-una-vera-sinodalita/

Letture dalla messa del giorno

https://www.chiesacattolica.it/liturgia-del-giorno/

Il traboccare dello Spirito

https://gpcentofanti.altervista.org/percepite-oltre-il-regno-dei-cieli-e-vicino/

Video: il discernimento di Gesù

https://gpcentofanti.altervista.org/video-un-cammino-di-rinascita-spirituale-e-psicofisica/

Mons. Dal Covolo, San Francesco di Sales

OMELIA NELLA MEMORIA DI SAN FRACESCO DI SALES

24 gennaio 2023

Letture:

Efesini 3,8.12

Giovanni 10,11-16

Cari fratelli e care sorelle,

come ben sapete, l’omelia non è un panegirico del santo vescovo e dottore della Chiesa, che oggi celebriamo.

Essa è, invece, una semplice conversazione (questo è il significato del termine omelia) sui testi che la liturgia della parola ci propone.

1. Partiamo dunque dalla prima lettura. Qui ci viene prospettata una singolare identificazione tra Paolo, l’apostolo delle genti, e Francesco di Sales, il dottore della divina misericordia del Sacro Cuore di Gesù.

Paolo, come Francesco, scruta “le imperscrutabili ricchezze di Cristo”, “che ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio, per la fede in lui”. 

E’ Cristo l’ancora della nostra fede, e quest’ancora trova il suo centro di gravità nel cuore del buon pastore.

2. Il buon pastore per eccellenza è Gesù Cristo stesso, come afferma la seconda lettura, il vangelo che abbiamo appena letto. Ma buon pastore, a immagine di Cristo, è pure san Francesco di Sales. 

“Io sono il buon pastore”, dice Gesù; “conosco le mie pecore, ed esse conoscono me”.

Ho un ricordo indelebile, di quando ero ancora un ragazzino. Durante una gita in montagna, con la mia famiglia, siamo arrivati in un grande prato verde. In fondo al prato c’era un abbeveratoio, e molte pecore stavano a dissetarsi. A un certo punto un ragazzo, che avrà avuto più o meno la mia età, e che guidava il gregge, fece un grido ben modulato: “Oh, oh!”. Immediatamente, tutte le pecore si misero in fila, in buon ordine, per riprendere il cammino. Rimasi molto meravigliato, e andai dal ragazzo a chiedergli: “Ma come hai fatto? Se facessi anch’io lo stesso grido, le pecore si metterebbero a camminare dietro di me?”. Lui mi sorrise, e mi disse: “Prova!”. Ci provai più volte, ma le pecore rimanevano ferme. Al massimo, qualcuna mi lanciava uno sguardo di compassione. Quando invece il pastorello ripeté il suo grido, tutte docilmente si misero a seguirlo.

Allora ho capito meglio la parola di Gesù: le mie pecore conoscono me, la mia voce, e mi seguono. Io sono il buon pastore!

Anche Francesco di Sales, da buon pastore, aveva un grido: “Morire e amare!”.

Su questa vocazione di ogni cristiano all’amore misericordioso, il santo vescovo scrisse a Filotea: “Dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla perfezione”.

Si tratta di una perfezione che proviene dalla contemplazione appassionata del cuore di Gesù.

Il culto del cuore di Gesù, trafitto dalla lancia del soldato, ha origini molto antiche – si pensi anzitutto a Giovanni, il discepolo amato, che nell’ultima cena poggiò il suo capo sul cuore del Maestro –; ma è proprio nella Filotea che scopriamo la singolare devozione e l’amore di san Francesco di Sales per il cuore di Gesù. Dal cuore di Gesù, colui che ci conosce per nome, “impariamo l’umiltà che ci fa crescere nella perfezione davanti a Dio, e la dolcezza, che ci fa crescere davanti al prossimo”.

Questo amore, di cui è impregnato il cuore del buon pastore, passa in Giovanna di Chantal e in tutti i monasteri della Visitazione.  Quando, il 10 giugno 1611, le prime tre novizie visitandine emisero i loro voti di povertà, castità e obbedienza, Francesco di Sales scrisse a Giovanna di Chantal: “La nostra piccola Congregazione è un’opera del cuore di Gesù e di Maria”.

Nello stemma dell’Ordine della Visitazione due frecce trafiggono un cuore, che è insieme quello di Gesù e di Maria. Queste frecce trafiggono anche la consacrata visitandina nel suo cuore, circondato dalla corona di spine e sormontato dalla croce.

Come sappiamo, fu proprio una visitandina, santa Margherita Maria Alacoque, a ricevere da Gesù la missione di diffondere la devozione del Sacro Cuore nella Chiesa e nel mondo.

Mi ha confidato un giorno una suora visitandina: “La corona di spine che abbraccia il nostro cuore richiama il Calvario, perché noi siamo nate là. Francesco di Sales sosteneva che il monte Calvario è il monte degli amanti. O morire o amare! Morire e amare!”.

Il buon pastore, che sul Calvario ha dato la vita per il gregge, ci ripete lo stesso grido, con la bocca di san Francesco di Sales: “Morire e amare!”

3. In questa Messa – che rinnova il sacrificio del buon pastore – vogliamo chiedere al Signore che ci faccia assomigliare a Francesco nella pazienza, nella dolcezza, nella semplicità e nella fede, che lo hanno reso così simile a Gesù, il buon pastore, mite e umile di cuore. 

Preghiamo perché il nostro cuore sia sempre più conforme al cuore di Cristo e al cuore di Francesco: solo così ogni fedele del santo popolo di Dio riconoscerà in noi la voce dell’Amato, e accorrerà con tutto il cuore al grido del suo amore. 

Amen!

                                    + Enrico dal Covolo        

Guido Oldani, Due croci (XXXIV Domenica del Tempo ordinario, Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, anno C)

Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

DUE CROCI

ci basta aprire un televisore

per vedere qualcuno sogghignare,

così lassù per lui nel mentre muore.

ma l’unico decente per il cielo

fra tanta feccia è un ladro che si pente,

dei finti allegri neanche resta il nome

e intanto che l’inferno ha compimento

due croci vanno dall’onnipotente.

Guido Oldani- inedito

Lo psichiatra: Il raptus

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 15/11/2022, ore 21.00. Titolo della puntata: Il raptus omicida-suicida. Tra povertà morale, disturbo psichico e fenomeno preternaturale. Ideata e condotta dal Dr. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Cottolengo Kenia

Gruppi Padre Pio

https://youtu.be/cxy-PdBz2Gs

Guido Oldani, Il film (XXXIII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 21,5-19
 
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

IL FILM

il tempio incravattato va in malora

e vorrebbe conoscere il preavviso

la gente che ha terrore ed è curiosa.

“quando la casa, sarà un manicomio

le mie difese allora prenderete,

per me vi batteranno come un maglio

eppure non stravincerà il demonio

ma infine sarà un film, con ollio e stanlio.”

Guido Oldani- inedito

Suore carmelitane Torino

https://youtube.com/channel/UCAx-Krr02BmO8RyvWBRZVBQ

Corso pastorale salute Roma

Scalabrini

http://ilsismografo.blogspot.com/2022/10/vaticano-el-papa-canonizara-el-domingo.html?m=1

Mons. Dal Covolo, Il Motu proprio sull’offerta della vita

IL MOTU PROPRIO MAIOREM HAC DILECTIONEM

sull’offerta della vita (2017)

                                                                                       + Enrico dal Covolo

Per ragioni di chiarezza espositiva, occorre anzitutto citare per intero il Preambolo del Motu Proprio Maiorem hac dilectionem sull’offerta della vita, promulgato da Papa Francesco l’11 luglio 2017.

In effetti, la questione – almeno a un primo approccio – non è affatto semplice. 

Il nodo fondamentale consiste nel comprendere la distinzione tra l’eroicità della vita e delle virtù, il martirio – che erano le due vie ordinarie dei processi di beatificazione e di canonizzazione, sancite da ultimo dalla Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister di san Giovanni Paolo II (25 gennaio 1983) –, e questa nuova via, inaugurata da Papa Francesco.

Dobbiamo però accennare anche a una terza via, meno conosciuta e meno percorsa, che conduce al medesimo risultato delle altre due. Si tratta del riconoscimento canonico di un culto antico – successivo al pontificato di Alessandro III (+ 1181), e antecedente al 1534, come stabilito dal Papa Urbano VIII (1623-1644), grande legislatore delle Cause dei Santi –. La conferma di questo culto antico è chiamata di solito “beatificazione equipollente”. Anche il Papa Francesco ha usato questa via: è rimasto celebre il caso di Michal Giedroyc (1420-1485), di nobile famiglia lituana, beatificato a Cracovia l’8 giugno 2019.

***

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Con questa citazione di Giovanni 15,13 esordisce il nostro Preambolo

E prosegue: “Sono degni di speciale considerazione ed onore quei cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed hanno perseverato fino alla morte in questo proposito.

E’ certo che l’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo e, pertanto, è meritevole di quella ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno esercitato in grado eroico le virtù cristiane. 

Con il conforto del parere favorevole espresso dalla Congregazione delle Cause dei Santi, che nella Sessione Plenaria del 27 settembre 2016 ha attentamente studiato se questi cristiani meritino la beatificazione, stabilisco quanto segue”.

Seguono in effetti i sei articoli, nei quali si configura il Motu Proprio, a cominciare dal primo, che stabilisce appunto: “L’offerta della vita è una nuova fattispecie dell’iter di beatificazione e canonizzazione, distinta dalle fattispecie sul martirio e sull’eroicità della vita e delle virtù” (art. 1).

1. Il lavoro previo della Congregazione delle Cause dei Santi

La Sessione Plenaria della Congregazione, a cui il Papa si riferisce, fu preceduta, come di norma, da un intenso lavoro dei Consultori, ma anche di alcuni Postulatori. A questo lavoro la Sessione Plenaria attinse generosamente.

La Congregazione, infatti, aveva organizzato un “Congresso peculiare”, con una lettera di convocazione (5 aprile 2016) che conteneva cinque quesiti, a cui dieci Consultori e cinque Postulatori erano invitati a rispondere.

Io stesso fui incaricato di presiedere tale “Congresso peculiare”, che si svolse il 2 giugno 2016, e sono in grado – ormai a diversi anni di distanza – di comunicare i quesiti e le relative risposte, che qui raccolgo in una mappa sintetica e rigorosamente anonima, per ragioni imprescindibili di segretezza: tanto più che il “Congresso peculiare” rappresentava solo una tappa interlocutoria nel cammino intrapreso.

Quesito 1. L’offerta della vita, seguita dalla morte, può essere giudicata come espressione di suprema ed eroica imitazione di Cristo?

La risposta a questo primo quesito fu affermativa e unanime. Venne fondata su numerose e solide motivazioni ricavate dal Nuovo Testamento, dalla tradizione attinente ai martiri e ai confessori della fede, dal magistero pontificio (specialmente di Benedetto XIV), dal Vaticano II e dai Papi del dopo Concilio, nonché dalla riflessione teologica, soprattutto a proposito della carità.

Ovviamente la risposta affermativa dipendeva strettamente dalle caratteristiche che tale offerta della vita doveva avere, di cui si tratta nel secondo quesito.

Quesito 2. Quali caratteristiche psicologiche e teologiche dovrebbe avere l’offerta della vita per essere un eroico atto di carità?

Qualche voto si limitò a indicare in modo sintetico che tale offerta della vita doveva essere un atto autenticamente umano, accompagnato da maturo apprezzamento della vita propria e altrui, e compiuto come espressione di amore a Dio e al prossimo, a imitazione di Gesù Cristo.

La maggioranza dei voti presentava invece una serie di caratteristiche riconducibili alle seguenti qui esposte, da assumere non disgiunte le une dalle altre, perché esse qualificano nel loro insieme tale offerta della vita.

a) Dal punto di vista psicologico: negativamente, l’offerta della vita non deve essere espressione di follia patologica o di fragilità emotiva, di tendenza all’esaltazione e di inconfessato egocentrismo, di semplice altruismo variamente ideologico, di pur apprezzabile volontarismo…; positivamente, deve essere un’offerta volontaria e libera (quindi non fatta per imposizione e costrizione, da non confondere con l’eventuale ubbidienza ai Superiori), e continuativa, ossia mantenuta costante (pur tra momenti di paura, incertezza e angoscia) in tutto lo spazio di tempo (lungo o breve) che intercorre tra l’offerta della vita e la morte.

b) Dal punto di vista morale: all’origine dell’offerta della vita ci può essere dirittura morale e scelta valoriale (come la tutela dei diritti specialmente dei poveri, la difesa della persona umana e dei suoi bisogni, a costo della vita); deontologia professionale (come la fedeltà al dovere a rischio della vita); e, in ogni caso, prudenza umana (ad esempio, usare le precauzioni e le tecnologie disponibili per evitare il contagio in situazioni di epidemia…).

c) Dal punto di vista teologico: l’offerta della propria vita deve essere autenticamente ed espressamente cristiana, e quindi motivata da solida fede, vivace speranza ed espressione di carità eroica e sovrabbondante a imitazione di Gesù Cristo; inoltre deve produrre una certa fama di santità in morte e dopo morte.

Quesito 3. Se l’offerta della vita debba maturare nel contesto di consolidata vita cristiana, oppure se può essere una decisione maturata improvvisamente, senza cioè una preparazione remota.

Secondo la totalità dei voti, l’offerta della vita, nella stragrande maggioranza dei casi, matura in un ordinario contesto di pratica delle virtù cristiane. L’affermazione venne motivata soprattutto richiamando una lunga serie di beati/e, di santi/e, la cui offerta della vita a Dio per gli amici fu l’edito felic di una consolidata vita cristiana.

Solo qualche voto non si esprimeva in modo inequivocabile circa l’offerta della vita maturata improvvisamente. Tutti gli altri voti invece erano del parere che si potessero verificare casi in cui ciò può avvenire, per un intervento imprevisto, ma sempre possibile, della grazia divina (è stato richiamato l’esempio del buon ladrone e il caso della contrizione “in perfetta carità”).

Qualche voto inoltre si chiedeva come intendere l’avverbio improvvisamente: alla radice di una scelta improvvisa può nascondersi un dinamismo virtuoso che sfugge allo stesso soggetto, e che esplode sollecitato dalla grazia. Solo Dio infatti conosce il cuore della singola persona.

Quesito 4. E’ opportuno che l’offerta della vita sia una fattispecie distinta da quella del martirio e delle virtù eroiche?

A questo riguardo nei 15 voti è rilevabile una diversità di scelte, tutte variamente motivate da considerazioni meritevoli di essere prese in considerazione.

a) Una minoranza di voti riteneva non opportuno configurare una terza fattispecie distinta da quella del martirio e delle virtù, e preferiva mantenere la distinzione di sole due vie, essenzialmente per una duplice ragione:

  • 1. perché sono due vie consolidate da una lunga, positiva e consolidata tradizione della Chiesa;
  • 2. perché nelle cause di beatificazione ci si trova di fronte a innumerevoli casi di persone con esperienze spirituali diversificate, frutto della presenza santificante e estremamente creativa dello Spirito Santo, ragion per cui nell’attuale prassi della Congregazione viene adottata molta flessibilità e duttilità.

Operata questa scelta, l’orientamento da assumere nei confronti dell’offerta della vita si divaricava in due direzioni:

  • 1. Via del martirio. Alcuni voti suggerivano di configurare la fattispecie distinta (eventualmente con un apposito regolamento) nell’ambito della via del martirio: ci si appellava all’affermazione del Maestro (Benedetto XIV) circa il martirio inteso lato sensu, nel quale vengono annoverati i martiri ex officio caritatis et misericordiae; si fece notare che nel martirio in senso stretto e nell’offerta della vita ci si trova di fronte a una testimonianza, cioè a un martirio, e cambia solo la ragione (nel primo caso la fede, nel secondo la carità) e la forma (nel primo caso la morte violenta, nel secondo una morte prematura). Venne richiamato anche il caso di Massimiliano Kolbe, dichiarato martire nel processo di canonizzazione, a differenza di quello di beatificazione
  • 2. Via delle virtù. Alcuni altri voti, invece, proponevano di configurare la fattispecie distinta (anche qui, eventualmente con un apposito regolamento) nell’ambito della via delle virtù, per mantenere il concetto storico e tecnico di martirio stricto sensu (di cui nel Maestro), e in quanto l’offerta della vita a imitazione di Cristo costituisce l’espressione massima della carità eroica, corona e sintesi di tutte le virtù.
  • Per facilitare poi la scelta dell’una oppure dell’altra via vennero offerti vari suggerimenti, tra i quali quello di affrontare la questione non nella fase istruttoria della causa, ma in quella preparatoria.

b) Tuttavia la maggioranza dei voti riteneva opportuno configurare una fattispecie distinta, ma alcuni con formulazioni inequivocabili, e qualche altro in termini piuttosto problematici, e inoltre con le seguenti motivazioni variamente differenti, ma complementari tra loro.

  • 1. La fattispecie distinta può facilitare il discernimento di cause di beatificazione in cui di fatto è tornato non facile e problematico collocarle nella via del martirio oppure in quella delle virtù (vennero citati i casi del Servo di Dio Salvo D’Acquisto, del monaco Mettem, di Massimiliano Kolbe, dichiarato prima beato e poi martire, la causa delle Suore Poverelle dell’Istituto Palazzolo di Bergamo, morte di ebola in Congo, la causa del Servo di Dio Antonio Seghezzi, avviata prima super martyrio e modificata in seguito dalla Congregazione in super virtutibus). Secondo un voto, questa fattispecie distinta si intravede nella Lettera Testamento spirituale di Frère Christian, priore del monastero Tibhirine in Algeria, la cui morte avvenne non tanto in odium fìdei, quanto piuttosto motivata dalla donazione della propria vita a Dio per amore del popolo algerino.
  • 2. La fattispecie distinta presenta caratteristiche che rientrano in parte nella via martyrii e in parte nella via virtutum, e costituisce una specie di tertium quid peculiare. In effetti: a) l’offerta della vita (compresa con le caratteristiche sopra indicate e come diretta causa di sicura morte) presenta la sostanza teologica del martirio (è suprema testimonianza a imitazione di Cristo); essa rientra nella fattispecie dei martiri ex officio caritatis et misericordiae, secondo l’espressione di Benedetto XIV. Configurandola come fattispecie distinta, si restringe almeno in parte l’ampia area di insicurezza che la tradizionale descrizione del cosiddetto martirio lato sensu apre a chi deve orientarsi nei casi come quelli appena segnalati; b) l’offerta della vita si colloca all’apice della via virtutum, perché è carità perfetta, corona di tutte le altre virtù e accompagnata in modo particolare da grande fortezza, per cui è più che opportuno distinguerla da tale tradizionale via virtutum e configurarla appunto in una fattispecie distinta.
  • 3.Tale fattispecie distinta per la beatificazione e la canonizzazione costituisce un segno importante per esprimere la centralità della carità verso Dio e verso il prossimo nella dottrina cristiana e nella prassi pastorale.
  • 4. In attuali contesti profondamente segnati da secolarismo e da violenza, dove cristiani e cristiane in gran numero sono perseguitati, mettere in evidenza (come terza via di santificazione) l’offerta della vita per testimoniare la fede cristiana, riveste una grande importanza dal punto di vista della nuova evangelizzazione di tali contesti.
  •     Quesito 5. La procedura giuridica per l’eventuale beatificazione per viam vitae oblationis, oltre l’inchiesta diocesana super vita, virtutibus, oblatione vitae, fama sanctitatis… deve comprendere anche la prova di un miracolo?
  • Rispondendo a quest’ultimo quesito, i Consultori e i Postulatori si collocarono (in numero quasi paritario e con considerazioni e precisazioni variamente diversificate) su due fronti, rispettivamente a favore o contro la prova del miracolo.
  • Coloro che erano orientati a configurare l’offerta della vita nella via delle virtù e anche alcuni favorevoli alla fattispecie distinta ritenevano che fosse necessario il miracolo.
  • Coloro invece che erano orientati a configurare l’offerta della vita nella via del martirio e anche alcuni favorevoli alla fattispecie distinta. ritenevano non necessario il miracolo.

Ma tra gli uni, come tra gli altri, c’era chi suggeriva di tenere nella dovuta considerazione la diversità dei casi, per cui in presenza di accertata e ampia fama sanctitatis e di peculiaria signa da valutare nei singoli contesti ecclesiali e culturali, propendeva a non richiedere il miracolo, o perlomeno a riconoscere l’ampia possibilità di deroga da parte del Papa.

2. In conclusione…

La Sessione Plenaria della Congregazione, tenuta il 27 settembre 2016, completò il lavoro del “Congresso Peculiare”, sciogliendo alcuni dubbi che erano rimasti.

Così il Papa promulgò il Motu Proprio, che fin da suo primo articolo – come già si è visto – autorizza la nuova via di beatificazione e di canonizzazione.

Decisivo è il secondo articolo del Motu Proprio, dove è precisato il concetto di “offerta della vita”, ma è esclusa l’equiparazione al martirio, per cui vengono richiesti i due miracoli, uno per la beatificazione e l’altro per la canonizzazione, ovviamente dopo la morte del Servo o della Serva di Dio.

Vi si recita: “L’offerta della vita, affinché sia valida ed efficace… deve rispondere ai seguenti criteri:

a) offerta libera e volontaria della vita ed eroica accettazione propter caritatem di una morte certa e a breve termine;

b) nesso tra l’offerta della vita e la morte prematura;

c) esercizio, almeno in grado ordinario, delle virtù cristiane prima dell’offerta della vita e, poi, fino alla morte;

d) esistenza della fama di santità e di segni, almeno dopo la morte;

e) necessità del miracolo per la beatificazione, avvenuto dopo la morte del Servo di Dio e per sua intercessione” (art. 2).

Gli articoli successivi (3-6) del Motu Proprio sono meno rilevanti per la nostra indagine. 

In sostanza, essi si limitano a ribadire la validità delle procedure ordinarie stabilite dalla Divinus Perfectionis Magister (artt. 3 e 5) e dalle Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum (art. 6). 

I tutti e due i testi viene però inserito di volta in volta – subito dopo il riferimento alla eroicità della vita e delle virtù, e prima di quello al martirio – il lemma “offerta della vita”. 

L’art. 4 specifica che la Positio sull’offerta della vita deve rispondere al dubium: An constet de heroica oblatione vitae usque ad mortem propter caritatem necnon de virtutibus christianis, saltem in gradu ordinario, in casu et ad effectum de quo agitur.

Complessivamente, non sono ancora molte le Cause che utilizzano questa nuova via. Alcune si trovano in fase di istruttoria diocesana, per altre i relativi atti sono già pervenuti alla Congregazione (oggi Dicastero) delle Cause dei Santi. Una, in particolare, sembra in stato notevole di avanzamento.

Come si può constatare, il Motu Proprio non altera la dottrina della santità né la procedura tradizionale della Chiesa. Piuttosto, esso arricchisce di opportunità il riconoscimento canonico di altri santi, per l’edificazione del popolo di Dio,  

Mons. G. Mani

Ordinazione diaconale in Adria Rovigo

Parrocchia San Benedetto il Moro

https://youtube.com/channel/UC2n2bQC2dPMGJ3y6uYguNdw

Università Cattolica, Psicologia

Zamagni: proposta per la pace

http://www.luigiaccattoli.it/blog/condivido-i-sette-punti-di-stefano-zamagni-per-la-pace-tra-ucraina-e-russia/

Guido Oldani, Il sesso (XXXII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 20,27-38
 
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

IL SESSO

sette fratelli, uno dopo l’altro

di una catena sembrano gli anelli,

la senza figli vedova è la stessa.

di chi sarà lei moglie all’altro mondo?

il sadduceo prova questo rebus

non sa che là noi angeli saremo

e allora più non campa il vecchio sesso,

gesù risponde svelto come un treno.

Guido Oldani-inedito

Liturgia 2 novembre

https://www.chiesacattolica.it/liturgia-del-giorno/?data-liturgia=20221102

Mons. Repole a Torino

Chiesa a Villorba

https://youtube.com/channel/UC2I4SYJEQoeTVil1HSszE5A

Preghiera ad Assisi

https://youtu.be/ZaANwjZZUWE

Mons. Loppa: San Francesco

Mons. Dal Covolo, Memoria e pace

COLTIVARE LA MEMORIA

E’ COSTRUIRE LA PACE

Sant’Ivo alla Sapienza, 25 ottobre 2022

Mi introduco al tema suggestivo che mi è stato affidato  (Coltivare la memoria e/è costruire la pace) riferendomi a a quel grande biblista e studioso dei Padri della Chiesa e delle origini cristiane, che fu il cardinale Carlo Maria Martini. 

Alla domanda: “Il messaggio degli antichi autori è davvero attuale per la cultura di oggi?” (il che, per noi oggi, sta a dire, appunto: che rapporto c’è tra la memoria storica e la cultura della pace?), Martini rispose decisamente, più o meno in questi termini: “Sicuramente, c’è un rapporto formidabile. Gi autori antichi, di cui è doveroso conservare la memoria – sia dei classici pagani, come degli autori cristiani – ci sono vicini soprattutto nella riflessione sulle radici della nostra cultura”. 

“Essi”, proseguiva il compianto cardinale, “hanno contribuito decisamente a diffondere il messaggio della sapienza, e il loro studio non è un puro ritorno alle origini, ma è in continuità con i problemi della cultura e della società di oggi. In definitiva, appare doveroso e urgente impegnarsi per una scoperta ulteriore di questi antichi scrittori nella formazione intellettuale, culturale e spirituale, a cominciare dai giovani che frequentano la scuola e l’università”. 

“Ritengo infatti – concludeva Martini – “che valgano per tutti le parole con cui san Benedetto, patrono d’Europa, terminava la sua Regola, invitando i monaci alla lettura degli Antichi, poiché, spiegava, tali insegnamenti possono condurre l’uomo al grado più alto della perfezione”. 

Qui il riferimento del compianto cardinale va diritto a Benedetto, uomo di pace e patrono dell’Europa: ma questo è un altro argomento, di cui ho già parlato alter volte.

1, Di conseguenza – ed è questo il messaggio che vorrei  lasciare a voi questa sera: e ve lo comunico da vero salesiano! –, occorre investire generosamente nel campo dell’educazione giovanile, perché la cultura di questa vecchia Europa (troppo spesso “sazia e disperata”) possa trovare una linfa nuova.

Naturalmente, per poter accostare in modo fecondo gli antichi scrittori, classici e cristiani, occorre guardarsi da due rischi estremi, fra loro contrapposti. 

C’è da una parte il rischio di chi pretende di rintracciare nella memoria del passato formule idealizzate o ricette immediatamente utilizzabili nel nostro oggi.

Nelle mie ricerche ho studiato con particolare interesse i primi tre secoli della Chiesa. Mi è parso chiaro che in questo periodo i cristiani si trovarono ad essere autentici soggetti di una “nuova cultura” nel confronto ravvicinato tra eredità classica e messaggio evangelico. 

Ma le soluzioni del dialogo tra fede e cultura non furono certo univoche: talvolta nella stessa persona – come si può vedere nel caso emblematico di Tertulliano – si riscontrano atteggiamenti intolleranti, e viceversa posizioni aperte e possibiliste. In ogni caso questi atteggiamenti vanno valutati come delle “realizzazioni storiche”, che non possiedono, come tali, altro magistero, se non quello – altissimo tuttavia per se stesso – della storia.

L’altro rischio è quello di chi non è disposto ad accettare il carisma della tradizione. Da parte mia sono convinto che lo studio delle antiche testimonianze è sorgente di discernimento per l’uomo di ogni tempo. 

Per un cristiano, poi, il periodo delle origini cristiane – di cui Nicea (325) rappresenta per molti aspetti un traguardo oggettivo – conserva un valore tutto speciale. E’ il momento in cui il deposito della fede apostolica si consolida nella tradizione della Chiesa. E proprio riguardo al tema specifico della pace – così come è affrontato nei primi tre secoli cristiani – mi è parso opportuno intervenire a Sidney, nel Congresso mondiale delle Scienze storiche

2. Per restare nella nostra questione – quella della memoria storica e della pace – l’incontro tra il cristianesimo e la cultura classica produsse frutti decisivi, tali da non poter essere mai più dimenticati – sui piani del rispetto e del recupero delle diverse culture e della storia intera, dell’individuazione di una comune “anima cristiana” nel mondo e della formulazione concreta di proposte di pace nella convivenza umana. 

Da questo punto di vista il ricorso attento e vigile ai classici è utile, e addirittura necessario, per comprendere e interpretare il nostro presente. 

Ritengo che tale ricorso sia particolarmente valido dinanzi ad alcune questioni, che forse oggi più di ieri appassionano l’uomo, e in particolare interessano la cultura della pace (per esempio la questione sociale in genere, la questione femminile, la valutazione dei cosiddetti “diversi”, il rapporto fede-mondo, la questione ecologica…), perché in ciascuna di tali questioni il magistero della storia può contribuire decisamente a illuminare problemi e soluzioni.

Porto ancora come esempio il caso emblematico di Tertulliano (Apologeticum 17 e 37), e la sua celebre affermazione che “la nostra anima è naturaliter cristiana” (qui Tertulliano evoca la perenne attualità degli autentici valori umani e cristiani); e anche l’altra sua riflessione, mutuata dal Vangelo, secondo cui “il cristiano non può odiare nemmeno i propri nemici” (dove il risvolto morale, ineludibile, propone la non violenza come regola di vita: e non è chi non veda la drammatica attualità di questo insegnamento, proprio per quanto riguarda le nostre riflessioni di questa sera, e soprattutto la tragica situazione del mondo, nel corso di una terza guerra mondiale praticamente in atto).

Svolgo infine una riflessione conclusiva.

Il nostro mondo vive quella che è stata definita la “cultura della (post)globalizzazione”, dentro a una sorta di “dittatura del relativismo” e del paradigma tecnocratico; cioè, alla fine, la scala dei valori che oggi impera sembra trovare il suo vertice nella finanza e nella tecnologia. 

E’ una cultura che in verità conosce numerose contraddizioni, esposta com’è al rischio ricorrente di dolorose frammentazioni. 

In ogni caso, è una cultura che comporta gravi pericoli, che sono anzitutto quelli dell’“appiattimento” culturale e – al limite – di una dolorosa perdita dell’identità propria di ciascuno. 

L’itinerario storico, copiosamente illustrato dalle letterature classica e cristiana antica, insegna qualche cosa di decisivo sul mistero della persona umana e sui suoi irripetibili drammi esistenziali, sul rapporto “non globalizzabile” dell’uomo con Dio, con gli altri, con il mondo circostante, sui diversi cammini dei popoli alla ricerca della loro identità, sulla speranza dell’uomo di poter raggiungere la Verità, sulla pace…

E’ ben noto il celebre asserto, divenuto proverbiale: Historia magistra vitae. Certo, la storia è davvero maestra di vita, a patto però che essa trovi discepoli disposti ad ascoltarla: diversamente, senza scolari, la storia rimane una povera maestra di vita.

Viene da chiedersi se noi – uomini e donne di questo tempo – siamo veri discepoli della storia. Evidentemente non abbiamo ancora imparato una delle lezioni più importanti della storia: che con la guerra tutto può essere perduto, mentre la pace è la condizione indispensabile per edificare una civiltà a misura d’uomo.

Ci auguriamo tutti che il ricorso generoso alla storia e alla letteratura dei nostri Centro interuniversitario di studi e di iniziative, intitolato a Sant’Ivo alla Sapienza – contribuiscano a renderci discepoli attenti della storia, per costruire un mondo più unito, autenticamente umano, in cui ogni persona è un fratello e una sorella da amare e da servire, fino al dono della propria vita.

                                                                                    + Enrico dal Covolo

Mons. Fernandez, Atto di adesione al papa

L’intervento di Ratzinger di questi giorni

https://gpcentofanti.altervista.org/la-recente-lettera-di-ratzinger/

Guido Oldani, Zac (XXXI Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 19,1-10
 
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

ZAC/CHEO

a zaccheo faremmo un marameo,

piccolo e ricco esoso come un ratto,

è un tappo sale il tronco e vi si acquatta.

vuole vedere chi gli toglie il sonno,

lui tegola furbastra sopra il tetto,

pranzano insieme cielo e pattumiera

e molla il suo malloppo rapinato,

dà inizio alla imprevista primavera.

Guido Oldani- inedito

La svolta

https://gpcentofanti.altervista.org/arcobaleno-e-maria-durante-la-messa-anniversario-del-concilio/

Snodi decisivi politici

https://gpcentofanti.altervista.org/tre-politiche-per-rinascere/

Madonna dei sette dolori

https://youtu.be/A9aDoUMf6O8

Arcidiocesi di Salerno

https://youtube.com/channel/UCIiNTOLSBrkrWUTHEolRcpw

Esorcistica e psichiatria: i giovani

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 18/10/2022, ore 21.00. Titolo della puntata:_ Quello che i giovani, a volte, non dicono. Il male di vivere tra ‘nonsenso’ e trappole mortali._. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Guido Oldani, Maschera e faccia (XXX Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 18,9-14
 
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

MASCHERA E FACCIA

ha pagato la decima sul troppo,

si finge quasi fosse un galantuomo,

rispetta quello che è di poco conto.

l’altro che sa di essere un serpente

ha gli occhi bassi come un’ala rotta

di un aeroplano cui hanno sparato,

ma la pietà lui chiede al padreterno

che lo assolve, il primo è un macinato.

Guido Oldani- inedito

San Michele, Caserta

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Diocesi di Viterbo

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Diocesi di Anagni Alatri

Nuovo vescovo Treviso

Sezione San Luigi, Napoli

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Guido Oldani, Repetita iuvant (XIX Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 18,1-8
 
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

REPETITA IUVANT

persino una vecchietta che ha diritto,

come se fosse un trapano tra i denti,

dal giudice bastardo spolpa il quanto.

è un martello pneumatico il pregare

che a ben maggior ragione di più ottiene

dal cielo che per nascita è già buono,

ma quando questi tornerà giù in terra,

avranno ancora i temporali il tuono?

Guido Oldani – inedito

Strade finalmente davvero nuove

https://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/09/26/politica/tre-punti-per-la-svolta

Festival missionario

Diocesi di Caserta

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Buon Pastore, Caserta

https://www.buonpastorecaserta.it/

Mons. Dal Covolo, Letture di Origene

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Guido Oldani, Uno a nove (XXVIII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 17,11-19
 
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

UNO A NOVE

come gli etti di un chilogrammo intero,

di lebbrosi ne arriva una decina

si fermano a una distanza buona.

e lui non dice certo cose a caso

guariti, vanno come schioppettate;

“del fatto ne parlate ai sacerdoti”

che li sa sempre quasi finti tonti.

nove, della salute fanno incetta

ma lo straniero torna e s’inginocchia,

“la cruna d’ago tu la varchi in fretta”.

Guido Oldani- inedito

Mons. Dal Covolo, 15 Lettura pubblica di Origene

QUINDICESIMA “LETTURA PUBBLICA” ROMANA 

DELLE OPERE DI ORIGENE

Le Omelie su Isaia

Institutum Patristicum Augustinianum, Roma, 13 ottobre 2022, ore 16,00

Mentre introduco questa quindicesima “lettura pubblica” delle Opere di Origene a Roma – proprio così, con questo nome, essa nacque nel 1996 –, mi corre l’obbligo di ringraziare tutti voi, cari amici, qui presenti. Ma in modo particolare il ringraziamento va al nostro generoso Ospite, il padre Preside Giuseppe Caruso, insieme a tutti i miei amati Confratelli dell’Augustinianum. Non posso tacere inoltre un vivo e cordiale ringraziamento al Girota, indirizzandolo in modo speciale alla persona del mio fraterno amico prof. Marco Rizzi.

La “lettura pubblica” delle Opere di Origene ha una sua storia, che per sommi capi va ricordata, perché ha contribuito con un certo successo alla promozione degli studi origeniani in Italia (e non solo). 

Tale “lettura” si è svolta a Roma dal 1996 al 2010. Promossa dalla Facoltà di Lettere dell’Università Salesiana, sempre in collaborazione con il Girota, essa fu energicamente sostenuta e accompagnata dal compianto prof. Manlio Simonetti e dal cardinale Raffaele Farina.

Su tale iniziativa ha raccolto informazioni e osservazioni critiche dettagliate Lorenzo Perrone, in una conferenza tenuta presso l’Università Lateranense il 9 maggio 2011, e poi pubblicata nella rivista “Salesianum” (Si legge ancora Origene? La lectio origeniana di Roma quindici anni dopo, “Salesianum” 75 [2013] 333-348).

La “lettura” ha prodotto i seguenti volumi, tutti editi dalla Biblioteca (e dalla Nuova Biblioteca) di Scienze Religiose della Libreria dell’Ateneo Salesiano di Roma. Per comodità, ne elenco qui i titoli, con l’anno di pubblicazione: Mosè ci viene letto nella Chiesa, Lettura delle Omelie di Origene sulla Genesi, 1999; Omelie su Geremia, 2001; Omelie sull’Esodo, 2002; Omelie sul Levitico, 2003,; Omelie sui Numeri, 2004; Commento a Giovanni, 2006;  Omelie su Giosuè, 2007; Le parabole del Regno nel Commento a Matteo, 2009; Omelie sul Vangelo di Luca, 2011.

Come si può vedere, non tutti i volumi dei quattordici cicli della “lettura” sono stati pubblicati. 

Essa ha poi subito una battuta d’arresto dal 2010.

     In definitiva, inauguriamo oggi, a più di dieci anni di distanza, il quindicesimo ciclo di “letture”, dedicato alle prime quattro omelie di Origene su Isaia. Proseguiremo l’anno prossimo, sempre nel primo semestre accademico, con le altre cinque omelie del medesimo ciclo.

    L’intenzione è di pubblicare, al termine delle nove letture, un volume, che raccolga le fatiche dei Relatori di questi due anni (che già ringrazio di cuore), e che possa proseguire la collana dei volumi precedenti.

    Non entro invece nel merito dell’introduzione alle Omelie su Isaia dell’Alessandrino. 

Lo farà da pari suo Sincero Mantelli, della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna e dell’Istituto Patristico “Augustinianum”. Fra l’altro, come tutti sapete, il prof. Mantelli sta preparando l’edizione critica delle medesime omelie nelle Opere di Origene, edite a Roma da Città Nuova. 

Per il momento, invece, ci supporterà la traduzione di Maria Ignazia Danieli, Omelie su Isaia, Città Nuova Editrice, Roma 1996, vol. 132 della benemerita “Collana di studi patristici”. La prima omelia è tradotta alle pp. 59-73.

    E ora, finalmente, cedo la parola al nostro illustre Relatore di questa serata, il prof. Sincero Mantelli.

    Desidererei, nella memoria di Manlio Simonetti, che si trattasse di una vera e propria lettura, adeguatamente commentata, alla quale possa seguire un aperto dibattito. 

                                                + Enrico dal Covolo

San Pio X, Roma

https://youtube.com/channel/UCdXwof3Mcpb5npEu1sPwrig

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, Roma

http://www.smmdepazzi.it/

Mons. Dal Covolo, Omelia ordinazione diaconale

OMELIA PER L’ ORDINAZIONE DIACONALE DI ANDREA

Roma, Sacra Famiglia di Nazaret

Domenica 2 ottobre 2022 

    Cari fratelli e sorelle,

    vorrei conversare brevemente con voi sulle letture, che abbiamo appena ascoltato. In questo modo mi riferirò all’evento, che oggi celebriamo insieme con grande gioia, l’ordinazione diaconale del carissimo Andrea, figlio della Sacra Famiglia di Nazaret. 

    Le letture di oggi ruotano attorno ad alcuni temi caratteristici del ministero diaconale.

    La fede, anzitutto, senza la quale questo stesso rito di ordinazione sarebbe incomprensibile. E’ questo il tema della prima lettura: il giusto – nel nostro caso, Andrea – “vivrà per la sua fede”.

    Poi, nella seconda lettura, Paolo ricorda a Timoteo l’imposizione delle mani, con la quale egli stesso – l’apostolo Paolo – ha consacrato Timoteo, e gli disegna un vero e proprio identikit del ministro ordinato. In buona sostanza, egli raccomanda a Timoteo (e oggi a te, Andrea): “Custodisci, mediante lo Spirito santo che abita in noi, il dono prezioso che ti è stato affidato”.

    La terza lettura, il Vangelo, torna sul tema della fede, coniugandolo però con il servizio. Il diacono è un servo che non deve mai insuperbire, perché senza la fede e la grazia di Dio, egli sarebbe “un servo inutile”. 

    E’ proprio nello spirito di queste letture che oggi io consacro con il Sacramento dell’Ordine Andrea, nostro fratello.

    1. Diacono, lo sappiamo tutti, significa servo

Il Fondatore dei Figli della Sacra Famiglia, san Giuseppe Manyanet, ci ha lasciato su questo tema un’esortazione significativa, riportata nelle Costituzioni dell’Istituto: “Tutti quelli che, per bontà del Signore – scrive –, sono stati chiamati da Lui a far parte di questa Congregazione abbiano sempre presente e ben fisso nella mente che, sull’esempio di Gesù, Maria e Giuseppe, essi sono venuti non per essere serviti, ma per servire, e dare la propria vita per tutti, e portare tutti a Cristo”.

Precisamente per questo servizio, per “portare tutti a Cristo”, carissimo Andrea, tu sarai ordinato Diacono. 

    2. Ed ecco il messaggio che ti lascio, mio carissimo fratello e figlio. Riassumo questo messaggio in tre punti, che intitolo così: “Essere diacono”.

    * Essere diacono è anzitutto un mistero di Dio Trinità; è un mistero del Padre, che ti ha chiamato; del Figlio, che orienta la tua risposta, configurandoti sempre più intimamente a lui; dello Spirito, che oggi ti consacra e ti invia nella missione. Vivi nella preghiera e nell’intimità profonda, nella costante contemplazione di questo mistero d’amore! Questo Amore trinitario, che in maniera mirabile si riflette nella Famiglia di Nazaret, tu devi portarlo alla gente, alle famiglie del mondo.

    * Essere diacono – l’abbiamo già detto – significa essere servo, “schiavo” dell’amore. La tua libertà ormai è tutta per amare e per servire. Non sei più libero di amare o di non amare, di servire o di non servire: sei libero per amare e per servire; e questo, ormai, per sempre.

    * Essere diacono, infine, significa essere testimone dell’amore, a costo della vita stessa. Il diacono è un martire, nel senso che la testimonianza della sua diakonia non potrà mai arretrare, a tutti i costi. Non per nulla Stefano, che è il primo diacono, è anche il primo martire di Cristo.

***

    È tempo di concludere. Lo faccio con tutto l’affetto e l’augurio del cuore: un augurio che tra poco si trasformerà in preghiera consacratoria. L’augurio è che tu, carissimo Andrea, sia capace di realizzare sempre di più, nella tua storia di vocazione, quello che sei chiamato ad essere realmente: uomo di Dio, in perenne intimità con il suo mistero di amore; e diacono, cioè servo e testimone di tutti, ma specialmente delle famiglie, sempre più bisognose della testimonianza del Vangelo. 

    Il Signore ti confermi in questi santi propositi. Ti benedica la Sacra Famiglia di Nazaret, ti benedica San Giuseppe Manyanet, modello esemplare di diacono e di sacerdote. 

Enrico dal Covolo

Monastero wi-fi

https://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/09/26/chiesa/il-cardinale-piacenza-al-monastero-wi-fi

Guido Oldani, Il nocciolo (XXVII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 17,5-10
 
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

IL NOCCIOLO

come saldare maggiormente il fulcro

o, detto meglio, crescere la fede?

“se mai aveste un po’ di quella roba,

direste a una foresta vai sul mare

e lei come nel macbeth sa obbedire.

e il mandriano che ritorna in sede,

il tavolo non trova apparecchiato

ma prepara la cena e la propone,

che il prima e il dopo ordinando bene

allora sì che sazierà il palato.”

Guido Oldani- inedito

Adorazione eucaristica perpetua a Manresa

https://youtu.be/uH7S0J2-fsk

Barbero, Colpo di stato in Europa

Basilica cattedrale di Como

L’angelo custode di San Francesco

Piccola Casa della Divina Provvidenza

Santuario Madonna dei boschi

https://youtube.com/c/SantuarioMadonnadeiBoschi

Dio l’unico psicologo

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/09/05/chiesa/scoprire-lamore-meraviglioso-di-gesu&ved=2ahUKEwjs8IWvn5P6AhUd_7sIHYZ1AsQQFnoECBQQAQ&usg=AOvVaw1Vnpol6D4jbfdRZlhurEYB

Gesù nel futuro

https://gpcentofanti.altervista.org/il-sempre-nuovo-venire-di-gesu-chiave-di-ogni-cosa/

Guido Oldani, Il ribaltone (XXVI Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 16,19-31
 
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

IL RIBALTONE

è spelacchiato come un vecchio muro
lazzaro, ma lo curano dei cani
poi va a volare dove tutto è vero.
e il ricco che non molla un accidente,
nell’inferno infine vi si schianta
e implora l’acqua in più, per i fratelli,
ci prova la sua ultima furbata
ma è sotterrato, peggio di una talpa.

Guido Oldani- inedito

Esorcistica e psichiatria, il Trionfo sul male

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 20/09/2022, ore 21.00. Titolo della puntata:_ Libera nos. Il Trionfo sul Male_. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Ospiti: i registi Giovanni Ziberna e Valeria Baldan. Buon ascolto!

https://youtu.be/my-pqx2njxo

Omelia per i cresimandi

Parrocchia Sacra Famiglia del Divino Amore

http://www.santuariodivinoamore.it/section.php?page=luoghi_dettaglio&id=1023

La situazione di fondo

https://gpcentofanti.altervista.org/poteri-speciali-al-presidente-del-consiglio/

Guido Oldani, Il pasticciaccio (XXV Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 16,1-13
 
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

IL “PASTICCIACCIO”

gira e rigira anche questa volta

l’anima finisce che è una tasca

e sarà poi di soldi la tempesta.

lui beve troppo vino dalla botte

ed il padrone ne intravede il fondo

allora, l’amministratore iniquo,

dai debitori ottiene qualche sorso,

ripiana il male travestito in bene,

ma il “pasticciaccio” ucciderebbe un orso.

Guido Oldani- inedito

Quesito rivoluzionario

https://gpcentofanti.altervista.org/domanda-chiave/

Chiesa S. Pio, Perugia

Parrocchia Natività di Maria, Roma

https://www.nativitadimaria.com/

La piaga

https://gpcentofanti.altervista.org/la-ferita-mortale-di-questa-civilta/

S. Nome di Maria, Cagliari

https://www.chiesadicagliari.it/anagrafica/istituzioni/nome/CAGLIARI_SS_NOME_DI_MARIA/

San Gervasio e Protasio, Budrio

San Salvatore in Lauro

https://youtu.be/BxRR6ysLiSg

Teologia di L. Giussani

Guido Oldani, Il bene speciale (XXIV Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 15,1-32
 
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

IL BENE SPECIALE

ed il loro mestiere è intrappolare,

ma di essi lui proprio non si cura

e continuando non farà una piega.

in un gregge o nel salvadanaio

un agnello è come una moneta,

persi è una festa, se li si ritrova

così succede pari pari in cielo;

anche un figlio dilapida in bagordi

ma il padre nel riaverlo se ne giova.

Guido Oldani- inedito

Bibbia e vita

https://gpcentofanti.altervista.org/la-parola-nella-vita-concreta/

San Giuseppe Cottolengo, Roma

http://www.parrocchiacottolengoroma.it/

Santuario San Michele

https://youtube.com/channel/UCgqG8HI1HpuC9P6B-u4MlNw

Madonna della Milicia

https://youtube.com/c/madonnamilicia

Santa Maria delle grazie, Milano

https://youtube.com/c/SantaMariadelleGrazieMilano

San Piero in Palco, Firenze

https://www.sanpieroinpalco.it/

Guido Oldani, I ceffi (XXIII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 14,25-33
 
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

I CEFFI

si volge, c’è più gente che denari,

amino lui più della propria pelle

e che menata i loro familiari.

quanto al resto, chi costruisce il tetto

con l’oste prima almeno faccia i conti

e con l’armata brancaleone un re

ad attila non fa degli sberleffi

e senza i beni, “ponimi per primo

e all’occorrenza, muori in mezzo ai ceffi”.

Guido Oldani-inedito

Parrocchia Santa Margherita Ligure

https://youtube.com/channel/UCDasfegu0dYe1H-s8-7KUqQ

Parrocchia San Timoteo, Roma

http://www.santimoteo.org/

Giovanni Battista, uomo dell’ascolto

Lascia che parli la luce

Spera contro ogni/speranza, godi/del bene che già/ora ti solleva e ti/porta verso la meta./Così mi diceva/una luce nelle/notti di tempesta,/nei lunghi deserti/della vita./Da molti lustri ora/felice sono sempre/e in pace./

Più nulla ho che Te/e in Te/ogni meravigliosa,/insospettata, cosa.

https://gpcentofanti.altervista.org/lascolto-di-maria/

Comunione e liberazione Imola

Guido Oldani, Zero (XXII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 14,1.7-14

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».


Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

ZERO

hanno per scopo quello d’incastrarlo

perciò il loro occhio è una lente,

la tavola è il ring per il confronto.

“ invita chi non ha da ricambiare

e in terra siedi, forse avrai una sedia

che andando avanti sei in retromarcia

ma se vuoi zero avrai tutto l’intero.”

Guido Oldani- inedito

Alla fine

Sapienza 7, 22-30

Astratto, astragalo, astrakan,

e’ tutto un can can di cose

fatte già morte,

di gabbie, di bolle di mago,

sbalzate qua e là, senza senso

umano.

Che respiro il seme del campo,

la piccola luce, il libero soffio

del vento!

Che pace il buonsenso cristiano!

Alla fine, alla fine, dice Maria,

tutto torna al piccino portato

dal cielo.

Il sempre nuovo venire di Cristo

https://gpcentofanti.altervista.org/come-viene-loltre-di-gesu/

Parrocchia Sacra Famiglia, Palermo

http://www.sacrafamiglia.arcidiocesi.palermo.it/

Mons. Dal Covolo, Omelia per San Bartolomeo

OMELIA NELLA FESTA DI SAN BARTOLOMEO 

Cerchio, 24 agosto 2022

Carissimi, 

ricordiamo oggi l’apostolo Bartolomeo (da san Giovanni chiamato Natanaele, nel Vangelo che abbiamo appena letto), e – insieme a lui – la Bolla Indulgentiarum sancti Bartolomej de Circulo, promulgata da Bonifacio VIII nell’Anno santo giubilare del 1300, il primo della storia della Chiesa.

Così oggi, in questa chiesa dedicata a san Bartolomeo, noi possiamo lucrare l’indulgenza, alle solite condizioni.

Carissimi, vi invito a farlo, e insieme vi invito a riflettere brevemente con me sul significato dell’indulgenza stessa.

Anzitutto – ci chiediamo – che cos’è precisamente l’indulgenza? 

L’indulgenza è un condono gratuito della pena dovuta per i nostri peccati, anche se essi sono già stati perdonati con il sacramento della riconciliazione.

Ma come può la Chiesa operare questo condono di pena?

Ecco la spiegazione, che tuttavia rimane nel mistero della fede. Nella coscienza della Chiesa si è fatta strada lungo i secoli, e in modo sempre più deciso, una persuasione di fondo, cioè che nell’ambito spirituale “tutto appartiene a tutti”. In questa prospettiva di fede, la testimonianza e l’intercessione dei martiri e dei confessori della fede, come pure le preghiere e le opere buone dei fedeli, appaiono autentiche “fonti di indulgenza”, perché alimentano quel “tesoro di santità”, a cui la Chiesa attinge per distribuire l’indulgenza stessa.

Una parola di Giovanni Paolo II, in occasione del Grande Giubileo del 2000, mentre ci prepariamo con Papa Francesco al Giubileo del 2025 

Tra i fedeli, spiegava san Giovanni Paolo II, “si instaura un meraviglioso scambio di beni spirituali… Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di sofferenza sopportata, di purezza e di verità, che coinvolge e sostiene gli altri. È la realtà della ‘vicarietà’, sulla quale si fonda tutto il mistero di Cristo. Il suo amore sovrabbondante ci salva tutti. Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica… Tutto viene da Cristo, ma poiché noi apparteniamo a lui, anche ciò che è nostro diventa suo e acquista una forza che risana. Ecco che cosa si intende quando si parla del ‘tesoro della Chiesa’, che sono le opere buone dei santi. Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale e quindi aprirsi totalmente agli altri. Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per sé stesso. E la salutare preoccupazione per la salvezza della propria anima viene liberata dal timore e dall’egoismo, solo quando diviene preoccupazione anche per la salvezza dell’altro. È la realtà della comunione dei santi, il mistero della ‘realtà vicaria’, della preghiera come via di unione con Cristo e con i suoi santi. Egli ci prende con sé per tessere insieme a lui la candida veste della nuova umanità, la veste di bisso splendente della Sposa di Cristo” (Incarnationis Mysterium, 10).

Una riflessione conclusiva di Joseph Ratzinger 

In definitiva – spiegava al riguardo l’allora cardinale Joseph Ratzinger, parlando dell’indulgenza della Porziuncola – dobbiamo passare attraverso le tortuosità della storia e delle idee teologiche fino a ciò che è semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere, abbandonandoci, nella comunione dei santi, per cooperare insieme a loro all’eccedenza del bene nei confronti dell’apparente onnipotenza del male, sapendo che tutto in fin dei conti è grazia.

L’indulgenza nella Chiesa è sempre attuale 

Precisamente in questo senso l’indulgenza è sempre attuale. Essa spiana la strada a chi vuole ricominciare il suo amore con Dio.

    È possibile “bruciare il peccato” e lasciarsi alle spalle le cose di prima. 

È possibile ripartire per un nuovo tempo di grazia, che prepara e anticipa la liberazione definitiva.

                    + Enrico dal Covolo

                          Vescovo tit. di Eraclea

             Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

    Presidente del Comitato scientifico dell’Accademia Bonifaciana di Anagni 

Maria Regina

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24150

Il nuovo Padre nostro

https://gpcentofanti.altervista.org/non-ci-abbandonare-alla-tentazione/

Mons. Dal Covolo, Omelia per San Bernardo abate

OMELIA PER SAN BERNARDO ABATE

Abbazia di Casamari, 20 agosto 2022

+ Enrico dal Covolo

Carissimi,

di per sé l’omelia è una semplice conversazione sulla Parola di Dio che la liturgia ci propone.

Questa volta però – data l’eccezionalità del caso – terremo sullo sfondo le letture che abbiamo appena ascoltato, per mettere al centro della nostra meditazione il santo, che oggi celebriamo: san Bernardo di Chiaravalle. Egli morì il 20 agosto, come oggi, del 1153. E’ chiamato “l’ultimo dei Padri della Chiesa”, perché nel XII secolo rinnovò e concluse – per così dire – la grande teologia dei Padri.

Non mi fermo adesso a parlare della vita di Bernardo, che già molti di voi conoscono. Preferisco invece intrattenermi su due aspetti centrali della dottrina di Bernardo, un po’ come fece alcuni anni fa il papa emerito Benedetto XVI in una sua celebre catechesi. Questi due aspetti riguardano Gesù Cristo e Maria santissima.

1. Nel suo commento al Cantico dei Cantici l’abate di Chiaravalle non si stanca di ripetere che uno solo è il nome che conta, quello di Gesù Nazareno. “Arido è ogni cibo dell’anima, se non è condito con questo olio; insipido, se non è condito con questo sale. Quello che scrivi non ha sapore per me, se non vi avrò letto Gesù. Quando discuti o parli, nulla ha sapore per me, se non vi avrò sentito risuonare il nome di Gesù. Gesù, miele nella bocca, canto nell’orecchio, giubilo nel cuore (mel in ore, in aure melos, in corde iubilus)”. 

Come si giustifica questo inno appassionato del santo abate? 

La verità è che Bernardo resta affascinato da una profonda certezza di fede. Grazie al sacrificio di Cristo, egli si sente raggiunto dalla santità di Dio: “Quello che io non posso ottenere da me stesso”, cioè la santità, scrive in un altro Sermone sul Cantico dei Cantici, “io me lo approprio (usurpo!) con fiducia dal costato trafitto del Signore”. Ecco il colpo di mano della santità! Secondo i nostri Padri, Maria e i santi sono quelli che hanno fatto in modo esemplare questo colpo di mano…

Per Bernardo, la vera conoscenza di Gesù – quella che consente il colpo di mano della santità – si raggiunge soltanto con l’amore. E’ quel conoscere di cui parla la Bibbia: “Adamo conobbe Eva, sua sposa, la quale concepì”. Tale è per Bernardo la definizione ultima del “conoscere Gesù Cristo”: è l’unione d’amore con lui.

Miei cari, questo vale per ciascuno di noi. La fede cristiana non è anzitutto una dottrina, un insieme di comandi, di divieti, di formule da recitare… 

La fede in Cristo è prima di tutto un incontro personale, intimo con Gesù. Significa crescere nell’amicizia con lui, attraverso la preghiera, i sacramenti, l’ascolto assiduo della Parola di Dio, il servizio degli altri, soprattutto dei poveri…

2. Trascorro ora al secondo aspetto centrale dell’insegnamento di Bernardo.

In un altro Sermone egli descrive in termini appassionati l’intima partecipazione di Maria alla passione e alla morte di Gesù. 

“O santa Madre”, esclama Bernardo, “veramente una spada ha trapassato la tua anima! Del resto non avrebbe penetrato la carne del Figlio, se non trapassando l’anima della Madre. In verità dopo che il tuo Gesù – che è di tutti, ma soprattutto tuo – emise lo spirito, la lancia crudele non poté certo toccare la sua anima: essa aprì il suo fianco non avendo pietà neppure di un morto, al quale non poteva più recare danno; ma trapassò la tua anima. Naturalmente l’anima di lui non era già più lì: ma la tua non poteva assolutamente strapparsene. Così la violenza del dolore trapassò la tua anima, a tal punto che non immeritatamente noi ti acclamiamo più che martire, poiché in te il sentimento della partecipazione alla passione [compassionis affectus] superò la sofferenza della passione fisica del Figlio…”. 

Il passo attesta con sicurezza la subordinazione di Maria rispetto a Gesù, secondo i fondamenti della mariologia tradizionale. Ma il Sermone di Bernardo documenta altresì il posto privilegiato della Vergine nell’economia della salvezza, a seguito della sua speciale “associazione” alla vita e alla morte del Figlio: Maria ha con-patito con lui! 

3. Queste due riflessioni, che descrivono l’invaghimento di Bernardo per Gesù e per Maria (egli era convinto che uno dei due amori conduce all’altro, tanto da affermare: Per Mariam ad Iesum); ebbene, queste due riflessioni ci provocano salutarmente, e ci invitano a percorrere la medesima via di Bernardo, la via della santità, scandita dall’innamoramento per Gesù e per Maria.

Concludo – come già fece a suo tempo Benedetto XVI – con un’invocazione alla Madonna, che leggiamo in un’altra splendida omelia di Bernardo: “Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, pensa a Maria… Se tu la segui non puoi deviare, non puoi disperare; se ella ti sorregge, non cadi: se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla mèta della santità”.

E così sia, per ciascuno di noi. 

Mons. Dal Covolo, Maria e San Rocco

LA FEDE DI MARIA E DI SAN ROCCO

Questo triduo di predicazione ci prepara alle feste dell’Assunzione di Maria e di san Rocco, i santi patroni di Monteleone.

Ci riferiremo in queste giornate al racconto dell’Annunciazione, nel quale l’evangelista Luca “condensa” – così possiamo dire – l’intera storia della vocazione di Maria.

Vi parlerò così della fede di Maria e di san Rocco, oggi. Domani, invece, tratteremo del servizio nella missione di questi santi. Infine, nella vigilia dell’Assunta, contempleremo l’umiltà dei nostri patroni.

1. Oggi, dunque, parliamo della loro fede, che è un esempio, un modello per tutti noi.

Maria è beata, perché ha creduto. Ha creduto all’angelo, che le portava lo straordinario annuncio che da lei sarebbe nato Gesù.

Notate: la fede di Maria non fu automatica, meccanica. Anche lei – come noi – ha avuto i suoi dubbi. Li ha espressi lealmente all’angelo. 

“Avrai un figlio”, le aveva detto Gabriele, “e lo chiamerai Gesù”. Maria rimase turbata dalle parole dell’angelo, e chiese: “Ma come è possibile tutto questo? Io sono vergine, non conosco uomo”. Ma alla fine la fede di Maria ha la meglio. Il dubbio non rimane la sua ultima parola. La sua ultima parola è piena di dedizione e di fede: “Si compia in me come tu hai detto”.

E’ questa la fede dei santi. Essa non passa senza dubbi, prove, tentazioni. 

Voi pensate che Maria nella sua vita non abbia attraversato il deserto del dubbio e del dolore? “Una spada ti trapasserà il cuore”, le aveva predetto l’anziano Simeone. Maria – stando alle parole di san Giovanni Paolo II, il Totus tuus – è una “pellegrina nella fede”: proprio come noi, che talvolta brancoliamo nel buio. 

Il pellegrinaggio di fede di Maria si compie tra due eventi fondamentali: quello dell’Annunciazione e quello della crocifissione del Figlio, sul monte Calvario. 

E’ qui, ai piedi della croce, la mèta del pellegrinaggio di fede di Maria. Allora, nelle parole-testamento del Figlio, ella capisce che la sua missione di maternità va allargata a raggio cosmico, universale. Nel nuovo figlio, Giovanni, che Gesù le affida, sono rappresentati tutti i figli, di cui lei deve essere madre. E’ rappresentata la Chiesa, è rappresentata l’umanità intera.

E Maria crede. Giovanni la accoglie nella sua casa, e lei sarà presente, quando lo Spirito Santo, a Pentecoste, metterà il suo sigillo sulla fede di tutti i credenti.

2. Questa è la fede di Maria, e questa è la fede dei santi, come fu anche la fede di san Rocco. 

La vita di Rocco, come ben sapete, fu attraversata da mille sofferenze e disagi, che misero a dura prova la sua fede.

Eppure, egli non si lasciò mai scoraggiare, e proseguì eroicamente il suo pellegrinaggio di fede e di amore.

E davvero, nonostante i dubbi e le difficoltà, il Signore non fa mai mancare i segni della grazia a chi si affida a lui. 

Un fatto straordinario, forse il più noto, accompagnò il pellegrinaggio di Rocco da Montpellier a Roma. Giunto ad Acquapendente tra il 25 e il 26 luglio del 1367, un angelo gli apparve, e gli ordinò di benedire gli appestati con il segno della croce: proprio quella croce che, fin dalla nascita, egli portava scolpita sul petto. E all’istante gli appestati guarivano, toccati dalla sua mano miracolosa. Così, in breve tempo, in quel luogo l’epidemia si estinse.

Rocco è stato un fedele “servo di Cristo”, impegnato a seguire Gesù. Ha sofferto gioiosamente, sorretto dalla fede in quel Cristo, che volle identificarsi nel povero, nel malato, nell’affamato, nel prigioniero.

3. Prima di concludere questa meditazione sulla fede di Maria e di Rocco, ho due suggerimenti da lasciarvi.

Anzitutto, qualche domanda per un esame di coscienza, in vista della conversione della nostra vita. 

* Sento, nella fede, la forza di Dio che prega in me, la sua vittoria sull’angoscia e la paura? Sento che è lui la mia forza?

* La mia preghiera è “fuga” dalla realtà, o è coraggiosa contemplazione di ciò che Dio mi chiede? 

* So decidermi per lui senza riserve, così da riconoscere i segni del suo aiuto?

Il secondo suggerimento riguarda proprio la preghiera

Potremmo pregare così:

Signore, accresci in me la fede! 

Fa’ che io non mi lasci scoraggiare dai dubbi e dalle difficoltà. 

Nel mio pellegrinaggio lungo le strade della vita, tieni accesa la fiaccola che illumina il mio cammino. 

Fa’ che io mi innamori della tua Parola, dei tuoi Sacramenti, della tua Chiesa, dei poveri del mondo!

Te lo chiediamo per l’intercessione di Maria, Assunta in Cielo, e di san Rocco, eroico pellegrino di fede e di amore. 

Amen!

IL SERVIZIO NELLA MISSIONE DI MARIA E DI SAN ROCCO

    Ieri abbiamo parlato della fede in Maria e in san Rocco. Oggi, invece, rifletteremo sul servizio e sulla missione dei nostri due patroni.

Ancora una volta il testo di riferimento sarà il racconto lucano dell’Annunciazione.

1. Tu hai trovato grazia presso Dio, dice l’angelo a Maria. “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Luca 1,31). E’ questo il servizio di Maria, l’incarico specifico che il Signore le affida. Maria è chiamata a essere madre, madre di quel Figlio, e in lui di tutti gli uomini.

Ma è questa una missione che essa scoprirà gradualmente nel corso della sua vita, fino ad afferrarne completamente la portata solo ai piedi della croce di Gesù.

Sta qui un insegnamento importante per la nostra vita. Anche noi dilateremo gli spazi del nostro servizio e della missione, e ne scopriremo i risvolti più fecondi, se ci disporremo – come Maria – a un pellegrinaggio di fede, che è insieme via della croce. 

Siamo chiamati a dilatare sempre più generosamente gli spazi del servizio e della missione. Ebbene, solo se ci disporremo ad abbracciare ogni giorno la croce, e a seguire Gesù, scopriremo in profondità la missione che ci è affidata.

2. E’ questo un forte ammonimento per tutti noi, che siamo depositari di un servizio da svolgere nella Chiesa, nella società, nella famiglia, nella parrocchia… Non è un servizio che ci siamo dati da noi, non è un parto della nostra fantasia. Se guardiamo con l’occhio della fede, già in noi stessi troviamo quei segni, che ci spronano ad essere fedeli al servizio, a cui siamo chiamati.

L’amore, che siamo mandati a testimoniare nella nostra vita, non lo troviamo già operante in noi? Non viviamo già in noi l’esperienza di un Dio che ci ama con l’amore di una madre? Non si radica forse in questa esperienza misteriosa e dolcissima il servizio d’amore, a cui siamo chiamati?

In ogni caso, però, ognuno di noi deve tenere presente nella sua vita che la risposta fedele a Dio (cioè l’adempimento di quel servizio, che egli stesso ci chiede) non dipende da vane pretese di impeccabilità, bensì dal fato che – incorporato con il battesimo a Gesù Cristo, morto e risorto per noi – il nostro cuore è sostanzialmente rinnovato e aperto all’amore.

Tutto questo non certo per i nostri meriti, ma per grazia.

Maria, da parte sua – ed essa lo riconosce a chiare lettere nel Magnificat – sa benissimo di non aver fatto nulla per meritare quel servizio che Dio le ha chiesto.

Certo, essa è immacolata, libera fin dall’inizio da ogni ombra di peccato. Però lei sa di non aver trovato grazia presso Dio – sa di non avere ricevuto la chiamata a quel servizio miracoloso di maternità – perché era immacolata. 

Al contrario, essa è l’immacolata perché la grazia di Dio l’ha guardata, l’ha preceduta. In nessun caso va messo al primo posto lo sforzo ascetico di una creatura, ma l’iniziativa sovrana e gratuita di Dio – la sua santità, fonte di ogni altra santità nei cieli e sulla terra –.

Alla luce di queste considerazioni, dovremmo promuovere una rivoluzione copernicana nella nostra vita spirituale. 

Anche noi dovremmo persuaderci, come ha fatto Maria, che il servizio a noi affidato è una grazia che non abbiamo meritato con le nostre buone opere: al contrario, se noi siamo buoni e vigili nell’adempimento del nostro servizio, è soltanto perché abbiamo trovato grazia presso Dio. 

Ma è una grazia che va sempre alimentata, soprattutto nella fedeltà ai sacramenti e alla preghiera.

3. Proprio questa è stata l’esperienza spirituale di san Rocco.

Qual è il servizio al quale il Signore lo ha chiamato? Certamente fu anzitutto quello della dell’assistenza ai malati, in particolar modo la guarigione degli appestati. Così egli è il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal flagello dei contagi mortali, tanto che uno studio recente lo ha collocato tra uno dei santi in assoluto più invocati dai cattolici europei (e non solo) per ottenere la guarigione dal COVID-19.

Tuttavia – nonostante i numerosi episodi di guarigione da lui compiuti, e la fama che li accompagnava – Rocco continuò a definirsi semplicemente “un umile servitore di Gesù Cristo”. 

Trascorse gli ultimi tempi della sua vita in prigionia, perché aveva lasciato diffondere la voce che era “una spia dei nemici”.

Anche in carcere, non cessava di castigare dolorosamente il proprio corpo, convinto come era di essere sì un “umile servitore di Cristo”, ma soprattutto un povero peccatore. 

Eppure Dio lo aveva scelto per un grande servizio: ma, come già san Paolo, Rocco non considerò mai questo servizio come un vanto per sé, bensì come un dono della grazia, di cui continuava a sentirsi indegno. 

Morì probabilmente nel carcere di Voghera, in un anno imprecisato fra il 1376 e il 1379. 

4. Anche questa sera vorrei lasciarvi alcuni spunti per la preghiera e per la conversione della vita. Li raccolgo attorno ad alcuni interrogativi e ad un’invocazione conclusiva.

* Riconosco l’assoluto primato di Dio e della sua grazia nel servizio che svolgo quotidianamente, secondo la specifica vocazione a cui il Signore mi ha chiamato?

* Interpreto gli impegni e i doveri del mio stato come umile risposta a un amore che mi ha preceduto, e che garantisce (solo che io lo voglia) la mia risposta fedele?

* So accettare l’imprevisto di Dio, il suo modo di intervenire nella mia vita e nel servizio che egli stesso mi ha affidato?

* So riconoscere Dio nelle modalità in cui egli si svela, senza imporgli i miei punti di vista?

* Per dilatare la mia disponibilità al servizio, curo la dimensione contemplativa della vita (la preghiera e i sacramenti, la lettura assidua della Parola di Dio, il rapporto coerente tra la preghiera e la vita?).

Preghiamo infine perché 

– attraverso l’intercessione potente di Maria e di san Rocco, 

nostri speciali patroni – 

anche noi possiamo trovare grazia presso Dio,

e non ci stanchiamo di esercitare umilmente 

il servizio che il Signore ci ha affidato. 

Amen! 

L’UMILTA’ DI MARIA E DI SAN ROCCO

    Nei giorni scorsi di questo triduo abbiamo parlato della fede e del servizio nella missione dei nostri santi patroni.

    Oggi parleremo dell’umiltà di Maria e di san Rocco.

    1. L’umiltà di Maria risulta a chiare note sia nel racconto dell’Annunciazione, che ci accompagna in questi giorni del triduo, sia nel Magnificat di Maria.

    “Ecco, io sono la serva del Signore!”, dice Maria all’angelo Gabriele. E nel Magnificat Maria confida alla cugina Elisabetta: “L’anima mia magnifica il Signore, perché ha considerato l’umiltà della sua serva… Egli ha rovesciato i potenti dai troni, e ha innalzato gli umili”.

    Un commentatore antico del Magnificat, Origene, vissuto in Egitto tra il secondo e il terzo secolo, scrive riguardo all’umiltà di Maria: “Dio ha guardato l’umiltà della sua ancella: Dio mi ha guardata, dice Maria, perché sono umile, e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento”.

    Così la virtù dell’umiltà caratterizza in modo speciale la figura di Maria, che sempre guardava al suo Gesù, colui che disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per l’anima vostra”.

    L’esemplarità di Maria per ognuno di noi resta indubbiamente legata al progresso in questa virtù dell’umiltà. Origene scrive ancora: “Chi sono io per una simile opera? – si interroga Maria –. E risponde: E’ lui che mi ha guardata, non io che mi sono proposta. Infatti, io ero umile, e – come vergine – rigettata. Ora trascorro dalla terra al cielo, e sono attratta in un disegno di salvezza ineffabile”.

    E’ questa l’umiltà di Maria: proprio per la sua umile apertura al disegno di Dio noi la veneriamo assunta in cielo in anima e corpo.

    Come ben sapete, la parola umiltà deriva dal latino humus, che significa terra. Viene alla mente Francesco d’Assisi, che – prima di morire – si fece distendere sulla nuda terra, e lì compose l’ultima strofa del Cantico delle creature: “Beato si’, mi’ Signore”, recitò in quel momento, “per sora nostra morte corporale”. Per chi è umile, anche la morte, l’ultimo nemico, perde il suo pungiglione, e diventa sorella, perché ci apre la porta all’incontro con l’Amato, al volto radioso di Gesù Cristo, nostro fratello. Anche noi così ascenderemo al cielo, come Maria.

    2. Del resto, questa era anche l’umiltà di san Rocco.

    Sapete che egli voleva scomparire al mondo; sapete anche che dopo le guarigioni miracolose egli si allontanava di nascosto dalle città che aveva beneficato; e che volle morire in carcere, prigioniero e umiliato dal mondo.

    Egli era devoto di san Francesco, vissuto poco più di un secolo prima di lui, e voleva imitarne anzitutto la virtù dell’umiltà.

    Addirittura, nella sua umiltà Rocco non fece nulla per farsi riconoscere dallo zio paterno, governatore della città di Voghera, e non si ribellò quando – senza indagini r senza processo – finì in carcere, restandovi per un lungo periodo (tre o cinque anni), dimenticato da tutti e umiliato nella sua dignità.

    3. Un antico ritornello dice di san Rocco: “Tu eris in peste patronus”, tu sarai patrono nella peste.

    Molte pesti ci attanagliano ancora oggi: sì, il COVID ci fa ancora paura; le guerre, diffuse nel mondo, sono peggio di una peste…Ma ci sono anche delle pesti spirituali, dalle quali dobbiamo invocare la guarigione per l’intercessione dei santi, come Maria e san Rocco.

    Io metterei al primo posto la peste dell’orgoglio. L’orgoglio è esattamente il vizio contrario dell’umiltà. L’orgoglio, la ricerca di sé, del proprio prestigio e tornaconto, dei propri comodi, delle ricchezze e dei piaceri, è quello che sfascia le nostre comunità: le famiglie, anzitutto, ma anche la scuola, le comunità religiose e parrocchiali, i gruppi, la società…

Il cattivo esempio che talvolta ci viene dai nostri politici, spesso più attaccati al potere che al servizio della Nazione e del popolo, ci è sotto gli occhi proprio in questi giorni. E’ raro trovare persone che si impegnino nella politica (parola illustre, che indica il servizio della polis, della città), è raro trovare persone che vi si impegnino con spirito di umiltà, non di orgoglio.

Anche nelle famiglie, molte volte uno vuole prevalere sull’altro, e questo orgoglio prepotente è la causa vera di tante incomprensioni, di divisioni, e talvolta di delitti cruenti.

4. Potremmo moltiplicare gli esempi all’infinito; ma preferisco concludere questo triduo santo con una preghiera.

Alla fine di tutto, potremmo pregare così:

O Signore, 

tu hai spezzato per noi il pane della tua Parola.

Tu ci hai resi capaci, come la Vergine del Magnificat assunta in cielo,

di leggere e di meditare la storia della salvezza,

di stupirci davanti alle meraviglie del tuo amore.

Rendici ora aperti e disponibili,

perché questo pane di vita

nutra e converta la nostra preghiera e la nostra esistenza quotidiana.

Fa’ che diventiamo testimoni autentici

di ciò che abbiamo letto, meditato e pregato,

soprattutto – proprio come fece san Rocco –  

nel servizio amoroso verso le persone più povere e bisognose,

che ogni giorno tu metti sul nostro cammino.

Te lo chiediamo per Gesù Cristo, nostro Signore. 

Amen!

                        + Enrico dal Covolo

                        Vescovo tit. di Eraclea

Monteleone di Puglia, 12-14 agosto 2022.

Guido Oldani, L’aldilà (XXI Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.

Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.

Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.


Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

L’ALDILA’

c’è sempre chi domanda: dopo morto,

concludo come un film dal lieto fine

o un concime sarò,  di nessun orto?

oh mio caro, risponde il padreterno

vieni dal buco della serratura

se no, ti strideranno in bocca i denti;

è facile finirsene in malora,

non cercare l’autodromo viaggiando

o ti sganghereranno gli incidenti.

Guido Oldani- inedito

Radio Maria: Lo psichiatra risponde alle vostre domande sugli esorcismi


© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 16/08/2022, ore 21.00, dal titolo: IN RISPOSTA ALLE VOSTRE DOMANDE. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Buon ascolto!

Rupnik, Evangelizzare

Assunzione di Maria

https://www.delcampe.net/it/collezionismo/santini/s-massimiliano-maria-kolbe-lodz-polonia-auschwitz-dipinto-pietro-annigoni-basilica-s-antonio-da-padova-139410510.html

Padre Kolbe

https://www.madonnadelmiracolo.it/massimiliano-kolbe/

Guido Oldani, Assunzione (Assunzione della Beata Vergine Maria)

Lc 1,39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.

Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Allora Maria disse:

«L’anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente

e Santo è il suo nome;

di generazione in generazione la sua misericordia

per quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva detto ai nostri padri,

per Abramo e la sua discendenza, per sempre».


Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

ASSUNZIONE

fu come ripescare con gran gioia

dal fondo mare i bronzi di riace

per farli stare al luogo che conviene.

così maria, quand’è il tempo giusto

la chiamano ad abitare il cielo

e non occorre l’àrgano di aiuto

ma pare un filo che richiami un velo.

Guido Oldani- inedito

Sincerita’ fonte di vita

https://gpcentofanti.altervista.org/lo-spegnimento-della-vita-autentica/

Santa Maria Regina Pacis, Ostia

https://www.reginapacisostia.it/

Santa Maria del Parto, Napoli

http://www.santamariadelparto.it/

Guido Oldani, Le fratture (XX Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!


Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

LE  FRATTURE

lui è il tizzone buono a illuminare

e il suo incendio è più che prometeico,

non quel di mafia poi da risarcire.

e taglia le famiglie in tante fette,

non contrapposte al modo degli eredi

ma rendendole selci strofinate,

la cui scintilla è luce nei rimedi

del popolo che assorbe le giornate.

Guido Oldani- inedito

Sant’Andrea, Milano

https://chiesasantandreamilano.it/

Diocesi di Isernia Venafro

https://youtube.com/channel/UCY1BlSmnFAdOFtPUmwjWZVA

Parrocchia Trasfigurazione, Roma

http://trasfigurazione.it/orario-delle-messe/

Guido Oldani, Lo sterzo (XIX Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 12,32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.

Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!

Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».

Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.

Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.


A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

LO STERZO

la fine è come il gong nel pugilato

che segna quand’è chiusa la partita,

da lì comincia a respirare il fiato.

l’arrivo del padrone oppure un ladro

o lo sposo, ci serve come frusta

e fa capire che non è uno scherzo,

allora dalla pista non balziamo

sapendo cosa farne dello sterzo.

Guido Oldani- inedito

Parrocchia San Carlo da Sezze, Roma

https://www.sancarlods.it/pages/index.php

Il nuovo manifestarsi di Dio

https://gpcentofanti.altervista.org/come-viene-loltre-di-gesu/

Santa Maria del Buon Consiglio, Napoli

http://www.parrocchiaconfalone.it/

Messa a Vignate

D. Giampaolo Centofanti, La scuola

https://gpcentofanti.altervista.org/lodore-delle-pecore/

Santuario San Michele Arcangelo

https://youtube.com/channel/UCgqG8HI1HpuC9P6B-u4MlNw

Santuario di Oropa

Guido Oldani, I magazzini (XVIII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 12,13-21

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».

E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».


Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

I MAGAZZINI

gli eredi sono una bilancia rotta

ed anche peggio se si è due fratelli,

ma fra loro gesù non resta ostaggio.

quell’altro invece, ricco fa un raccolto

enorme, da rifare i magazzini

e pensa: dopo me la spasso meglio,

divento come amazon un mito,

ma quella notte bussano i becchini.

Guido Oldani- inedito

Don Maffeis a Perugia

Parrocchia Limena, Padova

Messa Beata Vergine del Carmelo

Parrocchia San Frumenzio, Roma

http://www.sanfrumenzio.it/

Parrocchia San Policarpo, Roma

http://www.sanpolicarpo.it/

Guido Oldani, L’inchiostro (XVII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 11,1-13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

L’INCHIOSTRO

lui chiama papi, l’infinito dio,

come fa il bimbo volto al proprio babbo

con la semplicità di un padre pio.

dismette i modi antichi di parlargli

e spiega ora dite padre nostro

e se la sbriga come mai si è visto,

che per scrivere al cielo è il giusto inchiostro.

Guido Oldani-inedito

Preti a Padova

Santuario ad Arenzano

Video spirituali di d. Giampaolo Centofanti

https://gpcentofanti.altervista.org/video-un-cammino-di-rinascita-spirituale-e-psicofisica/

Diocese of Kalookan, Filippine

https://youtube.com/channel/UCPFa90Oguv7zeX7qnJrstBw

Il Cittadino Genova

https://youtube.com/user/ilcittadinotv

La Croce quotidiano: Focalizzare il nucleo

http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/06/30/chiesa/unattenzione-chiave

Parrocchia Primavalle Roma

http://www.primavalle.org/

Guido Oldani, AUT AUT (XVI Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 10,38-42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.

Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.


Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

AUT AUT

maria e marta, consone sorelle,

la prima è lì che è dedita al messia

e l’altra suda come una padella.

chiedendo questa aiuto a sfaccendare

nella casa paterna che conforta,

maria per un attimo ha il rossore

poi lui proclama è giusto pure il fare

ma il bene è sempre il meglio che è migliore.

Guido oldani- inedito

Diocesi di Treviso

https://youtube.com/channel/UCsqlp4c1B5RhZI4otsaFnWQ

Santi quattro coronati

San Benedetto

Chiesa del Gesù, Roma

https://youtube.com/c/ChiesadelGes%C3%B9diRoma

Diocesi di Livorno

https://youtube.com/user/DiocesiLivorno

Mons. Dal Covolo, Sopra le rocce

A PROPOSITO DEL VOLUME

Assalto a quota 731 “Monastero” 

di Pier Luigi Villari

Anche questo mio breve intervento vuole essere un omaggio di stima e di amicizia all’instancabile Autore e Amico, il Cav. Dott. Pier Luigi Villari, “scrittore ormai famoso”, come già ho avuto modo di scrivere nella Prefazione del volume, “di numerosi libri di storia contemporanea, vergati con passione e con uno stile inconfondibile, che ha quasi del romanzesco, ma sempre con il supporto di una documentazione rigorosa, e in molti casi inedita”.

Tuttavia non è opportuno riportare qui le parole della Prefazione: si possono leggere comodamente alle pp. 10-11 dello stesso libro.

Preferisco intrattenermi su due figure eroiche di Confratelli Sacerdoti: precisamente sul Tenente Cappellano Don Stefano Ave, del 71mo Reggimento, Divisione di Fanteria “Puglie” (Schiavon, 1908 – Vicenza, 1982) e sul Tenente Cappellano Salvatore Fiore, del 14mo Reggimento Artiglieri da montagna della Divisione Fanteria “Ferrara” (Fondi, 1912 – Fondi, 1992).


1. 

Don Stefano Ave fu inviato in Albania come Cappellano militare ai primi di febbraio del 1941. Di stanza a Peje, nell’attuale Kosovo, il Cappellano era sempre al fianco dei militari italiani. Poté seguire così tutta la tragica e dolorosa vicenda dell’“Operazione Primavera”. Villari riporta la testimonianza di Gianni Pieropan, anch’egli reduce dal medesimo fronte, che scrisse un commovente opuscolo in “Ricordo di Mons. Stefano Ave, sacerdote e soldato”.

Quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi catturarono il Reggimento e lo trasferirono nel lager di Sonnenburg, don Ave – pur potendo essere esonerato come Cappellano da tale inumana prigionia – preferì restare con i suoi soldati, per continuare la propria opera di assistenza spirituale, sempre diffondendo serenità e buonumore, all’insegna della predicazione del Vangelo e della misericordia di Dio.

Dell’opera inesauribile di don Ave in più di cinque anni di servizio come Cappellano militare fanno fede le numerose testimonianze raccolte da Villari in varie lettere dei suoi ex-commilitoni.

Don Ave fu decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare, e coronò il suo ministero sacerdotale come parroco e canonico della Cattedrale di Vicenza (1956-1980). 

Due anni dopo egli concludeva la sua operosa giornata terrena, lasciando un ricordo indelebile in coloro che hanno potuto conoscerlo.



2.

L’altro Tenente Cappellano, di cui voglio fare memoria, è don Salvatore Fiore. 

Il 19 giugno 1940 fu inviato in Albania per prestare assistenza religiosa alle truppe impegnate sul fronte della Grecia e dei Balcani. La sua azione fu eroica e preziosa nell’incoraggiamento dei soldati, nel reperire cibo e vestiario, nel soccorrere i feriti, nel raccogliere i caduti, nel recuperare medicinali…

Venne catturato dai Tedeschi a Tirana, e soffrì per due lunghi anni una dura prigionia nei lager della Polonia e della Germania, dove in ogni caso continuò a esercitare il proprio ministero nei confronti degli altri prigionieri.

Liberato il 10 agosto 1945, svolse ancora prestigiosi servizi pastorali nell’Aeronautica Militare, ricevendo anche significativi riconoscimenti dalla Santa Sede,

Trascorse i suoi ultimi anni di vita a Fondi, dove era nato, al servizio dell’Arcivescovo di Gaeta, fino al 27 gennaio 1992, quando concluse la sua laboriosa vicenda terrena.

                                               ***

Sarebbero molti altri gli eroi che Villari con il suo libro ha inteso salvare da sicuro oblio, ma ho preferito limitarmi a questi due Confratelli, che con assoluta abnegazione e fede nel Signore hanno donato alla Patria anni preziosi della loro vita.

                                                                             + Enrico dal Covolo

                                     Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

Guido Oldani, Il contante (XV domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 10,25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

IL CONTANTE

pure lenin si chiese un dì “che fare”,

ovviamente ci prova anche il dottore

circa il prossimo, che non sa scoprire.

c’era un uomo che a gerico scendeva,

gli strappano la borsa e la salute,

pare una bici dopo incidentata

ed un prete di quella religione,

forse non vede essendo senza occhiali

poi un levìta fa orecchio da mercante

ma c’è di samarìa chi lo soccorre:

avendo cuore e offrendo il suo contante.

Guido Oldani inedito

Diocesi di Lamezia Terme

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Diocesi di Crema

https://youtube.com/c/PgcremaIt

Rivista Presbyteri

https://youtube.com/c/RivistaPresbyteri

Diocesi di Cremona

https://youtube.com/c/DiocesidiCremonaTv

Guido Oldani, Le pattuglie (XIV Domenica del Tempo ordinario, anno C)


Lc 10,1-12.17-20
 
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

LE PATTUGLIE

settantadue ne sceglie non migliaia

che a due a due vadano d’attorno

per spegnere le fiamme dell’inferno.

il loro benedire dà buon frutto

o torna come un boomerang felice

e la polvere cade sui fallaci

e l’agnello incombe sui serpenti

e il nome dei mandati è scritto in cielo,

mentre al demonio tremeranno i denti.

Guido Oldani- inedito

L’uomo di sabbia

Caravaggio tradito

Il sinodo visto da Gubbio

La Croce quotidiano caratteristiche

https://gpcentofanti.altervista.org/una-pista-mediatica-nuova/

La preghiera

Modena missioni

https://youtube.com/user/missiomodena

La via del cuore di Maria

https://gpcentofanti.altervista.org/chi-sono/

Guido Oldani, I seguaci (XIII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 9,51-62

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

I SEGUACI

gli si nega il villaggio in samaria,

sapendo che lui va a gerusalemme

ma rischiano gli arrivi un lanciafiamme.

sono tre i possibili seguaci

al primo dice un sasso è il mio guanciale,

poi all’altro, che il morto un morto intombi,

cita leonardo invece con il terzo:

“ non esita chi al cielo si è riverso”.

Guido Oldani- inedito

Manifesto del cuore di Gesù

https://gpcentofanti.altervista.org/manifesto-del-cuore-divino-e-umano-di-gesu-chiave-di-ogni-cosa/

Diocesi di Sulmona

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Psichiatria ed esorcismi: sul male di vivere

*© RADIO MARIA ITALIA* – Trasmissione *ESORCISTICA E PSICHIATRIA* del 21/06/2022, ore 21.00, dal titolo:_*IL MALE DI VIVERE. TRA DISTURBO PSICHICO  E DISORDINE DI VITA*_.Ideata e condotta dal *Dott. Valter Cascioli*. Al termine gli ascoltatori potranno intervenire in trasmissione con le loro domande.

Suor Maria Milena

Maria Cristiana in convento

Corpus Domini

Guido Oldani, I negozi (SS. Corpo e Sangue di Cristo, anno C)

Lc 9,11b-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».

Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.

Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.

Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.

Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

I NEGOZI

lui sana vari mali e spiega dio

poi quand’è sera, manca da mangiare

e un negozietto dista tante ore.

dice di farne gruppi da cinquanta

di gente; con due pesci e cinque pani

ha per fabbrica la benedizione,

che trasforma quei grammi in quintalate:

la notte ha molti cesti di derrate.

Guido Oldani- inedito

La preghiera

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Diocesi di Noto

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Diocesi di Albano

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Diocesi di Piacenza

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Diocesi di Torino

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Diocesi di Como

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Guido Oldani, La Trinità (Santissima Trinità, anno C)

Gv 16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.

Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.

Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

LA TRINITA’

è da sempre un palazzo di tre piani,

in cui il secondo lega il terzo al primo

e l’universo intero è un suo balcone.

chi L’ha ucciso è peggio dei tre chiodi

ma Lui pagato il prezzo, loro inclusi,

ritorna ad integrare l’edificio;

a noi balordi resta la sua pace

o evaporiamo, brodi sulla brace.

Guido Oldani- inedito

Diocesi di Terni, Narni, Amelia

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Ascolto degli oppressi

G. Cucci sj, Il senso di colpa

San Francesco, scritto autografo

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Pentecoste

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Diocesi di Albano

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Guido Oldani, Pane intero (Domenica di Pentecoste, anno C)

Gv 14, 15-16.23b-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

PANE INTERO

appena riunite le tre parti

del pane che dà senso all’universo,

scende quella che indica il da farsi.

è lo spirito, fiamma d’accendino

che va a infilarsi dentro di ciascuno

e le lingue diventano una sola

perché si chiuda in cielo questa storia

e il paraclito intanto è il promemoria.

Guido Oldani -inedito

Comunità Pastorale San Vittore

Sacro Cuore di Gesù

Visitazione di Maria

Dom Scicolone, santa messa a San Giovanni Rotondo

Mons. Dal Covolo, Le indulgenze sono “sorpassate”?

E’ ANCORA ATTUALE L’INDULGENZA?

La riflessione sulle indulgenze è delicata e complessa, specialmente se si vuole trattarne in estrema sintesi, come ci proponiamo di fare in questa sede.

Uno sguardo complessivo alla storia della Chiesa

Volendo semplificare al massimo, possiamo affermare che l’itinerario storico dell’indulgenza mette in luce un fatto inequivocabile. Nella coscienza della Chiesa si è fatta strada lungo i secoli, e in modo sempre più deciso, una persuasione di fondo: cioè che nell’ambito spirituale “tutto appartiene a tutti”.

    In questa prospettiva la testimonianza e l’intercessione dei martiri e dei confessori della fede, come pure le preghiere e le opere buone dei fedeli, appaiono autentiche “fonti di indulgenza”, perché alimentano quel tesoro di santità a cui la Chiesa attinge per distribuire l’indulgenza stessa.

    Di fatto, il cammino della fede e le molteplici esperienze di grazia del credente non possono mai essere considerati come una proprietà privata.

E’ indispensabile, a questo punto, un esplicito riferimento alla Costituzione apostolica di san Paolo VI sul senso e l’uso delle indulgenze nella Chiesa cattolica, la Indulgentiarum doctrina. Il documento, pubblicato il 1º gennaio 1967, rielabora, circa l’ordine e la coerenza, tutto il vasto campo della questione riguardante le indulgenze: non si occupa tanto di definire quali e quante siano le indulgenze concesse. Richiama piuttosto e chiarisce i fondamenti dottrinali delle indulgenze stesse. La Indulgentiarum doctrina è un documento decisamente breve, suddiviso in due parti: la prima parte contiene gli elementi dottrinali e una brevissima storia della pratica delle indulgenze, e si compone di 12 paragrafi; la seconda parte contiene 20 norme che regolano l’uso e la concessione delle indulgenze. Tra queste, la XIII afferma esplicitamente che l’Enchiridion indulgentiarum o il Manuale delle indulgenze sarà riveduto in modo che solamente le più importanti preghiere e opere di pietà, di carità e di penitenza siano indulgenziate. 

    Cosa che fu fatta ad opera della Penitenzieria Apostolica nel 1968. Nel 1999 ne è stata stampata la quarta edizione, con ulteriori adeguamenti. E’ doveroso il rimando a questo strumento magisteriale per un quadro autoritativo e completo circa l’elenco delle indulgenze plenarie e parziali e le condizioni richieste per ottenerle.

Una parola di Giovanni Paolo II, in occasione del Grande Giubileo del 2000 

Tra i fedeli, spiegava san Giovanni Paolo II, “si instaura un meraviglioso scambio di beni spirituali… Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di sofferenza sopportata, di purezza e di verità, che coinvolge e sostiene gli altri. È la realtà della ‘vicarietà’, sulla quale si fonda tutto il mistero di Cristo. Il suo amore sovrabbondante ci salva tutti. Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica… Tutto viene da Cristo, ma poiché noi apparteniamo a lui, anche ciò che è nostro diventa suo e acquista una forza che risana. Ecco che cosa si intende quando si parla del ‘tesoro della Chiesa’, che sono le opere buone dei santi. Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale e quindi aprirsi totalmente agli altri. Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per sé stesso. E la salutare preoccupazione per la salvezza della propria anima viene liberata dal timore e dall’egoismo, solo quando diviene preoccupazione anche per la salvezza dell’altro. È la realtà della comunione dei santi, il mistero della ‘realtà vicaria’, della preghiera come via di unione con Cristo e con i suoi santi. Egli ci prende con sé per tessere insieme a lui la candida veste della nuova umanità, la veste di bisso splendente della Sposa di Cristo” (Incarnationis Mysterium, 10).

La riflessione conclusiva di Joseph Ratzinger 

In definitiva – spiegava al riguardo l’allora cardinale Joseph Ratzinger parlando dell’indulgenza della Porziuncola – dobbiamo passare attraverso le tortuosità della storia e delle idee teologiche fino a ciò che è semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere, abbandonandoci, nella comunione dei santi, per cooperare insieme a loro all’eccedenza del bene nei confronti dell’apparente onnipotenza del male, sapendo che tutto in fin dei conti è grazia.

L’indulgenza nella Chiesa è sempre attuale 

Precisamente in questo senso l’indulgenza è sempre attuale. Essa spiana la strada a chi vuole ricominciare il suo amore con Dio.

    È possibile “bruciare il peccato” e lasciarsi alle spalle le cose di prima. 

È possibile ripartire per un nuovo tempo di grazia, che prepara e anticipa la liberazione definitiva.

                        + Enrico dal Covolo

                            Vescovo tit. di Eraclea

                Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

Dom Scicolone, Santa messa in televisione

Diocesi di Mantova

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Diocesi di Noto: Pasqua

La vocazione di Chiara

Suor Anita

Intervista a madre Ammutinato

Guido Oldani, Capolinea (Ascensione del Signore, anno C)

Lc 24,46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

CAPOLINEA

lo ammazzano, le facce senza volto

ma, anziché marcire nella tomba,

sta in giro che è fin bello da vedere.

e aspettano quell’altro, suo lui stesso,

quegli undici che avranno la potenza

ed egli sale come due ramponi

sulla parete dritta verticale,

che è un aspiratore verso il cielo,

intanto con le dita benedice

loro e chi è stato peggio di un pitale.

Guido Oldani- inedito

Madre A. M. Canopi

Seminario Anagni

Francescani a Castellaneta

Certosini

Eremo di Montecorona

Suor Ildebranda

Clarisse Monteluce Perugia

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Mons. Dal Covolo, Origene tra fede e scienza

ORIGENE TEOLOGO E “MISTICO”

La ricerca scientifica tra il XX e il XXI secolo

                                                                                  + Enrico dal Covolo

“E’ praticamente impossibile sopravvalutare Origene e la sua importanza nella storia del pensiero cristiano: il posto che gli compete è certo a fianco di Agostino e di Tommaso”.

1. Mi sono introdotto con le parole di Hans Urs von Balthasar, che – insieme ad altri – contribuì decisamente al cosiddetto ressourcement théologique del XX secolo, cioè a quel “ritorno alle fonti” teologiche, che avrebbe impresso una nota caratteristica decisa al Concilio Vaticano II. 

Tra queste sources von Balthasar, come i suoi confratelli Henri de Lubac e Jean Daniélou – giusto per fare qualche altro nome illustre –, intesero privilegiare Origene, la cui opera sopravvissuta potevano consultare quasi interamente negli Origenes Werke, prima ancora di avviare autonomamente nel 1942, insieme a Claude Mondésert, le celebri – e significative fin dal nome – Sources Chrétiennes

Di fatto, Origene con la sua opera – per la maggior parte perduta (si parla a ragione di un vero “naufragio” dei suoi scritti) – stabilì quel legame inscindibile fra teologia ed esegesi, che avrebbe segnato in maniera irreversibile l’intera teologia dei Padri.

La “svolta origeniana” corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nell’esegesi, o meglio alla perfetta simbiosi fra teologia ed esegesi: “Solo con Origene si giunge”, a dire di Manlio Simonetti, “all’interpretazione sistematica di libri interi della Scrittura o di larga parte di essi, e questo modo di insegnare”, cioè di fare teologia, “si sarebbe perpetuato nella scuola alessandrina. La conoscenza, ampia se ben lungi che completa, che abbiamo sia delle omelie sia dei commentari di Origene ci permette di conoscere a fondo il modo di insegnare, che s’identifica col suo modo d’interpretare la Scrittura, e anche i temi prediletti del suo insegnamento”.

2. Rimane, è vero, il De Princípiis, che si configura come una serie abbastanza organica di discussioni relative a fondamentali argomenti teologici (Dio, l’uomo, il mondo), affrontati in modo da approfondire razionalmente il dato di fede. Ma è altrettanto vero che proprio nel De Princípiis Origene teorizza l’esegesi spirituale della Bibbia come cardine della conoscenza di fede e della perfezione di vita.

In verità la “sigla” propria del “metodo teologico” di Origene sembra risiedere appunto nella sua incessante raccomandazione a trascorrere dalla lettera allo spirito (allegoria) delle Scritture per progredire nella conoscenza di Dio: e questo “allegorismo”, osservava ancora von Balthasar, “non è nient’altro che lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa; insegnamento che è, esso stesso, Scrittura in atto”.

3. Così caratterizzata, vale a dire in “profonda simbiosi” con la Scrittura, la “teologia dei Padri” affronta la crisi ariana e le grandi controversie trinitarie e cristologiche dei secoli IV-VII (dal concilio di Nicea al Costantinopolitano III del 680-681).

Soprattutto in questo periodo si assiste in teologia al laborioso passaggio dal kerygma biblico alla definizione dogmatica. E’ ben noto che le antiche formulazioni conciliari – lungi dal rappresentare una creazione teorica aprioristica – nascono dall’impegno del teologo e della sua comunità di fornire un punto di riferimento sicuro di fronte alla sollecitazione delle eresie di volta in volta emergenti. La definizione calcedonese, in particolare, segna il tornante di un’epoca, e rimane alla base delle speculazioni teologiche successive.

Così la rilevanza di queste controversie dottrinali (trinitarie e cristologiche) è decisiva nella storia della teologia, in Occidente non meno che in Oriente.

Occorre riconoscere tuttavia che gli interessi più profondi della teologia occidentale sono altrove.

    Radicate nell’atteggiamento pratico e nella mens giuridica del mondo latino, le Chiese dell’Occidente prediligono problemi e discussioni che noi assegneremmo piuttosto agli ambiti disciplinari dell’antropologia teologica, dell’ecclesiologia e della morale. Così i teologi latini giungono a cimentarsi – oltre che con le eresie trinitarie e cristologiche – anche con il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo.

Su questo triplice fronte si impone la figura di Agostino, uno dei massimi teologi di tutti i tempi. Ma non si può ignorare che Agostino, “discepolo di Ambrogio”, di fatto introdusse in Occidente porzioni cospicue, e soprattutto l’impostazione teologica,  della dottrina origeniana.

4. Mi è parsa opportuna questa introduzione per inquadrare storicamente la rilevanza di Origene nella storia della teologia. Essa rimane talmente importante, che ogni studio e approfondimento sul maestro alessandrino non può che risultare parziale, e questo giustifica la “sterminata bibliografia” che ne circonda la figura e l’opera lettararia.

Che io sappia, l’ultimo studioso che si è cimentato in una Bibliographique critique d’Origène è il mio maestro Henri Crouzel, scomparso nel 2003.

Ma la sua bibliografia si arresta agli anni ottanta del secolo scorso. Lo stesso Crouzel pubblicò nel 1985 il suo volume-compendio su Origene – ancora perfettamente utile –, che contiene in buona sostanza le lezioni che egli teneva all’Istituto Patristico “Augustinianum” di Roma.

5. Quali studi, strumenti e collane si sono aggiunti in questi ultimi decenni, a cavallo tra il secondo e il terzo millennio?

Lo ripeto. Si tratta di una “bibliografia sterminata”, per cui rinuncio in partenza ad elencare gli studi, anche i più importanti: con due rapide eccezioni, però, data la loro attualità.

5.1. Cito anzitutto un vero e proprio “manuale” su Origene, edito da Ronald E. Heine e da Karen Jo Torjesen: The Oxford Handbook of Origen, Oxford University Press 2022, 596 pp. I collaboratori sono trentun origenisti di varie nazioni, tra i più affermati e conosciuti.

5.2. L’altra pubblicazione è una tesi di dottorato della Marquette University (Milwakee, Wisconsin). La cito anche perché tocca uno dei punti più noti e discussi della dottrina origeniana, la questione dell’apocatastasi. Ne tratta diffusamente Lee W. Sytsma, Reconciling Universal Salvation and Freedom of Choice in Origen of Alexandria.  

6. Preferisco invece fermarmi sugli strumenti e sulle collane.

6.1. Uno strumento indispensabile è stato pubblicato all’inizio del nuovo millennio. Si tratta di Origene, Dizionario. La cultura, il pensiero, le opere, edito a nel 2000 a Roma da Città Nuova, a cura di Adele Monaci Castagno. Si tratta di 108 articoli, arricchiti da 129 lemmi di rimando. Gli argomenti più importanti della dottrina origeniana sono trattati in lucida sintesi, e accompagnati da una bibliografia essenziale. Per utilizzare al meglio questo strumento è necessario leggere con attenzione la Presentazione della Monaci Castagno (pp. V-VII), che è una vera e propria guida alla consultazione dell’opera.

6.2. Tra le collane, la più importante e utile per gli italiani (ma non solo) è quella intitolata Opere di Origene, edizione greco/latina-italiana a cura di Manlio Simonetti e di Lorenzo Perrone, edita a Roma da Città Nuova. Inizialmente preventivata in 21 volumi, essa è ancora in corso di pubblicazione, a partire dal primo, Omelie sulla Genesi, che è del 2003. Sono stati già pubblicati 17 volumi. Gli ultimi due usciti, che originariamente non erano previsti, sono curati da Lorenzo Perrone, e mettono – almeno in parte – a disposizione degli studiosi di lingua italiana la più recente scoperta di nuovi testi origeniani. Si tratta delle Omelie sui Salmi: Codex Monacensis Graecus 314. Vol. I: Omelie sui Salmi 15,36,67,73,74,75 (Opere di Origene 9, 3a), Roma 2020; Vol. II: Salmi 76,77,80,81 (Opere di Origene 9, 3b), Roma 2021. Entrambi i volumi sono – come d’abitudine nella collana – dotati di introduzione, testo critico riveduto, traduzione e note.

6.3. L’imponente impegno degli studiosi italiani nella ricerca origeniana ha un motivo ben preciso. Nel 1994, per iniziativa degli origenisti italiani, è sorto il “Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina” (Girota) che, fin dall’anno successivo, ha iniziato a pubblicare la rivista “Adamantius”, un’autentica miniera per la ricerca. Si tratta di un liber annuus, che nel 2020 ha raggiunto la pubblicazione del ventiseiesimo volume.

Alla rivista si accostano poi diverse importanti monografie, raccolte nella “Biblioteca” e nei “Supplementi” di “Adamantius”. 

6.4. Una collana particolare è quella dei volumi che raccolgono gli atti dei colloqui internazionali di studi origeniani, iniziati a Montserrat, in Spagna, nel 1973. Celebrati normalmente ogni quattro anni, essi sono ormai giunti nell’agosto scorso alla tredicesima edizione. I volumi degli atti, tuttavia, non costituiscono una vera e propria collana, in quanto sono pubblicati da editrici differenti.

7. Last, but not least, vorrei intrattenermi d’ora in poi su un’iniziativa scientifica che ha riscosso notevole successo nella promozione degli studi origeniani. Si tratta della Lectio origeniana tenuta a Roma dal 1996 al 2010. Promossa dalla Facoltà di Lettere dell’Università Salesiana in collaborazione con il Girota, essa fu energicamente sostenuta e accompagnata dal compianto prof. Manlio Simonetti.

Su tale iniziativa ha raccolto informazioni e osservazioni critiche dettagliate Lorenzo Perrone, in una conferenza tenuta presso l’Università Lateranense il 9 maggio 2011, e poi pubblicata nella rivista “Salesianum”.

7.1. La lectio ha prodotto i seguenti volumi, tutti editi dalla Biblioteca (e dalla Nuova Biblioteca) di Scienze Religiose della Libreria dell’Ateneo Salesiano di Roma. Per comodità, ne elenco qui i titoli, con l’anno di pubblicazione e il rispettivo numero nella Biblioteca: Mosè ci viene letto nella Chiesa, Lettura delle Omelie di Origene sulla Genesi, 1999, 153; Omelie su Geremia, 2001, 165; Omelie sull’Esodo, 2002, 174; Omelie sul Levitico, 2003, 181; Omelie sui Numeri, 2004, 186; Commento a Giovanni, 2006, 198;  Omelie su Giosuè, 2007, Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 5; Le parabole del Regno nel Commento a Matteo, 2009, Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 19; Omelie sul Vangelo di Luca, 2011, Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 28.

7.2. Vorrei ora scendere sul pieno pratico, e mostrare almeno un progresso, fra i tanti, che gli studi appena elencati hanno prodotto. Questo ci consentirà anche un approccio diretto all’esegesi origeniana.

Si tratta di un progresso raggiunto nel corso della «lettura pubblica» delle Omelie sui Numeri.

7.2.1. La XVII Omelia sui Numeri contiene una delle pagine più ispirate di tutta l’opera di Origene. “Anni fa”, scriveva al riguardo Manlio Simonetti, “si amava discutere se Origene, oltre che parlare di argomenti di mistica, avesse di fatto vissuto qualche esperienza di tal genere: questo passo, insieme con pochi altri, fa pensare che effettivamente egli l’ha avuta”. 

Ecco come inizia il passo in questione, nel quale Origene commenta il testo della benedizione di Balaam (“Come sono belle le tue case, Giacobbe, le tue tende, Israele”, Num 24,5): “Se ricercherai la differenza fra case e tende e la diversità fra Giacobbe e Israele”, avverte subito l’omileta, “si deve fare una certa distinzione. La casa è una realtà fondata e stabile, circoscritta da limiti precisi; invece le tende sono le abitazioni di coloro che sempre sono in via, sempre camminano, e non hanno trovato il termine del loro viaggio. Così Giacobbe è da vedersi come figura dei perfetti nelle azioni e nelle opere; Israele è da intendersi come coloro che si applicano alla sapienza e alla scienza”.

La superiorità del nome Israele rispetto a Giacobbe è per Origene un fatto assodato. A questo tema egli dedica buona parte della XV Omelia sulla Genesi. Tale superiorità è insita nella vicenda stessa del patriarca, che – Giacobbe di nome – venne chiamato Israele dopo la sua lotta notturna col personaggio sconosciuto (Gen 32,24-25), ed è ribadita dall’etimologia del nome Israele, interpretato comunemente come “colui che lotta con Dio”.

La novità è che qui, nella XVII Omelia sui Numeri, Origene fonda su questa una seconda superiorità. L’abitazione di Giacobbe è la casa, l’abitazione di Israele è la tenda: di conseguenza, dato che Israele è superiore a Giacobbe, la tenda è superiore alla casa.

Il fatto desta una certa sorpresa, anzitutto perché lo stesso Origene nella sua XIV Omelia sulla Genesi sembra teorizzare piuttosto la superiorità della casa sulla tenda, là dove afferma: “Dove c’è una tenda, anche se viene piantata, senza dubbio è destinata a essere disfatta; dove invece ci sono le fondamenta, e la casa è edificata sopra la roccia, questa casa non viene mai abbattuta, appunto perché è fondata sulla roccia”. In tale contesto, la casa è la Chiesa, e la roccia è Cristo. 

Nel nostro passo, invece, la tenda è connessa con Israele e la casa con Giacobbe, e – data la superiorità di Israele su Giacobbe – ne consegue anche la superiorità della tenda sulla casa.

Infatti, prosegue Origene, “di coloro che procedono per la via della sapienza di Dio, [Balaam] non loda le case – infatti non sono ancora giunti alla fine –, ma ammira le tende, nelle quali sempre camminano e sempre progrediscono, e quanto più progrediscono, tanto più per loro la via del progresso si allunga e procede verso l’infinito”. 

La metafora delle tende in progresso viene così a significare la dottrina più cara al maestro alessandrino, relativa all’inesausto cammino di perfezione – “di virtù in virtù” (Sl 83 [84],8) – da parte di chi coltiva la scienza delle Scritture, e rappresenta un’espressione fra le più suggestive della mistica origeniana.

7.2.2. A questa luce va interpretato il successivo sviluppo omiletico, nel quale Origene, seguendo alla lettera l’articolazione del testo biblico, confronta le tende di Israele con le tende che il Signore ha piantato (Num 24,6). “Forse”, osserva l’omileta, “un ascoltatore attento potrà stupirsi che il discorso faccia menzione come di due specie di tende. Infatti dice: ‘Come sono belle le tue case, o Giacobbe, le tue tende, o Israele! Come boschi ombrosi, come giardini su fiumi’; e di nuovo paragona tende a tende, e dice: ‘E come tende che il Signore ha piantato’.

Ci sono dunque altre tende, che il Signore ha piantato. Quali siano queste tende, è dato di comprenderlo soltanto nella visione dell’aldilà: “Bisogna dunque”, continua Origene, “che io progredisca oltre questo mondo, per vedere quali sono le tende che il Signore ha piantato”.

Il discorso prosegue con il riferimento ai primi apostoli, pescatori di mestiere, e a Paolo, fabbricatore di tende, e con l’applicazione della festa ebraica delle Tende (o dei Tabernacoli) al cammino individuale di perfezione. Così Origene riprende, e per certi aspetti conclude, il discorso da cui siamo partiti: “Quando, mediante le Scritture, l’anima progredisce e, dimenticando le cose che sono dietro di lei, sempre si protende a quelle che sono davanti (Fil 3,13-14), e avanzando da un punto inferiore cresce e progredisce a cose più elevate, per l’aumento delle virtù e la sua nuova condizione che deriva dal progresso, si dirà con ragione che abita sotto le tende… Se tu abiti in queste tende, ti sarà offerta la manna celeste e mangerai il pane degli angeli. Purché tu continuii e non ti spaventi, come abbiamo detto, la solitudine del deserto”.

7.2.3. Il senso mistico di questo “procedere per tende” viene ulteriormente ripreso e spiegato nella successiva Omelia XXVII sui Numeri, che commenta le varie mansioni (o tappe) di Israele nel deserto. 

Si tratta di un testo difficile, come osserva lo stesso Origene all’inizio dell’Omelia; e proprio per ricavarne il significato nascosto egli procede ad applicare le singole tappe al cammino individuale di perfezione. Per Origene infatti “queste sono le mansioni, e questi i tabernacoli… Comprendi dunque, se lo puoi, quali siano queste peregrinazioni dell’anima nelle quali, con gemito e dolore, essa piange, perché così lungo è il suo pellegrinaggio; però, fino a che essa è pellegrina, l’intelligenza di questa situazione è fievole e oscura; quando sarà ritornata al suo riposo, cioè alla sua patria, il Paradiso, essa sarà ben più veracemente illuminata, e comprenderà con maggiore verità quale sia stata la ragione del suo pellegrinaggio… Ma intanto l’anima è pellegrina, e fa strada, e fa mansioni, certamente per una ragione di utilità dispensata, mediante esse, dalla provvidenza di Dio… Queste dunque sono le mansioni attraverso le quali si fa strada dalla terra al cielo”.

Come si vede, l’Alessandrino svolge la sua esegesi a un duplice livello: quello mistico, fondato sul noto concetto di illuminazione (illuminatio, photismós); e quello morale, ritmato dal progresso (profectus, prokopé), dove il “procedere di tenda in tenda” dell’Omelia XVII risulta equiparato al procedere «di virtù in virtù» (Sl 83 [84],8), “fino a giungere all’ultimo, cioè al grado supremo delle virtù; fino ad attraversare il fiume di Dio, e a ricevere l’eredità promessa”.

Le varie tappe vengono poi spiegate ricorrendo sistematicamente all’interpretatio nominum, decodificandone cioè il senso riposto mediante una lettura etimologica. Ma a ben guardare, come osserva Antonio Cacciari nella sua esemplare lettura dell’Omelia XXVII, “l’approccio analitico basato sull’interpretatio nominum non rappresenta in realtà il punto d’arrivo finale nell’esegesi del lemma (qui, della singola ‘tappa’): esso non è bensì che un primo livello interpretativo, la cui funzione precipua, indispensabile seppure solo strumentale, consiste nell’aprire la strada ad altri – e più elevati – traguardi ermeneutici”.

E veramente ciò che sta a cuore a Origene è soprattutto l’esegesi morale, intimamente connessa con l’interpretazione mistica del testo biblico.

E’ precisamente questo il senso dell’improvvisa apostrofe, con cui Origene si rivolge a chi lo ascolta: “O mio viaggiatore (viator)” – così l’omileta apostrofa il lettore nel bel mezzo della sua interpretatio nominum – “considera con grande attenzione quale sia l’ordine dei progressi; dopo che avrai seppellito e consegnato alla morte la concupiscenza della carne, giungerai alla dilatazione degli atrii, giungerai alla beatitudine. Beata dunque l’anima che non è più oppressa da alcun vizio della carne”.

Riguardo infine al significato del termine viator, qui impiegato da Rufino, rimane suggestiva la comparazione proposta da Cacciari con lo hodoipóros del Commento a Giovanni 32,1: è certo che, secondo Origene, “viator per eccellenza è l’uomo nel suo percorso all’interno della Scrittura”.

7.2.4. Ecco perché nelle Omelie sui Numeri Origene sposa con decisione la tesi, a prima vista sorprendente, della superiorità delle “tende” sulle “case”.

Questa scelta si giustifica per il contesto specifico in cui essa è collocata, che riguarda appunto il cammino di perfezione nello studio delle Scritture (e coerentemente il progresso ascetico “di virtù in virtù”), inteso da Origene come unico itinerario adeguato per conseguire la scienza e la conoscenza (una conoscenza che è evidentemente di natura “mistica”, ulteriore e complementare rispetto a quella semplicemente razionale).

In tale contesto è evidente che la «tenda», intesa come abitazione dell’anima che progredisce nella scienza e nelle virtù, eccelle di gran lunga sulla «casa» e sul «tempio».

7.2.5. Allo stesso modo la «gerarchia della santità» eccelle sulla «gerarchia visibile».

E’ da notare che proprio nelle Omelie sui Numeri si rintracciano alcuni aspetti caratteristici della singolare “ecclesiologia” origeniana, che l’immagine della tenda suggestivamente adombra, Per esempio nella V Omelia, avventurandosi in un’ardita interpretazione del testo biblico (Num 4,7-9), l’Alessandrino legge in modo allegorico i vari elementi che costituiscono la “tenda del convegno”. A suo dire, ci sono in questa tenda “alcuni personaggi più elevati in merito e superiori nell’ordine della grazia”. Questi sono i re e i principi, che, spiega Origene nella XII Omelia della medesima raccolta, “possono togliere la terra dal pozzo delle Scritture, cioè rimuovere la superficie della lettera e far sgorgare dalla pietra interiore – dov’è il Cristo – i sensi spirituali come acqua viva”. E se “tutti quelli che reggono la Chiesa di Dio a diritto si chiamano re”, molto più giustamente ancora lo sono “quelli che con le loro parole e gli scritti reggono quegli stessi dai quali sono rette le Chiese”.

Così la “gerarchia della santità” – formata anzitutto da coloro che coltivano la scienza delle Scritture – eccelle sulla “gerarchia visibile”, come la “tenda” eccelle sulla “casa”.

Guido Oldani, La fotocopia (VI Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Gv 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.

Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

LA FOTOCOPIA

io vado e torno è bene lo sappiate

dal padre di cui sono il solo specchio

e andremo a lui che aspetta da parecchio.

ed il tertium non datur, lo smentisco,

lo spirito, di noi, è fotocopia,

farà da segnaletica al futuro

e intanto io vi lascio la mia pace

che vi rende possibile anche il volo

senza i chili dei bronzi di riace.

Guido Oldani- inedito

V. Cascioli, A immagine di Dio

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 17/05/2022, ore 21.00, dal titolo: CREATI AD IMMAGINE DI DIO..Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli.

Dom Scicolone, Messa da Padre Pio

Clarisse a Chieti

Fulvia in clausura

L. Bianchetti col papa

https://youtu.be/hHKrRByZYfU

Chiara Amirante, Spiritherapy

Santuario di Fatima

https://www.fatima.pt/it

Mons. Dal Covolo, Religione e scienza

RAPPORTO TRA SCIENZA E RELIGIONE

NEL BICENTENARIO DELLA SCOMPARSA DI PAOLO RUFFINI

(Valentano, 10 maggio 2022)

Il tema che mi è stato affidato, e che riguarda i rapporti tra la scienza e la religione, non è altro che un frammento di un campo di indagine ben più vasto, nel quale il nostro tema specifico si inserisce.

    Cosi trovo più adeguato – considerando la persona di Paolo Ruffini (1765-1822), eccellente e versatile scienziato cattolico: egli coltivò nella sua giovinezza l’ideale della vocazione ecclesiastica, e nel 1806 fu nominato socio dell’Accademia di Religione Cattolica di Roma –; trovo dunque adeguato riferirmi a un quadro d’insieme più ampio, che riguarda globalmente il rapporto tra fede e ragione.

1. Su questo tema ha scritto diffusamente Giovanni Paolo II, soprattutto in un’Enciclica che nel nostro contesto di ricerca non possiamo dimenticare. 

Essa si intitola appunto Fides et ratio, cioè Fede e ragione. L’Enciclica venne promulgata il 14 settembre 1998.

    “La fede e la ragione” – come del resto la scienza e la religione, così esordisce il testo dell’Enciclica – sono “le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità”.

    Così Papa Wojtyla sembra riprendere, fin dall’incipit della sua Enciclica, quello che possiamo definire il progetto fondamentale di Galileo Galilei, espresso nella formula lapidaria Veritatem inquirere

Tale espressione è precisamente un invito pressante a indagare nella ricerca della verità, e permette di conoscere più a fondo come ogni autore si è espresso, e addirittura che cosa è racchiuso in una formula matematica, come quelle, tra le più famose, del nostro Paolo Ruffini.

    Non a caso l’Enciclica di Giovanni Paolo II cita espressamente la lettera indirizzata da Galileo al padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613. Vi si legge che scienza e religione non possono mai opporsi, “procedendo di pari dal Verbo Divino, cioè dalla Scrittura sacra e dalla natura: quella – la Scrittura – come dettatura dello Spirito Santo; questa – la scienza – come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio” (n. 34, nota 29).

    2. Così scriveva Galileo Galilei. 

Da parte sua, nella Costituzione Veritatis Gaudium, promulgata l’8 dicembre 2017, il Papa Francesco invita ad assumere una formazione accademica garantita da “un impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma; anzi, verso una coraggiosa rivoluzione culturale” (n. 3).

    Siamo giunti così a un punto decisivo, che a mio parere rappresenta oggi il cuore delle relazioni tra la religione e la scienza, fra la teologia e la ragione.

    Il nodo cruciale è quello del dialogo – troppe volte disatteso, dai tempi dell’Illuminismo (e prima ancora), fino ad oggi –: precisamente il dialogo tra la scienza e la fede, come disatteso fu per troppo tempo il dialogo tra le religioni.

    E’ su questo punto – data anche l’attualità del tema – che vorrei concentrare ora il mio discorso, avviandomi già alla conclusione. 

3. In definitiva, parliamo del dialogo tra fede e ragione, parliamo del dialogo tra scienza e religioni, per promuovere l’annuncio della verità, che mai dovrà essere trascurato: ma un annuncio della verità che sia aperto alla conoscenza e all’amore. 

Nullum noscitur, quod non amatur, scriveva Agostino.

Senza una conoscenza amorosa dell’altro, la ragione e la scienza si ripiegano su loro stesse. Diventano degli idoli, e infine dei disvalori, che rinnegano l’identità autentica della persona umana. 

Dunque, dialogo e annuncio insieme – anche nella ricerca scientifica, pur rispettandone la sana laicità –: mai l’uno senza l’altro. Così è nella tradizione cristiana autentica, dai Padri apologisti, fino a Papa Francesco.

Riguardo all’annuncio della verità, mai disgiunto dal dialogo, riporto qui una citazione dell’Esortazione apostolica programmatica di Francesco, la Evangelii Gaudium, che fin dal titolo intende riagganciarsi all’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. 

In questa citazione di Francesco troviamo un rinnovato slancio nel dialogo tra la scienza e la religione, nell’annuncio del Vangelo. Vi si parla di una “Chiesa in uscita”, dunque di una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. La Chiesa vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: ‘Sarete beati se farete questo’ (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze” (n. 24).

4. E’ questo il cammino su cui si sta muovendo il dialogo tra fede, ragione, e l’annuncio nel Cristianesimo oggi.

Cosi all’analisi storica appare evidente che la scienza diventa luogo di scontro con la fede quando essa si chiude al dialogo, quando pone un’errata gerarchia di valori.

 Allora essa smette di essere vera scienza, e diventa un idolo. Si verifica una sorta di boomerang: la presunta scienza si ritorce contro sé stessa e contro l’uomo, asservendolo alle ideologie e alla violenza.

Così avviene per la religione (e così nella storia è avvenuto di fatto, anche per la religione cristiana): perché, se la religione è legame tra l’uomo e Dio, allora possiamo affermare con sicurezza che una presunta religione, quando rifiuta il dialogo, e predica e attua la violenza, non è una vera religione. 

Non esiste un dio violento, al quale l’uomo possa legarsi!

Se invece scienza e religione accolgono sinceramente i valori del dialogo e dell’amore, nella ricerca sincera e appassionata della verità, allora non possono essere luoghi di scontro. L’abbiamo sperimentato tragicamente nel secolo ventesimo, e ancora lo sperimentiamo oggi. Una ragione o una scienza che si avvitano su loro stesse, e fanno di sé la propria religione, costruiscono i mostri dei lager, dei gulag, degli stermini più abietti.

Ritengo che in questo orizzonte di idee vada affrontato – senza anacronismi di sorta – il tema del rapporto tra scienza e religione, percorrendo la medesima via di Paolo Ruffini, scienziato cattolico di altissimo valore. 

Solo così religione e scienza, fede e ragione potranno essere – quali devono essere – luoghi di incontro, e mai di scontro, tra generazioni e civiltà, “le due ali con cui lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” (Fides et ratio, cit.).

                                                                + Enrico dal Covolo  

Guido Oldani, Quel che conta (V Domenica di Pasqua, anno C)

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.

Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

QUEL CHE CONTA

è un libro chiuso giuda l’iscariota

si sa che il tempo è un fine di candela,

gesù col padre è una cosa sola.

come fanno a capire che miei siete?

sapranno che l’un l’altro voi vi amate,

proprio il contrario di ciò che vedete

e sembrerebbe roba da due soldi

ma conta più di bombe e corazzate.

Guido Oldani

Dipinto di San Francesco

Un articolo su Avvenire

https://gpcentofanti.altervista.org/domande-ad-avvenire/

Il Crocifisso che parlò a San Francesco

Supplica Madonna di Pompei

Dal minuto 11,53

Supplica Pompei

Messaggero di Sant’Antonio

https://youtube.com/c/MessaggerodisantAntonio

Fraternità San Francesco Stimmatizzato

https://youtube.com/channel/UCatjuQm4h4hwAd58mtRrYkQ

Diocesi di Chilaw

https://youtube.com/channel/UCGEims0LgaUZ_f0mRRIvQnA

Cattedrale di Verona, Youtube

https://youtube.com/c/CattedralediVerona

Telediocesi Toledo, Spagna

https://youtube.com/user/rtvdtoledo

Guido Oldani, Il Buon Pastore (IV Domenica di Pasqua, anno C)

Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.

Io e il Padre siamo una cosa sola».

IL BUONPASTORE

eccomi come una calamita

che attira i chiodi nuovi o arrugginiti

per un sempre che è più del mai avuto.

e ciò mi accade con voi altri agnelli

di cui conosco il fiato, voi il mio grido,

sapendo che io sono me ed il padre,

fra noi ci saranno gazze ladre

e del serpe a sonagli non mi fido.

Guido Oldani- inedito

La Voce del Popolo

https://youtube.com/user/vocemedia

Il cammino in sinodo nella Chiesa di Acireale

M. A. Crippa, La verità nuda

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/la-nuda-verita-negli-spazi-di-vita-dei-popoli-perche-distruggere-edifici-citta-territori/

G. Gario, Le cose taciute

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/la-rivoluzione-inavvertita/

Archdiocese of Kuala Lumpur

https://youtube.com/c/ArchklOrg

Roman Catholic Archdiocese of Singapore

https://youtube.com/c/CatholicSg

Guido Oldani, Pietro (III Domenica di Pasqua, anno C)

Gv 21,1-19

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

PIETRO

lui di pietra non è il convitato

né zavorra con cui la barca affonda,

ma invece della chiesa è il fondamento.

non pescano neppure una ciabatta

ma seguìto il consiglio del maestro

di pesci ne raccolgono un vagone

ma lo stesso non sfondano le reti

e il bilancio ne trae consolazione.

Guido Oldani-inedito

Archdiocese of Bombay

https://youtube.com/c/ArchdioceseofBombay

Santuario Santa Bonaria, Cagliari

https://youtube.com/channel/UCyPKo79_Q_wzLIioqaUMzfQ

Lo scapolare carmelitano

Santuario della Divina Misericordia

https://youtube.com/c/SantuariodellaDivinaMisericordiaChiesaSantoSpiritoinSassia

Diocesi di Livorno

Archdiocese of Benin City

https://youtube.com/channel/UC5Xb98M5ojZmJ0kU6rULLPQ

Nigeria

Sacred Heart Thrissur, India

Parrocchia Nostra Signora della Fiducia, Bologna

Guido Oldani, I buchi (II Domenica di Pasqua o Della Divina Misericordia, anno C)

Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

I BUCHI

temono anche per la loro pelle,

che chi fece ammazzare un innocente

si accanisca sopra i suoi aiutanti.

tommaso se non vede non ci crede,

presente quand’è il cristo che ritorna

mette le dita dentro le ferite

che sono picconate contro un muro,

e inginocchiato è il primo a dire dio

lui ch’era parso quasi un po’ un tamburo.

Guido Oldani- inedito

V. Cascioli, Demonio o demonopatia?

Foto da Don Giampaolo
© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 19/04/2022, ore 21.00, dal titolo:_ Demonio o demonopatia?_.Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli.Al termine gli ascoltatori potranno intervenire in trasmissione con le loro domande. Buon ascolto!

Diocesi di Catania

https://youtube.com/channel/UCehzFpiztxHg3TvyCvu9dZg

Diocesi Macerata, Lunedì dell’angelo

Mons. Dal Covolo, Buona Pasqua!

La morte non potrà mai vincere. Il Signore della pace muore e risorge per noi. Che sia per tutti la Pace del Risorto!

Buona e Santa Pasqua 2022!

Monastero Valserena, Sabato Santo

Scuola di preghiera

Basilica Thrissur

https://youtube.com/channel/UCPu0hj7UNY7uIxpV-uNPF7Q

Guido Oldani, Resurrezione (Domenica di Pasqua, Resurrezione del Signore)

Gv 20,1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.

Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.

Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 RESURREZIONE

sono due moto in mezzo ad una gara

giovanni e pietro, scendono giù in pista

e il più giovane in corsa passa in testa.

come una scatoletta di sardine,

la tomba vuota è priva di coperchio

e la banda del buco è sbeffeggiata,

la morte si sprofonda dentro a un secchio

e l’odio si riduce a una frittata.

Guido Oldani – inedito

Diocesi di Cremona

https://youtube.com/c/DiocesidiCremonaTv

Card. De Donatis, Ascolto

Santuario San Michele Arcangelo

https://youtube.com/channel/UCgqG8HI1HpuC9P6B-u4MlNw

Domenica delle Palme

Parrocchia Cologno al Serio

https://youtube.com/user/Parrocchiacologno

Famiglie Roma, una bella esperienza

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-03/incontro-mondiale-famiglie-vicariato-video-wmof-dicastero.html

Il Settimanale

https://youtube.com/c/IlSettimanaleDellaDiocesidiComo

Diocesi di San Sebastian, Spagna

https://youtube.com/c/Di%C3%B3cesisdeSanSebasti%C3%A1n

Mons. Dal Covolo per il Natale di Roma

LIBERTA’ RELIGIOSA E PRINCIPIO DI LAICITA’

Dai primi cristiani all’oggi della Chiesa

    1. Premessa

Entriamo in questa riflessione con molta cautela. Il tema che ci accingiamo ad affrontare, infatti, è delicato e complesso: potrebbe condurre a discussioni interminabili, e a un dibattito fin troppo acceso.

    A scanso di equivoci, preciso che il mio approccio è quello del teologo e dello storico della Chiesa antica. Del resto – come tutti sappiamo – la storia è “maestra di vita”, e il ricorso alla tradizione è imprescindibile per un corretto avvio della nostra ricerca.

2. Religio

Tentiamo anzitutto di precisare – quasi in forma di explicatio del termine – la nozione di religio. 

Dobbiamo riconoscere subito che il ricorso all’etimologia non è decisivo per la nostra indagine. Si tratta in effetti di un’etimologia controversa. Secondo alcuni, il vocabolo va connesso con religere/relegere (“raccogliere di nuovo”, “rileggere”); secondo altri, si riallaccia invece a religare (“riunire”, “legare”, “riannodare”). Ma è un fatto che, a prescindere dalla questione dell’etimo, il modo di intendere la religione nel mondo antico si accorda di più con l’orientazione semantica di religere/relegere, piuttosto che con quella di religare.

“Ricominciare una scelta già fatta (retractare, dice Cicerone), rivedere la decisione che ne risulta, tale è il senso proprio di religio. Indica una disposizione interiore, e non una proprietà oggettiva di certe cose, o un insieme di fede e di pratiche”: così afferma É. Benvéniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee. A suo dire, “religio è un’esitazione che trattiene, uno scrupolo, e non un sentimento che dirige verso un’azione, o che incita a praticare il culto”.

Così nell’età classica religio indica anzitutto un atteggiamento fatto di scrupoloso rispetto verso le istituzioni, ed è questo il senso che mantiene lungo il tragitto della latinità. In rapporto all’identità del cittadino, impegnato per la sua stessa sopravvivenza a conservare le istituzioni della polis, religio è ciò che dà loro forza, e ne garantisce la durata.

3. La tradizione classica

Depositario coerente di tali convinzioni è Costantino il Grande (+ 337). Come già Diocleziano e Galerio, e come tutti gli imperatori prima di loro, egli vede nella religione l’unica garanzia della prosperità dell’impero e della sua unità. Costantino però – a differenza dei suoi predecessori – si rese conto lucidamente che, per diversi motivi, la religio tradizionale non era più in grado di assolvere il suo compito, e che occorreva “sostituire” gli dei dell’Olimpo con il Deus Christianorum, senza però toccare minimamente il nodo saldo che univa tra loro religione e politica. In questa prospettiva si comprende come la “svolta costantiniana” sia nella realtà assai meno rivoluzionaria di quanto molto spesso si voglia credere, e si capisce anche il grave equivoco con cui la nuova religione venne accolta e riconosciuta fra le istituzioni dell’impero. Da Costantino, infatti, essa fu compresa anzitutto come un’etica: per lui, Gesù Cristo non era tanto il Logos, quanto piuttosto il Nomos, e la religione dei cristiani aveva essenzialmente lo scopo di propiziare, mediante un culto esatto, il favore della Divinità, senza la quale era impossibile la sopravvivenza e la prosperità dell’impero. La differenza è che – mentre prima il giusto culto della divinità sembrava esigere necessariamente la repressione della religione cristiana, non integrabile nel culto tradizionale – ora la Divinità da cui si attendeva protezione, l’unica capace di garantire l’unità e la durata dell’impero, era quella dei cristiani.

4. Il principio di laicità

A questo punto, è necessario richiamare la ben nota raccomandazione di non giudicare con gli occhi di oggi le realtà di ieri. Anche se – espressa in questo modo, la raccomandazione sembra paradossale (nessuno storico di oggi ha gli occhi di ieri!) – essa contiene tuttavia un’anima di verità. Mette in guardia, se non altro, dai troppo facili anacronismi. Giusto per fare un esempio, l’emotività antica del sentire religioso – che da sempre ha segnato, e continua segnare, il rapporto della persona con il Divino – solo con molte riserve può essere misurata con le moderne analisi della psiche, di cui oggi noi ci avvaliamo, grazie allo sviluppo delle scienze umane.

Pure il concetto di laicità va accostato con molta cautela. Il termine non ricorre formalmente nei testi patristici, anche se vi è presente nella sostanza. Essenzialmente, il termine laicità, e il principio che ne deriva, indicano un atteggiamento di rispetto delle realtà naturali, e un coerente rifiuto di sovrapporre ad esse un valore sacrale a quello loro proprio già in radice. 

Ma per quanto riguarda la politica (che è una realtà prettamente laicale, orientata al bene della società civile), il legame con la religione e con il sacro, sia tra i pagani, sia tra i cristiani dei primi secoli era praticamente indissolubile. Così uno sgarro nella religione poteva essere giudicato e punito come sedizione e rivolta contro l’istituzione civile. 

E veniamo al concetto di “libertà e di tolleranza religiosa”. Essa è di chiaro sapore illuministico. Per esempio, parlare di “tolleranza religiosa” – come la intendiamo noi oggi – ai tempi di sant’Ambrogio è un classico anacronismo.

Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è affrancata appieno dalla concezione di una “religione politica”, che affonda le sue radici nella cultura greco-romana (e prima ancora), e che è poi trascorsa nella Chiesa – più a lungo e saldamente nelle Chiese di Oriente – con la cosiddetta “svolta costantiniana”.

5. La “pretesa veritativa” del Vangelo

Un’altra osservazione, collegata con la precedente, induce ad affermare che il vero scontro tra le religioni – che fu segnato da momenti di grave tensione e violenza, anche da parte cristiana – trova il suo fondamento nella questione della vera religio e nella “pretesa veritativa” del Vangelo: Ego sum via et veritas et vita, ha detto Gesù (Gv 14,6). 

6. La “svolta conciliare”

Ma ci sono voluti duemila anni prima che la Chiesa riuscisse a superare le ambiguità della cosiddetta “svolta costantiniana” e ad interpretare correttamente l’affermazione evangelica: Ego (cioè: Solo Io) sum via et veritas et vita. Vale a dire, quell’affermazione a cui si contrapponeva inesorabilmente il celebra aforisma di Simmaco: Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum.

Al riguardo, mi limito a citare il Discorso di san Paolo VI all’Organizzazione delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), alla vigilia ormai della celebre Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa che – ormai alla conclusione del Concilio stesso – sanciva in maniera irreversibile il nuovo cammino della Chiesa. Una conferma recente e autorevole è rappresentata dal Documento sulla Fratellanza umana firmato dal Papa Francesco e dal Gran Imam il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. Il Documento è scritto “in nome di Dio, che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace”. 

Insieme alla sollecitudine sincera per il dialogo con le nazioni del mondo e le loro religioni, nel suo Discorso alla Nazioni Unite Paolo VI non volle comunque rinunciare all’esplicito annuncio di Cristo, pur rispettando la laicità dell’istituzione. Anche nel profondo rispetto della “sana laicità” dei valori intramondani, a Paolo VI urgeva pur sempre richiamare l’Assoluto, la pienezza del bene. I Padri della Chiesa, a lui tanto cari, parlerebbero a questo proposito dei “semi” del Verbo di verità, sparsi in qualunque cosa vi sia di buono e di autenticamente umano. Ma solo il Verbo di verità – Gesù Cristo Signore – porta a maturazione questi medesimi “semi”, che lo Spirito sparge nel mondo.

    Così nel suo Discorso alle Nazioni Unite il Papa concludeva con un chiaro annuncio: “L’edificio della moderna civiltà”, affermò con decisione, “deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono che fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo? Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini”.

7. Siamo giunti così a un punto decisivo 

In ogni suo intervento, Paolo VI – che pure ha sempre dichiarato il suo rispetto profondo, sinceramente aperto al dialogo, verso i non credenti e verso i credenti di altre religioni, verso gli Ebrei e i fratelli cristiani separati – non ha mai cessato di mettere al centro dei vari cerchi del dialogo (ecco perché “concentrici”) l’annuncio di Gesù Cristo e della sua Chiesa.

    Si deve parlare anzi del cristocentrismo – non certo di un preteso, quanto errato, “ecclesiocentrismo” – di Paolo VI. La parola di sant’Ambrogio risuonava sempre nella mente e nel cuore di questo Arcivescovo di Milano, divenuto Papa e santo: Omnia Christus est nobis!

    “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo!” – egli avrebbe confessato, con accenti appassionati, il 29 novembre 1970 a Manila, nel corso di un altro viaggio emblematico del dialogo con credenti e non credenti –. “Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Gesù, il Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra!”.

    Inseguendo la spiritualità del cuore di Papa    Montini, nella linea giovannea e agostiniana della sua dottrina, possiamo affermare che la vera conoscenza viene dalla fede e dall’amore; invece, quando la ragione si avvita su sé stessa, non è più in grado di approdare alla percezione del mistero.

    Questa affermazione – che ho appena fatto, e che riecheggia intenzionalmente il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI – trova un anticipo ricco di significati nelle parole, che ora cito, di un grande amico ed estimatore di Paolo VI, mons. Pietro Rossano. Lo ricordo, anche perché egli fu tra i miei predecessori nella guida dell’Università Lateranense. Queste parole hanno un sapore indubbiamente “montiniano”: “Solo la conoscenza accompagnata da affetto – affermava Rossano – raggiunge la verità; la parola senza amore è menzogna. E’ questo il mio principio per il dialogo con le religioni”. 

Nullum noscitur, quod non amatur, affermava Agostino. Non c’è amore senza conoscenza, né conoscenza senza amore.

    Ecco: la centralità affettuosa – senza proselitismo alcuno – di Cristo, Parola del Dio vivente, ha illuminato costantemente la vita e l’insegnamento di Paolo VI, in piena consonanza con il magistero conciliare: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, dichiara la Costituzione Gaudium et Spes; e prosegue, poco più avanti: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (n. 22). 

E mons. Rossano – un biblista attento, che i vicini e i lontani chiamavano con ammirazione, e forse con una punta di invidia, Monsignor Dialogo – aggiungeva ancora: “I valori esterni della cultura sfumano in un silenzio, che sarebbe infinito e mortale, se non ci fosse la Parola di Dio”, anche quando essa è collocata “nel chiaroscuro in cui la contiene la Bibbia”. 

“Gesù Cristo!”, proseguiva da parte sua Paolo VI a Manila, “tu sei il rivelatore del Dio invisibile, tu sei la via, la verità, la vita!”.

    Immersi nel chiaroscuro dell’esistenza terrena, noi restiamo pur sempre di fronte all’interrogativo cruciale, posto duemila anni fa dallo stesso Gesù di Nazaret: “Voi, chi dite che io sia?”.

    La risposta a questa domanda – la risposta che stava nel cuore di Paolo VI, mentre svolgeva il suo dialogo con l’Assemblea delle Nazioni Unite – la conosciamo molto bene. E’ la risposta definitiva dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.

8. Dialogo e annuncio insieme

Dunque, dialogo e annuncio insieme, non l’uno senza l’altro. Così è nella tradizione cristiana autentica, dai Padri apologisti, fino a Papa Francesco.

Riguardo all’annuncio, mai disgiunto dal dialogo, riporto qui una citazione dell’Esortazione apostolica programmatica di Francesco, la Evangelii Gaudium, che fin dal titolo intende riagganciarsi all’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. 

In questa citazione di Francesco troviamo un rinnovato slancio nel dialogo con il mondo e con le religioni, e nell’annuncio del Vangelo. Vi si parla di una “Chiesa in uscita”, dunque di una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: ‘Sarete beati se farete questo’ (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze” (24).

9. Conclusione

In definitiva, è questo il cammino – costantemente ribadito da Papa Francesco nei suoi viaggi apostolici, che sembrano allargare i “cerchi del dialogo” di Paolo VI – su cui si stanno muovendo il dialogo e l’annuncio nel Cristianesimo di oggi.

Cosi all’analisi storica appare evidente che la religione diventa luogo di scontro quando essa si chiude al dialogo, quando pone un’errata gerarchia di valori. Allora essa smette di essere vera religione, e diventa un idolo. Si verifica una sorta di boomerang: la presunta religione si ritorce contro sé stessa e contro l’uomo, asservendolo alle ideologie e alla violenza. Perché, se la religione è legame tra l’uomo e Dio, allora possiamo affermare con sicurezza che una presunta religione, quando predica e attua la violenza, non è una vera religione. Non esiste un dio violento, al quale l’uomo possa legarsi!

Se invece la religione accoglie sinceramente i valori del dialogo e dell’amore, allora non può essere luogo di scontro. L’abbiamo sperimentato tragicamente nel secolo ventesimo, e ancora lo sperimentiamo oggi. Una ragione che si avvita su sé stessa, e fa di sé la propria religione, costruisce i mostri dei lager, dei gulag, degli stermini più abietti.

Ritengo che in questo orizzonte di idee vadano affrontati – senza anacronismi di sorta – il tema della libertà religiosa e il principio di laicità.  

Solo così la religione potrà essere – quale deve essere – luogo di incontro, e mai di scontro, tra generazioni e civiltà.

                                                            + Enrico dal Covolo  

Diocesi di Padova, Missioni

https://youtube.com/c/CentroMissionarioDiocesanoPadova

Guido Oldani, Morto per me (Domenica delle Palme, Passione del Signore, anno C)

MORTO PER ME

e la tivù, che è noto ha grande fiuto

insieme alla più parte dei giornali,

direbbe che gesù si è suicidato.

a giuda gli hanno dato un tirchio soldo

poi ricevuto indietro in pieno naso

quindi battono il santo come un chiodo

e mentre crepa stanno fuori scena

che a ucciderlo è bene sia un romano,

ma fanno i loro conti senza l’oste

che Lui è il volo eterno deltaplano.

Guido Oldani- inedito

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca

Lc 22,14-23,56

– Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione.Quando venne l’ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio».- Fate questo in memoria di me.

Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».

– Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito.

«Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo.

– Io sto in mezzo a voi come colui che serve.

E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele.

– Tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli.

Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».

– Deve compiersi in me questa parola della Scrittura.

Poi disse loro: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento ». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!».

– Entrato nella lotta pregava più intensamente.

Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».

– Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?

Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate! Basta così!». E, toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre».

questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

– Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?

E intanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?». E molte altre cose dicevano contro di lui, insultandolo.

– Lo condussero davanti al loro Sinedrio.

Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro Sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi». Rispose loro: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio». Allora tutti dissero: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono». E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».

– Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna.

Tutta l’assemblea si alzò; lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.

– Erode con i suoi soldati insulta Gesù.

Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.

– Pilato abbandona Gesù alla loro volontà.

Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.

– Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me.

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.

– Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.

– Costui è il re dei Giudei.

Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

– Oggi con me sarai nel paradiso.

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

– Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.

– Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa.

Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

– Giuseppe pone il corpo di Gesù in un sepolcro scavato nella roccia.

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatèa, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

Diocesi di Gizo, Isole Salomone

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Diocesi di Kimberley, Sudafrica

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Diocesi di Osogbo, Nigeria

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Arcidiocesi di Bombei

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Guido Oldani, Il tirassegno (V Domenica di Quaresima, anno C)

Gv 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Il TIRASSEGNO

l’adultera, ( il complice è protetto)

è presa come fosse un tirassegno

che il sasso, senza costo, rompe il cranio.

Lui scrive con un dito il niente al suolo,

perché adatto agli interlocutori

e umilmente i giudici feroci

se la svignano, quasi andando in pace,

amici come al golgota le croci.

Guido Oldani- inedito

Parrocchia S. Marcellina e San Giuseppe (Mi)

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D. Zucchelli, Religioni e nuove questioni etiche

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/issr-milano-le-religioni-di-fronte-alle-sfide-etiche-ecologiche-e-sociali-del-nuovo-millennio/

Una bella omelia di mons. Dal Covolo

Sua Eccellenza Reverendissima, Mons. Enrico Dal Covolo

Omelia pronunciata a Nole il 25 settembre 2021
in occasione del 250º anniversario di dedicazione
della Chiesa Parrocchiale di San Vincenzo Martire

Miei cari fratelli e care sorelle, con gioia e letizia celebriamo oggi la riedificazione del campanile e la benedizione del battistero di questa chiesa: bella, antica e veneranda. È come se si ripetesse oggi, esattamente a duecentocinquant’anni di distanza, quella grande festa del 25 settembre 1771, quando l’Arcivescovo di Torino fece l’inaugurazione, o meglio, tecnicamente parlando: la dedicazione di questa stessa chiesa.

Conosco bene la tragedia che vi ha colpito quindici anni fa nel mese di novembre del 2006, quando l’antico campanile seicentesco crollò distruggendo parte della chiesa e il Battistero. Non vi furono vittime, grazie a Dio e certamente grazie anche all’intercessione potente dei vostri Santi patroni, i martiri San Vincenzo e San Vito, ma anche il Venerabile Giuseppe Picco. Ex allievo di Lanzo Torinese, il Padre Picco era uno dei ragazzi di Don Bosco, il mio fondatore, colui del quale l’oratorio porta il nome – è vero o no? Certo! Perché ve l’ho visto scritto anche… bello! Preghiamo dunque perché Don Bosco vegli sui nostri ragazzi e sui giovani di questa comunità e ne faccia degli onesti cittadini e dei buoni cristiani, proprio come lui voleva.

Però, carissimi, non è di questo che voglio parlarvi adesso, perché, voi lo sapete, l’omelia non è una commemorazione: è una conversazione, ecco! In greco, omelia significa proprio questo: conversazione; una conversazione semplice e possibilmente breve – come vi augurate tutti voi, no? che sia breve – sulle letture che abbiamo appena sentito. Esse ci propongono una riflessione sul Tempio, cioè sul luogo del culto.

In ogni religione il luogo del culto è chiaramente collegato con la presenza di Dio. Nella religione greco-romana, il tempio veniva indicato proprio come l’abitazione materiale della divinità e a questo serviva la cella interna al tempio. Invece, nella rivelazione cristiana, dall’Antico al Nuovo Testamento, assistiamo a una decisa relativizzazione del tempio. La presenza di Dio, infatti, non è né locale, né materiale e non può essere rinchiusa in un ambiente fisico. Lo riconosce con chiarezza Salomone nella bella preghiera che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Egli aveva costruito con grande devozione per quarantasei anni il tempio di Gerusalemme, glorioso e bellissimo. Il Salomone confessa: «Signore, Dio di Israele, i cieli non ti possono contenere; tanto meno questa casa che io ti ho costruito». Da parte loro, i profeti dell’Antico Testamento non cessano di ripetere che Dio non abita materialmente in un ambiente fisico, piuttosto Egli abita spiritualmente in un popolo fedele: nel popolo dei fedeli, nel santo popolo di Dio. Ma la venuta di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, inaugura una novità assoluta nella presenza di Dio in mezzo al suo popolo: dal vecchio Tempio entriamo nel nuovo Tempio, e questo nuovo Tempio è Gesù Cristo stesso, Lui in persona. Lo abbiamo sentito nel Vangelo di oggi, Gesù parla di se stesso come del vero Tempio, che è il suo Corpo. E il Corpo di Cristo, risorto dopo tre giorni, continua a rimanere in mezzo noi sacramentalmente, cioè nel segno visibile e nel mistero invisibile, attraverso la Chiesa che vive dell’Eucarestia.

Il Tempio di pietra, che noi veneriamo come la casa del Signore, per esempio questo bellissimo tempio di belle pietre rinnovate (in parte), intanto ha valore in quanto custodisce il Corpo di Gesù Cristo, anzitutto, l’Eucarestia. Ma anche quando l’Eucarestia non fosse custodita in una chiesa, essa accoglie i fedeli, cioè noi stessi che siamo la chiesa, ed è sempre il Corpo di Cristo che viene accolto. Noi, cari, proprio noi siamo le pietre vive che edificano la Chiesa! Ce lo ha ricordato San Paolo apostolo nella seconda lettura di oggi.

Facciamo adesso un ultimo passo, andando oltre le letture della Messa. Dopo l’Antico e dopo il Nuovo Testamento, vengono i padri della Chiesa, cioè coloro che ci hanno insegnato a leggere le scritture e che hanno fondato la dottrina in cui crediamo. I nostri padri, in particolare Orìgene di Alessandria (siamo nel terzo secolo) insistono sul fatto che le mura del tempio non devono e non possono fermare il cammino dei fedeli verso la santità. La santità non può essere rinchiusa in queste mura: che brutto sarebbe se uno frequentasse, sì, la messa alla domenica, quei quarantacinque minuti, ma poi dopo la sua vita non camminasse nella santità!

Il tempio è la casa del Signore, è la casa della Chiesa, e in questo risiede la sua altissima dignità, ma è una casa in movimento, un po’ come una tenda, diceva Orìgene, che si sposta continuamente verso il tempio definitivo, sempre più in alto verso la Santa Gerusalemme che tutti ci attende.

Ecco, questa Chiesa è in movimento e, guardandovi, io penso proprio che la Santa Gerusalemme oggi è scesa dal cielo ed è qui; da qui noi dobbiamo ripartire per questo santo viaggio. Così, le comunità cristiane che si ritrovano a pregare nelle varie chiese del mondo devono sentirsi sempre in pellegrinaggio: sono pellegrine! Etimologicamente il termine parrocchia si spiega proprio così: non abbiamo qui una casa, una abitazione permanente, ma camminiamo verso la patria definitiva, quella dei santi che ci hanno preceduto. I muri delle chiese non sono certo costruiti per fermare il cammino della santità, al contrario, fedeli e comunità sono chiamati a progredire senza fermarsi mai. Solo al termine di questo cammino si realizzerà l’incontro definitivo con il Signore Gesù, quel Volto tanto amato, l’unico vero Tempio che tutti ci attende. Veneriamo e amiamo dunque questo Tempio, mettiamoci ogni giorno in cammino verso la santità come pietre vive e pellegrinanti di questa bella chiesa parrocchiale che oggi, nuovamente, in un certo senso, inauguriamo.

Mons. Dal Covolo, La famiglia e l’amore

Questa non è una prefazione alla pregevole monografia di Victor Bangwe. Non ho la competenza per entrare nello specifico della materia da lui trattata.

Pertanto non scrivo come esperto di problemi di catechesi famigliare. Svolgerò semplicemente qualche osservazione sul matrimonio e sulla famiglia, come può farlo un pastore della Chiesa cattolica, che – come salesiano – si è pure occupato di educazione e di catechesi, ma – come studioso – ha coltivato prevalentemente le discipline della Chiesa antica.

1. Così comincio proponendo un testo illustre e venerando. 

“Chi mai” – scriveva Tertulliano diciotto secoli fa – “chi mai sarà all’altezza di descrivere la felicità di un matrimonio che la Chiesa consacra, l’Eucarestia conferma, la benedizione sigilla, gli angeli acclamano e il Padre approva? Com’è bello il giogo che unisce due credenti che hanno un’unica speranza, uno stesso desiderio, una medesima regola di vita, una stessa volontà di servizio! Non c’è nessuna separazione tra loro, né di carne né di spirito. Sono veramente ‘due in una carne sola’. Ma dove c’è una sola carne, lì c’è anche un solo spirito: insieme infatti pregano, si istruiscono a vicenda, a vicenda si esortano e si sostengono. Insieme alla Chiesa di Dio, insieme alla Mensa del Signore, insieme nelle difficoltà, insieme nella gioia. A vedere e a sentire queste cose, Cristo ne gode e manda ad essi la sua pace. Là dove sono i due, là c’è anche lui” (Tertulliano, Alla moglie 2,8).

2. A ben guardare, è veramente tutto qui: per leggere il matrimonio alla luce della fede, per educare i giovani al matrimonio e alla famiglia, è indispensabile imparare il gusto di intrattenersi con Lui, il grande amico degli sposi cristiani. Parlare, pregare insieme a Lui, ascoltare la sua Parola, fare intimità con Lui in famiglia. E’ necessario accostarsi spesso ai sacramenti: l’eucarestia, la riconciliazione, i poveri da amare e da aiutare…

Uno non può dare ciò che non ha. Se gli sposi non sono pieni di quell’amore autentico, che viene da Dio – che è Dio – come potranno educare i figli nell’amore?

E quando questo amore c’è, allora capitano i miracoli. Anche i più lontani ne restano contagiati.

3. C’è un’antica ballata irlandese, che canta così: “Se ogni uomo gettasse un fiore sul cammino del suo prossimo, le strade del mondo sarebbero piene di gioia”.

Gli sposi cristiani, costruendo la loro famiglia, gettano sulle strade del mondo il fiore più bello, che si chiama amore. Questa è la missione santa, che il Signore affida alle famiglie: ed esse devono chiedere che ogni giorno il Signore faccia nuovo l’amore – nonostante qualsiasi problema e difficoltà –, così come tanti anni fa Gesù fece nuovo il vino a Cana di Galilea, in una festa di nozze.

4. Sono partito da uno scrittore antico della Chiesa. 

Concludo ora con le parole di un Padre dei nostri giorni, innamorato della famiglia. Nella sua Lettera alle famiglie san Giovanni Paolo II ha lasciato scritto così: “Coniugi e famiglie di tutto il mondo, con voi è lo Sposo! Proprio voi, cari padri e madri, siete i primi testimoni e ministri di una nuova nascita dallo Spirito Santo. Voi, che generate i vostri figli per la patria terrena, non dimenticate che al tempo stesso li generate per Dio… La Santa Famiglia, icona e modello di ogni famiglia umana, aiuti ciascuno a camminare nello spirito di Nazaret; aiuti ogni nucleo familiare ad approfondire la propria missione civile ed ecclesiale mediante l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera fraterna e la condivisione di vita…”.

“Con questi sentimenti” – conclude il Papa, e così concludo anch’io – “benedico ogni famiglia nel nome della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo” (nn. 22-23).

                        + Enrico dal Covolo

Vescovo tit. di Eraclea

Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche

    Roma, Pasqua di Resurrezione 2022.

Sacred Heart Latin Catholic Church Thrissur

https://youtube.com/channel/UChB5pf0BhWcVUddWlSxintw

Messa a San Carlo, Trento

Diocesi di Livorno

https://youtube.com/channel/UClxZ9YWVdZ_OW0NKSHqBLYw

Il figliol prodigo e la consacrazione

Buongiorno. Dio ci ama e capisce il cammino di ciascuno ben al di là degli schemi, ci aiuta a comprendere la nostra storia perché ognuno ha bisogno dei propri percorsi. San Paolo era un persecutore, Sant’Agostino un donnaiolo, San Francesco voleva fare l’eroe in guerra … Senza l’esperienza umana e al momento giusto la grazia non possiamo fare nulla. Tutti questi santi dicono: cercavo la vita dove e come potevo poi la vita mi ha portato a scoprire che Dio mi aiuta al momento giusto a trovare il bandolo della matassa, non vuole che faccia il bravo meccanicamente. Dio fa crescere gradualmente e con serenità.

Il commento al vangelo del figliol prodigo che sarà proclamato domenica 27 marzo: https://youtu.be/2YHvVX-jk8M

Venerdì 25 marzo al santuario ci sarà la recita dell’Atto di consacrazione al link qui sotto che a san Pietro in altra ora preghera’ anche il papa.

Ecco il PROGRAMMA CELEBRAZIONI al Divino Amore PER LA

SOLENNITA’ DELL’ANNUNCIAZIONE

             25 marzo 2022

ORE 12,00: S. Messa solenne al Nuovo Santuario con il rinnovo dei voti e delle promesse dei Sacerdoti e Oblati laici Figli della Madonna del Divino Amore (OFMDA) e delle suore Figlie della Madonna del Divino Amore (FMDA), presieduta da Sua Eminenza il Cardinale Angelo De Donatis, Vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma.

ORE 16:00: Via Crucis (Antico Santuario)

ORE 17:00 Solenne Atto di Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria presieduto dal Cardinale Enrico Feroci, rettore-parroco (Antico Santuario; segue Santa Messa)

ORE 19:00 S. Messa solenne (Nuovo Santuario)

Preghiamo tanto un caro saluto a tutti, d Giampaolo

25 marzo: Preghiera di consacrazione della Russia, dell’Ucraina e del mondo al Cuore Immacolato di Maria

25 marzo 2022 Atto di consacrazione della Russia, dell’Ucraina e del mondo a Maria presieduto da papa Francesco

O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, noi, in quest’ora di tribolazione, ricorriamo a te. Tu sei Madre, ci ami e ci conosci: niente ti è nascosto di quanto abbiamo a cuore. Madre di misericordia, tante volte abbiamo sperimentato la tua provvidente tenerezza, la tua presenza che riporta la pace, perché tu sempre ci guidi a Gesù, Principe della pace.

Ma noi abbiamo smarrito la via della pace. Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli e le speranze dei giovani. Ci siamo ammalati di avidità, ci siamo rinchiusi in interessi nazionalisti, ci siamo lasciati inaridire dall’indifferenza e paralizzare dall’egoismo. Abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi, dimenticandoci che siamo custodi del nostro prossimo e della stessa casa comune. Abbiamo dilaniato con la guerra il giardino della Terra, abbiamo ferito con il peccato il cuore del Padre nostro, che ci vuole fratelli e sorelle. Siamo diventati indifferenti a tutti e a tutto, fuorché a noi stessi. E con vergogna diciamo: perdonaci, Signore!

Nella miseria del peccato, nelle nostre fatiche e fragilità, nel mistero d’iniquità del male e della guerra, tu, Madre santa, ci ricordi che Dio non ci abbandona, ma continua a guardarci con amore, desideroso di perdonarci e rialzarci. È Lui che ci ha donato te e ha posto nel tuo Cuore immacolato un rifugio per la Chiesa e per l’umanità. Per bontà divina sei con noi e anche nei tornanti più angusti della storia ci conduci con tenerezza.

Ricorriamo dunque a te, bussiamo alla porta del tuo Cuore noi, i tuoi cari figli che in ogni tempo non ti stanchi di visitare e invitare alla conversione. In quest’ora buia vieni a soccorrerci e consolarci. Ripeti a ciascuno di noi: “Non sono forse qui io, che sono tua Madre?” Tu sai come sciogliere i grovigli del nostro cuore e i nodi del nostro tempo. Riponiamo la nostra fiducia in te. Siamo certi che tu, specialmente nel momento della prova, non disprezzi le nostre suppliche e vieni in nostro aiuto.

Così hai fatto a Cana di Galilea, quando hai affrettato l’ora dell’intervento di Gesù e hai introdotto il suo primo segno nel mondo. Quando la festa si era tramutata in tristezza gli hai detto: «Non hanno vino» (Gv 2,3). Ripetilo ancora a Dio, o Madre, perché oggi abbiamo esaurito il vino della speranza, si è dileguata la gioia, si è annacquata la fraternità. Abbiamo smarrito l’umanità, abbiamo sciupato la pace. Siamo diventati capaci di ogni violenza e distruzione. Abbiamo urgente bisogno del tuo intervento materno.

Accogli dunque, o Madre, questa nostra supplica.

Tu, stella del mare, non lasciarci naufragare nella tempesta della guerra.

Tu, arca della nuova alleanza, ispira progetti e vie di riconciliazione.

Tu, “terra del Cielo”, riporta la concordia di Dio nel mondo.

Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono.

Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare.

Regina del Rosario, ridesta in noi il bisogno di pregare e di amare.

Regina della famiglia umana, mostra ai popoli la via della fraternità.

Regina della pace, ottieni al mondo la pace.

Il tuo pianto, o Madre, smuova i nostri cuori induriti. Le lacrime che per noi hai versato facciano rifiorire questa valle che il nostro odio ha prosciugato. E mentre il rumore delle armi non tace, la tua preghiera ci disponga alla pace. Le tue mani materne accarezzino quanti soffrono e fuggono sotto il peso delle bombe. Il tuo abbraccio materno consoli quanti sono costretti a lasciare le loro case e il loro Paese. Il tuo Cuore addolorato ci muova a compassione e ci sospinga ad aprire le porte e a prenderci cura dell’umanità ferita e scartata.

Santa Madre di Dio, mentre stavi sotto la croce, Gesù, vedendo il discepolo accanto a te, ti ha detto: «Ecco tuo figlio» (Gv 19,26): così ti ha affidato ciascuno di noi. Poi al discepolo, a ognuno di noi, ha detto: «Ecco tua madre» (v. 27). Madre, desideriamo adesso accoglierti nella nostra vita e nella nostra storia. In quest’ora l’umanità, sfinita e stravolta, sta sotto la croce con te. E ha bisogno di affidarsi a te, di consacrarsi a Cristo attraverso di te. Il popolo ucraino e il popolo russo, che ti venerano con amore, ricorrono a te, mentre il tuo Cuore palpita per loro e per tutti i popoli falcidiati dalla guerra, dalla fame, dall’ingiustizia e dalla miseria.

Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina. Accogli questo nostro atto che compiamo con fiducia e amore, fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace. Il sì scaturito dal tuo Cuore aprì le porte della storia al Principe della pace; confidiamo che ancora, per mezzo del tuo Cuore, la pace verrà. A te dunque consacriamo l’avvenire dell’intera famiglia umana, le necessità e le attese dei popoli, le angosce e le speranze del mondo.

Attraverso di te si riversi sulla Terra la divina Misericordia e il dolce battito della pace torni a scandire le nostre giornate. Donna del sì, su cui è disceso lo Spirito Santo, riporta tra noi l’armonia di Dio. Disseta l’aridità del nostro cuore, tu che “sei di speranza fontana vivace”. Hai tessuto l’umanità a Gesù, fa’ di noi degli artigiani di comunione. Hai camminato sulle nostre strade, guidaci sui sentieri della pace. Amen.

Poesie su La Croce

http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2022/03/21/societa/il-canto-del-gallo-e-la-globalizzazione

Guido Oldani, I capricci (IV Domenica di Quaresima, Laetare, anno C)

Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

I CAPRICCI

il cocco di papà fa i suoi capricci

e ha sperperato quello che non suda

e torna perché il babbo poi provveda.

tutto gli accade come da copione

pure se suo fratello arrugginisce

ma padre e figlio è chiodo e calamita,

fortuna che il vangelo ha in sé il perdono

ed il vitello grasso dà la vita.

Guido Oldani- inedito

Santuario San Giuseppe da Leonessa

https://youtube.com/channel/UCjHHoXWWrDHB_7F-GkyXXbQ

Diocesi di Pisa, Catechismo

https://youtube.com/c/UfficioCatechisticoPisa

Don Dolindo Ruotolo

Parrocchia San Giuseppe, Cagliari

https://youtube.com/channel/UC5SiPfiKG1y4QPTVXCs1X2A

Figlie di San Paolo

https://youtube.com/c/FSPSicom

Piacenza diocesi tv

https://youtube.com/c/piacenzadiocesitv

Parrocchia Sant’Ugo, Roma

https://youtube.com/c/ParrocchiaSantUgo

Papa consacra Russia e Ucraina al cuore immacolato di Maria

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-03/papa-francesco-25-marzo-consacrazione-russia-ucraina-cuore-maria.html

V. Cascioli, Esorcistica e psichiatria, Il menzognero

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 15/03/2022, ore 21.00, dal titolo: Omicida fin da principio e padre della menzogna. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Al termine gli ascoltatori potranno intervenire in trasmissione con le loro domande. Buon ascolto!

Guido Oldani, La marmellata (III Domenica di Quaresima, anno C)

Lc 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

LA MARMELLATA

alcuni, fatti fuori da pilato

o estinti dalle due torri gemelle,

non hanno colpe più di chi è scampato.

ciò detto, c’era un fico buono a nulla

che in tre anni non dà la marmellata

e il padrone lo vuole per la stufa

ma il contadino con il cuore mite,

gli zappa intorno e mette del concime,

che la speranza è un pacco di sublime.

Guido Oldani-inedito

Commento a Limes

https://gpcentofanti.altervista.org/risposta-a-lucio-caracciolo/

Al Divino Amore per la pace

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-03/de-donatis-pace-pellegrinaggio-notturno-divino-amore.html

Guido Oldani, Lucissima (II Domenica di Quaresima, anno C)

Lc 9,28b-36

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».

Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

LUCISSIMA

viaggia su e giù, sono montagne russe,

giostra che fa paura ma è sicura,

porta con sé quei tre, gli vanno a presso.

lui sta coi due apparsigli d’accanto

e mischia bianco e luce in un tutt’uno

e il suo candore gli si trasfigura,

poi pietro dice qui noi ci accampiamo

ma una nave di nubi li travolge,

dio afferma: sono il tronco lui il mio ramo.

Guido oldani- inedito

Card. Brandmuller sul sinodo tedesco

https://www.ncregister.com/blog/cardinal-brandmueller-quo-vadis-germania

Carmelitani scalzi

https://youtube.com/channel/UC2J5ZL0ycOY0qBSTCLX_NGQ

Comunità pastorale Renate Verduggio

https://youtube.com/c/CPRenateVeduggio

Importante discorso del card. Parolin

http://ilsismografo.blogspot.com/2022/03/vaticano-parolin-ce-un-arretramento.html?m=1

Vaticano per un network di cattolici

https://www.ilgiornale.it/news/politica/vaticano-scende-campo-ecco-compatta-i-laici-2015769.html

Russia ed internet

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.money.it/Disconnessione-da-Internet-globale-piano-Russia&ved=2ahUKEwifl5uaoLT2AhUvg_0HHQO8D7AQFnoECAQQAQ&usg=AOvVaw2t7S_zQ2m698AT6p7ENGei

F. Giansoldati: Patriarca di Mosca sulla guerra

Kirill descrive un mondo marcato dal consumo eccessivo e da una apparente libertà — In Ucraina è in corso una guerra giusta – dal punto di vista morale – che serve per proteggere la regione del Donbass che da anni è attaccata dalle forze del male, da una specie di Anticristo che avanza e oscura i valori tradizionali cristiani. Dietro le quinte di tutto questo si muove potente la lobby gay. Il Patriarca di Mosca, Kirill ha manifestato oggi – in un discorso pubblico apparso sul sito ufficiale-  questa visione apocalittica. Da una parte le forze del male, e dall’altra le forze del bene. Egli  ha rilevato di come nel Donbass la gente (a maggioranza russofona) rifiuti «i cosiddetti valori di chi rivendica il potere mondiale».
Kirill descrive un mondo marcato dal consumo eccessivo e da una apparente libertà. «La prova è molto semplice e allo stesso tempo terrificante: si tratta di una sfilata dell’orgoglio gay. La richiesta di organizzare una sfilata dell’orgoglio gay è una prova di fedeltà a quel mondo molto potente; e sappiamo che se le persone o i paesi rifiutano queste richieste, non fanno parte di quel mondo, ne diventano alieni».
Il Patriarca di Mosca rincara poi la dose e afferma che «per entrare nel club di quei paesi bisogna fare una parata dell’orgoglio gay (…) Si tratta quindi di imporre con la forza il peccato che è condannato dalla legge di Dio, il che significa imporre con la forza la negazione di Dio e della sua verità alle persone».
La visione manichea del Patriarcato di Mosca è racchiusa in un programma ben preciso e teso a salvare un popolo dallo smarrimento morale. «Si tratta della salvezza umana, di dove l’umanità si troverà alla destra o alla sinistra di Dio Salvatore, che viene nel mondo come giudice e creatore. Molti oggi, per debolezza, stoltezza, ignoranza, e più spesso perché non vogliono resistere, vanno al lato sinistro. E tutto ciò che ha a che fare con la giustificazione del peccato condannato nella Bibbia è la prova della nostra fedeltà al Signore, della nostra capacità di confessare la fede nel nostro Salvatore».
Per il patriarca tradizionalmente legato a doppio filo con Putin, si tratta di una lotta ultraterrena. «Se vediamo violazioni della legge morale è chiaro che non sopporteremo mai coloro che la distruggono, cancellando la linea tra santità e peccato, e soprattutto coloro che sostengono il peccato come modello o modello di comportamento umano». Infine, nel discorso, un breve passaggio è riservato alla pace: «Allo stesso tempo dobbiamo pregare che la pace arrivi il più presto possibile, che il sangue dei nostri fratelli e sorelle cessi di scorrere, che il Signore dia la sua grazia alla terra di Donbas, che da otto anni porta l’impronta dolorosa del peccato e dell’odio umano».
Per ironia della sorte le parole di Kirill arrivano nello stesso giorno in cui il Papa all’Angelus – misurando tutto il suo senso di impotenza – ha lanciato un appello per fare tutto il possibile e riportare la pace tra ucraini e russi, probabilmente ormai consapevole che gli spazi di manovra del Vaticano come facilitatore tra le parti si sono praticamente ridotti a niente, stritolati dagli eventi che si sono intrecciati rapidi in questi giorni. Del resto con Israele in campo, la Cina in parallelo e per giunta il rapporto ingombrante con il patriarca russo Kirill, notoriamente legato al Cremlino che continua a ripetere che bisogna sostenere i soldati russi impegnati a difendere l’Occidente dalle degenerazioni maligne, c’è ormai da chiedere che tipo di ‘facilitazione’ potrebbe esercitare Francesco.
Così mentre il Papa all’Angelus urlava: «basta guerra e’ una pazzia», Il Patriarca russo Kirill aveva appena concluso il suo discorso apocalittico. All’Angelus il Papa ha anche annunciato di avere già mandato in Ucraina due cardinali, l’elemosiniere polacco Konrad Kraiewski e il gesuita canadese Czerny. Al momento però pare che ad oggi nessuno dei due sia ancora partito come ha fatto notare il sito para vaticano Il Sismografo. 
Fonte: Il Messaggero

Rupnik, storia della fede

Diocesi di Lodi

https://youtube.com/c/MultimediaDiLo

Mons. Ricciardi, Quaresima e sinodo

Emergenza Ucraina?

https://www.google.com/amp/s/www.ilgiorno.it/cronaca/stato-emergenza-italia-1.7418158/amp

Card. Muller, Lettera al papa su S. Ireneo e risposta

http://ilsismografo.blogspot.com/2022/03/vaticano-lettera-del-card-gerhard.html?m=1

Mons. Dal Covolo, Papa Luciani verso gli altari

LUCIANI IN CAMMINO VERSO GLI ALTARI

                                                                                        + Enrico dal Covolo, S.D.B.

    1. L’inchiesta informativa diocesana: i primi inizi del Processo canonico e le sue motivazioni

Gli inizi dell’inchiesta diocesana sull’eroicità della vita e delle virtù e sulla fama di santità di Giovanni Paolo I sono intimamente collegati con il ministero episcopale di Mons. Vincenzo Savio, Vescovo della Diocesi di Belluno-Feltre dal 9 dicembre 2000 (entrò in Diocesi il 18 febbraio 2001) fino al giorno della sua morte, avvenuta il 31 marzo 2004.

L’8 giugno 2003, solennità di Pentecoste, Mons. Savio comunicava alla Diocesi di aver ottenuto dal Vicario di Roma, card. Camillo Ruini, “una risposta gioiosamente affermativa” di fronte alla sua richiesta di trasferire da Roma a Belluno la sede del Processo diocesano per la beatificazione e la canonizzazione di Albino Luciani: in linea di principio, infatti, il tribunale diocesano competente avrebbe dovuto essere quello di Roma, dove era avvenuta la morte del Servo di Dio.

In quell’occasione Mons. Savio spiegò i motivi che l’avevano condotto a formulare la sua richiesta: Albino Luciani aveva vissuto la sua infanzia, la formazione seminaristica, il suo servizio presbiterale e di vicario generale nella Diocesi (che allora si chiamava “di Feltre e Belluno”) fino all’età di 46 anni; e i suoi impegni da Vescovo non lo avevano allontanato dalla terra veneta se non per i 33 giorni del suo pontificato. Affiancavano queste motivazioni, a dire di Mons. Savio, “la possibilità di vivere una più opportuna riflessione sulla santità ordinaria a cui ci richiama la lettera programmatica del Papa Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte; di approfondire il contesto di fede familiare e paesano in cui Albino Luciani era cresciuto; di capire la particolarità della formazione dei seminari di Feltre e di Belluno, da cui uscirono in quegli anni figure di spicco, in particolare padre Felice Cappello e padre Romano Bottegal, che costituiscono con papa Luciani una terna luminosa di preti avviati agli onori dell’altare e della testimonianza di santità per il mondo”.

Ci furono anche altre ragioni che spinsero il Vescovo Savio ad avviare il Processo di papa Luciani?

Pare di sì. Se ne trova traccia nella lettera da lui indirizzata al neoeletto Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, con la quale il Vescovo giustificava la richiesta del Postulatore della Causa nella persona stessa del Postulatore dei Salesiani (“I Francescani”, scriveva tra l’altro Mons. Savio, “hanno offerto il Postulatore per Papa Giovanni; i Gesuiti per Pio XII e per Paolo VI. Come Salesiano, mi sarebbe quanto mai gradito affidare alla nostra Congregazione la Causa di Giovanni Paolo I”).

Ecco il passaggio più significativo della sua richiesta al Rettor Maggiore: “Mi hanno indotto a questo passo”, cioè ad introdurre la Causa, “le oltre 300.000 (trecentomila) firme di petizione che ci sono pervenute, unitamente alla richiesta solidale di tutto l’Episcopato brasiliano. A questo va aggiunta l’urgenza di coordinare il pullulare di iniziative disparate, promosse in tutto il mondo da sedicenti devoti e promotori della Causa di beatificazione di papa Luciani”.

2. La sessione di apertura

Ottenuto in data 17 giugno 2003 il “nulla osta” della Congregazione per le Cause dei Santi, Mons. Savio poté aprire ufficialmente il Processo nella Cattedrale di San Martino, il 23 novembre dello stesso anno.

Attore della Causa era il “Centro di Spiritualità e Cultura ‘Papa Luciani’ di Santa Giustina Bellunese” (il cui Legale Rappresentante è il Vescovo diocesano); Postulatore era don Pasquale Liberatore, Postulatore generale per le Cause dei santi della Famiglia Salesiana (come si è visto, il Vescovo Savio, da buon Salesiano, aveva chiesto al Rettor Maggiore di “poter usufruire del Postulatore” dei Salesiani); vice-Postulatore mons. Giorgio Lise, Direttore del “Centro Papa Luciani”.

Ma prima di quel 23 novembre, quando il Processo venne solennemente aperto alla presenza del card. Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, erano ormai intervenute due tristi novità. Anzitutto era morto improvvisamente don Pasquale Liberatore, che aveva preparato con grande sollecitudine la documentazione necessaria per l’inizio dell’inchiesta diocesana. Aveva dedicato le ultime ore di vita a predisporre il formulario per l’interrogatorio dei testimoni da udire nel Processo. Con il tavolo dell’ufficio ancora ingombro di queste carte, si era ritirato nella sua camera nel primo pomeriggio del 30 ottobre. Solo all’indomani ci si accorse che era spirato serenamente. Aveva stampato sul volto lo stesso sorriso di papa Luciani.

In secondo luogo il Vescovo Mons. Savio, fin dall’autunno del 2002, aveva annunciato alla Diocesi di essere colpito da una grave malattia, un tumore, che di fatto l’avrebbe condotto alla fine della vita nel marzo 2004.

3. L’andamento del Processo diocesano

Eppure, nonostante i dolorosi lutti di cui abbiamo fatto cenno, l’andamento del Processo non subì rallentamenti di sorta.

Uno dei primi atti di Mons. Giuseppe Andrich, Amministratore Diocesano alla morte di Mons. Savio, e poi suo successore come Vescovo, fu quello di nominare il nuovo Postulatore nella mia persona (29 aprile 2004). 

Dal 9 dicembre 2003, infatti, avevo preso il posto di don Pasquale Liberatore nella Postulazione della Famiglia Salesiana. A mia volta, confermai don Giorgio Lise nel suo incarico di vice-Postulatore.

Come si sa, l’inchiesta diocesana si compie soprattutto in due momenti: l’audizione dei testimoni, citati in apposite sedute del tribunale, e il lavoro della commissione storica, che alla fine deve presentare una relazione di sintesi con l’elenco degli archivi visitati, la lista degli scritti e dei documenti raccolti, e gli stessi scritti e documenti in originale o in copia autenticata.

Nel caso specifico, sia nella citazione dei testimoni sia nel lavoro della commissione storica, si è tenuto conto delle varie sedi attraversate da Albino Luciani nella sua vita, e in modo particolare delle Diocesi di Feltre e Belluno, di Vittorio Veneto (dove Luciani fu Vescovo dal 1958 al 1969), del Patriarcato di Venezia (dove egli fu Pastore fino al 1978) e della Sede petrina, negli ultimi 33 giorni della sua vita.

A Roma venni personalmente autorizzato a consultare l’Archivio Segreto Vaticano e quello della Congregazione per i Vescovi.

Siccome il lavoro dei due organismi, cioè del tribunale e della commissione storica, era parso ormai a buon punto, il Vescovo mons. Andrich, d’accordo con i suoi Collaboratori, decise di concludere l’inchiesta diocesana nel giorno della festa della Chiesa cattedrale, dedicata a san Martino di Tours (precisamente nei primi Vespri, e dunque nella serata del 10 novembre 2006).

4. I passi ulteriori, e la cessazione del mio incarico di Postulatore

Come si sa, nel momento stesso della conclusione del Processo diocesano i relativi Atti (il cosiddetto transunto) vengono trasferiti a Roma, presso la Congregazione per le Cause dei Santi, che è chiamata anzitutto a dare “validità canonica” agli Atti stessi, riconoscendone il corretto svolgimento.

La “validità canonica” degli Atti venne concessa dal card. J.A. Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in tempi brevi, il 13 giugno 2008.

Sulla base di questi Atti, riconosciuti “validi”, si iniziò a preparare la cosiddetta positio, cioè il dossier che deve dimostrare definitivamente l’eroicità della vita e delle virtù, nonché la fama di santità del Servo di Dio. A positio conclusa e consegnata, succedono essenzialmente due sessioni di esame: il Congresso peculiare dei Consultori teologi, e la Congregazione ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi.

A questo punto il Santo Padre, in una speciale udienza concessa al Cardinale Prefetto della stessa Congregazione, interviene a riconoscere e a confermare l’eroicità della vita e delle virtù, nonché la fama di santità del Servo di Dio, che assume ormai il titolo di “Venerabile”.

Ho potuto seguire queste fasi del Processo fino al 16 ottobre 2015, quando – come Postulatore della Causa – subentrò al mio posto il card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione del Clero, che proprio da Albino Luciani era stato ordinato sacerdote.

Nel frattempo, avevo potuto consegnare al card. Angelo Amato, Prefetto delle Cause dei Santi dopo il card. Saraiva Martins, il primo volume della Positio, che – al completo – risultò poi di cinque volumi. Occorre ringraziare per questo la dott.ssa Stefania Falasca, che io stesso avevo scelto come mia preziosa Collaboratrice.

Al termine delle imponenti indagini del caso, l’8 novembre 2017 il Papa Francesco sancì il Decreto sulla eroicità della vita e delle virtù di Papa Luciani, attribuendogli il titolo di Venerabile.

Infine, il 13 ottobre 2021 lo stesso Papa Francesco riconobbe la validità di un miracolo attribuito all’intercessione di Albino Luciani, spalancandone così la strada della beatificazione.

5. Un’eleganza della Provvidenza

Chi scrive queste note è nativo di Feltre: è dunque originario della stessa Diocesi di papa Luciani.

Bisogna dire di più. Il mio zio, fratello del mio papà, è Mons. Antonio dal Covolo (1912-1993), ben noto al clero di Belluno-Feltre, perché fu preside del Seminario Gregoriano di Belluno e docente di Teologia morale (più tardi si sarebbe trasferito a Roma, per insegnare nell’Università Lateranense), nei medesimi anni in cui don Albino Luciani, suo coetaneo, era vicario generale della Diocesi.

Ricordo che, quando ero bambino, spesso don Albino veniva a casa della nonna, donna Maria, dove abitava Mons. Antonio, in piazza di Santa Croce a Belluno. Vi si intratteneva con tanta cordialità, occasionalmente giocando a dama e a scacchi con i nipotini che venivano a trovare la nonna, lo zio e il suo Confratello don Albino.

“Tutto si tiene”, mi viene da dire a questo proposito, citando Il Santo Papa Giovanni Paolo II. Sono stato per otto anni Rettore dell’Università Lateranense 2010-2018, dove ha insegnato il mio zio Mons. Antonio.

Sono attualmente (dal 2018) Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche; ma non potrò mai dimenticare quell’umile sacerdote, don Albino, che – quasi come un salesiano – sapeva giocare con i miei fratelli e con me.

                                                                                 + Enrico dal Covolo, S.D.B.

Guido Oldani, Tentacoli (I domenica di Quaresima, anno C)

Lc 4,1-13

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo.

Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame.

Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane».

Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».

Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».

Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».

Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

TENTACOLI

il deserto è come una padella

che frigge se distesa sulla brace

dove lui sa la guerra, poi la pace.

arriva il protettore dell’usura

che è la radice d’ogni tentazione

allora lo sopporta, non lo impicca,

lo scaccia per la prossima occasione.

Guidlo Oldani- inedito

Tele Dehon

https://youtube.com/user/teledehon

Mons. Fragnelli, Mercoledì delle ceneri

Testimonianza su don Ricci del card. Scola

Mons. Dal Covolo, Omelia per la Messa del mercoledì delle ceneri

Omelia per la Santa Messa delle Ceneri

Roma, Università Pontificia Salesiana, 2 marzo 2022

Cari fratelli e sorelle,

l’austero Rito delle Ceneri, e le parole severe che l’accompagnano: «Convertitevi, e credete al Vangelo!», inaugurano l’itinerario della Quaresima, vale a dire i quaranta giorni di penitenza, che ci conducono al solenne Triduo Pasquale.

  1. La Quaresima trascorre così tra due segni formidabili: la cenere sul capo, oggi; e l’acqua sopra i piedi, al termine della Quaresima stessa, nella celebrazione del Giovedì santo.

Dalla testa ai piedi. Di per sé è un percorso breve: se uno è alto, ma proprio alto, è un metro e novanta, difficilmente di più. Per me, che sono piccolino, bastano centosettanta centimetri.

Eppure, il cammino di conversione della Quaresima è talmente lungo e impegnativo, che non bastano quaranta giorni: ci vuole tutta una vita.

Occorre convertire “la testa”, e proprio per questo le imponiamo le Ceneri. Bisogna far capire alla nostra povera testa che l’acqua versata sui piedi è la cosa più importante di tutte: che il servizio degli altri, così come ha fatto Gesù, è il vero senso della vita.

Bisogna far morire l’egoismo nel nostro modo di pensare (ecco, di nuovo la cenere sul capo); solo così potremo accogliere, come rivolta a noi, la profezia di Gesù a Maria, quella donna che a Betania, un giorno, gli lavò e gli profumò i piedi: «Hai fatto questo per la risurrezione».

Sì, cari fratelli e sorelle, ecco il senso profondo della Quaresima: quaranta giorni per morire e poi risorgere! Morire a noi stessi, al nostro egoismo; e risorgere poi alla vita nuova dell’amore.

2.    «La Quaresima», scrive da parte sua il Papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima 2022, «ci invita alla conversione, a cambiare mentalità, così che la vita abbia la sua verità e bellezza non tanto nell’avere, quanto nel donare, non tanto nell’accumulare, quanto nel seminare il bene e nel condividere». 

E’ questo, in buona sostanza, il pressante invito che viene a noi dalle Letture di oggi. Esse ci richiamano con forza le tre parole-chiave della Quaresima: le opere della carità, la preghiera, il digiuno. Con questo ordine Matteo le illustra, nel brano del Discorso della montagna che abbiamo appena ascoltato; e insieme ci spiega che cosa dobbiamo fare per metterle in pratica in modo corretto.

L’Apostolo Paolo ci avverte: «Ecco ora il tempo favorevole; ecco ora il giorno della salvezza!».

Perché, come abbiamo letto nel Libro del profeta Gioele, il Signore oggi si rivolge a ciascuno di noi, in tono accorato, e ci invita: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti… Ritornate al Signore, vostro Dio: egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, e grande nell’amore!». 

3.     Anche il Messaggio del Papa per la Quaresima torna sulle tre parole-chiave che abbiamo incontrato in Matteo, anche se non nel medesimo ordine. Lo fa in tre densi paragrafi, così intitolati: anzitutto, «non stanchiamoci di pregare»; in secondo luogo, «non stanchiamoci di estirpare il male dalla nostra vita. Il digiuno corporale, a cui ci chiama la Quaresima, fortifichi il nostro combattimento contro il peccato»; infine, «non stanchiamoci di fare il bene nella carità operosa verso il prossimo». 

4.     Carissimi, come vi dicevo prima, per questi impegni non bastano i quaranta giorni della Quaresima. Ci vuole un impegno più alto di due metri di statura! Ci vuole una crescita che accompagna la vita intera!

Però in questi quaranta giorni siamo invitati a realizzare un “concentrato” di questo impegno. E questo “concentrato” di impegno siamo chiamati a realizzarlo nella nostra Università, a livello personale e comunitario.

        «La Vergine Maria, che custodiva tutte le cose confrontandole nel suo cuore» – così conclude il suo Messaggio il Papa Francesco, e cosi concludo anch’io –, «ci sia vicina con la sua materna presenza, affinché questo tempo di conversione porti frutti di salvezza eterna». 

E – aggiungo io, ma sempre sull’onda di Papa Francesco – che la materna presenza di Maria porti frutti di pace anche su questa terra, dinanzi alla tragica crisi che minaccia l’Europa e il mondo intero.  

Amen!

+ Enrico dal Covolo

Arcidiocesi di Bari-Bitonto

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Diocesi di Salamanca

https://youtube.com/c/Di%C3%B3cesisdeSalamancamcs

Mons. Dal Covolo, Don Bosco e la vocazione

LA STORIA DELLA VOCAZIONE DI DON BOSCO 

E LA STORIA DELLA NOSTRA VOCAZIONE

                                    + Enrico dal Covolo

C’è una canzone molto nota, che canta così: «Camminiamo sulla strada che han percorso i santi tuoi…».

La storia della vocazione di don Bosco ci sprona anzitutto a metterci sulla strada del Signore, che i santi hanno percorso prima di noi: perché quella dei santi non è una corsia riservata, esclusiva. E’ una strada aperta a tutti noi. Scrive il Papa nella Novo Millennio Ineunte: «Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione», cioè la santità, «non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno» (nn. 30-31).

Nelle più antiche comunità cristiane «santi» erano chiamati i figli della Chiesa, dunque ciascuno di noi. E noi oggi, per crescere nella santità, vogliamo raccogliere l’insegnamento, e soprattutto l’esempio, di un santo che ci ha segnato la strada, un santo molto caro a tutti noi: parliamo di don Bosco, Padre e Maestro dei giovani.

Certo, la storia della vocazione di don Bosco è unica e irrepetibile: eppure noi tutti ne siamo rimasti coinvolti. Non saremmo qui oggi – né voi né io – se don Bosco non ci avesse in qualche modo coinvolti.

In effetti, don Bosco è un chiamato nel senso forte, biblico del termine: «La fede di essere strumento del Signore per una missione singolarissima fu in lui profonda e salda. Ciò fondava in lui l’atteggiamento religioso caratteristico del “servo biblico”, del profeta che non può in alcun modo sottrarsi ai voleri divini» (P. Stella).

Così noi possiamo confrontarci con la storia della vocazione di don Bosco, un po’ nello stesso modo in cui possiamo confrontarci con le grandi storie di vocazione della Bibbia. E noi lo faremo quest’oggi. Prima andremo a don Bosco e alla sua storia, poi torneremo al nostro oggi, confrontando quella storia con la nostra storia di vocazione.

1. La storia di don Bosco

Come in ogni storia di vocazione (della Bibbia, ma non solo), anche nella storia di don Bosco è possibile rintracciare tre momenti tipici: la chiamata-elezione, la risposta, la missione.

a) La chiamata

Dobbiamo riconoscere che lo Spirito Santo ha suscitato, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco. Qui l’accento, come si conviene al primo atto di ogni storia di vocazione, va sull’iniziativa gratuita di Dio. Il sogno dei nove anni, di cui parleremo tra poco, lo mostra nel modo più chiaro.

b) La risposta

La qualità della risposta di don Bosco è ben sintetizzata da alcune, poche parole, che esprimono il suo “sì” incondizionato alla chiamata. Don Bosco diceva: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani». Di qui traspare l’amore profondo e paterno di don Bosco ai giovani e la sua totale dedizione alla chiamata del Signore.

c) La missione

Don Bosco, e tutti coloro che in qualunque modo ne condividono la chiamata, sono mandati per essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri. 

2. La nostra storia di vocazione

Ritorniamo ora da don Bosco a noi: la sua storia di vocazione è anche un po’ la nostra storia di vocazione. Chi, come noi, condivide la passione educativa di don Bosco è impegnato a rimodellare in se stesso la sua esperienza di vita. Confrontiamoci dunque con ciascuno dei tre momenti della storia di vocazione di don Bosco.

a) Con riferimento al primo tratto della sua storia di vocazione, la gratuita chiamata-elezione da parte di Dio, diremo che, come don Bosco, ognuno di noi è chiamato ad essere uomo e donna del gratuito, in docile ascolto dello Spirito, in costante unione con Dio, proprio per poter dare spazio in massimo grado alla chiamata del Signore. Questo significa che ciascuno di noi è chiamato a maturare e a sviluppare un’autentica dimensione contemplativa, proprio come fece don Bosco.

b) Quanto al secondo atto, la risposta, diciamo che come don Bosco ognuno di noi è chiamato a maturare una risposta generosa e coerente. Il suo esempio è per noi un invito alla fermezza del nostro impegno, all’unificazione dei nostri pensieri, delle nostre forze, di tutta la nostra persona in una medesima direzione. Anche noi puntiamo alla qualità di una risposta, che sveli un accordo (nel caso si don Bosco era uno splendido accordo!) di natura e di grazia.

c) Come don Bosco, compiamo anche noi la nostra missione, ben sapendo che la piena fecondità dell’apostolato passa attraverso la croce.

3. Conclusione

Tu, seguimi! 

Questo invito – che un giorno il Signore rivolse a Pietro sulle rive del mar di Galilea, e che don Bosco ha seguito con tutta la sua vita – questo invito Gesù lo rivolge oggi a noi. 

Seguiamo il Signore, che ora si fa per noi pane spezzato e vino versato. E’ un progetto di vita, che don Bosco ripresenta a tutti i suoi amici.

Seguiamolo! Nel dono generoso di noi stessi scopriremo la via della santità, la via della vera felicità. 

Allora, voltandoci indietro a guardare nel tempo, anche a noi sembrerà di “comprendere tutto”: che cioè il Signore ci guida sempre per mano, con amore infinito, lungo il cammino della vita.

Our Lady of Guadalupe, Wisconsin

https://youtube.com/c/GuadalupeshrineOrg

Guido Oldani, La guerra

LA GUERRA

se la filosofia non conta niente,

le religioni poi neanche tanto,

in dieci al mondo tengono il contante.

è meglio la tivù se resta spenta

e se ci fanno privi del mangiare

saremo tutti chef psicanalisti

allora il mio destino è un pacco dono

in cui si è dentro noi poveri cristi.

Guido Oldani- inedito

Messa di mons. G. Marini

Nuestra Senora del Rosario, Las Condes, Cile

https://youtube.com/channel/UCSYJO9yG0ttKruJDy3vsDjA

Cathedral of the Good Shepherd, Singapore

https://youtube.com/c/CathedraloftheGoodShepherdSG

Guido Oldani, S’è mai visto (VIII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 6,39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

S’E’ MAI VISTO

s’è mai visto la lampada bruciata

far luce a quella che non ha corrente

né un cieco, di vedetta, navigante.

e il filo non tolga, da un occhio sano

polifemo che ha un palo nella vista

e un fico non è nato su un lampione,

ma il vino dal vigneto si conquista.

Guido Oldani- inedito

St Benedicts Melbourne

https://youtube.com/c/StBenedictsBurwood

Parroquia Santa Maria Reina Marianistas (Lima, Perù)

https://psmr.org.pe/adoracion-eucaristica-perpetua/

Card. Brandmuller, Riforma del Conclave

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/meno-elettori-e-piu-eleggibili-il-conclave-sognato-dal-cardinale-brandmuller/amp/&ved=2ahUKEwj-k8m6sfHzAhURGewKHermDfMQFnoECAQQAQ&usg=AOvVaw2V2ZGDWI6G_fHj7iPaDr6D&ampcf=1

Sant’Ignazio e i giovani

Card. Zuppi, Due estremi

Guido Oldani, Gli idioti (VII Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 6,27-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non richiederle indietro.

E come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.

Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso .

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

GLI IDIOTI

è come se sia caro un giornalista

che intinge la sua penna nella bile

o chi festeggia un cuore se si arresta.

la gioia è una lampadina spenta

cioè si è idioti alla dostoevskij,

eppure il bene sta nel paradosso

come un binario che attraversi il mare,

ma solo in questo modo puoi salpare.

Guido Oldani- inedito

Mons. G. Mani, omelia

V. Cascioli, Il male e la salute

*© RADIO MARIA ITALIA* – Trasmissione *_ESORCISTICA E PSICHIATRIA_* del 15/02/2022, dal titolo: *CHIUDERE LA PORTA AL MALE PER CONSERVARE LA SALUTE PSICHICA E SPIRITUALE*. Ideata e condotta dal *Dott. Valter Cascioli*. 

Monache agostiniane

https://youtube.com/channel/UCPCrFoPXSBqQ2Bairt78ygA

V. Cascioli, Esorcistica e psichiatria

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 15/02/2022, ore 21.00, dal titolo: CHIUDERE LA PORTA AL MALE PER CONSERVARE LA SALUTE PSICHICA E SPIRITUALE. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Al termine gli ascoltatori potranno intervenire in trasmissione con le loro domande. Buon ascolto!

Ucraina, pregare per la pace

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-02/nunzio-ucraina-preghiera-pace-appello-papa.html

Riforma CdF

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-02/congregazione-dottrina-fede-motu-proprio-segretari-distinti.html

Mons. Dal Covolo, Meditazioni parte finale

NONA MEDITAZIONE

San Giovanni Bosco (1815-1888)

Don Bosco fu ordinato sacerdote a Torino il 5 giugno 1841.

A questa vocazione – destinata al servizio pastorale dei giovani più poveri – don Bosco fu un chiamato nel senso forte, biblico del termine: “La fede di essere strumento del Signore per una missione singolarissima fu in lui profonda e salda. Ciò fondava in lui l’atteggiamento religioso caratteristico del ‘servo biblico’, del profeta che non può in alcun modo sottrarsi ai voleri divini” (Pietro Stella).

Così noi possiamo confrontarci con la storia della vocazione di don Bosco, un po’ nello stesso modo in cui possiamo confrontarci con le grandi storie di vocazione della Bibbia. 

    E’ quello che cercheremo di fare qui, adesso. Prima andremo a don Bosco e alla sua storia, poi torneremo al nostro oggi, confrontando quella storia con la nostra storia di vocazione – ciascuno di noi con la sua, personale e irripetibile storia di vocazione –.

1. La storia della vocazione di don Bosco

Come in ogni storia di vocazione (della Bibbia, ma non solo), anche nella storia di don Bosco è possibile rintracciare almeno tre momenti tipici: la chiamata-elezione, la risposta, la missione.

1.1.  La chiamata

Dobbiamo riconoscere che lo Spirito Santo ha suscitato, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco. Qui l’accento, come si conviene al primo atto di ogni storia di vocazione, va sull’iniziativa gratuita di Dio. Il sogno dei nove anni, che ricorderemo tra poco, lo mostra nel modo più chiaro.

1.2. La risposta

La qualità della risposta di don Bosco è ben sintetizzata da alcune, poche parole, che esprimono il suo incondizionato alla chiamata. Don Bosco diceva: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”. Di qui traspaiono l’amore profondo e paterno di don Bosco ai giovani, e la sua totale dedizione alla chiamata del Signore.

1,3, La missione

Don Bosco, e tutti coloro che in qualunque modo ne condividono la chiamata, sono mandati per essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri. 

Mi limito a richiamare due episodi di questa splendida storia, che è la vita di don Bosco.

Un episodio si trova all’inizio, l’altro alla fine della sua vita. Da essi scaturisce un appello irresistibile a seguire questo Padre e Maestro sulla via della santità.

“A nove anni” – ecco il primo episodio, raccontato da don Bosco stesso nelle sue Memorie dell’Oratorio – “a nove anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole. In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Il Signore mi chiamò per nome, e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi…”.

A partire da questa visione si snoda – come il nastro di un film – tutta la storia della vocazione di don Bosco.

Non sto qui a raccontarla di nuovo. Richiamo solo una celebre scena, molto felice, di uno dei film su don Bosco. Si vede Giovannino, che per divertire i suoi piccoli compagni dei Becchi, fa il funambolo, e cammina in equilibrio sulla corda, a piedi scalzi, da un albero all’altro. E una voce fuori campo, la voce di don Bosco adulto, commenta: “Nella mia vita ho sempre dovuto camminare così: guardando avanti e in alto. Diversamente sarei caduto giù…”.

Don Bosco sa che, a partire da quel primo sogno, la sua vita è tutta guidata dall’alto; tutto scorre come se fosse stato pensato prima, per un misterioso disegno d’amore.

E’ proprio questa consapevolezza intensissima, convalidata dai numerosi segni che don Bosco esperimenta lungo il suo cammino, la causa del lungo pianto, il 15 maggio 1887, pochi mesi prima della morte, nella Basilica del Sacro Cuore a Roma. 

E’ il secondo episodio che voglio ricordare. Don Bosco ha appena portato a termine la costruzione della chiesa, tra infinite difficoltà e fatiche, per obbedire a un preciso invito del santo Padre, Leone XIII. Sostenuto da don Rua e da don Viglietti, il fedele segretario, scende nella chiesa per celebrare la Messa all’altare di Maria Ausiliatrice. La folla si accalca attorno all’altare. Ed ecco, appena cominciata la Messa, don Bosco scoppia a piangere. Un pianto lungo, irrefrenabile, che accompagna quasi tutta la Messa. Don Rua e don Viglietti sono impressionati. Tra la gente c’è un silenzio teso, che quasi si tocca. Alla fine della Messa, don Bosco dev’essere portato di peso in sacrestia. Don Viglietti gli sussurra: “Don Bosco, ma perché?…”. E lui: «Avevo davanti agli occhi, viva, la scena del mio primo sogno, a nove anni».

In quel lontano sogno, gli era stato detto: “A suo tempo, tutto comprenderai”. Ora, guardando indietro nella vita, gli pareva proprio di comprendere tutto.

2. A confronto con la nostra storia di vocazione

Ritorniamo ora da don Bosco a noi: la sua storia di vocazione è anche un po’ la nostra storia di vocazione, se lo vogliamo Chi condivide la passione educativa di don Bosco è impegnato – in qualche modo – a rimodellare in se stesso la sua esperienza di vita.

 Confrontiamoci dunque con ciascuno dei tre momenti della storia di don Bosco.

a) Con riferimento al primo tratto della sua storia di vocazione, la gratuita chiamata-elezione da parte di Dio, diremo che, come don Bosco, ognuno di noi è chiamato ad essere uomo del gratuito, in docile ascolto dello Spirito, in costante unione con Dio, proprio per poter dare spazio in massimo grado alla chiamata del Signore. Questo significa che ciascuno di noi è chiamato a maturare e a sviluppare un’autentica dimensione contemplativa, proprio come fece don Bosco.

b) Quanto al secondo atto, la risposta, diciamo che, come don Bosco, ognuno di noi è chiamato a maturare una risposta generosa e coerente. Il suo esempio è per noi un invito alla fermezza del nostro impegno, all’unificazione dei nostri pensieri, delle nostre forze, di tutta la nostra persona in una medesima direzione. Anche noi puntiamo alla qualità di una risposta, che sveli un accordo (nel caso si don Bosco era uno splendido accordo!) di natura e di grazia.

c) Come don Bosco, compiamo anche noi la nostra missione, ben sapendo che la piena fecondità dell’apostolato passa attraverso la croce.

3. Per il discernimento spirituale

a) La chiamata

Riconosco l’assoluto primato di Dio e della sua grazia nella mia storia di vocazione? Interpreto il mio impegno morale come risposta a un amore che mi precede, e che garantisce (solo che io lo voglia) la mia risposta? So accettare l’imprevisto di Dio, il suo modo di fare nella mia vita? So riconoscerlo nelle modalità in cui egli si svela, senza imporgli le mie? Per dilatare la mia disponibilità, curo con diligenza e amore la dimensione contemplativa della vita?

b) La risposta

Posso rispondere come Maria, come i discepoli, come don Bosco, oppure come il giovane ricco. Posso seguire Gesù, e lasciare tutto, oppure seguire i miei egoismi e lasciare Gesù. Di fronte a questo dilemma, qual è la mia risposta reale, quella di ogni giorno? Qual è l’angolo buio della mia vita, nel quale la mia risposta al Signore è meno generosa? Che cosa devo ancora lasciare, per seguire veramente Gesù?

c) La missione

Ogni chiamata, ogni risposta sono per una missione. Sono intimamente persuaso che la missione che mi è affidata non è un parto della mia fantasia o un gioco del caso? Sono attento ai segni del Signore? Riconosco e coltivo come già operante in me quel messaggio di salvezza che sono mandato ad annunciare e a testimoniare? Per essere fedele alla missione, devo entrare nella logica della grazia: allora il mio impegno di fedeltà non sarà più quello dell’impiegato o del burocrate, ma quello del missionario dell’amore e della grazia di Dio. Sento la missione come peso da portare, o come grazia ricevuta? Curo l’atteggiamento fondamentale, cioè – ancora una volta – la dimensione contemplativa, per interpretare la missione ricevuta come una grazia?

***

    Le storie di vocazione sacerdotale che abbiamo percorso – mentre aiutano a rispondere all’interrogativo fondamentale sul ministro ordinato e sulla sua identità – rappresentano anche una formidabile consegna per ogni sacerdote: che sulla medesima strada di santità si trovino a camminare. Insieme ai loro fedeli, i diaconi, i presbiteri e i vescovi del terzo millennio, ciascuno con la sua irripetibile storia di vocazione, ma sempre con tutta la fede e la passione di cui sono capaci.

E allora, volgendosi indietro a guardare il tempo che scorre, allora anche a loro sembrerà di comprendere tutto: che tutto è grazia, perché il dono e il mistero di Dio non deludono mai.

    Desidero concludere questa seconda parte dei nostri Esercizi con la preghiera che lo stesso Giovanni Paolo II ha consegnato alla Chiesa, al termine della sua Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis

Preghiamo dunque così:

“Maria, Madre di Gesù Cristo e Madre dei sacerdoti,

ricevi questo titolo, che noi tributiamo a te,

per celebrare la tua maternità

e contemplare presso di te il Sacerdozio

del tuo Figlio e dei tuoi figli,

Santa Genitrice di Dio…

Madre di Gesù Cristo,

eri con lui agli inizi della sua vita e della sua missione…

Accogli fin dall’inizio i chiamati,

proteggi la loro crescita,

accompagna nella vita e nel ministero

i tuoi figli,

Madre dei Sacerdoti. 

Amen!” (Pdv, n. 82).

ULTIMA MEDITAZIONE

Lectio di Atti 6, 1-6

Possiamo condensare le conclusioni di questi Esercizi Spirituali – “i ricordi”, come dicevamo un tempo – in una breve lectio, che qui propongo. Leggeremo dal sesto capitolo degli Atti degli Apostoli il racconto dell’ordinazione dei primi sette diákonoi

E’ vero che questo termine non compare nel nostro racconto: ma, al di là della terminologia adottata, non si può negare che “i sette” svolgessero nella primitiva comunità di Gerusalemme un ufficio simile a quello dei diaconi.

Di fatto, essi vennero istituiti per il “servizio delle mense”, cioè per il servizio della carità.

    C’è forse un “rischio” – ci domandiamo – per chi, come ogni ministro ordinato, esercita il servizio della carità?

Potrebbe sembrare questa una domanda fuori luogo, quando ci si ricorda, insieme con l’apostolo Paolo, che, di tutte le cose, più grande è la carità. 

Eppure, vogliamo conservare sullo sfondo questo interrogativo un po’ inquietante, mentre procediamo nella lectio del nostro brano.

1. Lettura

“In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormoravano contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.

Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: ‘Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione (martyrouménous), pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola’. 

Piacque questa proposta a tutto il gruppo. e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosélito di Antiochia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani” (Atti 6,1-6).

2. Meditazione

Per meditare il brano propongo la sottolineatura di alcune espressioni più importanti.

2.1. La prima parola da sottolineare è gongysmós, un sostantivo onomatopeico che indica il brontolio della comunità, un po’ come fa una pentola di fagioli in ebollizione.

In effetti, l’occasione immediata dell’intervento dei Dodici è una lamentela, un mormorìo (quelli di lingua greca mormoravano); cioè una situazione di disagio, che crea malumore e scontento nella comunità. 

Anziché difendersi o respingere le accuse, i Dodici riconoscono le loro responsabilità, e fanno una coraggiosa scelta pastorale, che comporta la riorganizzazione delle strutture comunitarie.

Già qui possiamo trovare una buona lezione per noi. 

Di solito, quando ci sentiamo attaccati, noi ci mettiamo subito sulla difensiva, e ragioniamo più o meno così: “Ma che cosa vogliono ancora, questi! Io sto dando la mia vita per loro…”.

I Dodici, invece, rinunciano a difendersi, e reagiscono in un modo pastoralmente efficace.

Riconoscono che uno non può fare tutto. Comprendono che, ai fini di una buona crescita della comunità, occorre distinguere i ministeri. 

Così loro – i Dodici – si dedicheranno alla preghiera e al servizio della Parola; altre persone eserciteranno invece servizi più pratici, come quello delle mense.

Di qui l’ordinazione dei sette, e l’inizio nella Chiesa di un coordinamento di ministeri e di servizi diversi.

    2.2. Trascorriamo adesso alla seconda sottolineatura, che riguarda l’identikit del diacono, cioè di colui che viene ordinato per servire nella Chiesa.

    Stando al racconto degli Atti, i sette devono avere alcune caratteristiche precise.

Anzitutto saranno uomini “di buona reputazione” – o meglio, traduciamo noi, “di provata testimonianza” –. In effetti, il participio usato da Luca si collega con il termine “martire”. Potremmo dire che chi viene ordinato per servire nella Chiesa deve comunque essere un “martire”, nel senso che la testimonianza della sua diaconia non deve mai arretrare, a costo, se necessario, della vita stessa. 

Non a caso il primo dei sette – Stefano – è anche il primo martire.

In secondo luogo, il diacono deve essere “pieno di Spirito e di sapienza”. Si tratta appunto della sophía, la sapienza che viene da Dio: è la “sapienza dello Spirito”, che chiede profonda intimità con il Signore. 

Di fatto, Stefano viene definito come un “uomo pieno di fede e di Spirito Santo”.

Dunque, il servizio della carità – il cosiddetto “servizio delle mense”, per il quale i sette vengono ordinati – presuppone il primato della dimensione contemplativa nella loro vita. 

E’ un primato che risulta a chiare lettere dal fatto che i Dodici, al vertice della gerarchia ecclesiastica, si riservano appunto la preghiera e il servizio della Parola. Ma questa scelta non segna tanto una spartizione esclusiva, bensì un primato

Leggiamo infatti che Pietro continua a visitare e a guarire i malati (9,32-34), mentre Filippo, uno dei sette, converte il funzionario della regina di Etiopia esercitando il servizio della Parola (8,27-39).

Non si tratta, dunque, di una spartizione esclusiva. 

Piuttosto, il “servizio delle mense” – cioè il servizio della carità – viene chiaramente subordinato alla preghiera e al “servizio della Parola”.

In definitiva, i Dodici hanno compreso che, senza la preghiera e la diaconia della Parola, non ci può essere un servizio autentico della carità. L’impegno del discernimento per realizzare vere opere di carità deve essere sostenuto dall’intimità con il Signore, dalla confidenza e dall’amicizia profonda con lui. 

Il missionario della carità, scriveva Giovanni Paolo II, è anzitutto “un testimone dell’esperienza di Dio”, è “un contemplativo in azione”. Egli “trova risposta ai problemi nella luce della Parola di Dio e nella preghiera”. “Se non è un contemplativo, non può annunziare Cristo in modo credibile” (Redemptoris missio, n. 91).

2.3. Infine – ed è questa l’ultima sottolineatura – i sette vengono fatti avanzare davanti agli apostoli. E’ il rito dell’ordinazione. Questi uomini, consapevoli della loro identità e della loro missione, fanno un passo in avanti, come se dicessero: “Sono presente, eccomi!”.

    Allora gli apostoli, dopo aver pregato, impongono loro le mani e li consacrano per la missione.

3. Per la preghiera e per la vita

    Passiamo ora all’altro movimento della lectio divina – cioè alla preghiera e alla conversione della vita –, riproponendoci quell’interrogativo, che abbiamo lasciato sullo sfondo all’inizio di questa lectio.

Quale può essere il rischio di chi, come il ministro ordinato, serve nella Chiesa?

E’ il rischio di Marta, di cui parla Luca nel capitolo decimo del suo Vangelo. 

E’ il rischio di chi si lascia prendere dai “molti servizi” (pollè diakonía, scrive Luca; ovvero frequens ministerium: 10,40), fino al punto di smarrire la giusta scala dei valori.

Ma l’episodio narrato da Luca stabilisce anche l’antidoto, il farmaco salutare all’agitazione di Marta, e suggerisce a chi serve nella carità il metodo per superare il “rischio del servizio”. Questo farmaco è l’ascolto della Parola, definito come “la parte migliore”. 

C’è dunque un primato da salvare a tutti costi, il primato dell’ascolto, pena il non senso e la degenerazione dell’agire.

Nella vita e nell’esperienza di chi serve nella carità rimane pur sempre l’impegno di realizzare una sintesi matura tra “il servizio delle mense”, da una parte, e “la preghiera e il servizio della Parola”, dall’altra; cioè tra le mille esigenze della carità e la contemplazione di Dio.

A volte dobbiamo vivere, di necessità, nella molteplicità dei servizi, e ne usciamo un po’ tesi e stanchi.

Ma ciò che più conta è avere il giusto senso dei valori; è capire che il servizio fondamentale è quello della preghiera e della Parola, e che il punto di partenza di ogni diaconia autentica della carità è il cuore di Gesù Cristo, ricco di misericordia: e che con questo cuore dobbiamo metterci in sintonia, ascoltando docilmente la Parola del Maestro, per conformare il nostro cuore al suo.

    Alla fine di tutto, la grazia che il Signore suggerisce di chiedere ai suoi ministri  (proprio come suggerì una notte a Salomone: “Chiedimi ciò che vuoi…”), è quella di continuare a servire il santo popolo di Dio – secondo le modalità e gli impegni  caratteristici della vocazione di ciascuno – con fede e amore, con premura e umiltà, senza mai cedere alle tentazioni del ripiegamento su noi stessi, dell’accaparramento e della strumentalizzazione, e appunto per questo rispettando il primato della contemplazione, della preghiera e dell’ascolto della Parola.

L’esperienza ci dice che le necessità del “servizio della mensa” sono molteplici e pressanti.

Ma proprio per questo motivo sarà sempre importante una valutazione ordinata, una “sapienza del cuore”, che nasce dalla contemplazione e dalla sintonia profonda con il cuore di Gesù, origine e fonte di ogni autentica diaconia della carità.

    Cari fratelli,

    siamo chiamati a servire e ad animare la Chiesa, la Sposa amata, con il battito del cuore del buon Pastore! Alziamo le nostre mani – come l’apostolo Tommaso – fino al cuore di Gesù, e da questa contemplazione ricaviamo tutta l’efficacia della nostra missione pastorale!

Infine, alla Vergine del fiat affidiamo la nostra vocazione di ministri ordinati. 

Lo facciamo con la preghiera che il Papa Benedetto XVI ha recitato il 6 dicembre 2005, rivolgendosi alla Madonna di Loreto:

“Santa Maria, Madre di Dio”,

egli disse quel giorno,

“ti salutiamo nella tua casa.

Qui l’arcangelo Gabriele ti ha annunciato

che dovevi diventare la Madre del Redentore…

Aiutaci a dire di ‘sì’ alla volontà di Dio,

anche quando non la comprendiamo.

Aiutaci a fidarci della Sua bontà, anche nell’ora del buio.

Aiutaci a diventare umili,

come lo era il tuo Figlio, e come lo eri tu…

Tu, Madre buona,

soccorrici nella vita, e nell’ora della nostra morte.

Amen!”.

Mons. Dal Covolo, Ulteriori meditazioni

SETTIMA MEDITAZIONR

San Giovanni Maria Vianney (1786-1859)

Quest’altro “medaglione sacerdotale” è dedicato a Jean-Marie Vianney, più noto come “il santo curato d’Ars” (Dardilly, 8 maggio 1786 – Ars-sur-Formans, 4 agosto 1859). 

Il “segreto” della sua invidiabile fecondità pastorale è svelato da Hans Urs von Balthasar in una pagina impressionante, che ci permette di toccare con mano il realismo dei santi

“Quando si chiedeva a Jean-Marie Vianney quale fosse il suo metodo, che convertiva anche i peccatori incalliti”, scrive il teologo svizzero, “egli rispondeva: ‘Ecco il mio segreto: do ai peccatori una piccola penitenza, e faccio io il resto, al loro posto’. Ai preti, che si lamentavano della tiepidezza della loro parrocchia, il santo chiedeva: ‘Ma voi, avete solo predicato, avete soltanto pregato? Non avete anche digiunato, non avete dormito per terra? Non vi siete flagellato?’” (cfr. Cattolico, Jaca Book, Milano 1976, p. 132). 

Da parte mia, mi limiterò a richiamare semplicemente cinque tratti della vita del santo curato, basandomi soprattutto sull’eccellente biografia di F. Trochu, Le curé d’Ars Saint Jean-Marie Baptiste Vianney d’après toutes les pièces du Procès de Canonisation et de nombreux documents inédits (mi riferisco qui all’edizione Résiac, Montsûrs 2004).

L’esempio dei sacerdoti santi scalda il nostro cuore, e rappresenta una delle lezioni più efficaci della Chiesa sulla vocazione al ministero ordinato.  

1. Il primo tratto biografico che intendo ricordare riguarda la formazione del santo curato.

Sappiamo bene che il ministero sacerdotale non si improvvisa. È richiesto un percorso formativo serio e responsabile. Tuttavia Jean-Marie frequentò solo per due anni il seminario, prima quello di Verrière, e poi quello di Saint-Irénée a Lyon, da dove – per dirla in termini un po’ crudi – fu espulso dopo due mesi, perché debilissimus: era considerato una nullità in latino, e totalmente inadatto allo studio. 

Eppure, il giovane Jean-Marie poté ricevere una formazione eccellente a contatto con un sacerdote colto, pio, e profondamente dedito alle cure del ministero. Era il curato di Écully, l’abbé Charles Balley, che aveva istituito una scuola di formazione sacerdotale nella sua canonica. Era un testimone esemplare, se il curato d’Ars ebbe a dire di lui: “Ho conosciuto molte anime belle, ma nessuna come la sua”. E aveva ragione: l’abbé Balley intuì, come ogni autentico educatore, il valore di quel giovane – timido, e persino un po’ goffo – che si era messo alla sua scuola. Seppe incoraggiarlo, e ottenne dal Vicario generale, Monsignor Courbon, che il giovane Jean-Marie fosse dispensato dall’uso della lingua latina nell’esame di ammissione agli Ordini sacri. 

Il curato d’Ars imparò poi ad esercitare la cura d’anime “sul campo”, avendo sempre come maestro l’abbé Balley. Nella sua parrocchia, infatti, esercitò il ministero per tre anni, dall’ordinazione sacerdotale, fino a quando – nel 1818 – fu destinato ad Ars. 

Dal suo maestro il curato apprese le coordinate fondamentali della santità sacerdotale, vale a dire la consacrazione e la missione: una vita interiore robusta, fatta di preghiera e di penitenza, e una dedizione totale alle anime.

    Cari confratelli sacerdoti!

Vi invito a rileggere con sguardo di fede la storia della vostra vocazione, per rendere più generosa e coerente la nostra risposta al Signore. 

Forse sono passati molti anni, ma ritorniamo con il ricordo orante al tempo della nostra formazione sacerdotale: lasciamoci stupire dalla Provvidenza di Dio, che con mirabile sapienza e amore ha disposto gli incontri e le tappe decisive della nostra vita; ringraziamo il Signore per i sacerdoti, che con il loro insegnamento e il loro esempio hanno contribuito a plasmare il nostro sacerdozio… 

Ripensiamo a ciò che abbiamo appreso da loro, e magnifichiamo il Signore, che ha guidato gli anni della formazione e i primi passi del nostro ministero. 

Ci accompagna in questo esercizio la testimonianza del Papa emerito, Benedetto XVI. 

Nella Lettera di indizione dell’anno sacerdotale (16 giugno 2009), ritornando con animo grato agli inizi del suo sacerdozio, egli scrive: “Porto ancora nel cuore il ricordo del primo parroco, accanto al quale esercitai il mio ministero di giovane prete: egli mi lasciò l’esempio di una dedizione senza riserve al suo servizio pastorale, fino a trovare la morte nell’atto stesso in cui portava il Viatico a un malato grave”.

Ecco la risposta autentica del sacerdote, davanti alla sua missione pastorale!

2. Passiamo ora al secondo tratto biografico.

Pochi anni dopo l’inizio del ministero parrocchiale ad Ars, il santo curato avviò un’iniziativa, in cui profuse tutto l’entusiasmo e lo zelo di cui era capace: l’istituzione di un orfanotrofio e di una scuola femminile, la Providence

Per più di vent’anni, la Providence fu, in un certo senso, la sua casa. Vi si recava non solo per i doveri del ministero, ma anche per prendere i pasti e per intrattenersi amabilmente con le piccole orfane. Alla preghiera di queste innocenti attribuiva un’efficacia speciale. 

Nel 1848 la direzione della Providence venne affidata a una Congregazione religiosa femminile, che vi impresse un nuovo orientamento educativo. Anche il Vescovo aveva sollecitato questo cambio: si temeva, infatti, che l’istituzione non sarebbe sopravvissuta alla scomparsa del fondatore. 

È innegabile che per questo motivo il nostro curato soffrì molto, al punto di affermare: “Monsignore, il Vescovo, vede in questa decisione la volontà di Dio, ma io… io no!” (Trochu, p. 416). Eppure accettò tutto, senza alcuna recriminazione, collaborando cordialmente con le Religiose di san Giuseppe, che subentravano alle prime educatrici. Quando questo avvenne, egli aveva già 62 anni.

Cogliamo in questo episodio una grande libertà interiore, persino da ciò che noi oggi definiremmo i nostri “progetti pastorali”. Come sacerdoti, infatti, tutti abbiamo i nostri piani pastorali, diamo vita a iniziative, entriamo in contatto con persone, che diventano collaboratori e amici. Umanamente ci affezioniamo a tutto questo. Talvolta sembra che il successo ottenuto ci renda quasi indispensabili. Non poche volte, però, l’obbedienza ai superiori, le circostanze della vita, il cambio delle situazioni ci chiedono un distacco. 

Come reagiamo? 

In questi casi, sappiamo assumere con coraggio quello “sguardo di fede”, quell’“ispirazione”, che il santo vescovo Francesco di Sales definiva “un raggio celeste, che porta nei nostri cuori una luce calda, per mezzo della quale ci fa vedere il bene, e ci riscalda per farcelo perseguire” (Trattato dell’Amor di Dio 10)? 

Se amiamo Dio sopra ogni altra cosa, un cambio di ufficio, un trasferimento, la conclusione di un’attività a cui tenevamo molto, non ci risparmieranno forse da una certa sofferenza interiore, ma questo non ci turberà, e non ci toglierà quella pace e quella gioia, che Jean-Marie Vianney conservò di fatto, anche quando dovette lasciare ad altri la sua Providence.

3. Questa libertà interiore, che lo rese fedele nell’adempimento della missione, emerge pure da un altro episodio della storia di vocazione del santo curato, il terzo che ricordiamo

Benché totalmente dedito all’azione pastorale, egli avvertiva sempre un’irresistibile attrazione per la vita contemplativa. 

Ci furono due memorabili tentativi di “fuga”: il primo nel 1843, dopo una grave malattia; il secondo dieci anni più tardi, quando, con l’arrivo del nuovo vicario parrocchiale, Jean-Marie credette di potersi ritirare. 

Ecco la testimonianza di Mademoiselle des Garets, appartenente alla famiglia dei nobili di Ars: “Sperava di rifugiarsi nella solitudine della Trappa, o in qualche altro luogo nascosto, per prepararsi alla morte e piangere sulla propria vita”. 

In una maniera quasi rocambolesca, e tuttavia molto toccante, i suoi penitenti gli impedirono di partire, inginocchiandosi davanti a lui. Fecero suonare le campane a martello, e convocarono tutti i parrocchiani, che si accalcarono attorno a lui, fino a rendergli impossibile il passaggio. Anche questa volta il santo – vinto dall’affetto devoto della gente, e totalmente abbandonato alla volontà di Dio – rinunciò al suo progetto.

Ma il “sogno” della preghiera e della penitenza solitaria non cessò mai di abitare nel cuore di questo parroco, “prigioniero delle anime” e divorato dallo zelo pastorale. 

Eppure, non fu certo un sogno inutile, a prescindere dalla sua mancata realizzazione. Al contrario, rese il curato d’Ars ancora più contemplativo nell’azione, trasfigurandolo progressivamente nell’immagine e nell’amore di quel Dio, che egli testimoniava e irradiava.

Ebbene, non capita qualcosa di analogo nella vita di molti di noi? 

Forse anche noi, ripensando alla storia della nostra vocazione, vediamo che c’erano nel nostro cuore desideri puri e nobili, dei progetti a cui tenevamo molto: ma poi la vita ha preso una direzione diversa, e abbiamo fatto altro. 

Non per questo dobbiamo coltivare sterili rimpianti. Siamo contenti ugualmente. Il solo fatto che quei “sogni” siano stati ospitati nel nostro cuore è già un dono di Dio. La nostra vocazione, poi, è riuscita per un’altra strada.

Non tutti i fiori che splendono sui rami a primavera sono destinati a dare frutto: molti di essi sono creati solo per la loro bellezza, che muore all’urto del vento. 

I desideri buoni hanno anche un valore in sé. Possono allargare l’animo. Possono essere offerti a Dio con freschezza e amore.

4. Trascorro ora al quarto episodio.

Accennavo prima al fatto che nel 1853 ci fu ad Ars un avvicendamento dei vicari parrocchiali: l’abbé Toccanier prese il posto di colui che – per otto anni – era stato il più stretto collaboratore di san Jean-Marie.

Questo sacerdote era l’abbé Raymond. Tra il curato e lui i rapporti non furono certo facili. Tutt’altro. Dalle testimonianze del processo di canonizzazione apprendiamo che questo sacerdote, di vent’anni più giovane del curato, si considerava una specie di “tutore” del parroco. Lo trattava con durezza, senza esitare a contraddirlo pubblicamente. Privo di ogni tatto e delicatezza, incurante dell’età e dalla fama di santità che già circondava Jean-Marie Vianney, più volte ne feriva la delicata sensibilità. Voleva diventare lui il parroco di Ars. Consultando i registri parrocchiali di quegli anni, vediamo con sorpresa che l’abbé Raymond si firmava “curé de la paroisse”. 

Tutto ciò doveva amareggiare non poco il nostro santo, che del suo vicario era stato benefattore: gli aveva pagato perfino la retta nel seminario! 

Sappiamo bene che cosa accade in queste circostanze: molta gente, indignata, riferiva tutto al parroco. Si lamentava con lui del comportamento del suo “vice”, e chiedeva insistentemente che se ne informasse il Vescovo, perché l’abbé Raymond fosse trasferito altrove.

I sacerdoti santi, però, non acconsentono a questo modo di fare troppo umano. Reagiscono in altro modo. Jean-Marie difendeva il suo vicario, dicendo così alla gente: “Oh, egli mi dice solo la verità; quanto gli sono riconoscente! Se qualcuno lo farà partire, io me ne andrò insieme a lui”. Alcune voci giunsero alle orecchie del Vescovo, grande amico del curato d’Ars. Allora Jean-Marie gli scrisse: “Non ho nulla di speciale da riferire a Vostra Grandezza circa Monsieur Raymond, eccetto che egli merita un posto d’onore nel vostro cuore, in cambio di tutti i gesti di bontà che egli ha per me” (Trochu, p. 527). 

E’ proprio questo ciò che si dice “vincere il male con il bene” (cfr. Romani 12,21)!

Sicuramente qualche episodio del genere è capitato anche a noi, nella nostra vita sacerdotale: a volte – per quel poco di invidia e di gelosia, le cui radici non si estirpano mai del tutto – alcuni confratelli ci hanno amareggiato, e forse ancor oggi sono causa di sofferenza per noi. 

Guardiamo dunque alla santità del curato d’Ars! 

È santo per il grado eroico delle virtù che ha praticato. Perché è veramente eroico non lamentarsi di chi – stando accanto a noi e, magari, “gerarchicamente sottoposto” a noi – mormora e ci ostacola pesantemente. 

Il modo di comportarsi del parroco di Ars nei confronti del suo vicario dimostra che esiste anche un’altra “gerarchia”, che conta più di ogni altra: è la gerarchia di quella carità, “che tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Corinzi 13,7).

È veramente eroico trasformare queste situazioni nella partecipazione alla croce di Cristo. 

Una volta, anche il nostro curato sembrava non farcela più. Chiese al suo sagrestano, frère Athanase – un fidatissimo e devoto amico –, di preparargli una bozza di lettera da mandare al Vescovo. Appena la ebbe letta, la strappò e dichiarò: “Ci ho pensato bene. Nostro Signore ha portato la croce. Anch’io posso fare come ha fatto lui” (Trochu, p. 521). 

Alla fine, questa strategia si mostra vincente. Non soltanto cresciamo noi stessi nella santità, ma tocchiamo il cuore di chi ci tratta male. Il prezzo da pagare è alto, perché a volte il cuore sanguina. Nel processo canonico, l’abbé Raymond – che intraprese anche il progetto di una biografia del suo ex-parroco, rimasta però solo in frammenti – confessò: “Non ho che un rimpianto, quello di non avere sufficientemente approfittato dei suoi esempi; tuttavia conto sull’affetto tenero e paterno, che egli mi ha testimoniato” (Trochu, pp. 526-527).

    5. Propongo infine un ultimo tratto della biografia del santo curato. 

    Quando Jean-Marie giunse nella sua parrocchia, la qualità della vita cristiana era mediocre. C’era da scoraggiarsi: scarsa osservanza del precetto domenicale, ignoranza religiosa, una certa immoralità, segnata dalla frequentazione assidua delle osterie e da una disinvolta promiscuità nei balli pubblici. 

    Solo pochi anni dopo l’inizio del suo ministero, nel 1823, Jean-Marie scrisse a Madame Fayot: “Mi trovo in una piccola parrocchia, piena di spirito religioso, che serve il buon Dio con tutto il suo cuore” (Trochu, p. 256). Evidentemente gli abitanti di Ars avevano già cambiato il loro modo di vivere, che andava ispirandosi sempre di più al Vangelo predicato e testimoniato dal santo curato. 

    Come si può spiegare questo successo pastorale? 

    Certamente, esso va attribuito allo zelo di san Jean-Marie, che visitava le famiglie, curava il decoro della sacra liturgia, organizzava l’associazionismo con l’istituzione delle confraternite, predicava con fervore, sollecitava la collaborazione dei fedeli più sensibili. Tuttavia, la scelta pastorale prioritaria del curato fu un’altra: egli si inginocchiava spesso dinanzi all’Eucaristia, e dal dialogo con il Pastore dei pastori ricavava l’energia interiore per compiere il suo ministero. Così, mentre attirava le benedizioni di Dio sui fedeli, egli offriva un esempio personale di pietà, che toccava e convertiva il cuore della gente.

    Il curato d’Ars è uno dei “santi eucaristici” menzionati dal Papa Benedetto XVI a conclusione dell’Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (n. 94). Inoltre, nella già citata Lettera di indizione dell’anno sacerdotale, il Papa emerito scriveva: “Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al Tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia… Tale educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione acquistava un’efficacia particolarissima, quando i fedeli lo vedevano celebrare il santo Sacrificio della Messa. Chi vi assisteva diceva che ‘non era possibile trovare una figura che meglio esprimesse l’adorazione’”.

    La vita di un prete cambia, se egli è adoratore assiduo del Santissimo Sacramento, se si lascia invadere da quello “stupore eucaristico”, che con parole veramente ispirate san Giovanni Paolo II ha voluto ridestare nella sua ultima Enciclica, Ecclesia de Eucharistia

    In verità, tutta la vita e la missione del sacerdote devono essere inondate dalla Grazia efficace di questa divina Presenza, adorata, accolta, comunicata. 

    Il rischio di un certo “pelagianesimo pastorale” è sempre in agguato: anche senza volerlo, si può facilmente cadere nell’errore di ritenere che l’efficacia pastorale dipenda dall’organizzazione e dall’attività. Da parte mia, non vorrei azzardare valutazioni affrettate: ma non è forse vero che dove la Chiesa si è data un’impostazione eccessivamente burocratica, qualcosa non ha più funzionato, e la gente si è allontanata?

    In questa linea di discernimento si muove decisamente, in molti suoi passaggi, la Lettera del Santo Padre Francesco ai sacerdoti in occasione della morte del santo curato d’Ars (4 agosto 2019).   

    Jean-Marie Vianney, inginocchiato in amorosa contemplazione di Gesù vivo nel Santissimo Sacramento, ci ricorda che un prete deve partire dal Tabernacolo e tornare sempre a questo incontro, per suscitare e accompagnare l’azione misteriosa della grazia nelle anime dei fedeli. Solo così egli sarà per la gente il padre, il maestro, l’amico. 

    Mezzo secolo dopo il suo ingresso in parrocchia, uno dei suoi parrocchiani, Guillaume Villier, rammentava ancora lo stupore e la convinzione della gente di Ars: “Eravamo affascinati da un comportamento così poco comune, e ci dicevamo fin da allora: ‘Il nostro curato non è come gli altri; lui è un santo…’”.

    In fondo, è questo ciò che il curato d’Ars ci raccomanda, ed è proprio questo lo scopo del nostro libro: rinnovare con fermo proposito – senza “ma”, e senza “se” – la risoluzione di essere anche noi, come lui, dei ministri santi.

Mons. Dal Covolo, Meditazioni successive

QUARTA MEDITAZIONE

Agostino (354-430)

1. Una ventina d’anni dopo il Dialogo sul sacerdozio del Crisostomo, Agostino commenta a Ippona il Vangelo di Giovanni. Il suo Commento si compone di 124 omelie, in parte pronunciate, in parte dettate.

Così anche Agostino si riferisce alla triplice domanda di Gesù a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?” (Giovanni 21,15-17).

A questo riguardo, il vescovo di Ippona riporta sul sacerdozio ordinato la stessa dottrina del Crisostomo, ma con maggiore insistenza. E’ una dottrina che può essere efficacemente riassunta nella sentenza che abbiamo riportato all’inizio: Sit amoris officium pascere Dominicum gregem

Queste parole, citate dal Concilio in PO 14, vennero riprese anche da san Paolo VI nel suo primo messaggio al mondo, il 22 giugno 1963: di fatto, esse intendevano esprimere il programma del suo pontificato.

2. In altro contesto, nel Sermone 137, Agostino osserva che il Signore, prima di affidare il suo gregge a Pietro, gli chiese una professione di amore. Secondo Agostino, il Risorto intendeva chiedere a Pietro: “Che cosa mi darai, che cosa mi offrirai, per il fatto che mi ami? Ma che cosa avrebbe potuto dare Pietro al Signore, che era risorto e ormai prossimo ad ascendere in cielo e a sedere alla destra del Padre?”. Ebbene, risponde Gesù Cristo stesso, secondo Agostino: “Ecco ciò che mi darai; questa prova mi offrirai, dato che mi ami: pascerai le mie pecore” (137,4,4).

    3. E parlando di sé, nell’anniversario della propria consacrazione, il vescovo di Ippona confida al suo popolo: “Sì, devo amare colui che mi ha redento, e so ciò che egli ha detto a Pietro: Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore. Questo per una volta, questo per due volte e tre volte. Veniva chiesta la testimonianza dell’amore e veniva imposta una fatica, perché quanto è maggiore l’amore, tanto minore è la fatica” (Sermone 340,1).

    4. Approdiamo infine al Sermone 46.

    Agostino lo tenne a Ippona (o forse a Cartagine) negli stessi anni del suo Commento a Giovanni, cioè in una data tra il 406 e il 418. Questo Sermone 46, insieme con il successivo Sermone 47, è un commento continuato a Ezechiele 34, ed è intitolato anche Discorso sui pastori, in forte polemica con i pastori donatisti.

    Ci fermeremo solo su quel passo, in cui il vescovo di Ippona ritorna – ancora una volta – al dialogo di Gesù con Pietro sulle rive del mar di Galilea.

    “Quando Cristo affidò le pecorelle a Pietro”, scrive Agostino, “certo gliele affidò come fa uno che le dà a un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa sola con sé. Cristo capo affida le pecorelle a Pietro, come figura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cristo e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa. Perciò, per affidargli le pecore, non come ad altri che a sé, che cosa gli chiede per prima cosa? Gli chiede: ‘Pietro, mi ami?’. Ed egli rispose: ‘Ti amo’. E di nuovo: ‘Mi ami?’. E rispose: ‘Ti amo’. E per la terza volta: ‘Mi ami?’. E rispose: ‘Ti amo’. Vuole renderne saldo l’amore, per consolidarlo nell’unità con se stesso. Egli solo pertanto pascola nei pastori, ed essi pascolano in lui solo (Ipse ergo pascit unus in his, et hi in uno)” (46,30).

***

    Come si vede – ed è questa la conclusione della prima parte delle nostre meditazioni – l’itinerario formativo di sintesi tra consacrazione e missione del presbitero giunge con Agostino al vertice più elevato. 

Da una parte, il ministro ordinato si identifica con Cristo, si impersona in Lui, perché ogni pastore non è che una figura dell’unico Pastore, Gesù Cristo. Questa consapevolezza matura è il massimo della comunione con lui, e rappresenta il punto più alto della consacrazione sacerdotale.

Dall’altra parte, il Pastore è Uno totalmente donato: la sua è una “vita per”, regalata, buttata per le pecore fino allo scandalo della croce. Gesù Cristo, il buon Pastore, non abbandona mai le sue pecore, neanche quando le affida a Pietro e agli altri pastori dopo di lui. I pastori, infatti, sono una cosa sola con lui: proprio per questo anche loro, come lui, sono totalmente “buttati” nella missione. Solo la piena dedizione al gregge dimostra la loro perfetta unità con Gesù Cristo, buon Pastore.

In tale prospettiva – non altra – va affrontata la questione del celibato dei preti, oggi più che mai discussa. 

Non è questo il luogo per approfondire l’argomento. 

Ci basta aggiungere, al riguardo, una parola decisiva del Papa Francesco: “Sono convinto che il celibato sia un dono, una grazia e, camminando nel solco di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, io sento con forza il dovere di pensare al celibato come a una grazia decisiva che caratterizza la Chiesa Cattolica latina. Lo ripeto: è una grazia, non un limite” (San Giovanni Paolo Magno, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2020, p. 75).  

QUINTA MEDITAZIONE

Introduzione alla seconda parte degli Esercizi

Abbiamo percorso fin qui un itinerario storico-teologico, rivisitando soprattutto la dottrina di alcuni Padri sulla formazione, sull’identità, sulla consacrazione e la missione dei ministri ordinati.

Ora ci chiediamo: come si sono inverate di fatto tali istanze, nell’ormai bimillenaria tradizione della Chiesa?

E’ ciò che vorremmo verificare, contemplando le storie di vocazione di alcuni sacerdoti esemplari.

    L’antologia potrebbe essere lunghissima, ma – dentro al “gran nugolo di testimoni” (Ebrei 12,1) – dovremo limitarci ad alcuni “medaglioni sacerdotali” più rappresentativi. 

    Incontreremo così sant’Ambrogio di Milano, vescovo e dottore della Chiesa; san Giovanni Leonardi, fondatore dei Chierici regolari della Madre di Dio; san Giovanni Maria Vianney, speciale patrono dei sacerdoti in cura d’anime; infine, san Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani

    Exempla trahunt, dicevano i saggi latini. 

    L’intento che ci proponiamo è che questo confronto con alcune figure di sacerdoti esemplari possa farci toccare con mano l’identità autentica del ministro ordinato nella Chiesa, e che possa guidare efficacemente la loro formazione nella consacrazione e nella missione.

AMBROGIO DI MILANO (339-397)

1. La morte di Ambrogio

Ambrogio morì a Milano nella notte fra il 3 e il 4 aprile del 397. Era l’alba del sabato santo.

Il giorno prima, verso le cinque del pomeriggio, si era messo a pregare, disteso sul letto, con le braccia aperte in forma di croce. Partecipava così, nel solenne triduo pasquale, alla morte e alla risurrezione del Signore. “Noi vedevamo muoversi le sue labbra”, attesta Paolino, il fedele segretario che per ordine di Agostino ne scrisse la Vita, “ma non udivamo la sua voce”.

A un tratto, la situazione parve precipitare. Onorato, vescovo di Vercelli, che si trovava ad assistere Ambrogio e dormiva al piano superiore, venne svegliato dalla voce di una persona che gli ripeteva: “Alzati, presto! Ambrogio sta per morire…”.

Onorato scese in fretta – prosegue Paolino – “e gli porse il santo Corpo del Signore. Appena lo prese e deglutì, Ambrogio rese lo spirito, portando con sé il buon viatico. Così la sua anima, rifocillata dalla virtù di quel cibo, gode ora della compagnia degli angeli, secondo la cui vita egli visse in terra, e della compagnia di Elia: infatti, alla pari di Elia, Ambrogio non ebbe timore di parlare ai re e ai potenti della terra, come lo ispirava il timore di Dio” (Vita 47).

Ambrogio non era vecchio, quando morì (non aveva neppure sessant’anni, essendo nato verso il 339), ma era ben preparato alla morte: ne aveva parlato spesso ai suoi fedeli, qualche volta con il cuore straziato dal dolore, come quando aveva celebrato le esequie dell’amato fratello Satiro.

Ma forse le parole che descrivono meglio l’atteggiamento di Ambrogio di fronte alla morte si trovano nel suo Commento al Salmo 36, che svela l’intima partecipazione del vescovo di Milano alla morte del Signore: “Cristo è apparso nella carne”, scrive Ambrogio. “E’ lui la nostra vita in tutto. La sua morte è vita, la sua ferita è vita, il suo sangue è vita, la sua risurrezione è vita di tutti. E’ lui il chicco che si è dissolto, è morto nel suo corpo per noi, per produrre in noi una messe abbondante. Quello dunque che è stato fatto in lui è vita. Carne è stata fatta in lui: è vita. Morte è stata fatta in lui: è vita… Risurrezione è stata fatta in lui: è vita” (Commento a dodici Salmi. Salmo 36, 36-37).

In quel venerdì santo del 397 le braccia spalancate di Ambrogio morente segnavano la sua mistica partecipazione alla croce e alla risurrezione del Signore.

Vogliamo introdurci alla storia della vocazione sacerdotale di sant’Ambrogio sottolineando due dettagli del racconto di Paolino.

1.1. Anzitutto, Paolino afferma che fu Onorato, vescovo di Vercelli, ad assistere Ambrogio con gli estremi conforti della fede. 

Ma perché Onorato?

Si può pensare che questi provenisse dal famoso monasterium clericorum vercellese. In ogni caso, fu proprio Ambrogio a volerlo vescovo.

Queste vicende capitarono negli ultimi tre anni della vita di Ambrogio, a partire dal 394.

La Chiesa di Vercelli attraversava un momento difficile: era divisa e senza pastore. Così il vescovo di Milano scrisse ai vercellesi, rimproverandoli duramente. Esitava a riconoscere in loro “la discendenza dei santi padri che approvarono Eusebio”, il primo vescovo di Vercelli, “non appena l’ebbero visto, senza averlo mai conosciuto prima di allora, dimenticando persino i propri concittadini” (Epistola 63).

Nella stessa Epistola Ambrogio attesta nel modo più chiaro la sua altissima stima nei confronti del vescovo di Vercelli: “Un così grande uomo”, scrive in modo perentorio, “ben meritò di essere stato eletto da tutta la Chiesa”.

Eusebio, morto nel 371, tre anni prima che Ambrogio salisse alla cattedra episcopale di Milano, dovette essere un modello e un punto di riferimento sicuro per quel giovane magistrato, che improvvisamente si trovò a capo della Chiesa milanese. Di fatto, l’ammirazione di Ambrogio per Eusebio è evidente. In lui il vescovo di Milano vide un pastore, che guidava la sua diocesi anzitutto con la testimonianza della propria vita: “Con l’austerità del digiuno”, scrive Ambrogio ai vercellesi, Eusebio “governava la sua Chiesa” (ivi).

Ambrogio – autore della Fuga dal mondo – è affascinato dall’ideale monastico e dalla contemplazione di Dio. Gli è congeniale Elia, che percorre il deserto per giungere fino all’Oreb, il monte di Dio. Gli è congeniale Eusebio, che per primo raccoglie il proprio clero in vita communis, divenendo così il fondatore del più antico monasterium clericorum, e che, sono le sue parole, “osservava le regole monastiche pur vivendo in mezzo alla città” (ivi).

Come si vede, i rapporti tra la Chiesa di Milano e quella di Vercelli nella seconda metà del IV secolo sono storicamente documentati, e giustificano la presenza del vescovo Onorato al capezzale di Ambrogio.

1.2. L’altro dettaglio che conviene riprendere dal racconto della morte di Ambrogio è il riferimento al profeta Elia. L’anima del nostro vescovo, scrive Paolino, gode ora della presenza di Elia. “Infatti, alla pari di Elia, Ambrogio non ebbe timore di parlare ai re e ai potenti della terra come lo ispirava il timore di Dio” (Vita 47).

    Dal punto di vista del nostro tema – cioè dell’identità del ministro consacrato, della sua consacrazione e della sua missione – questo riferimento a Elia è decisivo.

2. Ambrogio e il profeta Elia: l’itinerario spirituale della fuga mundi

Sant’Ambrogio parla frequentemente di Elia: si può dire che quasi in ogni sua opera egli ne faccia menzione.

Sappiamo che nel leggere le scritture, come nell’accostarne i vari personaggi, Ambrogio usava il metodo allegorico-spirituale, che in fondo presiede alla lectio divina tradizionale. Infatti la lettura spirituale della Bibbia – così come la intendevano i Padri alessandrini, anzitutto Clemente e Origene, e come Ambrogio imparò a praticarla – implica l’attenzione all’esegesi letterale e storica, ma nello stesso tempo l’esigenza inderogabile di andare oltre il velo della lettera.

Ambrogio è persuaso che sia necessaria una meticolosa opera di “imbrigliamento” di ogni singola espressione verbale per fermare la parola e “spremerne” tutte le potenzialità nascoste: e questo deve essere fatto, perché già nella singola parola si attua il miracolo della presenza divina, e quindi il lavorio esegetico deve partire dai termini, che sono dimora del Verbo ed eventi dell’economia di salvezza.

Qualche volta può sembrare che questo desiderio di “spremere” le potenzialità della parola, fino a trascenderla, giunga a forzare il senso del testo. 

Sono questi i momenti in cui l’esegesi dei Padri ci sembra lontana e difficilmente proponibile.

Per esempio nella Fuga dal mondo Ambrogio commenta così l’avventura di Elia nel deserto: “Elia fuggì una donna, Gezabele, cioè la vanità senza limiti, e fuggì sul monte Oreb, che significa “essiccamento”, perché si essiccasse in lui il flusso della vanità carnale ed egli potesse conoscere Dio con maggiore pienezza… Certamente un così grande profeta non fuggiva una donna, ma il mondo, e non temeva la morte, lui che si era presentato a chi lo cercava e diceva al Signore: ‘Accogli l’anima mia’, preso dal disgusto, non dal desiderio di questa vita; ma fuggiva le attrattive mondane, il contagio di una convivenza peccaminosa e i sacrilegi di un popolo empio e prevaricatore” (La fuga dal mondo 6,34).

Osserva al riguardo il cardinale Carlo M. Martini che la difesa di Elia, fatta da Ambrogio, non soddisfa, “perché il testo biblico dice: ‘Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi’” (Il Dio vivente. Riflessioni sul profeta Elia, Casale Monferrato-Milano 1990, p. 87).

Eppure, cogliendo l’anima del commento ambrosiano (cioè l’itinerario ascetico della fuga mundi), possiamo ricavarne alcune indicazioni molto utili per la preghiera e per la vita.

Già un’altra volta Elia aveva dovuto fuggire, quando, sollecitato dalla Parola del Signore, era andato a nascondersi “presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano” (1 Re 17,3).

A questo proposito Ambrogio osserva, sempre nella Fuga dal mondo, che Elia “stava presso il torrente Corrad” (Ambrogio usa questo tipo di vocalizzazione), “che significa conoscenza, per attingervi copiosamente la conoscenza di Dio che in esso scorreva, fuggendo il mondo a tal punto da non cercare altro alimento per il corpo se non quello recatogli dagli uccelli che lo servivano, quantunque il suo cibo per lo più non fosse terreno. Di conseguenza, per l’energia infusa a lui dal cibo ricevuto, camminò per quaranta giorni” (La fuga dal mondo 6,34).

Secondo l’intuizione di Ambrogio la fuga verso il Cherit e il nascondiglio di Elia negli anfratti sovrastanti il torrente conducono il profeta a una più profonda conoscenza di Dio, e in definitiva alla sapienza del cuore.

Possiamo vedere nella caverna del Cherit la preghiera nascosta, la preghiera contemplativa profonda, sconosciuta agli occhi del mondo, per la quale è necessario camminare a lungo nella desolazione, nell’aridità, nel deserto, ma che nutre abbondantemente lo spirito: una preghiera nascosta agli occhi del mondo – “nNasconditi presso il torrente Cherit” (1 Re 17,2) –, e anche, non di rado, ai nostri stessi occhi. Preghiera impalpabile, misteriosa, così come è dura, faticosa e buia la pista che conduce nel fondo del burrone, dove scorre il torrente: preghiera arida, e tuttavia feconda nello spirito, forse più ancora dei cosiddetti “momenti gratificanti”.

Secondo Ambrogio, infatti, la preghiera di Elia al Cherit promuove efficacemente il cammino di conversione del profeta, fino a spalancargli la strada dell’Oreb.

E qui guadagniamo un punto d’arrivo del magistero pastorale di sant’Ambrogio. Si tratta di una delle indicazioni più precise per superare le difficoltà nell’itinerario della fede e della preghiera: parlo della necessaria continuità tra la preghiera e la vita.

Proprio questo itinerario ascetico di continuità tra la preghiera e la vita (cioè tra la preghiera del Cherit e il cammino di spoliazione nel deserto, fino all’Oreb) costituisce per ogni cristiano, e soprattutto per il ministro ordinato, il cartello segnaletico della fuga mundi, nel senso positivo che Elia e Ambrogio ci insegnano.

In altri termini, è proprio questa la corsia preferenziale da percorrere per superare compromessi borghesi e superficialità spirituali. La vera contemplazione (considerata dai nostri Padri il punto d’arrivo della lectio divina) è il «confronto vitale» con Dio-Amore, un confronto che deve giungere a trasformare in amore tutta la nostra vita (cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 40).

3. Ambrogio, maestro di formazione sacerdotale

Un aspetto particolare del magistero di Ambrogio riguarda la formazione dei ministri ordinati. Di fatto la sua vita e le sue opere svelano molte istanze della formazione umana, spirituale e pastorale del presbitero.

    Ne emerge una visuale del sacerdozio che presenta alcune caratteristiche precise.

E’ anzitutto una visuale cristica, come è del resto l’orientamento di tutta l’opera ambrosiana. Cristo è il vero levita, che comunica il proprio sacerdozio all’intera Chiesa, e particolarmente ai presbiteri, i quali perciò devono vivere come “divorati” da lui, amarlo, imitarlo, presentare la sua stessa immagine ai fedeli, donare la sua vita. Se il Cristo è il verus levites, il presbitero è anch’egli un levita vero, impegnato in una lotta senza quartiere contro se stesso e lo spirito del mondo, per essere – come Gesù Cristo – totalmente di Dio.

E’ una visuale totalitaria: l’intimità eucaristica, l’umiltà, l’obbedienza al vescovo, la castità perfetta, l’oblazione di sé sono espressioni di questo amore per Cristo, che non ammette compromessi o accomodamenti.

E’ una visuale comunitaria, davvero sinodale: la formazione del presbitero ha un respiro cosmico. ed è inserita nel mistero della Chiesa. La vita spirituale per Ambrogio è apertura alle necessità del mondo, non ripiegamento su di sé: il sacerdote è l’uomo per gli altri, non tiene nulla per sé, e quindi si santifica non solo per se stesso, ma per l’arricchimento dell’intera comunità ecclesiale, a partire anzitutto dalla fraternità con i ministri della Chiesa.

E’ una visuale pratica: Ambrogio – alla scuola dei maestri alessandrini – non intende il presbitero come “una creatura angelicata”, irreale, ma come un cristiano in possesso di solide virtù umane, secondo lo stampo ciceroniano della morale antica, elevata e cristianizzata dalla pratica del Vangelo.

E’, infine, una visuale dinamica: il sacerdote deve santificarsi mediante l’esercizio, ricco di zelo, dei munera che la Chiesa gli ha affidato attraverso il vescovo, cioè anzitutto attraverso la celebrazione dell’Eucaristia e della Parola di Dio.

Come è divorato da Cristo, così il presbitero è divorato dalle anime: la cura pastorale assorbe tutto il suo tempo, le sue intere risorse fisiche, intellettuali, spirituali ed anche economiche, senza lasciarlo pensare troppo alle proprie necessità. Le occupazioni pastorali non si limitano peraltro alla sola sfera cultuale e rituale, ma impegnano la formazione del presbitero nella costante pratica della carità, richiedendogli una vita sobria, povera, disinteressata.

Possiamo aggiungere una riflessione complementare, che riguarda il tema della verecundia o del “dignitoso comportamento” dei sacerdoti, confrontando tra loro il De officiis di Cicerone e il De officiis [ministrorum] di sant’Ambrogio. 

Sia Cicerone sia Agostino consideravano la verecundia come parte integrante della formazione dei giovani, rispettivamente dei cittadini e dei chierici. In particolare, il valore attribuito da sant’Ambrogio al decoro esterno è da mettere in relazione con la sua concezione del comportamento cristiano, caratterizzato da verità e semplicità. L’importante è essere “dal di dentro” uomo verace e leale, e questo si traduce di conseguenza in un comportamento decoroso e naturale. 

Le regole proposte dal vescovo di Milano non sono in funzione di un’apparenza mondana, che mirerebbe a nascondere la vera realtà interiore per ingannare gli altri: al contrario, esse contribuiscono a mettere in piena luce le intime ricchezze della persona. Inoltre – se Ambrogio stabilisce per i suoi chierici un certo tipo di comportamento, per cui assume le regole di condotta in uso nell’ambiente patrizio di tipo ciceroniano –,  bisogna però aggiungere che egli le intende animate da un autentico spirito evangelico. E’ l’anima, è lo spirito che stabiliscono la natura, l’indole di una regola di condotta.

Il decoro di cui tratta Cicerone, comprensivo delle virtù fondamentali della prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, e la stessa sophrosyne dei Greci, seppure sono alla base del trattato ambrosiano, ricevono dall’ispirazione biblica del santo vescovo una particolare connotazione spirituale, che fa del comportamento dignitoso un elemento importante nella formazione dei chierici e di tutti i fedeli.

4. Ambrogio e Agostino: un ministro della Chiesa “in azione”

Queste riflessioni, necessarie per approfondire la storia della vocazione e il magistero di Ambrogio, ci hanno condotto prevalentemente sul versante teorico, dottrinale.

Ora vorrei andare alla prassi, e incontrare, per così dire, “il pastore sulla breccia”.

Come esercitava Ambrogio la sua “direzione spirituale”? In concreto, attraverso quali scelte e strategie si realizzava il suo magistero pastorale?

Per rispondere a queste domande conviene ripercorrere – con un po’ di pazienza – la storia del celebre incontro tra Ambrogio e Agostino.

 4.1. Agostino: da Cartagine a Roma

Tormentato da un’inquieta ricerca della verità, deluso dalle dottrine manichee, frustrato nell’insegnamento dall’indisciplina degli allievi, Agostino decide di lasciare Cartagine nel 383, quando Ambrogio è vescovo di Milano ormai da dieci anni.

Ha 29 anni, e si potrebbe dire che ha raggiunto una piena maturità di vita. In realtà, perplesso e angosciato nel suo intimo, egli dispera ormai di poter conseguire quella verità, cui anela con tutte le forze come al senso ultimo della sua esistenza.

Così la partenza di Agostino da Cartagine in quella notte del 383 sa molto di una fuga. Monica si rende conto della fase critica che sta attraversando suo figlio, e non vorrebbe assolutamente lasciarlo partire. Agostino deve imbarcarsi di nascosto, lasciando sua madre a piangere e a pregare. In verità né Monica né Agostino se ne rendono conto, ma la fuga da Cartagine costituisce l’inizio di quell’episodio assolutamente centrale della vita di Agostino, che fu il suo incontro con Ambrogio, culminato nella conversione e nel battesimo. 

In un primo momento la destinazione di Agostino, esule da Cartagine, fu Roma. Se non che l’impatto con l’ambiente romano fu un’altra grave delusione. Agostino si era illuso che gli studenti romani fossero più disciplinati degli africani, e invece si accorge che a Roma gli allievi sono solo più imbroglioni, e neppure pagano i loro insegnanti.

Agostino sta facendo questa esperienza amara, quando al prefetto di Roma, Simmaco, giunge una richiesta dalla corte imperiale, di stanza a Milano: si è resa vacante la cattedra di eloquenza dello Studio Pubblico, e si vuole coprirla con un retore di prestigio. Il titolare della cattedra di eloquenza a Milano, infatti, è in qualche modo l’oratore ufficiale della corte imperiale. Simmaco pensa subito ad Agostino, e questi accetta.

4.2. Milano: Ambrogio e Agostino

Da poco giunto a Milano – siamo ormai nell’autunno del 384 –, il giovane cattedratico dello Studio Pubblico si reca in visita alle varie autorità cittadine, e incontra pure il vescovo Ambrogio. La nostra fonte narra che questi lo accolse satis episcopaliter (Confessioni 5,3). E’ un avverbio un po’ misterioso: che cosa intendeva dire Agostino? Probabilmente, che Ambrogio lo accolse con la dignità propria di un vescovo, con paternità, ma insieme con qualche distacco.

E’ certo che Agostino rimase affascinato da Ambrogio; ma è altrettanto certo che un incontro a tu per tu su ciò che ad Agostino maggiormente interessava, e cioè sui problemi fondamentali della ricerca della verità, veniva di giorno in giorno differito, tanto che qualcuno ha potuto affermare che Ambrogio era molto freddo nei confronti di Agostino, e che poco o nulla egli ebbe a che fare con la sua conversione. 

Eppure Ambrogio e Agostino s’incontrarono più volte. Però Ambrogio teneva il discorso sulle generali, limitandosi per esempio a tessere gli elogi di Monica, e congratulandosi con il figlio per una simile madre. 

Quando poi Agostino si recava appositamente da Ambrogio, lo trovava regolarmente impegnato con catervae di persone piene di problemi, per le cui necessità egli si prodigava; oppure, quando non era con loro (e questo accadeva per lo spazio di pochissimo tempo), o ristorava il corpo con il necessario, o alimentava lo spirito con letture.

E qui Agostino fa le sue meraviglie, perché Ambrogio leggeva le scritture a bocca chiusa, solo con gli occhi. Di fatto, nei primi secoli cristiani la lettura era strettamente concepita ai fini della proclamazione, e il leggere ad alta voce facilitava la comprensione pure a chi leggeva: che Ambrogio potesse scorrere le pagine con gli occhi soltanto, segnala ad Agostino ammirato una capacità assolutamente singolare di conoscenza e di comprensione delle scritture. 

Agostino siede spesso in disparte, con discrezione, ad osservare Ambrogio; poi, non osando disturbarlo, se ne va in silenzio. “Così”, conclude Agostino, “non mi era mai possibile interpellare l’animo di quel santo profeta, se non per questioni trattabili rapidamente. Invece quei miei travagli interiori lo avrebbero voluto disponibile a lungo per potersi riversare su di lui; ma non succedeva mai” (Confessioni 6,4).

Sono parole molto gravi: tanto che verrebbe da dubitare della stessa sollecitudine pastorale di Ambrogio e della sua reale attenzione alle persone.

Personalmente, invece, sono convinto che quella di Ambrogio nei confronti di Agostino fosse un’autentica strategia, e che essa rappresenti efficacemente la figura di Ambrogio pastore e formatore.

Ambrogio è certo al corrente della situazione spirituale di Agostino, oltre al resto perché gode delle confidenze e della piena fiducia di Monica. Tuttavia il vescovo non ritiene opportuno di impegnarsi con lui in un contraddittorio dialettico, dal quale lui, Ambrogio, avrebbe anche potuto uscire perdente. Ambrogio, evidentemente, si era incontrato spesso con persone di questo genere, e aveva collaudato un suo metodo. In questi casi, evidentemente, egli preferiva sospendere le parole e lasciar parlare i fatti, e con la sua prassi affermava il primato dell’essere sul dire del pastore.

Quali sono questi fatti? 

In primo luogo la testimonianza della vita di Ambrogio, intessuta di preghiera e di servizio nei confronti dei poveri. E Agostino rimane salutarmente impressionato, perché Ambrogio si dimostra uomo di Dio e uomo totalmente donato al servizio dei fedeli. La preghiera e la carità, testimoniate da questo eccezionale formatore, subentrano alle parole e ai ragionamenti umani.

L’altro fatto che parla ad Agostino è la testimonianza della Chiesa milanese. Una Chiesa forte nella fede, radunata come un corpo solo nelle sante assemblee, di cui Ambrogio è l’animatore e il maestro, grazie anche agli inni da lui stesso composti; una Chiesa capace di resistere alle pretese dell’imperatore Valentiniano e di sua madre Giustina, che nei primi giorni del 386 erano tornati a pretendere la requisizione di un luogo di culto per le cerimonie degli ariani. Stando alle parole di Paolino, che abbiamo letto all’inizio, “Ambrogio, alla pari di Elia, non ebbe timore di parlare ai re e ai potenti della terra, come lo ispirava il timore di Dio” (Vita 47).

Nella chiesa che doveva essere requisita, racconta Agostino, il popolo devoto vegliava, pronto a morire con il proprio vescovo. “Anche noi”, e questa testimonianza delle Confessioni è preziosa, perché segnala che qualcosa andava muovendosi nell’intimo di Agostino, “pur ancora spiritualmente tiepidi, eravamo partecipi dell’eccitazione di tutto il popolo” (Confessioni 9,7).

Agostino insomma, pur non riuscendo a dialogare come avrebbe voluto con il vescovo Ambrogio, resta positivamente contagiato dalla sua vita, dal suo spirito di preghiera, dalla sua carità verso il prossimo, e dal fatto che Ambrogio si manifesta uomo di Chiesa: lo vede impegnato nell’animazione delle liturgie, ne coglie il progetto coraggioso di edificare una Chiesa unita e matura.

In questo modo Agostino trova nella testimonianza del vescovo Ambrogio un vero ministro della Chiesa, che lo riscatta dall’angoscia e dalla disperazione.

4.3. Agostino cantore della speranza

Alcuni anni più tardi, Agostino – ormai prete, e poi vescovo – scrive degli splendidi passi sulla speranza, che lo aiutano a chiarire, ai pagani come ai cristiani, lo “scandalo” di una realtà ancora fatta di pena e di dolore. 

Vogliamo ascoltarne alcuni, tratti dai celebri Commenti ai Salmi, per lo più delle omelie, che Agostino tenne soprattutto a Cartagine.

“Che cosa c’è qui sulla terra?”, si domanda per esempio Agostino nel Commento al Salmo 48; e risponde: “Fatica, oppressione tribolazione, tentazione: non puoi sperare nient’altro. E la gioia dov’è? Nella speranza futura. Dice dunque l’apostolo: ‘Sempre lieti’ (2 Corinzi 6,10). In mezzo a tutte queste tribolazioni, sempre lieti e sempre afflitti. Sempre lieti, perché egli stesso dice: ‘Come se afflitti, ma sempre lieti’. La nostra afflizione ha un come se, la nostra gioia non ha come se, perché nella speranza è certa”.

Lo stesso discorso prosegue nel Commento al Salmo 123, dove si legge a proposito dei cristiani: “Che cosa cantano dunque costoro? Che cosa cantano queste membra di Cristo? Sono persone che amano, e cantano d’amore, cantano di desiderio. A volte cantano sotto il peso della tribolazione, a volte invece pieni di esultanza, perché cantano nella speranza. La nostra tribolazione, infatti, è qui in questo mondo, mentre la nostra speranza riguarda il mondo a venire, e se nella tribolazione che ci accompagna in questo mondo non ci consolasse la speranza della vita futura, saremmo finiti. La nostra gioia, fratelli, non è dunque ancora una realtà di fatto, ma è una gioia nella speranza. Tuttavia la nostra speranza è così certa, che è come se fosse già diventata realtà”.

“Come Gesù Cristo è diventato la nostra speranza?”, si chiede infine Agostino. “Perché è stato tentato, ha patito ed è risorto. Così è diventato la nostra speranza. In lui puoi vedere la tua fatica e la tua ricompensa: la tua fatica nella passione, la tua ricompensa nella resurrezione. E’ così che è diventato la nostra speranza. Perché noi abbiamo due vite: una è quella in cui siamo, l’altra è quella in cui speriamo. Quella in cui siamo ci è nota, quella in cui speriamo ci è sconosciuta… Con le sue fatiche, le tentazioni, i patimenti, la morte, Cristo ti ha fatto vedere la vita in cui sei; con la risurrezione ti ha fatto vedere la vita in cui sarai. Noi sapevamo solo che l’uomo nasce e muore, ma non sapevamo che risorge e vive in eterno. Per questo è diventato la nostra speranza nelle tribolazioni e nelle tentazioni, ed ora siamo in cammino verso la speranza” (Commento al Salmo 60, 4).

4.4. Agostino cantore della misericordia

Ma – agli occhi di Agostino, “discepolo” di Ambrogio – la speranza teologica non basta. Essa deve essere accompagnata e “inverata” dalla misericordia e dalle buone opere della carità. E’ utile citare, a questo riguardo, un breve sermone intitolato Il valore della misericordia. Non sappiamo dove, né quando, venne pronunciato. Per la verità non siamo neppure certi della paternità agostiniana: tuttavia è eloquente l’attribuzione pressoché concorde di questo scritto al vescovo di Ippona. 

    “O buoni fedeli” – così esordisce il Discorso – “desidero darvi qualche avvertimento sul valore della misericordia. Per quanto io abbia sperimentato che voi siete disponibili a ogni opera buona, tuttavia è necessario che su questo argomento tenga con voi un discorso di particolare impegno. Vediamo dunque: che cos’è la misericordia? Non è altro se non caricarsi il cuore di un po’ di miseria altrui. La parola ‘misericordia’ deriva il suo nome dal dolore per il ‘misero’. Tutt’e due le parole sono presenti in questo termine: miseria e cuore (de dolore miseri misericordia dicta est: utrumque ibi sonat, et miseria et cor). Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia. Fate attenzione pertanto, fratelli miei, come tutte le buone opere che facciamo nella vita riguardano veramente la misericordia. Ad esempio: tu dài del pane a chi ha fame; daglielo con la partecipazione del cuore, non con noncuranza, per non trattare come un cane l’uomo a te simile. Quando dunque compi un atto di misericordia, comportati così: se porgi un pane, cerca di essere partecipe della pena di chi ha fame; se dài da bere, partecipa alla pena di chi ha sete; se dài un vestito, condividi la pena di chi non ha vestiti; se dài ospitalità, condividi la pena di chi è pellegrino; se visiti un infermo, condividi quella di chi ha una malattia; se vai a un funerale, ti dispiaccia del morto; e se metti pace fra i litiganti, pensa all’affanno di chi ha una contesa. Se amiamo Dio e il prossimo, non possiamo fare queste cose senza una pena nel cuore” (Il valore della misericordia).

5. Conclusione

In definitiva, che cosa trasformò Agostino, da quell’uomo disperato che era, in un tale cantore della speranza e della misericordia?

Un elemento decisivo fu certamente la singolare formazione spirituale ricevuta dal vescovo Ambrogio, un’educazione basata sull’esempio e sulla testimonianza.

A questo riguardo mi sembra utile proporre due riflessioni, che legano tra loro – come in una catena ininterrotta di testimonianze – i santi vescovi Eusebio, Ambrogio e Agostino. Come ho già accennato, pare che Ambrogio abbia inteso mettersi, in qualche modo, alla scuola di Eusebio. Lo attesta soprattutto l’Epistola 63, già citata, che il vescovo di Milano scrisse intorno al 394 alla Chiesa di Vercelli.

Molti tratti accomunano i santi vescovi Eusebio, Ambrogio e Agostino, ma vorrei ricordarne soprattutto due, assolutamente centrali nell’identità del ministro consacrato. 

Essi sono l’ascolto orante della Parola e l’esercizio della carità.

5.1. Eusebio, Ambrogio e Agostino sono anzitutto ministri della Parola. Ciò che impressionò salutarmente il giovane Agostino, e finì per riscattarlo dalla sua disperazione, fu proprio la familiarità del vescovo di Milano con la Parola del Signore, l’intimità profonda che si svelava in quella sua lettura a fior di labbra. Ma in questo amore per le scritture e per la preghiera Ambrogio giocava una nobile gara con il vescovo di Vercelli. Per Eusebio – come per Ambrogio – la Bibbia era l’anima della preghiera quotidiana, il segreto della sua intensa vita pastorale.

E’ facile l’attualizzazione del discorso. Ne scaturisce un esame di coscienza necessario per chi vuole ritrovarsi nella testimonianza di Eusebio, di Ambrogio e di Agostino. Anche oggi, di fronte alla sfida di certa cultura nichilista e atea, si può vincere solo con un “di più” di preghiera, nutrita sistematicamente dalla lectio divina, cioè dall’ascolto orante e ubbidiente della Parola di Dio: una lectio, è appena il caso di dirlo, che non sia fine a sé stessa, ma che conduca piuttosto alla conversione della vita. “Quando si leggevano le storie dei Patriarchi e le massime dei Proverbi abbiamo trattato ogni giorno di morale”, diceva Ambrogio ai destinatari delle sue catechesi, “affinché, formati e istruiti da essi, voi vi abituaste ad entrare nella via dei Padri e a seguire il cammino dell’obbedienza ai precetti divini” (I misteri 1,1).

5.2. E così, oltre che ministri della Parola, Eusebio, Ambrogio e Agostino si rivelano ministri della Chiesa al servizio della carità. Tornano alla mente alcuni gesti profetici di Ambrogio e di Agostino, come quello di fondere i vasi sacri per il riscatto dei prigionieri, e rivediamo, come in un flashback, lo sguardo ammirato di Agostino, che contemplava Ambrogio assediato da catervae di poveri. Ma già prima di Ambrogio la vita della Chiesa eusebiana era piena di fioretti della carità cristiana e ricca di iniziative lungimiranti per la salvezza di tutti.

Di nuovo dovremmo interrogarci con coraggio se come ministri ordinati ci muoviamo sulla strada di Eusebio, di Ambrogio e di Agostino.

Certo, non è facile praticare la carità nel contesto sociale di oggi. Anzitutto la lista dei bisogni si è fatta più lunga che mai, e in secondo luogo, volendo fare del bene agli ultimi, si rischia talvolta di soccorrere il malvivente piuttosto che l’uomo ferito e derubato.

Come al solito, il ricorso al Vangelo e ai Padri non offre delle risposte confezionate per i singoli problemi della vita, né pretende di sostituirsi alla coscienza responsabile dei fedeli. 

Ma – nonostante le difficoltà sopra indicate, e tante altre che si potrebbero aggiungere – l’interrogativo fondamentale (“Tu, da che parte stai? Sei uno dal ‘cuore duro’, o hai le ‘viscere di misericordia’ del nostro Dio?”) continua a risuonare con tutta la sua forza, insieme al pressante invito a riconoscere nel volto del povero il volto di Cristo. Dovrai discernere e mediare caso per caso le modalità dei tuoi interventi. Ma alla fine le tue azioni devono esprimere con chiarezza l’orientamento di fondo della tua vita: e queste azioni sono anzitutto le opere della carità. Esse devono risplendere “davanti agli uomini”: su di esse sarai giudicato nell’ultimo giorno.

In definitiva, la storia della vocazione di sant’Ambrogio, vescovo di Milano, si delinea con molta chiarezza. 

Essa si fonda su una sintesi efficace, personalmente realizzata e testimoniata, tra la preghiera e la vita, tra l’ascolto della Parola e l’esercizio della carità. Non si riduce affatto a una serie di concetti astratti o di norme disincarnate.

Inoltre (e di conseguenza) Ambrogio si colloca al centro di una «cordata di testimonianza», che idealmente lega tra loro Eusebio, lo stesso Ambrogio e Agostino.

    Dovremmo chiederci a questo punto se anche noi ci ritroviamo nella stessa “cordata”. A noi, cristiani del Duemila, Eusebio, Ambrogio e Agostino affidano il testimone che è passato tra le loro mani, perché la fede, la speranza e l’amore possano vincere il mondo.

SESTA MEDITAZIONE

San Giovanni Leonardi (1541-1609)

     Facciamo memoria della storia di vocazione di san Giovanni Leonardi, sacerdote e fondatore dei Chierici regolari della Madre di Dio. In questo caso utilizzeremo esplicitamente lo schema narrativo delle storie bibliche di vocazione

    Prima però conviene ricordare che il nostro santo – nato vicino a Lucca nel 1541 – visse a Roma i suoi anni più fecondi, godendo dell’amicizia spirituale di alcuni altri santi sacerdoti, come san Filippo Neri, san Giuseppe Calasanzio e il cardinale Baronio.     Questo riferimento all’amicizia tra i santi (e soprattutto tra santi sacerdoti) meriterebbe uno sviluppo adeguato. Qui mi limito semplicemente a segnalare il tema. 

    San Giovanni Leonardi morì a Roma nel 1609, e le sue spoglie mortali riposano nella chiesa di Santa Maria in Campitelli, sede generalizia dell’Ordine da lui fondato. 

Come già abbiamo accennato, nella Bibbia le storie di vocazione – dai Patriarchi ai Profeti, da Maria santissima agli Apostoli – sono accomunate da uno schema letterario, che prevede almeno tre tappe: la chiamata-elezione, la risposta, la missione.

Di norma vi si aggiungono poi i dubbi e le resistenze del chiamato, e – infine – la conferma rassicurante di Dio.

Proprio in questo modo vogliamo confrontarci con la storia della vocazione di san Giovanni Leonardi. In questo caso, tuttavia, ci limiteremo ai primi tre momenti dei racconti biblici.

1. La chiamata-elezione

Ecco dunque il primo atto di questa bella storia: la chiamata-elezione, l’iniziativa assolutamente gratuita di Dio.

Anche la storia di vocazione di san Giovanni Leonardi, come del resto ogni storia di vocazione, è anzitutto dono e mistero, per usare una suggestiva espressione – su cui torneremo a suo tempo – del santo papa Giovanni Paolo II, quando, nel cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, egli volle rileggere con sguardo di fede la storia della propria vocazione.

La lettura del profeta Isaia, citata da Gesù stesso nel suo discorso programmatico nella sinagoga di Nazaret, ce ne dà conto: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Isaia 61,1).

A questo proposito, possiamo ricordare un momento preciso della vita di san Giovanni Leonardi, quando – subito dopo la morte del padre – egli aveva ormai deciso di dedicarsi alla professione di speziale, o di farmacista. Siamo nel 1568. Giovanni si recava a Lucca, per comperare i vasi e gli altri strumenti necessari per il suo lavoro. Ma lungo la strada lo sorprese una voce interiore: “Giovanni, dove vai? Hai chiesto il consiglio al tuo confessore?”, gli chiese la voce. E quando il giovane, ubbidendo alla voce di Dio, si confrontò con il padre spirituale, la risposta fu netta: “Figliuolo, fermatevi un poco. Io non voglio che facciate più lo speziale…”.

Ecco l’iniziativa assolutamente gratuita di Dio. E’ lui che chiama. Il vero protagonista di ogni storia di vocazione è soltanto lui. 

Al chiamato spetta la responsabilità umile di una risposta fedele.

2. La risposta

Trascorriamo così al secondo atto della nostra storia: la risposta alla chiamata del Signore.

Due verbi presiedono di norma a questa tappa dei racconti biblici di vocazione: “lasciare” e “seguire”, cioè l’“esodo” per la “sequela”. Valga per tutte la storia della vocazione di Abramo: “Esci dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre”, gli ordina il Signore, “e va’ verso il paese che io ti indicherò…” (Genesi 12,1).

L’esodo personale di Giovanni Leonardi fu assai travagliato, e spesso incompreso: da Lucca a Roma; dalla fondazione dei Preti Riformati a quella dei Chierici Regolari della Madre di Dio…

Comunque, proprio attraverso le difficoltà e le incomprensioni si snoda la risposta fedele del Leonardi al suo Signore: la sua è la risposta propria dei “ministri/schiavi di Cristo” e degli “amministratori dei misteri di Dio”: ad ognuno di questi amministratori, ammonisce Paolo, si richiede che risulti fedele (1 Corinzi 4,1).

In effetti, quella di san Giovanni Leonardi fu una risposta senza riserve alla volontà di Dio. E’ proprio questa una linea caratteristica della sua spiritualità: la matura consapevolezza della volontà divina, a cui lui – come il “servo biblico” – non poteva in alcun modo sottrarsi. Di fatto, la certezza di essere uno strumento nelle mani del Signore l’accompagnò sempre, dall’inizio alla fine della sua storia di vocazione sacerdotale. 

3. La missione

Lungo gli anni della sua vita, le giornate divennero per lui come tanti d’amore ripetuti a Dio, che l’aveva chiamato al servizio della Chiesa, del prossimo, dei ragazzi da educare e da istruire.

    Ecco la missione di san Giovanni Leonardi, mirabilmente riassunta in un passo famoso delle Costituzioni del 1584: “Il Signore”, vi scrisse il santo, “ci ha chiamati non solo perché potessimo attendere a noi stessi, ma perché cercassimo con ogni diligenza la salvezza del nostro prossimo. E tutti noi fratelli” (cioè i Chierici da lui fondati) “con animo acceso ci sforzeremo di compiere questa volontà di Dio, attendendo all’amministrazione dei santissimi sacramenti senza perdonare fatica e disagio. Si predichi e si legga la Divina Scrittura in Chiesa nostra ogni giorno di festa comandata e insieme si insegni la Dottrina Cristiana ai bambini”.

    E davvero i Chierici del Leonardi si mossero così per la missione, proprio come i settantadue discepoli, di cui parla il Vangelo. Il Signore “li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e in ogni luogo dove stava per recarsi”: ed essi avvicinavano al mondo il Regno di Dio (Luca 10,1-9).

4. La storia è finita…

La storia è finita, e in un certo senso ci dispiace, perché era proprio una bella storia. 

Ma la cosa più bella di tutte è questa: la storia, in verità, non è finita

La storia di vocazione alla santità di Giovanni Leonardi, infatti, è una solenne consegna per ciascun fedele, e soprattutto per ogni ministro ordinato: che sulla stessa strada di fede, di speranza e di carità ci troviamo a camminare anche noi, ciascuno con la sua irripetibile storia di vocazione, ma sempre con tutta la fede e la passione di cui siamo capaci.

Anch’io sono chiamato da Dio, ogni giorno della mia vita.

Anch’io devo rispondere a lui, in modo coerente e fedele.

Anche a me è affidata una missione, che nessun altro può compiere al mio posto.

Basta che ci fidiamo di Dio, il vero protagonista della nostra storia di vocazione.

E allora, voltandoci indietro a guardare la nostra vita, anche a noi – come ai santi – sembrerà finalmente di comprendere tutto: che la grazia di Dio ci accompagna, e che il suo amore misericordioso dura per sempre.

Mons. Dal Covolo, Il ministro ordinato

ESERCIZI SPIRITUALI 

Solane, 13-19 febbraio 2022

CHI E’ IL MINISTRO ORDINATO?

Dalle origini all’oggi della Chiesa

                                                                                      + Enrico dal Covolo

Programma e contenuti delle meditazioni

    Le meditazioni di questa settimana si articoleranno in due parti, differenti nel genere espositivo, ma tra loro intimamente collegate riguardo all’interrogativo che ci proponiamo.

     Nella prima parte – più teologica, dottrinale, e anche più breve – ci confronteremo soprattutto con i nostri Padri, ma anche con alcuni documenti importanti del Magistero, riguardo a due temi decisivi della formazione sacerdotale: precisamente la consacrazione e la missione del ministro ordinato.

    Nella seconda parte – più narrativa, biografica, e con qualche spunto per la revisione di vita – illustreremo alcune storie di vocazione sacerdotale, inseguendo idealmente (anche se non sempre in modo esplicito) lo schema biblico delle storie di vocazione. Come è noto, esso prevede cinque punti di riferimento fondamentali: la chiamata-elezione di Dio, la risposta del chiamato, la missione, i dubbi e le resistenze del chiamato, la conferma rassicurante del Signore.

    Le due parti giungeranno a rispondere (in modo più o meno adeguato) alla domanda ambiziosa che ci siamo proposti: Chi è il ministro ordinato nella Chiesa?

    Dedico queste meditazioni ai tanti vescovi, sacerdoti, diaconi e chierici che ho incontrato in oltre cinquant’anni di insegnamento e di ministero sacerdotale.

    Assicuro inoltre un ricordo e una preghiera speciali ai diaconi e ai presbiteri che ho ordinato in questi miei dodici anni di episcopato.

PRIMA MEDITAZIONE

Introduzione alla prima parte degli Esercizi

    Nelle prossime quattro meditazioni seguiremo un percorso un po’ complesso, almeno a prima vista.

    I. Partendo dall’Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis sulla formazione dei sacri ministri (= Pdv, del 25 marzo 1992: come è noto, si tratta del documento magisteriale più importante del Postconcilio sulla formazione sacerdotale), faremo un paziente cammino a ritroso. Incroceremo così la Presbyterorum Ordinis del Concilio Vaticano II (= PO), e approderemo finalmente ai Padri della Chiesa. A quest’ultimo livello, quello dei nostri Padri, svolgeremo un rapido anticipo su sant’Agostino. per illuminare efficacemente il percorso successivo.

    II. A questo punto prenderemo in considerazione la cosiddetta “scuola antiochena” – in pratica, dovremo limitarci a Ignazio di Antiochia e a Giovanni Crisostomo –. 

    III. Di seguito, ci occuperemo della “scuola alessandrina” (di fatto, potremo intrattenerci solo su Origene, il grande maestro di questa scuola).

    IV. Torneremo infine in Occidente, ancora a sant’Agostino.

    Il “filo rosso” di queste quattro meditazioni resta sempre la formazione sacerdotale, cioè il progetto del ministero ordinato secondo il cuore della Chiesa, nei suoi due aspetti irrinunciabili di consacrazione e di missione.

    DALLA PASTORES DABO VOBIS ALLA PRESBYTERORUM ORDINIS

FINO A SANT’AGOSTINO

1. “La missione”, si legge nel n. 24 di Pdv, “non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è per la missione. In questo modo, non solo la consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore. Così è stato di Gesù. Così è stato degli apostoli e dei loro successori. Così è dell’intera Chiesa, e in essa dei presbiteri: tutti ricevono lo Spirito come dono e appello di santificazione all’interno e attraverso il compimento della missione”.

Poco prima, la medesima Esortazione apostolica aveva indicato nella “carità pastorale” la categoria – o la cifra caratteristica – della sintesi tra consacrazione e missione. Nel n. 23, infatti, la “carità pastorale” è definita come “il principio interiore, la virtù che anima e che guida la vita spirituale del presbitero, in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore”. Ancora di più, essa – la carità pastorale del presbitero – è “partecipazione alla stessa carità pastorale di Gesù Cristo”.

Così l’espressione “carità pastorale” – che ricorre come un leitmotiv nell’Esortazione di Giovanni Paolo II – richiama quella “grazia di unità” tra consacrazione e missione, tra amore di Dio e amore del prossimo, che ogni presbitero è chiamato a implorare e ad accogliere nella sua vita.

2. A questo proposito, conviene ricordare (e non poteva essere altrimenti) che Pdv dipende direttamente dal magistero del Concilio Vaticano II. 

Si pensi, in particolare, al n. 13 di PO, dove si legge: “I presbiteri raggiungeranno la santità”, vale a dire il traguardo vero della consacrazione presbiterale, “se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni”, vale a dire la loro missione, “con impegno sincero e instancabile”.

3. A sua volta, dietro il Vaticano II sta un’ininterrotta tradizione patristica, che non si stanca di predicare questa sintesi vitale tra consacrazione e missione nella formazione del ministro ordinato. 

Per fare un esempio illustre, anticipo fin d’ora una massima lapidaria di sant’Agostino, che si trova al termine del suo Commento al Vangelo di Giovanni: Sit amoris officium pascere Dominicum gregem, ammonisce con vigore il vescovo di Ippona (“Sia un dovere dell’amore pascere il gregge di Cristo”: 123,5).

 L’amore per Cristo, la configurazione a lui – insomma, la consacrazione del presbitero – trovano la loro conseguenza necessaria e coerente nell’esercizio della missione pastorale. 

Si noti che tale massima è citata in nota, nel n. 14 di PO, per illustrare che cosa si debba intendere esattamente per “carità pastorale”.

4. Come è ben noto, l’icastica espressione agostiniana si inserisce in una riflessione complessiva dei Padri orientali e occidentali sul sacerdozio cristiano, sulla sua identità e sulle sue istanze formative.

Come ho già anticipato, cercherò di documentare questa riflessione patristica con due riferimenti esemplari. 

Il primo riferimento, che riguarda l’Oriente, andrà alle “scuole teologiche” più famose dell’antichità cristiana, cioè alla “scuola antiochena” e alla “scuola alessandrina”. Chiaramente il termine “scuola” in questo caso non va inteso in senso stretto, bensì come un orientamento esegetico e dottrinale che muove dalle medesime premesse antropologiche e culturali, ma che non è strettamente vincolante.

Sono ben noti gli orientamenti delle antiche tradizioni di Antiochia e di Alessandria. 

Alessandria sembra accogliere due istanze complementari rispetto ad Antiochia, vale a dire l’allegoria in esegesi e la valorizzazione della divinità del Verbo in cristologia. Più in generale, Alessandria è ben distante dal cosiddetto “materialismo” o “realismo” antiocheno, assai più attento alla lettera nell’esegesi e all’umanità di Gesù nella cristologia. Questo stesso “realismo” appare evidente anche in ambito ecclesiologico e, in particolare, nella dottrina del ministero ordinato. 

Naturalmente si tratta di accentuazioni, non di insegnamenti unilaterali ed esclusivi, come dimostra per esempio il fatto che Origene, maestro dell’allegoria e dell’interpretazione spirituale della Bibbia, è studioso quant’altri mai attento della lettera del testo sacro.

Il secondo riferimento, relativo all’Occidente, ci condurrà, dopo la lettura di alcuni altri testi agostiniani, al celebre Sermone 46 del vescovo di Ippona, detto anche il Discorso sui pastori.

SECONDA MEDITAZIONE

La “scuola antiochena”: da Ignazio a Giovanni Crisostomo

    1. Dalle Lettere di Ignazio (+ 107)

    E’ invalso l’uso di considerare Luciano, maestro di Ario, come il capostipite della “scuola” di Antiochia. 

Ma già Ignazio nei primi anni del II secolo ne anticipava alcuni tratti caratteristici, soprattutto nello spiccato realismo dei suoi riferimenti all’umanità di Cristo. Egli “è realmente dalla stirpe di Davide”, scrive Ignazio agli Smirnesi, “realmente è nato da una vergine…, realmente fu inchiodato per noi” (1,1).

Ignazio impiega lo stesso realismo anche quando si riferisce alla Chiesa. In particolare egli allude più volte alla gerarchia ecclesiastica, parlando dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi.

“E’ bene per voi”, scrive l’Antiocheno ai cristiani di Efeso, “procedere insieme, d’accordo col pensiero del vescovo, cosa che già fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amore sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così anche voi, a uno ad uno, diventate coro, affinché nella sinfonia della concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell’unità, cantiate a una sola voce” (4,1-2).

 E dopo aver raccomandato agli Smirnesi di non “intraprendere nulla di ciò che riguarda la Chiesa senza il vescovo” (8,1), confida a Policarpo, vescovo di Smirne: “Io offro la mia vita per quelli che sono sottomessi al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Possa io con loro avere parte con Dio. Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a colui, per il quale militate, e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un’armatura” (6,1-2).

Complessivamente – osservava già il Papa Benedetto nella sua catechesi dedicata a sant’Ignazio (14 marzo 2007) – si può cogliere nelle Lettere dell’Antiocheno una sorta di dialettica costante e feconda tra due aspetti caratteristici della vita cristiana: senz’altro la struttura gerarchica della comunità ecclesiale, di cui abbiamo fatto cenno; ma anche l’unità fondamentale, che lega fra loro tutti i fedeli in Cristo. 

Di conseguenza, non esiste la possibilità di un’opposizione dei ruoli.

Al contrario, l’insistenza sulla comunione e sulla reciprocità dei credenti, continuamente riformulata attraverso immagini e analogie (la cetra, le corde, l’intonazione, il concerto…), appare come il risvolto consapevole della comune identità dei fedeli, quasi a prescindere dal fatto che essi siano ministri ordinati o meno.

D’altra parte, però, è evidente la responsabilità peculiare dei diaconi, dei presbiteri e dei vescovi nell’edificazione della comunità.

    Vale anzitutto per loro l’invito all’amore e all’unità. “Siate una cosa sola”, scrive Ignazio ai Magnesi riprendendo la preghiera di Gesù nell’ultima cena: “Un’unica supplica, un’unica mente, un’unica speranza nell’amore… Accorrete tutti a Gesù Cristo come all’unico tempio di Dio, come all’unico altare: egli è uno, e procedendo dall’unico Padre, è rimasto a lui unito, e a lui è ritornato nell’unità” (7,1-2).

Certo, Ignazio non esplicita le istanze formative in rapporto ai ministri sacri, ma esse non sono per questo meno evidenti. Si veda per esempio il passo della Lettera ai Tralliani nel quale il vescovo, raccogliendo l’insegnamento di Atti 6 (su cui torneremo nella conclusione del nostro volume), spiega con franchezza: “I diaconi, che sono al servizio dei misteri di Gesù Cristo, devono cercare di piacere in ogni maniera a tutti. Essi non sono (semplici) servi di cibi e di bevande, ma sono servitori (hyperétai: letteralmente “rematori”, “galeotti incatenati ai remi della nave”) della Chiesa e di Dio. Si guardino perciò da ogni biasimo, come dal fuoco” (2,3).

    Dunque, i ministri ordinati non sono dei semplici “distributori” di cibi e di bevande, ma sono al servizio dei misteri di Gesù e della Chiesa. Se un ministro non si forma nella contemplazione dei santi misteri di Cristo, fino a raggiungere “l’unità” con lui, non può esercitare il ministero autentico della carità, e non “rema”, cioè non “spinge avanti” la Chiesa di Dio.

2. Giovanni Crisostomo (+ 407)

    Trascorro ora a un altro Padre antiocheno, misticamente innamorato del sacerdozio.

Vorrei richiamare la figura del Crisostomo come quella di un testimone, di un pastore “colto sulla breccia” del ministero.

Per illustrare la personalità del Crisostomo si può partire da un aspetto particolare della sua vita.

La storia della sua vocazione non sembra, a prima vista, del tutto lineare. Sentendosi attratto dalla forma di vita monastica ed eremitica – che nella prima metà del IV secolo aveva raccolto molti consensi in Oriente –, Giovanni abbandonò Antiochia, dove esercitava il ministero del lettorato, e si ritirò nella zona del monte Silpio, appena fuori dalla città. Aveva poco più di vent’anni. 

Ma il ritiro in questa regione montuosa, ricca di grotte e di anfratti, non durò molto tempo: sei anni dopo, nel 378, Giovanni rientrò a Antiochia.

Fu certamente una decisione sofferta, che a prima vista poté apparire una sorta di tradimento rispetto al cammino intrapreso. Di fatto molti autori, antichi e moderni, si sono interrogati sui motivi che condussero il giovane Crisostomo a ritornare sui suoi passi. Per lo più si ritiene – sulla scorta di Palladio – che la costituzione fisica di Giovanni non abbia retto alla prova del deserto.

Da parte mia, ritengo più soddisfacente un’altra interpretazione.

A me pare infatti che la storia della vocazione di Giovanni scorra in perfetta continuità con i sei anni di deserto: proprio nella lettura e nella contemplazione solitaria della Parola di Dio, infatti, il Crisostomo dovette maturare l’irresistibile urgenza di predicare quella medesima Parola per l’utilità e per la salvezza degli altri.

Lo dimostra il fatto che, appena rientrato a Antiochia, Giovanni riprese subito, con assoluta dedizione, il suo servizio della Parola: venne reintegrato fra i lettori, fu ordinato diacono, e finalmente nel 386 divenne sacerdote. Da allora in poi – in quella predicazione che lo avrebbe reso giustamente famoso nella tradizione della Chiesa – il santo vescovo non cesserà mai di sottolineare l’intimo rapporto tra il servizio del prossimo e la Parola di Dio. 

A suo parere, l’autentico testimone della carità deve proclamare sempre, con la parola e con le opere, quello che attesta l’apostolo Giovanni: “Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunciamo a voi!” (cfr. 1 Giovanni 1, 1-3).

In altri termini, per crescere nella carità autentica, i fedeli – e a maggior ragione i ministri ordinati – devono conoscere Gesù Cristo, la Parola di Dio, cioè devono entrare in profonda intimità con lui.

Ancora una volta, il discorso ritorna sulla “dimensione contemplativa” del presbitero, e sulla qualità del suo incontro con il Signore nella Parola e nei Sacramenti. 

In questa stessa prospettiva può essere letto anche il famoso Dialogo con Basilio, composto ad Antiochia intorno al 390, là dove Giovanni Crisostomo parla dell’esempio e della Parola come dei “farmaci”, che il presbitero ha a sua disposizione: “Quelli che curano i corpi degli uomini”, scrive, “hanno a disposizione una quantità di farmaci… Nel nostro caso, oltre all’esempio, non c’è altro strumento o altro metodo di cura, al di fuori dell’insegnamento che si attua con la Parola” (Dialogo sul sacerdozio 4,3,5-13). 

    Nel medesimo Dialogo il Crisostomo parla del sacerdozio come di “una vita fatta di coraggio e dedizione” (così infatti va tradotta la locuzione ghennáia psyché di 2,4,51-64), perché il ministero del (vero) pastore non conosce i confini angusti del tornaconto personale, ma ridonda a vantaggio di tutto il gregge.

Per il Crisostomo, la cura del gregge è il “segno dell’amore”, è la prova concreta che il ministro ama veramente il Signore: “Se mi ami, pasci le mie pecore…” (cfr. Giovanni 21,17). 

In quell’occasione, osserva il Crisostomo, il Maestro chiese al discepolo se lo amava, non per saperlo lui stesso: perché mai avrebbe dovuto farlo, lui che scruta e conosce il cuore di tutti? Neppure “intendeva dimostrare a noi quanto Pietro lo amasse: questo ci era già noto da molti altri fatti; ma voleva dimostrare quanto lui (il Signore) amasse la sua Chiesa, e insegnare a Pietro e a tutti noi quanta cura dovessimo profondere in quest’opera” (2,1,35-40).

Proprio qui risiede l’incolmabile differenza tra il mercenario e il pastore: “Il buon Pastore dà la propria vita per le sue pecore” (Giovanni 10,11).

3. Conclusioni sulla “scuola di Antiochia”

In definitiva, si ha l’impressione che sia Ignazio di Antiochia sia Giovanni Crisostomo insistano di più sull’identità del presbitero che non sull’itinerario della sua formazione. Nella massima parte dei casi, infatti, le istanze formative restano solo implicite.

In tutti e due i Padri, comunque, si può rilevare una forte sottolineatura sulla necessaria unità dei presbiteri con Cristo.

Per entrambi gli Antiocheni, inoltre, unità perfetta con Cristo e dedizione totale al gregge non appaiono semplicemente due caratteristiche costitutive del presbitero (alle quali, di conseguenza, va costantemente orientato ogni itinerario di formazione sacerdotale). 

Esse costituiscono piuttosto un’unica realtà. Sono come le due facce di una stessa medaglia. L’una invera l’altra, e non si dovrebbe dare il caso di un sacerdote che abbia l’una senza l’altra. Per il presbitero la dedizione totale al gregge è il segno della sua unità con Cristo; d’altra parte la piena dedizione al gregge lo impegna “ad accorrere” continuamente “a Gesù Cristo come all’unico tempio di Dio, come all’unico altare” (Ignazio, Lettera ai Magnesi 7,2).

Ecco che cosa si deve intendere esattamente per “carità pastorale”!

In ultima analisi, il “realismo” dei Padri antiocheni invita il presbitero a una sintesi progressiva tra configurazione a Cristo (intimità, unione, piena configurazione con lui) e dedizione pastorale (missione, servizio alla Chiesa e al mondo): sintesi tra consacrazione e missione, insomma, fino a che attraverso una dimensione parli l’altra, e i ministri non si riducano mai a “semplici distributori”, ma siano “autentici testimoni” dei misteri di Cristo e della sua Chiesa, e sempre di più si trovino “nel possesso di quello spirito di unità (adiákriton pnéuma), che è Gesù Cristo” (con queste parole Ignazio chiude la medesima Lettera ai Magnesi).

TERZA MEDITAZIONE

La scuola di Alessandria: Origene

1. La tradizione alessandrina

Prendiamo adesso in considerazione la cosiddetta “tradizione alessandrina”. 

Abbiamo già notato che Alessandria sembra accogliere alcune istanze complementari rispetto alla tradizione antiochena. Questo – lo ripetiamo – vale anche in ambito ecclesiologico e, in particolare, nella concezione del ministero ordinato.

Per illustrare gli orientamenti alessandrini sul tema della formazione sacerdotale, mi limito a un solo esempio, peraltro molto rappresentativo: mi riferisco a Origene (+ 254), e soprattutto alle sue Omelie sul Levitico, pronunciate a Cesarea di Palestina tra il 239 e il 242. Siamo ormai a qualche anno dalla grave crisi che – a causa dell’ordinazione sacerdotale, conferitagli intorno al 231 dal vescovo di Cesarea, all’insaputa di quello di Alessandria – oppose Origene e il suo ordinario, il vescovo Demetrio. 

La crisi restò aperta, e causò appunto il trasferimento di Origene a Cesarea.

Bisogna riconoscere anzitutto che Origene, da buon alessandrino, è più interessato a contemplare la Chiesa nel suo aspetto spirituale, come mistico Corpo di Cristo, che non nel suo aspetto visibile.

Così Origene è più attento alla cosiddetta “gerarchia della santità”, in rapporto a un cammino incessante di perfezione proposto a ogni cristiano, che non alla “gerarchia visibile”, ministeriale.

Di conseguenza, l’Alessandrino si riferisce più spesso al sacerdozio comune dei fedeli e alle sue caratteristiche, che non al sacerdozio gerarchico.

In ogni caso, seguendo il discorso di Origene sull’uno e sull’altro argomento, non sarà difficile ricavare alcune indicazioni sull’itinerario di formazione dei ministri ordinati.

2. Sacerdozio dei fedeli e condizioni per il suo esercizio

Una lunga serie di testi origeniani – che nella maggior parte dei casi fanno riferimento esplicito o implicito a 1 Pietro 2,9: “Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale…” – intende illustrare le condizioni richieste per l’esercizio del sacerdozio comune.

Nella nona Omelia sul Levitico Origene – riferendosi al divieto fatto ad Aronne, dopo la morte dei suoi due figli, di entrare nel sancta sanctorum “in qualunque tempo” (Levitico 16,2) – ammonisce: “Da ciò si dimostra che se uno entra a qualunque ora nel santuario, senza la dovuta preparazione, non rivestito degli indumenti pontificali, senza aver preparato le offerte prescritte ed essersi reso Dio propizio, morirà… Questo discorso riguarda tutti noi: si riferisce a tutti, ciò che qui dice la legge. Ordina infatti che sappiamo come accedere all’altare di Dio. O non sai che anche a te, cioè a tutta la Chiesa di Dio e al popolo dei credenti, è stato conferito il sacerdozio? Ascolta come Pietro parla dei fedeli: ‘Stirpe eletta’, dice, ‘regale, sacerdotale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato’. Tu dunque hai il sacerdozio perché sei ‘stirpe sacerdotale’, e perciò devi offrire a Dio il sacrificio della lode, sacrificio di orazioni, sacrificio di misericordia, sacrificio di purezza, sacrificio di giustizia, sacrificio di santità. Ma perché tu possa offrire degnamente queste cose, hai bisogno di indumenti puri e distinti dagli indumenti comuni agli altri uomini, e ti è necessario il fuoco divino – non uno estraneo a Dio, ma quello che da Dio è dato agli uomini –, del quale il Figlio di Dio dice: ‘Sono venuto per mandare il fuoco sulla terra’” (Omelia sul Levitico 9,1).

Ancora nella quarta Omelia, prendendo lo spunto dalla legislazione levitica secondo cui il fuoco per l’olocausto doveva ardere perennemente sull’altare (Levitico 6,8-13), Origene apostrofa così i suoi fedeli: “Ascolta: deve sempre esserci il fuoco sull’altare. E tu, se vuoi essere sacerdote di Dio – come sta scritto: ‘Voi tutti sarete sacerdoti del Signore’, e a te è detto: ‘Stirpe eletta, sacerdozio regale, popolo che Dio si è acquistato’ –; se vuoi esercitare il sacerdozio della tua anima, non lasciare mai che si allontani il fuoco dal tuo altare” (Omelia sul Levitico 4,6). 

Come si vede, l’Alessandrino allude alle condizioni interiori che rendono il fedele più o meno degno di esercitare il suo sacerdozio. Così infatti prosegue la stessa Omelia: “Ciò significa quello che il Signore comanda nei vangeli, che ‘siano i vostri fianchi cinti e le vostre lucerne accese’. Dunque sia sempre acceso per te il fuoco della fede e la lucerna della scienza” (ivi).

Per comprendere la concezione origeniana dei “fianchi cinti” è utile citare un passo del primo trattato Sulla Pasqua rinvenuto a Tura nel 1941, là dove l’Alessandrino spiega il significato dei “fianchi cinti” per la cena pasquale (Esodo 12,11). “Ci è ordinato”, commenta Origene, “di essere puri da incontri corporei, questo significando il cingolo del fianco. [La Bibbia] ci insegna a porre un legame attorno al luogo seminale, e ci ordina di frenare gli impulsi sessuali quando abbiamo parte alle carni del Cristo”.

In definitiva, da una parte i “fianchi cinti” e gli “indumenti sacerdotali”, vale a dire la purezza e l’onestà della vita, dall’altra la “lucerna sempre accesa”, cioè la fede e la scienza delle scritture, si configurano precisamente come le condizioni indispensabili per l’esercizio del sacerdozio comune. 

A maggior ragione lo sono, evidentemente, per l’esercizio del sacerdozio ministeriale: potremmo dire anzi che nel pensiero origeniano esse costituiscono le “pietre miliari” della formazione presbiterale. 

Ma su questo discorso torneremo nelle conclusioni.

3. Sacerdozio dei fedeli e accoglienza della Parola

Ma piuttosto che sui “fianchi cinti”, Origene insiste maggiormente sulla “lucerna accesa”, cioè sull’accoglienza e sullo studio della Parola di Dio. 

“Gerico crolla sotto le trombe dei sacerdoti”, esordisce l’Alessandrino nella settima Omelia su Giosuè; e commenta, poco oltre: “Tu hai in te Giosuè [= Gesù] come guida grazie alla fede. Se sei sacerdote, costruisciti delle “trombe metalliche” (tubae ductiles); o meglio, poiché sei sacerdote – infatti sei “stirpe regale”, e di te è detto che sei “sacerdozio santo” –, costruisciti “trombe metalliche” dalle sacre scritture, di qui ricava (duc) i veri significati, di qui i tuoi discorsi; proprio per questo infatti esse si chiamano tubae ductiles. In esse canta, cioè canta con salmi, inni e cantici spirituali, canta con i simboli dei profeti, con i misteri della legge, con la dottrina degli apostoli” (Omelia su Giosuè 7,2). 

Stando alla terza Omelia sulla Genesi, il “popolo eletto che Dio si è acquistato” deve accogliere nelle proprie orecchie la degna circoncisione della parola di Dio: “Voi, popolo di Dio”, afferma Origene, “‘popolo scelto in possesso per narrare le virtù del Signore’, accogliete la degna circoncisione del verbo di Dio nelle vostre orecchie e sulle vostre labbra e nel cuore e sul prepuzio della vostra carne, e in generale in tutte le vostre membra” (Omelia sulla Genesi 3,5). 

“Tu, popolo di Dio”, aggiunge ancora Origene in altro contesto, “sei convocato ad ascoltare la parola di Dio, e non come plebs, ma come rex. A te infatti è detto: ‘Stirpe regale e sacerdotale, popolo che Dio si è scelto’” (Omelia sui Giudici 6,3). D’altra parte, secondo Origene è sacerdote chiunque possiede la scienza della legge divina, et, ut breviter explicem, qui legem et secundum spiritum et secundum litteram novit (Omelia sul Levitico 6,3).

In definitiva, l’accoglienza delle scritture è decisiva per una piena partecipazione alla “stirpe sacerdotale”. 

Interpretando allegoricamente Ezechiele 17, Origene illustra ai suoi fedeli due possibilità, fra loro contrapposte: l’alleanza con Nabucodonosor – segnata dalla maledizione e dall’esilio, caratteristica di chi rifiuta la parola – ; oppure l’alleanza con  Dio, la cui tessera distintiva è precisamente l’accoglienza delle scritture. A questa alleanza segue la benedizione e la promessa: così “noi tutti, che abbiamo accolto la parola di Dio, siamo regium semen”, dichiara Origene nella dodicesima Omelia su Ezechiele. “Infatti siamo chiamati ‘stirpe eletta e regale sacerdozio, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato’” (Omelia su Ezechiele 12,3).

4. Sacerdozio dei fedeli e gerarchia della santità

Queste condizioni – di integra condotta di vita, ma soprattutto di accoglienza e di studio della Parola – stabiliscono una vera e propria “gerarchia della santità” nel comune sacerdozio dei cristiani.

Per esempio, Origene pensa chiaramente a una “gerarchia di meriti spirituali”, assai più che a una “gerarchia visibile”, quando, concludendo nella quarta Omelia sui Numeri la spiegazione del censimento e degli uffici liturgici dei leviti (Numeri 4), afferma: “Poiché dunque è questo il modo con cui Dio dispensa i suoi misteri e regola il servizio degli oggetti sacri, dobbiamo mostrarci tali, che siamo resi degni del rango sacerdotale… Noi siamo infatti ‘nazione santa, sacerdozio regale, popolo di adozione’, perché, rispondendo con i meriti della nostra vita alla grazia ricevuta, siamo ritenuti degni del sacro ministero” (Omelia sui Numeri 5,3,1). 

Nell’Omelia successiva, la quinta sui Numeri, avventurandosi in un’ardita interpretazione del testo (Numeri 4,7-9), egli legge in modo allegorico i vari elementi che costituiscono la “tenda del convegno”. 

Vi si può cogliere ancora qualche allusione alla “gerarchia della santità” quando l’omileta afferma che “ci sono in questa tenda”, cioè nella Chiesa del Dio vivente, “dei personaggi più elevati in merito e superiori nella grazia”. In ogni caso, tutti i fedeli nel loro insieme costituiscono il resto, cioè il popolo dei santi che gli angeli portano sulle loro mani perché non inciampi nella pietra il loro piede, e possano entrare nel luogo della promessa.  Nonostante le severe precauzioni levitiche, a ognuno di loro è lecito contemplare senza sacrilegio alcuni aspetti del mistero di Dio, perché tutti insieme sono chiamati “stirpe e sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato”.

Sempre nelle Omelie sui Numeri si legge la celebre interpretazione origeniana del pozzo di Beer, “di cui il Signore disse a Mosè: ‘Raduna il popolo, e io gli darò dell’acqua’. Allora Israele cantò questo canto: ‘Sgorga. o pozzo: cantatelo! Pozzo che i principi hanno scavato, che i re del popolo hanno perforato con lo scettro, con i loro bastoni” (Numeri 21,16-18). Origene vede in questo pozzo Gesù Cristo stesso, la fonte della Parola, e nell’accenno ai principi e ai re del popolo i diversi gradi di profondità nella lettura e nell’interpretazione delle scritture. Se poi occorre distinguere tra principi e re, Origene propone di vedere nei principi i profeti, nei re gli apostoli. “Quanto al fatto che gli apostoli possano essere chiamati re”, spiega l’Alessandrino, “lo si può facilmente ricavare da ciò che è detto di tutti i credenti: ‘Voi siete stirpe regale, sommo sacerdozio, nazione santa’” (ivi 12,2,4). 

Resta confermato in ogni caso che per Origene la gerarchia più vera è quella che si fonda sui vari livelli di accoglienza delle scritture, mentre rimane implicito – almeno nell’ultima Omelia citata – che il riferimento alla Parola di Dio è indispensabile per l’esercizio del “regale sacerdozio” comune a tutti i fedeli.

5.  Gerarchia ministeriale

Nelle sue omelie Origene si riferisce espressamente ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi. A suo parere, tale “gerarchia visibile” deve rappresentare agli occhi dei fedeli la “gerarchia invisibile” della santità. In altri termini, nella dottrina di Origene ordinazione ministeriale e santità devono procedere di pari passo.

Nella tredicesima Omelia sull’Esodo, illustrando il significato dell’ornamento dell’omerale, “simbolo delle buone azioni”, Origene richiama i fedeli a un’intima coerenza tra i loro discorsi e le loro azioni. “Questo ornamento”, conclude, “è cosa dei prìncipi, che hanno progredito fino al punto di meritare di presiedere ai popoli” Omelia sull’Esodo 13,7).

“I sacerdoti”, scrive ancora nella sesta Omelia sul Levitico, “devono guardarsi nei precetti della legge divina come in uno specchio, e trarre da questo esame il grado del loro merito: se si trovano rivestiti degli indumenti pontificali…, se risulta a loro di essere all’altezza [della loro vocazione] nella scienza, negli atti, nella dottrina; allora possono ritenere di aver conseguito il sommo grado del sacerdozio non solo di nome, ma anche per il loro merito effettivo. Diversamente si considerino come a un grado inferiore, anche se hanno ricevuto di nome il primo grado” (Omelia sul Levitico 6,6).  

Come si vede, una stima altissima nei confronti del sacerdozio ordinato rende Origene molto esigente, quasi radicale, nei confronti dei sacri ministri. Perciò egli mette in guardia chiunque dal precipitarsi “su quelle dignità, che vengono da Dio, e sulle presidenze e i ministeri della Chiesa” (Omelia su Isaia 6,1). E nella seconda Omelia sui Numeri chiede con dolore: “Tu credi che quelli che hanno il titolo di sacerdoti, che si gloriano di appartenere all’ordine sacerdotale, camminino secondo il loro ordine, e facciano tutto quello che si conviene al loro ordine? Allo stesso modo, tu credi che i diaconi camminino secondo l’ordine del loro ministero? E da dove viene allora che si sente spesso la gente lamentarsi, e dire: ‘Guarda questo vescovo, questo prete, questo diacono…’? Non si dice forse perché si vede il prete o il ministro di Dio mancare ai doveri del suo ordine?” (Omelia sui Numeri 2,1,4).

Così nelle sue omelie egli non esita a rimproverare apertamente i difetti più vistosi dei sacerdoti del suo tempo. Ne emerge per noi un efficace ritratto in negativo sui pericoli da evitare nella formazione dei presbiteri.

Un punto debole dei preti è, a parere di Origene, la sete di danaro e di guadagni temporali; insomma – diremmo noi – la tentazione dell’imborghesimento e dell’orizzontalismo esasperato. Egli lamenta che i preti si lascino assorbire dalle preoccupazioni profane, e non domandino altro che trascorrere la vita presente “pensando agli affari del mondo, ai guadagni temporali e al buon cibo” (Omelia su Ezechiele 3,7). E aggiunge, in altro contesto: “Tra noi ecclesiastici si troverà chi fa di tutto per soddisfare il suo ventre, per essere onorato e per ricevere a suo vantaggio le offerte destinate alla Chiesa. Ecco qui quelli che non parlano d’altro che del ventre, e che ricavano da lì tutte le loro parole (Omelia su Isaia 7,3). 

Origene rimprovera ai sacerdoti anche il «carrierismo», l’arroganza e la superbia. “Talvolta”, osserva nella terza Omelia sul libro dei Giudici, “si trovano fra noi – che siamo posti come esempio di umiltà, e collocati intorno all’altare del Signore come specchio per quelli che ci guardano – si trovano alcuni uomini dai quali esala il vizio dell’arroganza. Così un odore ripugnante di orgoglio si espande dall’altare del Signore (Omelia sul libro dei Giudici 3,2). E prosegue altrove: “Quanti preti ordinati hanno dimenticato l’umiltà! Come se fossero stati ordinati proprio per cessare di essere umili!… Ti hanno stabilito come capo: non esaltarti, ma sii tra i tuoi come uno di loro. Bisogna che tu sia umile, bisogna che tu sia umiliato; bisogna fuggire la superbia, vertice di tutti i mali” (Omelia su Ezechiele 9,2).

Altri peccati dei preti sono, secondo Origene, il disprezzo – o almeno una minore considerazione – degli umili e dei poveri, e nei rapporti con i fedeli una specie di altalena tra un’eccessiva severità e una non meno eccessiva indulgenza.

6. Conclusioni sulla “scuola di Alessandria”

Se raccogliamo le indicazioni che Origene fornisce sul sacerdozio comune e su quello gerarchico, possiamo ricavare il seguente itinerario di formazione presbiterale.

La “tessera” per accedere a questo itinerario è la “lucerna accesa”, cioè l’ascolto della parola. Altra condizione indispensabile sono “i fianchi cinti” e gli “indumenti sacerdotali”, ossia una vita integra e pura: riguardo a questo, i ministri ordinati dovranno guardarsi soprattutto dalle tentazioni dell’imborghesimento, della superbia, della minor considerazione dei poveri, della severità eccessiva e del lassismo. Ciò che è richiesto ai sacerdoti è dunque la radicale obbedienza al Signore e alla sua parola, il distacco dallo spirito del mondo, la piena fraternità con il popolo, la dedizione e il servizio. Il vertice del cammino di perfezione – cioè il punto d’arrivo dell’itinerario di formazione sacerdotale, visto che “gerarchia della santità” e “gerarchia ministeriale” devono identificarsi – è per Origene il martirio.  

Nella nona Omelia sul Levitico – alludendo al “fuoco per l’olocausto”, cioè alla fede e alla scienza delle scritture, che mai deve spegnersi sull’altare di chi esercita il sacerdozio – l’Alessandrino aggiunge: “Ma ognuno di noi ha in sé” non soltanto il fuoco; ha “anche l’olocausto, e dal suo olocausto accende l’altare, perché arda sempre. Io, se rinuncio a tutto ciò che possiedo e prendo la mia croce e seguo Cristo, offro il mio olocausto sull’altare di Dio; e se consegnerò il mio corpo perché arda, avendo la carità, e conseguirò la gloria del martirio, offro il mio olocausto sull’altare di Dio” (Omelia sul Levitico 9,9). 

Sono espressioni che rivelano tutta la nostalgia di Origene per il battesimo di sangue. Nella settima Omelia sui Giudici – che risale forse agli anni di Filippo l’Arabo (244-249), quando sembrava ormai sfumata l’eventualità di una testimonianza cruenta – egli esclama: “Se Dio mi concedesse di essere lavato nel mio proprio sangue, così da ricevere il secondo battesimo avendo accettato la morte per Cristo, mi allontanerei sicuro da questo mondo… Ma sono beati coloro che meritano queste cose” (Omelia sui Giudici 7,2).

    Aggiungiamo ancora un’osservazione d’insieme sull’itinerario origeniano della formazione sacerdotale.

Non si può sfuggire all’impressione che in questo, come in altri ambiti, la posizione di Origene sia molto esigente, quando non radicale. Si tratta di una “radicalità” che – anziché addolcirsi con il tempo – si carica di pessimismo e di critica amara a mano a mano che Origene avanza nell’età, specialmente dopo il suo trasferimento da Alessandria a Cesarea.

    Indubbiamente la dottrina origeniana del sacerdozio – come del resto anche quella di Clemente Alessandrino, che scrive nei suoi Stromati: “I gradi della Chiesa di quaggiù, vescovi, presbiteri, diaconi, credo, sono un riflesso della gerarchia angelica e di quell’economia che, come dicono le scritture, attende coloro che sulle orme degli apostoli sono vissuti in perfetta giustizia secondo il vangelo” (6,13,107,2) – collega radicalmente la “gerarchia ministeriale” con la “gerarchia della santità”. 

Tale dottrina, tuttavia, non presenta mai il prete come una specie di angelo: lo coglie piuttosto in un cammino molto concreto di ascesi quotidiana, in lotta con il peccato e con il male.

Tanto per fare un esempio, il progressivo distacco dal mondo che deve caratterizzare la formazione del sacerdote, non si traduce affatto nella ricerca affannosa di un luogo separato dal mondo, perché, scrive Origene nella dodicesima Omelia sul Levitico, “non è in un luogo che bisogna cercare il santuario, ma negli atti e nella vita e nei costumi. Se essi sono secondo Dio, se si conformano ai comandi di Dio, poco importa che tu sia in casa o in piazza; che dico ‘in piazza’? Poco importa perfino che tu ti trovi a teatro: se stai servendo il Verbo di Dio tu sei nel santuario, non avere alcun dubbio” (12,4).

In definitiva la tradizione alessandrina – per una via forse inattesa, perché più “spirituale”, e per alcuni aspetti “rigorista” –, arricchisce di concretezza l’immagine del pastore e le relative istanze di formazione, che avevamo già colto in Ignazio di Antiochia e in Giovanni Crisostomo.

Rupnik, Madre di Dio

Torino, Santuario della Consolata

https://youtube.com/channel/UCq8zQVbQVxq3eNWhcfKXhMQ

Card. Muller, Attacchi mirati anche dai secolarizzatori interni

https://www.ncregister.com/interview/cardinal-mueller-for-faithful-catholics-it-s-a-time-of-tribulation-and-psychological-terror?utm_campaign=NCR%202019&utm_medium=email&_hsmi=203718018&_hsenc=p2ANqtz-82D6ULAF7rucBH7Xs0xH0JN51tYozFI5A8NTSC7ZO_xTlYk6kEF1_MkcxLPMqSG4ps-TTJQ4ppw1tCPGbHGSzpLJzwfLpY-uspx3PxdpYVXK9A71w&utm_content=203718018&utm_source=hs_email

Card. Scola, Von Balthasar

Maria: la chiave del Gesù reale

https://gpcentofanti.altervista.org/affidarsi-al-vero-gesu/

Zuppi su Ratzinger

https://www.farodiroma.it/zuppi-difende-ratzinger-gia-da-cardinale-si-era-espresso-chiaramente-piu-volte-sulla-pedofilia-marco-felipe-perfetti/

Mons. Dal Covolo, Dichiarazione su Ratzinger

 Immaginare Benedetto XVI lontano dalla verità, e’ come pensare a un’aquila senza ali.
>> E invece Benedetto allarga ali potenti, che trascendono – senza trascurarla – la vicenda contingente, e puntano con decisione verso la Verità eterna.
+ Enrico dal Covolo, assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

Scola: La lettera di Ratzinger

https://www.ow2.rassegnestampa.it/Ucei/PDF/2022/2022-02-10/2022021050794716.pdf#page=1&zoom=auto,-154,848

Diocesi di Napoli

https://youtube.com/channel/UCrpi-hJnT5ib1EJNYz_Wb_A

Parrocchia Iglesias

https://youtube.com/channel/UCRgH8NF2wH8Br68opOQDUKg

Guido Oldani, Beato il contrario (VI Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.

Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.

Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.

Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.

Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

BEATO IL CONTRARIO

di apostoli ne conta una dozzina

come i numeri sopra l’orologio,

la gente è un intero stadio pieno.

dicono che abbia detto da un’altura:

gli aventi finiranno strapelati

ed i beni saranno una zavorra

che le ali non lasciano volare

ed il suo nome poi menerà gramo,

ma il buio avrà le luci, le più rare.

Guido Oldani -inedito

Sinodo dei vescovi

https://mailchi.mp/synod/comunicato-stampa-n8_it

Basilica cattedrale di Como

https://youtube.com/c/BasilicaCattedralediComo

Diocesi di Avellino

https://youtube.com/channel/UCu_E3UMaVrZHWgH9eEat17g

F. Giansoldati, Germania, Preti sposati e ordinazione donne

Passo storico della Chiesa tedesca. L’86% dei membri del Sinodo riunito a Francoforte si è pronunciato a favore dell’abolizione del celibato dei preti e dell’ammissione delle donne al sacerdozio. Dopo due anni di dibattiti e sondaggi tra i vescovi e altri esponenti del cattolicesimo tedesco è stata votata con un’ampia maggioranza una proposta che apre ai sacerdoti sposati, allentando le maglie dell’attuale divieto secolare. Nello stesso tempo è stato votato un altro documento in cui si fa riferimento ad un maggiore coinvolgimento delle donne e al divieto a qualsiasi esclusione. Il Sinodo tedesco esorta la conferenza episcopale in Germania a inoltrare al Papa precise richieste per andare in quella direzione. A raccontare l’esito del voto è stata la KNA, l’agenzia dei vescovi della Germania.
Il testo pur sottolineando il valore del celibato come stile di vita per i sacerdoti chiede che gli uomini sposati siano da ora in poi ammessi al sacerdozio attraverso una decisione del Papa o di un Concilio. Il Sinodo tedesco chiede anche che il Papa permetta ai preti cattolici di sposarsi e rimanere in carica a gestire parrocchie o chiese. Il direttore della KNA, Ludwig Ring-Eifel ha spiegato che il dibattito sul celibato in questi mesi è stato fortemente condizionato dallo scandalo degli abusi sessuali. A più riprese gli esperti interpellati avevano raccomandato dei cambiamenti nella prassi, permettendo così ai preti di sposarsi, al fine di risolvere i problemi dovuti all’alto tasso di solitudine dei preti e alle difficoltà di molti a reggere al peso della castità.
Il Sinodo della Chiesa tedesca è stato avviato nel 2019 dal cardinale di Monaco, Reinhard Marx, uno dei collaboratori più stretti e influenti di Papa Francesco. Quattro le questioni, affrontate: “Autorità, partecipazione e separazione dei poteri” nella Chiesa, “morale sessuale”, “forma di vita presbiterale” e “donne nei ministeri e negli uffici della Chiesa”.
E’ stato votato e approvato anche un terzo documento che chiede la trasformazione delle strutture di potere della Chiesa in linea con gli standard degli stati costituzionali democratici anche se viene sottolineata l’impossibilità di imitare i voti e la democrazia e che bisogna invece individuare una via nella “sinodalità”.

Fonte: Il Gazzettino

Card. Scola, Libertà religiosa

Chiesa Madre, Piazza Armerina

https://youtube.com/c/chiesamadrebutera

Card. Marx, Su celibato sacerdoti, donne prete e papato

Il cardinale Reinhard Marx si è espresso a favore dell’abolizione del celibato obbligatorio. “Sarebbe meglio per alcuni preti se fossero sposati”, ha detto Marx alla Süddeutsche Zeitung (edizione del giovedì). Secondo l’arcivescovo di Monaco, non può immaginare un’abolizione generale del celibato come “stile di vita di Gesù”.

“Ma se dovresti prenderlo come un requisito fondamentale per ogni prete, ci metto un punto interrogativo. Non credo che possa andare avanti come è ora”. Secondo Marx, lo stile di vita sacerdotale è “precario”. “Continuo a dirlo ai giovani sacerdoti. Vivere da soli non è così facile”. L’arcivescovo ha chiesto che si tengano queste discussioni: “E alcuni diranno:

‘Se non abbiamo più il celibato obbligatorio, tutti si sposeranno ora’. La mia risposta è: Se è così”, ha detto il sacerdote. “Se tutti si sposassero, sarebbe un vero segno che le cose non stanno andando bene”. È la prima volta che Marx si posiziona in modo così chiaro e completo su questa questione. Prima del Sinodo dell’Amazzonia nel 2019, ha solo detto che poteva immaginare restrizioni regionali al celibato in aree con carenza di sacerdoti. Marx era ancora cauto sulla questione se le donne potessero diventare preti. Gli argomenti contrari erano diventati sempre più deboli per lui. “Non sono alla fine, so solo che abbiamo bisogno di un grande consenso. O rompi l’intero edificio”. Il trattamento degli abusi sessuali non dovrebbe essere separato dalle riforme, ha affermato Marx. Si tratta di cose sistemiche, di clericalismo, celibato, uomini e donne. “Non puoi ignorare tutto questo.” Due settimane fa, lo studio legale di Monaco Westpfahl Spilker Wastl (WSW) ha pubblicato il suo rapporto sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga. Soprattutto le dichiarazioni del papa emerito Benedetto XVI. nel rapporto aveva causato indignazione in tutto il mondo. Richieste, Benedetto XVI. dovrebbe scusarsi, il cardinale non ha voluto unirsi: “Non voglio fare una richiesta attraverso i media, voglio esprimere una speranza. Che lui, come annunciato, si esprima in modo esauriente. E che il comunicato includa anche una buona parola di simpatia contiene l’interessato”. Alla domanda sulla valutazione dei revisori secondo cui Marx si era comportato indifferentemente, ha detto: “Non ero indifferente. Prima del 2010 potrei non essere sempre stato abbastanza attento. Ma dopo mi ha davvero dato sui nervi”. Riguardo alle critiche delle persone colpite che provava poca empatia per loro, l’arcivescovo ha detto: “Devo accettare questa critica”. Marx ha anche espresso insoddisfazione per il Vaticano e la riforma della Curia, dicendo che c’erano “ancora margini di miglioramento”. Servono controllo istituzionale, consulenza, trasparenza, “e non che alla fine si decida da soli”. Cambierà anche l’ufficio pontificio. “Non è mai stato insegnamento della Chiesa che ogni parola del papa dovesse essere appesa d’oro al muro”.

Fonte riportata da Il sismografo

http://ilsismografo.blogspot.com/2022/02/germania-il-cardinale-r-marx-si.html?m=1

F. Giansoldati, Pignatone e i pm del papa

Il Sismografo

mercoledì 2 febbraio 2022

Vaticano
Becciu, il Pm del Papa (ancora una volta) non deposita gli atti come gli aveva ordinato Pignatone

(Franca Giansoldati, Il Messaggero) Il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone aveva dato ai Pm del Papa un ultimatum: una settimana di tempo, fino al 31 gennaio, per depositare le parti mancanti negli atti di citazione al processo per il famoso immobile di Londra. Ma ieri, al temine stabilito, l’Ufficio del Promotore di Giustizia non ha depositato nulla di quanto richiesto, solo una memoria di tre pagine (firmata da Alessandro Diddi, Roberto Zanotti, Gianluca Perone) nella quale vengono illustrati i motivi per i quali non lo ha fatto e non lo farà.
«La copia rilasciata alle parti riproduce integralmente il compendio documentale anche di natura informatica prodotto agli atti del giudizio e rispondente al materiale usato ai fini processuali» si legge nella memoria. In pratica i Pm affermano che gli atti già rilasciati e consegnati alle difese sono solo quelli utilizzati a fini processuali. Non ci saranno depositi ulteriori con buona pace di tutti.
Eppure il presidente del Tribunale Pignatone aveva riassunto che di quegli 250 oggetti sequestrati e chiusi a chiave in una cassaforte ne erano stati resi disponibili alle difese «solo copie parziali». Il materiale effettivamente sequestrato è immenso e riguarda decine di dispositivi elettronici, hard disk, cellulari, computer, pennette.
Durante l’ultima udienza era emerso che solo a monsignor Alberto Perlasca erano stati sequestrati 31 dispositivi informatici – “tablet, hard disk, penne, dvd, telefonini” – ma alle difese sono stati dati contenuti parziali di un solo telefono cellulare e di un indirizzo di posta elettronica.
L’ennesima doccia fredda per gli avvocati degli imputati (dieci persone tra funzionari vaticani, sacerdoti, finanzieri e un cardinale) che continuano a ripetere l’impossibilità di accedere alle prove e avere garanzie per un giusto processo. Anche per presidente del Tribunale Pignatone suona come l’ennesimo smacco, visto che le sue decisioni, ancora una volta, vengono disattese dalla pubblica accusa vaticana.
«Questo ufficio ha disposto le opportune verifiche in merito al contenuto all’integrità dei documento informatici depositati e consegnati in copia» si legge nella memoria depositata dal Promotore di Giustizia.
E ancora: «I documenti informatici in atti rappresentano la totalità del materiale, rinvenuto sui relativi supporti, che questo ufficio ha utilizzato quale fonte di prova, in applicazione di principi e regole di generale osservanza, cosi come, del resto chiarito nella parte conclusiva della ordinanza resa il 6 ottobre».
Nella memoria viene anche spiegato che le eccezioni di nullità di singoli processi verbali di dichiarazione di monsignor Perlasca non ledono affatto il diritto della difesa. Compreso quando, durante un interrogatorio, è stato  tirato in ballo il comico Crozza quale voce corrente per la presunta relazione tra Cecilia Marogna e il cardinale Angelo Becciu (entrambi imputati): «gli assunti difensivi dell’imputato appaiono pretestuosi e contraddittori laddove, da un lato, vorrebbero dolersi del fatto che Perlasca sarebbe stato interrogato su una voce corrente nel pubblico, ma in realtà così non è chiaro essendo il riferimento a fatti specifici e dall’altro lato vorrebbero lamentare che ciò non abbia formato oggetto di integrale annotazione a verbale».
Nel corso dell’ultima udienza i pm della Santa Sede avevano chiesto il rinvio a giudizio per i quattro imputati che erano stati precedentemente stralciati per incompletezza degli atti di citazione. Si trattava del finanziere Raffaele Mincione, dell’ex dipendente della Segreteria di Stato vaticana Fabrizio Tirabassi, dell’avvocato Nicola Squillace e di monsignor Mauro Carlino. I magistrati avevano chiesto anche che il cardinale Becciu fosse rinviato a giudizio anche per subornazione, per aver cercato di condizionare la testimonianza di monsignor Perlasca. Il reato era stato stralciato all’inizio del processo.
Nel frattempo, proprio oggi, sul finanziere Gianluigi Torzi  il Tribunale del Riesame di Roma ha definitivamente annullato il mandato d’arresto, segnalando la fine delle procedure di estradizione in Gran Bretagna. La decisione del Tribunale del Riesame è un colpo per i procuratori italiani ma anche per quelli vaticani, questi ultimi avevano cercato di riportare Torzi in Italia (visto che il Vaticano non ha un trattato di estradizione con la Gran Bretagna) per essere eventualmente processato in Vaticano visto il ruolo avuto nell’affare immobiliare della Santa Sede a Londra.

(Il Messaggero)

 

Il sismografo ore 21:47CondividiHome pageVisualizza versione webPowered by Blogger.

Chiesa di Gorizia, Presentazione di Gesù al Tempio

Guido Oldani, Due barche (V Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 5,1-11

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

DUE BARCHE

gli stanno addosso come un barracano

ed il maestro per poter fiatare

fa un salto su una barca dentro al mare.

pietro non è un bauscia, va con dio

che si rivolge alla siepe umana

mentre stanotte nulla fu la pesca

e cristo dice riprovate ancora

ed il disastro si trasforma in festa.

Guido Oldani- inedito 

Card. Ladaria

Guido Oldani, L’assideramento

L’ASSIDERAMENTO

aveva i suoi ottantacinque anni,

rené robert fotografo di fama

caduto sull’asfalto parigino.

lo lasciano che sembra una cartaccia

e lui fraternité non può invocare

presso chi nel suo fiato intanto inciampa

e un “barbone” soltanto gli dà corda,

ma è tardi, la sua fine va alla stampa.

Guido Oldani- inedito

S. Quinzio, Sull’ebraismo

C. Fabro, Kierkegaard

Intervista al card. A. Scola

Card. Ruini, Il progetto culturale

Ruini, La Chiesa nel mirino

https://www.ow2.rassegnestampa.it/Ucei/PDF/2022/2022-01-27/2022012750671432.pdf#page=1&zoom=auto,-154,848

Diocesi di Piacenza

Hans Kung

Card. Scola, I fondamenti

Intervista a mons. Dal Covolo sulla beatificazione di Giovanni Paolo I

Eccellenza carissima,
Ecco le domande che pensavo di proporle:

1. Finalmente la beatificazione di Giovanni Paolo I: un iter lungo, che lei ha curato in una fase iniziale importante.  Come ha accolto questa felice notizia?

2. Con la beatificazione di Luciani, che lei ha conosciuto personalmente,  si va a completare in un qualche modo la serie dei papi santi degli ultimi sessant’anni (resta a dire il vero ancora Pacelli). Cosa dice alla Chiesa una serie così lunga e qualificata di Santi Pontefici nell’ultimo secolo? E come si inserisce la figura di Gp1 tra di essi?

3. Giovanni Paolo I viene beatificato come Papa ma in realtà,  avendo regnato solo 33 giorni, la sua santità l’ha raggiunta da prete, vescovo e cardinale, e i ricordi del suo ministero riguardano tutti proprio quei periodi e ben poco il breve pontificato. Che Papa sarebbe stato secondo lei,  se fosse vissuto a lungo? Che svolta poteva dare alla Chiesa di allora?

4. Quale a suo dire il tratto più importante e rilevante della sua santità, nella pastoralità e nell’umanità di Luciani? Cosa dice Gp1 alla Chiesa di oggi?

Grazie mille Eccellenza!
Un abbraccio grande
Don Francesco

1. Ho accolto con immensa gioia l’annuncio della prossima beatificazione di Papa Giovanni Paolo I. Nel corso della Causa ne avevo fatto cenno a Papa Francesco, e anche  lui era entusiasta che la beatificazione potesse procedere in tempi rapidi. Purtroppo un presunto miracolo, che io ritenevo autentico, non fu approvato dalla Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi, e questo fatto ha allungato i tempi sperati. Ma – da parte mia – ho continuato a pregare con molta fede. E ora il Signore ci ha esauditi!
2. Certamente, nonostante gli immancabili profeti di sventure per la Santa Chiesa di Dio, dobbiamo ringraziare il Signore per averci donato in questi tempi non facili dei  Papi veramente santi. Da Pio XII compreso in poi, li ho conosciuti tutti, più o meno da vicino. Quanti ricordi ed emozioni, che qui non posso raccontare! Ma ciò che rimane forte in me è la riconoscenza a Dio per questi grandi Pastori della Chiesa… Il pontificato di Giovanni Paolo I è stato breve, ma per molti aspetti ha spalancato la strada ai suoi Successori. Ha inaugurato uno stile nuovo del Papato. E’ questo un dato di fatto, su cui gli storici della Chiesa devono riflettere, approfondendone ancora parecchi aspetti. In ogni caso, la via maestra è stata per lui l’adesione convinta e operativa al magistero del Concilio Vaticano II, e in particolare del suo Predecessore e Amico, San Paolo VI. Come Paolo VI, Giovanni Paolo I sognava una Chiesa tutta proiettata nella missione evangelizzatrice, e per questo interamente “ministerializzata”.
3. Ma la svolta l’ha data, in quei pochi giorni del suo Pontificato, con alcuni gesti che tutti conosciamo! Non è opportuno, per uno storico come me, procedere a facili profezie. Ci tengo solo a ribadire quello che poco sopra ho scritto. Non c’è dubbio che alcune scelte dei suoi Successori furono realmente facilitate da questo Pontificato cosiddetto “di transizione”: di transizione per noi, ma non certo per gli occhi di Dio, che guida la Sua Chiesa a traguardi sempre più alti di santità.
4. Lo dicevo ai tempi in cui ero Postulatore della Causa (2004-2014), e lo ripeto ancor oggi con estrema convinzione. Dicevo: “Se Papa Luciani sarà proclamato santo, e’ perché è un modello di buon pastore, che da’ la vita per il suo gregge”. Lui sapeva – e anch’io lo so con certezza – che, dicendo quel “si’” all’elezione, davanti ai Cardinali, avrebbe compromesso a breve la sua vita. L’ha buttata, come il Buon Pastore ha gettato la sua vita per noi.

Guido Oldani, Le pialle (IV Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

LE PIALLE

come pinocchio è nato tra le pialle,

che nessuno ha mai l’ascolto in patria

e i vicini ti scambiano per fracchia.

dice parole dense come il miele

e loro se ne hanno sempre a male

né vogliono saperne dei profeti

ma di gettarlo invece dall’altura

e mentre hanno stipsi per la rabbia

lui, già lontano, più non se ne cura.

Guido Oldani- inedito

Card. De Donatis, Comunicazioni sociali

Card. Scola, La famiglia

Omelia su san Francesco

Mons. Fernandez, Il mondo post pandemia

Padre Livio, Il pericolo più grande

Guido Oldani, Il rotolo (III Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Lc 1,1-4; 4,14-21

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.

Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l’unzione

e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,

a proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

a rimettere in libertà gli oppressi,

a proclamare l’anno di grazia del Signore».

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

IL ROTOLO

va e viene poi ritorna in galilea

dove spese la giovinezza sua,

lo spirito è l’ossigeno in apnea.

il suo nome è  d’amazon più in giro

e al sabato sgroviglia i sonnolenti

riuniti dentro al luogo per il culto

e la terza persona del dio uno

atterra su di lui che è un aeroporto

eppure c’è chi già lo vuole morto.

Guido Oldani- inedito

Intervista a Silvano Fausti

Michelina Tenace, formare la coscienza

Lo psichiatra Cascioli a Radio Maria

© RADIO MARIA ITALIA – Trasmissione ESORCISTICA E PSICHIATRIA del 18/01/2022, ore 21.00, dal titolo: Crisi esistenziale tra disagio psichico e disturbo spirituale. Ideata e condotta dal Dott. Valter Cascioli. Al termine gli ascoltatori potranno intervenire in trasmissione con le loro domande. Buon ascolto!

Parrocchia Sant’Eulalia, Murcia

https://youtube.com/channel/UCx8MkE9q84FwkVk1JzKfk1A

Diocesi di Springfield, Synodality

Parocchia in Propria’ Brasile

Mons. E. Dal Covolo, Libertà religiosa e principio di laicità

LIBERTA’ RELIGIOSA E PRINCIPIO DI LAICITA’

Dai primi secoli cristiani all’oggi della Chiesa

L’argomento che mi è stato proposto è complesso e delicato. Mi limiterò a puntualizzare alcune questioni, che attraversano i due millenni della storia della Chiesa.

    Tengo sullo sfondo delle mie argomentazioni due volumi, che ho pubblicato quest’anno. Il primo è così intitolato: «Semi del Verbo nella storia». Percorsi biblici e patristici dal primo al quinto secolo, Veritatem inquirere 6, EDUSC, Roma 2021, 176 pp. Il secondo, che ho curato insieme a Giulia Sfameni Gasparro, è il seguente: Pagani e Cristiani. Conflitto, confronto, dialogo. Le trasformazioni di un modello storiografico, Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Atti e Documenti 60, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, 392 pp.

1. Vale anzitutto la ben nota raccomandazione di non giudicare con gli occhi di oggi la realtà di ieri. Anche se – espressa in questo modo, la raccomandazione sembra paradossale (nessuno storico di oggi ha gli occhi di ieri!) – essa contiene tuttavia un’anima di verità. Mette in guardia, se non altro, dai troppo facili anacronismi. Giusto per fare qualche esempio, l’emotività antica del sentire religioso – che da sempre ha segnato, e continua segnare, il rapporto della persona con il Divino – solo con molte riserve può essere misurata con le moderne analisi della psiche, di cui oggi noi ci avvaliamo, grazie allo sviluppo delle scienze umane.

Pure il concetto di laicità va accostato con molta cautela. Il termine non ricorre formalmente nei testi patristici, anche se vi è presente nella sostanza. Essenzialmente, il termine laicità e il principio che ne deriva indicano un atteggiamento di rispetto delle realtà naturali, e un coerente rifiuto di sovrapporre ad esse un valore sacrale a quello loro proprio già in radice. Ma per quanto riguarda la politica (che è una realtà prettamente laicale, orientata al bene della società civile) il legame con la religione e con il sacro, sia tra i pagani, sia tra i cristiani dei primi secoli era praticamente indissolubile. Così uno sgarro nella religione poteva essere giudicato e punito come sedizione e rivolta contro l’istituzione civile. 

E veniamo all’idea di “libertà e di tolleranza religiosa”. Essa è di chiaro sapore illuministico. Per esempio, parlare di “tolleranza religiosa” ai tempi di sant’Ambrogio è un classico anacronismo.

Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è affrancata appieno da una concezione della religione, che affonda le sue radici nella cultura greco-romana (e prima ancora), e che poi è poi trascorsa nella Chiesa – più a lungo e saldamente nella Chiesa d’Oriente – con la cosiddetta “svolta costantiniana”.

2. Una seconda osservazione, collegata con la precedente, induce ad affermare che il vero scontro tra pagani e cristiani – che fu realmente segnato da momenti di grave violenza, dalla prima, ma talvolta anche dalla seconda parte – trova il suo fondamento nella questione della vera religio e nella “pretesa veritativa” del Vangelo: Ego sum via et veritas et vita, ha detto Gesù (Gv 14,6). 

3. Ma ci sono voluti duemila anni perché si potesse accogliere tale predicazione del Maestro in maniera autenticamente evangelica. 

Al riguardo, mi limito a citare il celebre Discorso di san Paolo VI all’Organizzazione delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), alla vigilia ormai della conclusione del Concilio, un anno dopo la promulgazione del Decreto Unitatis Redintegratio.

Insieme alla sollecitudine sincera per il dialogo con le nazioni del mondo e le loro religioni, in quell’occasione il Papa non volle rinunciare all’esplicito annuncio di Cristo, pur rispettando la laicità dell’istituzione. Anche nel profondo rispetto della “sana laicità” dei valori intramondani, a Paolo VI urgeva pur sempre richiamare l’Assoluto, la pienezza del bene. I Padri della Chiesa, a lui tanto cari, parlerebbero a questo proposito dei “semi” del Verbo di verità, sparsi in qualunque cosa vi sia di buono e di autenticamente umano. Ma solo il Verbo di verità – Gesù Cristo Signore – porta a maturazione questi medesimi “semi”, che lo Spirito sparge nel mondo.

    Così nel suo Discorso alle Nazioni Unite il Papa concludeva con un chiaro annuncio: “L’edificio della moderna civiltà”, affermò con decisione, “deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono che fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo? Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini”.

4. Siamo giunti così a un punto d’arrivo. 

In ogni suo intervento, Paolo VI – che pure ha sempre dichiarato il suo rispetto profondo, sinceramente aperto al dialogo, verso i non credenti e verso i credenti di altre religioni, verso gli Ebrei e i fratelli cristiani separati – non ha mai cessato di mettere al centro dei vari cerchi del dialogo (ecco perché “concentrici”) l’annuncio di Gesù Cristo e della sua Chiesa.

    Si deve parlare anzi del cristocentrismo – non certo di un preteso, quanto errato, “ecclesiocentrismo” – di Paolo VI. La parola di sant’Ambrogio risuonava sempre nella mente e nel cuore di questo Arcivescovo di Milano, divenuto Papa e santo: Omnia Christus est nobis!

    “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo!” – egli avrebbe confessato, con accenti appassionati, il 29 novembre 1970 a Manila, nel corso di un altro viaggio emblematico del dialogo con credenti e non credenti –. “Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Gesù, il Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra!”.

    Inseguendo la spiritualità del cuore di Papa    Montini, nella linea giovannea e agostiniana della sua dottrina, possiamo affermare che la vera conoscenza viene dalla fede e dall’amore; invece, quando la ragione si avvita su sé stessa, non è più in grado di approdare alla percezione del mistero.

    Questa affermazione – che ho appena fatto, e che riecheggia intenzionalmente il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI – trova un anticipo ricco di significati nelle parole, che ora cito, di un grande amico ed estimatore di Paolo VI, mons. Pietro Rossano. Lo ricordo, anche perché egli fu tra i miei predecessori nella guida dell’Università Lateranense. Queste parole hanno un sapore indubbiamente “montiniano”: “Solo la conoscenza accompagnata da affetto raggiunge la verità; la parola senza amore è menzogna. E’ questo il mio principio per il dialogo con le religioni”. 

Nullum noscitur, quod non amatur, affermava Agostino. Non c’è amore senza conoscenza, né conoscenza senza amore.

    Ecco: la centralità affettuosa – senza proselitismo alcuno – di Cristo, Parola del Dio vivente, ha illuminato costantemente la vita e l’insegnamento di Paolo VI, in piena consonanza con il magistero conciliare: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, dichiara la Costituzione Gaudium et Spes; e prosegue, poco più avanti: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (n. 22). 

E mons. Rossano – un biblista attento, che i vicini e i lontani chiamavano con ammirazione, e forse con una punta di invidia, Monsignor Dialogo – aggiungeva ancora: “I valori esterni della cultura sfumano in un silenzio, che sarebbe infinito e mortale, se non ci fosse la Parola di Dio”, anche quando essa è collocata “nel chiaroscuro in cui la contiene la Bibbia”. 

“Gesù Cristo!”, proseguiva da parte sua Paolo VI a Manila, “tu sei il rivelatore del Dio invisibile, tu sei la via, la verità, la vita!”.

    Immersi nel chiaroscuro dell’esistenza terrena, noi restiamo pur sempre di fronte all’interrogativo cruciale, posto duemila anni fa dallo stesso Gesù di Nazaret: “Voi, chi dite che io sia?”.

    La risposta a questa domanda – la risposta che stava nel cuore di Paolo VI, mentre svolgeva il suo dialogo con l’Assemblea delle Nazioni Unite – la conosciamo molto bene. E’ la risposta definitiva dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.

5. Dialogo e annuncio insieme, non l’uno senza l’altro. Così è nella tradizione cristiana autentica, dai Padri apologisti, fino a Papa Francesco.

Riguardo all’annuncio, mai disgiunto dal dialogo, concludo con una citazione dell’Esortazione apostolica programmatica di Francesco, la Evangelii Gaudium, che fin dal titolo intende riagganciarsi all’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. 

In questa citazione di Francesco troviamo un rinnovato slancio nel dialogo con il mondo e nell’annuncio del Vangelo. Vi si parla di una “Chiesa in uscita”, dunque di una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: ‘Sarete beati se farete questo’ (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze” (24).

6. In definitiva, è questo il cammino – costantemente ribadito da Papa Francesco nei suoi viaggi apostolici, che sembrano allargare i “cerchi del dialogo” di Paolo VI – su cui si stanno muovendo il dialogo e l’annuncio nel Cristianesimo di oggi. 

Ritengo che in questo orizzonte definitivo vada studiato – senza anacronismi di sorta – il tema della libertà religiosa e della laicità nel chiaroscuro della storia. 

                                                  + Enrico dal Covolo

Guido Oldani, L’ironia (II Domenica del Tempo ordinario, anno C)

Gv 2,1-11

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

L’IRONIA

ed alle nozze, stanno tutti quanti,

questi apostoli che, sono sei paia

come le ore scritte sul quadrante.

gli chiede fai qualcosa non c’è vino,

lei che è di carne posseduta in cielo

e lui le dà un miracolo anzitempo

con ironia visto l’argomento,

lì dove mai intera è l’allegria.

Guido Oldani-inedito

Mons. Dell’Oro, Galverston

Mons. Fanelli, Settimana biblica

Card. Sarah, Silenzio

Unigregoriana: Il direttore spirituale

Parrocchia Beata Vergine delle Grazie

Card. A. Comastri, Il ritorno di Gesù

Roma: mandato della preghiera

https://m.facebook.com/diocesiroma/?locale2=it_IT

La vita dalla preghiera

Telepace ore 19: Roma prega per il sinodo

https://www.diocesidiroma.it/il-mandato-di-preghiera-per-il-cammino-sinodale/

Saint Mary mother of God church

https://youtu.be/J41CoeoL51Y

Middletown, New Jersey, USA

Mons. Fernandez, Benedizione di Natale

Guido Oldani, La doccia (Battesimo del Signore, anno C)

Lc 3, 15-16. 21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».


Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

LA DOCCIA

pensano sia giovanni il padreterno,

ma il battezzare suo, fa da doccia

come un fiocco di lana nell’inverno.

anche gesù si avvale di quest’acqua,

l’offre l’uomo, cui salterà la testa

e lo spirito in volo è un aquilone

e dio, sta nascosto dopo il sole

là dove, per suo figlio, dà una festa.

Guido Oldani- inedito

Messa per San Francesco Saverio

https://youtu.be/iOiShXkzgNI

Mons. Mani, Epifania

Card. Zuppi alla Rai

Scandicci, Messa di Ognissanti

Card. Comastri, Spiritualità mariana

Questa Chiesa ha un futuro? Dibattito

Guido Oldani, I re Magi (Epifania del Signore)

Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

I RE MAGI

come i tre piedi di una cinepresa,

danno luogo al video sul neonato

per riferirne a chi sta in altre sedi.

e al bimbo, dove sterile c’è niente,

gli portano persino in dono gli ori

sul suolo che è in ostaggio ai pubblicani,

raggireranno poi il pediatra erode,

mentre il sinedrio rumina il domani.

Guido Oldani- inedito

Santuario di Knock

https://youtube.com/c/KnockShrineCeremonies

Card. De Donatis, Omelia per la Festa della Madonna della Fiducia

J. Carron, Politica

Guido Oldani, La Parola (II Domenica dopo Natale)

Gv 1,1-18

[In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.]
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
[Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.]
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.  
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

LA PAROLA

in principio era come un manifesto

la parola, nella tipografia

che era lei stessa ad essere l’iddio.

è l’opificio sia che il suo prodotto,

in Lui la vita è nostra luminaria

che neanche il buio pesto la conquista,

poi giovanni Gli ha fatto da sipario

ed a noi, Lui ci schiuderà la pista.

Guido Oldani- Inedito

Guido Oldani, Un miliardo di Natali (Natale 2021)

Gv 1,1-18
 
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

UN MILIARDO DI NATALI

compra un miliardo di gesù bambini,

lunghi come mezza sigaretta,

li sparge in giro, sempre più lontano.

e li abbandona nei supermercati,

specie sui cesti con il pane caldo

ed accanto ai cartoni con il vino,

perduti come tanti virus buoni,

senza padroni, pieni di destino.

Guido Oldani- inedito


 

Card. Bergoglio, San Giuseppe

Card. Schonborn, San Giuseppe

Mario Adinolfi chiede la fine dell’emergenza

http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2021/12/27/politica/chiedo-a-draghi-la-fine-dellemergenza

Intervista al card. Ruini

Card. Scola, Il covid e la paura

Angelo Scola

Il covid e la paura

Oggi decine di luci verdi (semaforo di via libera a un sogno di libertà) baluginano nel buio dei boschi tra la Bielorussia e la Polonia, accendendo la speranza di centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini ormai allo stremo. Duemila anni fa, un insolito chiarore penetrò nella notte. Con la forza di una promessa accese la speranza dei pastori e li destò dal loro sonno leggero, mentre custodivano il gregge addormentato. Quale nesso tra il Natale di Gesù e l’aspirazione ad una nuova nascita di milioni di migranti in diversi continenti? Il cuore dell’uomo è indomabile e non si stanca di cercare la liberazione, mettendosi in movimento e lottando fino alla fine.

Chi lotta per la speranza (San Paolo, Rm 5,3-4 “… noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”) riscuote sempre la stima di molti settori di umanità. Al di là dei dibattiti accesi e troppo spesso “tra sordi”, donne e uomini, giovani e vecchi si spendono per accogliere i migranti e aiutarli a trovare il loro posto nei paesi più ricchi. Ridanno speranza a queste persone provate, ma la ridanno anche a noi, garantendo, in prospettiva, una possibilità di rigenerazione ai nostri popoli del nord occidente opulento del pianeta. Il nesso appare chiaro: è l’amore che il Dio Amore continua a donare ad un’umanità stanca quando non del tutto estenuata.

L’Amore di Dio cui fa riferimento l’homo religiosus continua indomito ad intercettare il bisogno dei singoli e dei popoli. Bisogno di compimento che le prove della vita lungi dallo spegnere finiscono sempre per acuire. Le attese del cuore umano sono costitutive. Si può tentare di seppellirle sotto i detriti che si vanno accumulando lungo l’esistenza. Ma non si possono sradicare. Rispuntano sempre, per finire, anche se sepolte sotto i terrains vagues del nostro cammino.

Lo vediamo bene in questo doloroso tempo di pandemia, ove tutti, al di là dell’opposizione tra pro vax e no vax sono dominati dal sentimento umanissimo della paura. La politica, con vari mezzi, tenta giustamente di tenerla sotto controllo, ma essa è come l’acqua: se cerchi di trattenerla con le mani ti sfugge da tutte le parti. Proprio come succede per l’amore. Per questo solo l’amore è l’antidoto contro la paura. Aver paura del contagio è diventato lo stato d’animo abituale, una condizione costante dei pro vax. Ma anche i no vax sono dominati dalla paura delle conseguenze dei vaccini. Può essere questa la cifra adeguata per affrontare una prova tanto radicale, la cui durata ci è ancora ignota? Non rischiamo in questo modo di trasformare un sintomo (la paura) in malattia?

Quale strada percorrere per non farci intrappolare7 dalla paura? Individuare con serena consapevolezza la vera natura della malattia. Essa si manifesta con sempre maggior chiarezza. E’ la perdita di senso della realtà e7 quindi del vivere. O almeno la confusione circa questa millenaria via – la ripresa del senso – per accedere, pur con tutte le fragilità e contraddizioni, al compimento di sé e alla rigenerazione di “un popolo ben disposto” (Lc 1,17). A partire dalla modernità la questione del senso è stata in diversi modi rimossa. L’itinerario della secolarizzazione sta lì a mostrarcelo.

Il poderoso studio di Taylor ne analizza l’evoluzione, ma ognuno di noi lo percepisce dall’interno della sua esperienza. Caduto l’universale concreto, cioè la possibilità che “un singolo” (Gesù Cristo) sia il senso del tutto, siamo ormai pervenuti ad un nichilismo che, se all’inizio, richiamandosi a Del Noce, poteva essere qualificato “gaio”, ora è ormai divenuto dispotico e cortesemente violento. Per documentarlo basterebbe prendere in considerazione il modo di declinare i cosiddetti diritti del soggetto.

“Conosci te stesso” ammoniva la saggezza greca. Per far questo indicato si può rinunciare ad accogliere, dentro ogni circostanza e ogni rapporto, quella “X” con la maiuscola che le grandi tradizioni religiose hanno sempre indicato con il nome di Dio. E’ fuori dubbio: si tratta di credere in Dio. Nel mondo di oggi è passata di moda persino la più inconsistente obiezione al credere: “Beato te che hai avuto il dono della fede, io purtroppo non ce l’ho”. Come se l’iniziativa di Dio non fosse di donarsi a tutti…! Certo tu la puoi e la “devi accogliere” (Kierkegaard).

Per lasciarsi alle spalle la paura bisogna togliere di mezzo l’equivoco corrente circa il significato della parola credere. Possiamo per questo partire da una delle affermazioni oggi più diffuse a sostegno delle nostre poche certezze sulla pandemia. Occorre “credere nella scienza” è il mantra continuamente ripetuto da tutti. Certo nei dati rigorosamente raccolti e obiettivamente riconosciuti dalla comunità scientifica e soprattutto efficaci, bisogna “riporre fiducia”. E la fede domanda sempre fiducia.

Ma l’aver fiducia non copre tutto l’ambito del credere. Il mero aver fiducia conduce al massimo alla credenza che, in sé e per sé, è troppo labile. Da Popper in avanti si è progressivamente accertato che la scienza non procede per verifiche ma solo per falsificazioni. E il caso del Covid è lì a dimostrarcelo.

La scienza, diceva la mia professoressa di matematica e fisica al liceo, è come una rete gettata in mare che piglia un certo numero di pesci a seconda della larghezza o meno delle sue maglie. Affermare che la scienza procede per falsificazioni significa riconoscere che usando una rete a maglie più strette si piglieranno più pesci e questo chiederà di abbandonare la rete precedente. Il metodo scientifico così individuato rappresenta certamente un grande guadagno per la civiltà contemporanea. Nel caso della pandemia offre vie pratiche per contenerla.

Perché allora non toglie la paura? Perché non può offrire un punto di stabilità permanente che consenta un uso compiuto della libertà. La libertà per muoversi ha bisogno di un senso totale (significato e direzione) entro il quale gli apporti della scienza non solo mantengono ma approfondiscono il loro contributo.

Su cosa puntare allora per vincere il subdolo nemico della paura?

Sul senso compiuto della vita. Per il fatto stesso di esistere ogni uomo ha bisogno di essere cercato ed accompagnato da chi non viene mai meno. “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Osea 11,4). Di questi tempi c’è nostalgia di questo tipo di amore.

Il Natale del Signore ha a che fare con questo tipo di amore, anzi è proprio questo tipo di amore. Charles Péguy lo descrive con parole luminose: “Mio Figlio, dice Dio, è stato un tenero bambino, un lattante, un’infanzia, un germoglio, una promessa, un combattimento, un tentativo, un inizio di redentore, una speranza di salvezza, una speranza di redenzione”.

Indomabile il Covid, ma più indomabile l’evento del Natale.

*Angelo Scola, cardinale arcivescovo emerito di Milano

Fonte: Il Foglio

Guido Oldani, I sapienti (Santa Famiglia)

Lc 2,41-52

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.

Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.

Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.


Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

I SAPIENTI

è come un uovo fuori cavagnolo

gesù che se n’è andato dalla fila,

maria e giuseppe poi fanno la spola.

interroga i sapienti di mestiere

esercitando l’umiltà sua propria

ma dice duro come un maglio il vero,

dai genitori è il cielo che lo espropria.

Guido Oldani-inedito

Guido Oldani, Stefano

  
Mt 10,17-22

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

STEFANO

è la medaglia d’oro del martirio,

gli rompono la faccia con le pietre

come un campo squassato dall’aratro.

bastava un piccolissimo spergiuro,

come farebbe chi lo sta ammazzando

e un dì sarebbe morto di vecchiaia,

invece dà l’inizio a un nuovo stile

che fiorirà, nei secoli, a migliaia.

Guido Oldani-inedito

Card. De Donatis, Buon Natale

Buon Natale!

https://gpcentofanti.altervista.org/notte-di-natale/

https://gpcentofanti.altervista.org/canto-di-natale/

https://gpcentofanti.altervista.org/natale/

Al card. Czerny l’interim in luogo di Turkson

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/12/23/0877/01857.html

Mons. Fernandez, Trinità

https://youtu.be/VNCRdZ5zRRY

Il card. Montenegro al posto del card. Turkson?

https://www.imgpress.it/culture/lindiscrezione-il-cardinale-francesco-montenegro-a-capo-del-dicastero-vaticano-per-lo-sviluppo-umano-integrale/

Riporto gli articoli che trovo anche dove resto molto perplesso.

Intervista a mons. Fernandez

Risposta card. Turkson

https://www.aciprensa.com/noticias/cardenal-turkson-responde-a-informes-sobre-su-posible-renuncia-como-prefecto-67683

Don G. Centofanti, La rinascita delle comunità

https://gpcentofanti.altervista.org/lideologia-annulla-persone-e-comunita/

F. Giansoldati, Dimissioni del card. Turkson

(Franca Giansoldati, Il Messaggero) Il prefetto del dicastero dello Sviluppo Umano Integrale avrebbe già dato le dimissioni — Un’altra illustre testa sta per rotolare in Vaticano. Altro che Fratelli Tutti. Il clima si sta facendo pesante. Stavolta a fare le spese degli scontri sotterranei, degli sgambetti, delle gomitate è uno dei cardinali sui quali Papa Francesco aveva puntato di più all’inizio del suo pontificato, ma la cui stella, cammin facendo, evidentemente si è fatta sempre più opaca, fino all’epilogo di questi giorni.
Il cardinale Peter Appiah Turkson, prefetto del dicastero dello Sviluppo Umano Integrale avrebbe già dato le dimissioni e in mattinata ha convocato tutto il personale della struttura curiale per dare spiegazioni. Cosa ci sia alla base di preciso non si sa, si escludono però problemi finanziari anche perché il dicastero ultimamente è stato sottoposto ad una audit da parte del Revisore dei Conti interno, superando l’esame con un budget in linea e con i costi che sono stati effettivamente ridotti come aveva chiesto a tutta l’amministrazione vaticana Papa Francesco, passando dai 5 milioni circa di spesa ai 3,5.
La notizia della bufera che ha investito il dicastero dello Sviluppo Integrale è un fulmine a ciel sereno che sicuramente non va a giovare sull’immagine complessiva della Santa Sede, sempre più fiaccata da una gestione interna in forte affanno. Prima della inspiegabile uscita di Turkson (che solo fino ad alcuni giorni fa ha tenuto una conferenza stampa in Vaticano) il dicastero è stato squassato da altre uscite di peso con due sottosegretari che nel giro di pochi mesi ne sono andati, prima Duffè e poi il laico Zampini, quest’ultimo lasciando dietro di se una scia di voci malevole sul motivo reale del suo passo. Fatto sta che il maxi ministero che ha accorpato quattro pontifici consigli (Migranti, Cor Unum, Giustizia e Pace e Operatori sanitari) sembra non essere ancora riuscito ad uniformare l’attività nonostante gli sforzi e gli importanti terreni sui quali si è andato a misurare: i migranti, la crisi causata dal covid, la globalizzazione, l’ambiente e il climate change.
L’anno scorso Papa Francesco stanco di ricevere sul suo tavolo continue lamentele sul clima pesante all’interno ha spedito un suo cardinale di fiducia, l’americano Blaise Cupich a condurre una “visitazione”, una specie di ispezione camuffata, dalla quale è stato fatto un rapporto choc frutto dei colloqui individuali interni con tutto il personale. Da questa analisi sembra apparso evidente la difficoltà della governance interna forse causata da un dualismo venutosi a creare col tempo, da una parte il settore sui migranti che fa capo al cardinale gesuita canadese Michel Czerny, molto ascoltato da Papa Francesco e dall’altra parte, l’area di pertinenza del cardinale africano Turkson, titolare (sulla carta) della responsabilità di tutto il dicastero, quindi anche dell’attività di Czerny. Potrebbe essere stato lo scontro tra i due cardinali, e la differenza di vedute e di sensibilità, ad avere accresciuto all’interno il disagio sul resto della struttura dove si lamenta, da tempo, un clima divenuto pesante.  

Dimissioni a sorpresa del card. Turkson

http://blog.messainlatino.it/2021/12/breaking-news-il-card-turkson-si-e.html?m=1

Mons. Fernandez, I sacramenti e la crescita

Card. Muller, Finanza e Big Tech controllano col virus

https://www.rt.com/news/543138-gates-soros-covid-control-bishop/

Guido Oldani, Sei mesi in due (IV Domenica di Avvento, anno c)

Lc 1,39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

SEI MESI IN DUE

lui di sei mesi, neanche ancora nato,

è un sismografo in mezzo al terremoto

di gesù, che è appena concepito.

elisabetta, vecchia oltre misura,

sta con la benedetta fra le donne

dopo una lunga strada fino a giuda,

coppia di sante, l’altra nelle pance,

già pronta per la loro storia cruda.

Guido Oldani- inedito

Mons. Fernandez, Per La Plata

Card. Bagnasco, Catechismo della Chiesa Cattolica

Mons. Dal Covolo, Sulla sacralità della vita

LA SACRALITA’ DELLA VITA

Brescia, Scuola Agenti di Polizia, 14 dicembre 2021

                                                      + Enrico dal Covolo

Sono molto grato agli organizzatori di questo incontro, in particolare al Dott. Giorgio D’Andrea, Primo Dirigente e Direttore di questa Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato.

Il nostro dialogo rappresenta un’iniziativa della quale noi tutti cogliamo l’importanza e l’urgenza: l’importanza, perché l’impegno per la salvaguardia della vita,  come tutte le forme nobili e alte dell’agire umano, non si improvvisa, ma richiede una formazione seria e accurata, come è la vostra; e l’urgenza, perché si diffonde sempre di più, soprattutto tra i giovani, una certa sfiducia nei confronti della sacralità della vita, sfiducia che – se dovesse condurre a un’emarginazione dal vissuto sociale, o finisse per decretarne l’insignificanza – sicuramente comporterà conseguenze nocive per la libertà, per la democrazia e per la vita stessa. 

La sfiducia di molti giovani riguarda in generale la politica.

Ebbene: sono più che mai convinto che la politica potrà riscattarsi dalla situazione di declino in cui versa, solo a condizione di recuperare con lungimiranza e profondità di pensiero il suo ancoraggio alla centralità e alla difesa della vita. Di qui l’opportunità, che vorrei fornire a voi quest’oggi, di confrontarci con alcuni dei cosiddetti “principi non negoziabili” riguardo alla vita.

Non lo faccio tanto da vescovo, ma da persona umana, e soprattutto da salesiano, cioè da educatore che esperimenta ogni giorno di più che senza una scala di valori condivisa è difficile educare le giovani generazioni al senso della vita. E non vi parlerò di “azioni di polizia”, di cui voi siete maestri – o almeno allievi –, e comunque ne sapete assai più di me…

Ci chiediamo invece: che cosa si intende per “principi non negoziabili” riguardo alla sacralità della vita? 

Anzitutto, essi sono dei “principi”, dunque postulati indimostrati, perché dotati di una loro evidenza di ragione; stanno all’inizio, cioè alla base di una successiva argomentazione, destinata ad entrare in dialogo con mores et ius, ossia a ispirare, da una parte, l’organizzazione e lo sviluppo della cultura, dall’altra la regolamentazione giuridica in uno stato di diritto. 

I principi non negoziabili sono dunque un dato che appare coerente al riconoscimento della ragione, anche a prescindere dalla fede. 

Quattro secoli prima di Cristo la tragedia greca, una delle espressioni più elevate e universali del pensare umano, ha espresso il primato di un diritto di natura antecedente l’organizzazione della polis, e anzi fondante la stessa formazione ordinata della polis. L’eroina sofoclea Antigone così dichiara a Creonte, promotore di leggi ingiuste: “Altre leggi furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi io non credevo che tanta forza avessero, da far sì che le leggi dei Celesti, non scritte, e incrollabili, potessero soverchiare un mortale… Eterne vivono esse; e nessuno conosce il giorno in cui nacquero” (Sofocle, Antigone, vv. 452-457; trad. di E. Romagnoli). 

In questo mio intervento mi fermerò soltanto sul primo dei principi non negoziabili, il diritto alla vita, e argomenterò il mio pensiero basandomi su tre fonti del sapere che mi sono più congeniali. Anzitutto, a motivo del servizio che ho prestato per otto anni come Rettore dell’Università del Papa, l’Università Lateranense, vorrei richiamare alcuni elementi del Magistero di san Giovanni Paolo II; in secondo luogo, la docenza e la ricerca nell’ambito della letteratura cristiana antica mi inducono a valorizzare l’insegnamento degli antichi autori cristiani; infine, la mia esperienza come postulatore delle cause dei santi della Famiglia salesiana mi ha messo a contatto con la testimonianza di tante persone, la cui vita è in sé stessa un’alta scuola di vita.

1. Il Magistero di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II ha pubblicato nel 1995 un documento poderoso, ampio e articolato, sulla sacralità della vita, l’enciclica Evangelium Vitae

Esso costituisce la magna charta del suo altissimo magistero in tema di difesa della vita umana, dal suo concepimento fino al suo naturale spegnersi. Non ho intenzione di illustrarne i contenuti e i principi ispiratori: questa enciclica da sola meriterebbe di essere oggetto di un ciclo di lezioni! Vorrei invece limitarmi a commentarne due passaggi, che riguardano l’aborto e l’eutanasia, temi su cui oggi si discute molto, e si cerca di legiferare. 

1.1. L’aborto

Il primo passaggio dell’enciclica, a proposito dell’aborto, suona così: “La gravità morale dell’aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare. […] È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo” (EV, 58)

Sono sufficienti, a me sembra, queste considerazioni di ragione per far apparire del tutto detestabile l’aborto e i tentativi di giustificarlo. Alla ragione ripugna sopprimere l’esistenza di chi è innocente, debole e totalmente dipendente da un altro essere umano. Questa rivolta – questa avversione della ragione – è proprio il risvolto della non negoziabilità del diritto alla nascita del concepito. Del resto, parliamo di “principi” perché, ammessa la deroga all’eliminazione di un essere innocente, debole e totalmente affidato, come nel caso di un embrione o di un feto, si abbatte un limes antropologico, e si permette l’introduzione nella civitas di un contro-principio, che conduce a barbarie e violenze inaudite. La storia del XX secolo è assai tristemente eloquente: nazionalsocialismo, stalinismo e maoismo hanno privato i soggetti umani della loro sacralità, e, dopo averli ridotti a uno stato di fragilità indifesa, hanno perpetrato crimini esecrabili contro la loro vita. 

Un filosofo contemporaneo, che ha riflettuto a lungo sul tema della vita e delle violazioni contro di essa da parte dell’organizzazione socio-politica, Giorgio Agamben, basandosi sul “paradigma di Auschwitz” dichiara: “La domanda corretta rispetto all’orrore commesso nei campi [di concentramento] non è quella che chiede ipocritamente come sia stato possibile commettere delitti tanto atroci rispetto a degli esseri umani; più onesto e soprattutto più utile sarebbe indagare attentamente attraverso quali procedure giuridiche e quali dispositivi politici degli esseri umani abbiano potuto essere così integralmente privati dei loro diritti e delle loro prerogative, fino a che commettere nei loro confronti qualsiasi atto non apparisse più come un delitto (a questo punto, infatti, tutto era veramente divenuto possibile)” (G. Agamben, Homo sacer, Torino, Einaudi, 2005, p. 191). 

Purtroppo, il legame che sussiste tra erosione del principio non negoziabile della vita nascente e le aberrazioni a cui esso conduce sono sotto gli occhi di tutti. Cito un esempio molto amaro, che ci riempie di sconcerto. In Danimarca, il governo ha oramai intrapreso da anni un progetto eugenetico, offrendo gratuitamente la possibilità di ricorrere alle diagnosi prenatali per l’identificazione e la conseguente eliminazione per mezzo dell’aborto dei nascituri “difettosi”. Un giornalista, Nikolaj Rytgaard, sul quotidiano danese “Berlingske”, ha rivelato che l’obiettivo da raggiungere, entro il 2030, è quello di fare della Danimarca il primo Paese al mondo “Down Syndrom Free”. 

Qual è – ci chiediamo a questo punto – la differenza con le sperimentazioni condotte durante il nazionalsocialismo?

Alla luce di queste riflessioni, mi sembra che il diritto alla vita del nascituro non possa che apparire non negoziabile. Consegnare alla cultura, che è transeunte, o alla politica, che è volubile, il diritto di disporre della vita di un nascituro, innocente, debole e totalmente affidato, equivale ad abbandonare pericolosamente la convivenza degli e tra gli uomini all’arbitrio di chi ha più forza, più risorse materiali, più strumenti di controllo e di influenza. La non negoziabilità della tutela della vita nascente, innocente, indifesa, completamente affidata alla protezione dell’altro, ci rammenta che, se si abdica a questo primato, allora è aperta la via alla prevaricazione, all’arroganza, al sopruso, come sentenziò sant’Agostino: “Togli il diritto; e allora, che cosa distingue l’istituzione politica da una grossa banda di briganti?” (Agostino, La città di Dio 4,4).

1.2. L’eutanasia

Ricavo un secondo passaggio dall’enciclica Evangelium Vitae di san Giovanni Paolo II. Esso recita così: “Si fa sempre più forte la tentazione dell’eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine dolcemente alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della cultura di morte, che avanza soprattutto nelle società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate. Esse vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla società, organizzate quasi esclusivamente sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore” (EV, 64). 

Dalle parole di Giovanni Paolo II comprendiamo che anche l’eutanasia, definita nella stessa enciclica come azione o omissione che, nell’intenzione di lenire il dolore procura la morte, è un atto contro ragione e disumano. È contro ragione, infatti, perseguire un fine buono con un mezzo cattivo. Il fine buono è lenire il dolore, ma esso non può essere ottenuto con un mezzo incomparabilmente dannoso e distruttivo, la morte del soggetto sofferente. Con la ragione, nel suo retto esercizio, contrasta il principio che ogni fine giustifica i mezzi. Introdotto infatti questo principio, l’intera esistenza dei soggetti umani e della compagine sociale è vulnerabile e, come nel caso dell’aborto procurato, esposta al prevalere dei malvagi e della loro ferocia. L’eutanasia, però, è anche disumana. Essa può reclamare una certa plausibilità solo in una mentalità che esalta efficienza e funzionalità, aspetti dell’esistenza che, se esaltati e messi al primo posto nella gerarchia dei valori, rendono la vita spietata e crudele. Ciò che non è materialmente utile non è degno di esistere. La vita umana sembra così valutata e misurata come quella degli oggetti, in base all’utilità che essi offrono. 

No, non si può scendere a compromessi, non si può negoziare. L’eutanasia è il tassello di un agghiacciante mosaico di morte e brutalità, in cui i valori e le esperienze dello spirito, compresa la sofferenza, non ricevono alcun apprezzamento. 

2. L’insegnamento dei Padri della Chiesa

“Non ucciderai un bambino per mezzo dell’aborto” (Didaché, 2,2). 

È questo il precetto, perentorio e inequivocabile, enunciato da un antichissimo testo della letteratura cristiana, coevo probabilmente, almeno in alcune sue sezioni, alla letteratura neotestamentaria. Si tratta della Didaché. Il fatto stesso che esso sia stato formulato significa che la consuetudine dell’aborto era diffusa o per lo meno praticata nel mondo pagano, non cristiano. Questo stesso appello ritorna in altre opere cristiane del II secolo. Tra di esse vorrei ricordare un passaggio della Supplica per i cristiani di Atenagora ateniese e un altro, tratto dall’Apologeticum di Tertulliano. 

2.1. Atenagora

Atenagora si interroga vivacemente: “Come possiamo essere omicidi noi, che affermiamo che quante ricorrono a pratiche abortive commettono un omicidio e dell’aborto renderanno conto a Dio? Non è possibile nello stesso tempo ritenere che è vivo l’essere che è nel ventre, e che per questo Dio ne ha cura, e ucciderlo nel momento in cui nasce alla vita; né è possibile esporre il neonato – essendo infanticidi coloro che lo espongono –, o sopprimerlo quando è allevato. Noi siamo in tutto e per tutto simili e uguali rimanendo sottomessi alla ragione, e non comandando su di essa” (Atenagora, Supplica per i cristiani, 35,6)

2.2. Tertulliano

Il testo di Tertulliano, il cui riferimento, tra l’altro, è riportato nella nota a piè di pagina della sezione del Catechismo della Chiesa Cattolica relativa alla proibizione dell’aborto, suona così: “A noi, proibito una volta per sempre l’omicidio, non è lecito sopprimere neppure il feto concepito nell’utero, mentre ancora il sangue materno sta formando un essere umano. Impedire la nascita è un omicidio anticipato, e non fa differenza se si strappi al corpo un’anima già nata o si interrompa il suo processo di formazione. È già un uomo colui che lo sarà; anche ogni frutto è già contenuto nel seme” (Tertulliano, Apologeticum 9,2.8).

Consentitemi ora qualche riflessione. Per i cristiani del II secolo (come pure per quelli dei secoli successivi: vi è, infatti, un ampio florilegio contro l’aborto, che comprende la voce di non pochi dei Padri dell’epoca aurea, come Basilio di Cesarea o Giovanni Crisostomo), la protezione della vita del concepito è un dovere non negoziabile. Ora, questi autori che ho citato, Atenagora e Tertulliano, sono degli apologeti. Essi, cioè, si rivolgono al mondo non cristiano ed espongono la ragionevolezza della loro visione della vita, facendo appello alla ragione, a cui “tutti siamo sottomessi”, secondo le parole di Atenagora. In altri termini, gli apologeti chiedono a tutti gli uomini di seguire quanto di universalmente umano ci accomuna, cioè l’uso della ragione, a prescindere dall’affiliazione religiosa. 

E tuttavia l’uso della ragione potrebbe essere ancora insufficiente. Gli antichi Apologeti, allora, ci offrono l’indicazione di un altro percorso che integri e corrobori quello del logos. Essi, infatti, a partire dalla Rivelazione biblica, mostrano nella fede cristiana una sorgente ricchissima di valori antropologici, fondati sull’azione creatrice e redentrice di Dio. 

Mi pare che questa lezione degli antichi scrittori cristiani sia meritevole di essere mantenuta in considerazione, anche e soprattutto ai nostri giorni. La luce della ragione è stata offuscata e deviata da quel pernicioso fenomeno che viene comunemente definito la “dittatura del relativismo”. È dittatura perché vuole imporre, senza permettere spazio al dialogo e al confronto, il soggettivismo in ogni campo dell’agire umano, risolvendosi in un agghiacciante nichilismo dove, ancora una volta, proprio perché non ci sono più verità e beni oggettivi, sono i più forti che si impongono, e spesso con protervia più o meno dissimulata. 

Di fatto, il grande avversario dei principi non negoziabili è il relativismo, una vera e propria malattia dello spirito. Esso è l’esercizio di una ragione ripiegata su sé stessa, nella ricerca affannosa della funzionalità tecnica, dell’incremento della qualità della vita, del benessere economico. Finalità certamente buone, ma dentro le quali, evidentemente, non può ripiegarsi malinconicamente l’esistenza umana. Il relativismo è pensiero debole: non ci sono più verità da ricercare, perché non c’è nessuna Verità. Il relativismo è minimalismo etico: non ci sono valori per tutti, tutto diventa lecito, perfino necessario, per soddisfare i bisogni e i capricci dell’io. L’uomo è ridotto a strumento. In sintesi, il relativismo assume un concetto molto limitato di ragione, identificato con il metodo delle scienze naturali – tra l’altro, ormai da molto tempo superato da altre epistemologie –, e si accontenta di viaggi a piccolo cabotaggio, che lasciano l’uomo confuso e solo; il relativismo diffida della religione e ne limita sempre più gli spazi. Il relativismo allora, orfano del logos greco e della fede cristiana, può generare dei figli spaventosi. L’uomo diventa preda di utopie dell’orrore, che si annidano nei gangli mortali dell’irrazionale. 

Quando dunque la ragione si smarrisce e si confonde nelle secche del relativismo, e del suo esito letale che è il nichilismo, proprio dalla fede possono giungere ad essa aiuto e sostegno, orientamento e illuminazione. Ecco perché oggi i principi non negoziabili sono oggetto dell’interesse e della promozione da parte dei credenti; e anche nel mondo laico personalità pensose e consapevoli delle trappole in cui la ragione è caduta, a opera dei cattivi maestri, ascoltano volentieri le proposte che vengono da uomini e donne religiosamente ispirati, che mostrano nell’alleanza e nell’amicizia tra fede e ragione il quadro entro cui si può sviluppare un’antropologia e un’etica che difendano sempre e comunque la centralità e la sacralità della vita. 

3. La testimonianza dei santi

Mi avvio alla conclusione del mio intervento, cari amici, trattando, più succintamente, un ultimo punto. Come vi accennavo, per alcuni anni ho avuto la grazia di occuparmi dei processi di beatificazione e canonizzazione dei membri della Famiglia salesiana. Ho avuto così l’opportunità di entrare maggiormente in familiarità con quella che definirei l’apologia più convincente del Vangelo, la vita dei santi. 

Ho sviluppato le precedenti riflessioni insistendo sul fatto che i principi non negoziabili, in particolar modo la tutela della vita nascente e la dignità del morire, sono acquisiti dalla ragione, che nella fede cristiana trova ulteriori motivi di conferma. Vi è tuttavia un perfezionamento ulteriore della ragione e della stessa fede: si tratta dell’amore. La ragionevolezza dell’antropologia personalistico-cristiana che afferma la non negoziabilità del principio della difesa della vita è sostenuta dalla luminosa testimonianza dei santi. I santi esercitano un potente fascino. E, per grazia di Dio, essi non sono mancati e non mancano, e continuano a mantenere vive la bontà e la bellezza dell’umanesimo cristiano. Essi mostrano che solo l’amore, inveramento e perfezionamento della ragione, è credibile. Sono loro che fanno del Cristianesimo un messaggio non solo informativo ma performativo, che cambia la vita della gente e dei popoli! 

Il mondo intero si è inchinato per rendere omaggio alla santa Madre Teresa di Calcutta, icona della santità che si prende cura della vita in nome di quei principi non negoziabili su cui stiamo riflettendo. Parlando da una tribuna speciale, a Oslo, in occasione del conferimento del Premio Nobel nel 1979, ella, senza alcun timore, con la forza e la semplicità della verità, diede testimonianza della missione compiuta per impedire la pratica dell’aborto, che definì il “grande distruttore della pace”. E ne illustrò il motivo con parole che fanno eco a quanto dicevamo precedentemente commentando l’Evangelium Vitae: derogare all’inviolabilità della tutela della vita già concepita apre la strada, come di fatto è accaduto, ad ogni forma di efferatezza e di violenza. “Perché”, affermò in quell’occasione Madre Teresa, “se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te, e a te di uccidere me? Nulla”. 

E anche a proposito dell’eutanasia ricordò un’esperienza che vale forse più di molti ragionamenti, per mostrare che c’è sempre una dignità nel e del morire: “Abbiamo raccolto un uomo dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. Egli ci ha detto: ‘Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato’. Ed è stato meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni, come un angelo”. 

Di fronte alla testimonianza dei santi che ci mostrano una “via più grande” – quella della carità – ragione e fede acquistano una forza persuasiva ancora più cogente, sicché i principi non negoziabili appaiono realmente dotati di quella verità, di quella bontà e di quella bellezza che niente e nessuno potrà rinnegare. 

E’ questo l’ultimo pensiero che desidero condividere con voi, cari amici, anzi una preghiera: il Signore doni e moltiplichi i santi, protettori e amici della sacralità della vita, testimoni e perciò maestri. Sono e saranno essi il discorso più convincente perché i principi non negoziabili tornino a essere il fondamento di una convivenza umana più giusta e pacifica per tutti e per ciascuno; per costruire stabilmente quella civiltà dell’amore, dove ogni uomo, dal suo concepimento fino alla morte naturale, sia rispettato e onorato per la sua inalienabile dignità. 

Ricordo del card. Poletti

Benedetto XVI, Sotto la croce

Benedetto: Gesù umano affida la madre vedova e senza figlio a Giovanni. E affida noi a lei e alla Chiesa. Vivere questo affidamento.

Guido Oldani, Il tirapiedi (III Domenica di Avvento, anno C)

Lc 3,10-18

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».

Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».

Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».


Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

IL TIRAPIEDI

la legge la si scrive dentro al vento

ma la si vive dividendo il quanto,

con ciò giovanni inizia a dar spavento.

chi ha due televisori ne dia uno

e mezza spesa del supermercato;

non faccia il finto tonto chi sta in banca,

in quanto a lui, di dio fa il tirapiedi,

poi c’è la fine, questi i suoi rimedi.

Guido Oldani- inedito

Card. Scola, 80 anni

San Kolbe, Atto di consacrazione all’Immacolata

https://www.google.com/amp/s/www.acistampa.com/amp/story/san-massimiliano-kolbe-e-latto-di-consacrazione-allimmacolata-15714

Padre Kolbe e la medaglia miracolosa

L. Accattoli, Francesco risponde ai giornalisti

http://www.luigiaccattoli.it/blog/francesco-confessa-daver-accettato-le-dimissioni-di-aupetit-sullaltare-dellipocrisia/

Importante intervento di Francesco

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-12/papa-francesco-conferenza-stampa-viaggio-cipro-grecia.html

Mons. Delpini, Gesù porta oltre

https://www.acistampa.com/story/larcivescovo-delpini-gesu-chiama-a-vedere-cose-piu-grandi-18329

Mons. Dal Covolo, Buon Natale

La semplicità del presepio rivela la lieta notizia che Dio ci ama.

Buon Natale 2021

Felice anno 2022

+Enrico Dal Covolo, vescovo di Eraclea, Assessore nel Pontificio Consiglio di Scienze Storiche

Il trattato del Quirinale

https://gpcentofanti.altervista.org/la-fiat-la-superlega-ed-altri-passaggi/

Card. Scola, Cristo Re

Guido Oldani, La provetta (Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria)

Lc 1, 26-38
 
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.

LA PROVETTA

come fa un sasso, che colpisce il vetro

le arriva in volo d’ali gabriele,

“la tua pancia sarà l’universale”.

è possibile tutto a chi sta in cielo

e lo spirito santo è la provetta

e giovanni è di già nel sesto mese,

nonostante sia vecchia elisabetta.

Guido Oldani- inedito

Mons. V. M. Fernandez, Il tempo

Dom Scicolone osb, L’Immacolata Concezione

La solennità dell’Immacolata è, senza dubbio una delle più sentite nel popolo cristiano, al punto che – se capita in domenica di Avvento – le varie chiese ottengono l’indulto dalla Santa Sede di celebrarla, a dispetto delle norme liturgiche, che vogliono le domeniche di Avvento con precedenza assoluta su qualsiasi festa. Molti cristiani però si fermano all’aggettivo “immacolata”, e pensano si celebri un “titolo” della Madonna, quell’attributo cioè che la definisce “immacolata”, senza alcuna macchia di peccato. Il canto Tota pulchra, cioè “Tutta bella sei, o Maria” ha ispirato pittori e scultori a produrre immagini di una bella ragazza. Dimenticano questi cristiani che oggetto della festa è un avvenimento preciso: la concezione di Maria nel grembo di sant’Anna. E questo evento non può essere raffigurato. Fissata all’8 settembre la nascita di Maria, è chiaro che nove mesi prima, cioè appunto, l’8 dicembre, è il giorno in cui sant’Anna è rimasta incinta di quella creatura che sarebbe stata Maria, la Madre del Figlio di Dio, fatto uomo. Una memoria della “concezione di sant’Anna” è celebrata in Oriente. La fede della Chiesa vede in questo evento, che normalmente nessuno festeggia o ricorda, un momento nella storia della salvezza. Tutti, in quanto figli di Adamo, veniamo concepiti e nasciamo in una situazione di peccato, quello appunto che ha avuto inizio alle origini dell’umanità e ci ha reso quindi soggetti al potere di Satana, da cui Gesù ci avrebbe liberato con la sua morte redentrice, e dal quale veniamo effettivamente salvati con il battesimo. Per Maria, questo crede la Chiesa, è stata doverosamente fatta un’eccezione. Non è scritto chiaramente in nessuna pagina del Nuovo Testamento, e pertanto non tutti i cristiani, nel corso dei due millenni di storia della Chiesa, erano d’accordo su questa verità. San Tommaso d’Aquino, per esempio, e la scuola domenicana non la ritenevano una verità di fede, mentre san Bonaventura e la scuola francescana la ritenevano coerente, nella logica della storia salvifica. Ecco perché sembra una festa tipicamente francescana (e dei Conventuali in particolare: vedi la novena nella Chiesa conventuale dei dodici Apostoli in Roma, e la “milizia dell’Immacolata” di san Massimiliano Kolbe, conventuale). A queste discussioni in seno alla Chiesa ha posto fine il Papa Beato Pio IX, che nel 1854 ha “definito” essere verità rivelata da Dio che Maria “è stata preservata (cioè salvata prima) da ogni macchia di peccato originale, fin dal primo istante del suo concepimento”. Il Papa, notate, non dice che Maria non ha avuto bisogno di essere salvata, dal momento che san Paolo nella lettera ai Romani, afferma che “tutti in Adamo hanno peccato” e “hanno bisogno della misericordia di Dio”. La Chiesa afferma che anche Maria è stata salvata da Cristo Gesù; essa però è stata salvata prima, in vista dei meriti di lui. Su che cosa si basa la Chiesa per affermare che è verità rivelata (dogma di fede) che Maria è stata concepita “senza macchia di peccato originale, per singolare (= unico) privilegio”? Certamente sulla costante fede della Chiesa, testimoniata dalla Tradizione. Nella Bibbia troviamo però alcuni validi indizi. Sono principalmente le letture bibliche della festa. In Genesi 3 (prima lettura) leggiamo le parole che Dio rivolge al serpente: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà il capo”. Se c’è inimicizia tra satana e la Donna, vuol dire che mai sono stati amici, mai Maria è stata sotto o con Satana. Il Vangelo del giorno è l’annunciazione. Attenzione però a non fraintendere. L’angelo annunzia a Maria: “Tu concepirai e darai alla luce un figlio”. Ma non è questa concezione (attiva) di Maria che celebriamo l’8 dicembre: non Maria che concepisce, ma Maria che è concepita (concezione passiva). Il motivo per cui leggiamo questo brano evangelico sta nel saluto dell’Angelo: “Ave (Rallegrati), o piena di grazia”. Questo participio perfetto (checharitoméne, in greco) significa “amata” da sempre dal Signore. Non c’è stato un momento in cui Maria non sia stata gradita al Signore, nemmeno l’istante in cui è stata concepita. La concezione immacolata di Maria diventa così il primo momento della realizzazione dell’opera salvifica, il compimento del primo annuncio salvifico, espresso in Genesi 3 (il protoevangelo). Il sole di giustizia, che è Cristo Signore, che apparirà alla sua nascita, illumina già l’orizzonte, come l’aurora che illumina l’Oriente, ancor prima che spunti il sole. La seconda lettura, tratta dall’inno cristologico di Efesini 1, ci dà il senso ecclesiologico della festa. Paolo, benedicendo Dio per il suo piano salvifico, dice: “Egli ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto”. Il privilegio singolare di Maria diventa un segno emblematico di ciò che Dio ha fatto all’umanità intera. Tutti siamo stati resi santi e immacolati, nel pensiero di Dio, ancor prima che noi pure fossimo concepiti. Questa santità ci è stata donata dopo, nel battesimo. Maria allora diventa il prototipo, il modello dei salvati. Quello che è stato concesso a Maria, è concesso a tutta la Chiesa, sposa santa e immacolata, amata dal Signore. Il senso profondo della solennità è cantato dal prefazio: “Oggi hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché fosse degna dimora del tuo Figlio. In lei hai segnato l’inizio della Chiesa, sposa santa e immacolata”. Un corollario si può ricavare da questa festa: la grandezza della maternità, e la sacralità della vita umana, fin dal primo istante del concepimento. Come può un cristiano che celebra l’immacolata concezione di Maria, ritenere che la vita intrauterina non sia una vera vita umana, della quale quindi si può disporre liberamente, fino a sopprimerla? Vorrei concludere presentando un’originale immagine della concezione di Maria. Ho detto che quell’istante non è riproducibile. Ma in un quadro, che si conserva nel mio monastero di San Martino delle Scale (Palermo), è raffigurato il Padre eterno che dipinge la Madonna su una tela, sorretta dai santi Gioacchino e Anna (genitori della Vergine). Maria sboccia da una rosa. Sotto il dipinto, un angelo (Michele) tiene legato il demonio. Sono raffigurati l’evento e la teologia dell’evento. Come Maria, ogni cristiano può far proprie le parole di Isaia che costituiscono il canto d’ingresso: “Io gioisco pienamente nel Signore, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, e mi ha ammantato dell’abito della giustizia”

Epistolario di sant’Ignazio di Loyola

Card. Parolin sul Natale silenziato

Mons. Cevolotto

Guido Oldani, L’autostrada (II Domenica di Avvento, anno c)

Lc 3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.

Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:

«Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

Ogni burrone sarà riempito,

ogni monte e ogni colle sarà abbassato;

le vie tortuose diverranno diritte

e quelle impervie, spianate.

Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

L’AUTOSTRADA

hanno dei nomi, quelli dei poteri,

dal solito pilato fino a caifa

come posate poste tra i bicchieri.

ma nonostante il loro luccicare,

il cibo buono è tutto un’altra cosa,

è giovanni che ha casa nel deserto

e i tornanti diventano autostrade

adatte al cielo, di cui lui è esperto.

Guido Oldani- inedito

Parrocchia San Vincenzo De Paoli, Bologna

Don Giampaolo Centofanti, video

https://youtube.com/channel/UChTNif0aOs7lN9gbY9Ja8zw

Festa della Medaglia miracolosa

Chiesa di Napoli, Sinodo

Saluto ai nuovi studenti PUG

Madre Olga Maria del Redentor

Guido Oldani, Ultimi giorni (I domenica di avvento, anno c)

Lc 21,25-28.34-36

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.

Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.


State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

ULTIMI GIORNI

s’impenna il cielo come un motociclo

e molti sono secchi dal terrore

e una nube a gesù gli fa da altare.

è la resa e ci può liberare

e attenti al cuore che divenga tasca

o bottiglia da cui noi tracannare,

saranno nostre tane le preghiere,

quindi la luce o molte zolfatare.

Guido Oldani-inedito

Rubbia sul cambiamento climatico

http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2021/10/18/societa/il-premio-nobel-e-fisico-italiano-carlo-rubbia-smentisce-greta

Mons. Munilla, maturità cristiana

https://youtu.be/Fw6H0Ej22PI

D. A. Compagnoni, Tra voi non sia così

Guido Oldani, Parafrasi del Re, Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo

Gv 18,33b-37

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».

Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».


Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

PARAFRASI DEL RE

pilato :

sei tu che tiri i fili ai burattini?

ti danno a me, nascosti come il buio

perché io faccia in modo che tu muoia.

e il falegname:

la mia banca non è di questo mondo,

se no in aiuto avrei dei tirapiedi

però il mio vero, non è mai feroce

ma il deserto trasforma in una foce.

Guido Oldani- inedito

Inaugurazione anno accademico università salesiana

Card. Ladaria, riflessioni sulla teologia

Prof.ssa Nuria Calduch-Benages

Padre Pio ama nella croce

L. Accattoli, Storie di pandemia

http://www.luigiaccattoli.it/blog/siete-tutti-invitati-alla-presentazione-delle-storie-di-pandemia-parola-di-renna/

Carron si è dimesso

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/15/comunione-e-liberazione-don-julian-carron-si-dimett-da-presidente-resa-incondizionata-alle-direttive-di-papa-francesco/6392722/

Mons. Delpini ai nuovi parroci

Grande Imam di al-Hazar contro la nuova religione abramitica

(Chiara Pellegrino, Oasis – Rassegna Stampa) In Egitto lunedì scorso il Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, e il papa della Chiesa copta ortodossa, Tawadros II, hanno celebrato il decimo anniversario della fondazione della Casa della Famiglia egiziana. Questa istituzione era stata voluta dal precedente papa copto Shenouda III e da al-Azhar per prevenire i conflitti confessionali nel Paese, in seguito all’attentato avvenuto la notte di Capodanno 2011 contro la chiesa dei Santi ad Alessandria d’Egitto.
A suscitare l’attenzione dei media non è stato tanto l’evento in sé, quanto il discorso pronunciato dallo shaykh di al-Azhar davanti a una platea gremita di persone. Dopo aver spiegato che esiste una differenza sostanziale tra un atteggiamento di apertura reciproca tra religioni diverse e la rinuncia alle proprie specificità dottrinali in nome del dialogo interreligioso, l’imam al-Tayyeb ha messo in guardia dalla tentazione di creare una «religione abramitica», cioè un’unione sincretica di ebraismo, cristianesimo e islam  il cui comun denominatore dovrebbe essere la fede nel profeta Abramo. Secondo al-Tayyeb, quello che apparentemente è «un invito all’incontro e alla convivenza tra religioni e all’eliminazione dei motivi di conflitto, è in realtà un appello alla confisca di quanto di più prezioso l’umanità possiede: la libertà di credo, di fede e di scelta». Il rischio, ha inoltre spiegato il Grande Imam, è quello di creare «una religione che non ha colore, non ha sapore e non ha profumo».
Ermetico ma non troppo, il discorso dello shaykh si è subito trasformato in una questione politica. Nell’ultimo anno, infatti, in Medio Oriente dici Abramo e il pensiero va subito agli accordi con cui nell’autunno 2020, alcuni Paesi arabi, tra cui gli Emirati, hanno normalizzato i loro rapporti con Israele. Ed è proprio nell’ambito di quell’iniziativa politica, ha spiegato la BBC Arabic, che è nata l’idea di una «religione abramitica», che dovrebbe conservare gli elementi che accomunano le tre religioni abramitiche ed eliminare ciò che può generare conflitti tra i popoli. Ed è alla luce di questi sviluppi che molti hanno interpretato il richiamo del Grande Imam, il quale peraltro non ha mai commentato esplicitamente gli Accordi di Abramo.
Così, il quotidiano indipendente egiziano Ra’y al-youm si è chiesto se al-Tayyeb non si sia «infilato in un vespaio» parlando in questi termini, dal momento che le sue dichiarazioni potrebbero influire negativamente sul suo rapporto (attualmente buono) con gli Emirati.
Il sito d’informazione egiziano Masrāwī ha intervistato Bakr Zaki, professore di Religioni comparate all’Università di al-Azhar, che ha definito la “nuova religione” «un’innovazione», «una pretesa politica malevola che mira a dissolvere le religioni l’una nell’altra», «un’idea politica sotto copertura religiosa», «un invito a istituire un nuovo ordine mondiale» e infine un’idea nata con il supporto del «sionismo globale».
All’estero la notizia è stata ripresa dai media sensibili alle cause arabe, che nell’ultimo anno si sono opposti agli accordi di Abramo.
Il quotidiano londinese al-Quds al-‘Arabī si è limitato a riportare alcuni stralci del discorso del Grande Imam senza commentarli, mentre al-Jazeera ha pubblicato un lungo articolo secondo cui esisterebbe una strategia internazionale portata avanti dagli Emirati e da Israele (quest’ultimo mai chiamato per nome, ma «entità sionista») per normalizzare l’occupazione israeliana dei territori arabi. Secondo il politologo Essam Abdel Shafi, «collegare gli accordi di Abramo alla cosiddetta religione abramitica è un inganno politico, volto a dare un certo grado di legittimità a questo accordo, che si basa in sostanza sulla normalizzazione e sull’accettazione dell’occupazione sionista delle terre arabe». Questa strategia, ha scritto, è «la punta di diamante del regime emiratino e dell’entità sionista», che vogliono «cancellare l’identità islamica, distorcerne i valori e i principi ed emarginare il ruolo dei movimenti e delle correnti islamiste».

Mons. Dal Covolo, Religione: luogo di incontro o di scontro?

RELIGIONE: LUOGO DI… INCONTRO O DI SCONTRO?

    1. Entriamo in questa riflessione con molta cautela. Il tema che ci accingiamo ad affrontare, infatti, è molto delicato e complesso: potrebbe condurre a discussioni interminabili, e a un dibattito fin troppo acceso.

    A scanso di equivoci, preciso che il mio approccio è quello del teologo e dello storico della Chiesa antica. Del resto – come tutti sappiamo – la storia è “maestra di vita”, e il ricorso alla tradizione è imprescindibile per un corretto avvio della nostra ricerca.

2. Tentiamo anzitutto di precisare – quasi in forma di explicatio del termine – la nozione di religio. 

Dobbiamo riconoscere subito che il ricorso all’etimologia non è decisivo per la nostra indagine. Si tratta in effetti di un’etimologia controversa. Secondo alcuni, il vocabolo va connesso con religere/relegere (“raccogliere di nuovo”, “rileggere”); secondo altri, si riallaccia invece a religare (“riunire”, “legare”, “riannodare”). Ma è un fatto che, a prescindere dalla questione dell’etimo, il modo di intendere la religione nel mondo antico si accorda di più con l’orientazione semantica di religere/relegere, piuttosto che con quella di religare.

“Ricominciare una scelta già fatta (retractare, dice Cicerone), rivedere la decisione che ne risulta, tale è il senso proprio di religio. Indica una disposizione interiore, e non una proprietà oggettiva di certe cose, o un insieme di fede e di pratiche”: così afferma É. Benvéniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee. A suo dire, “religio è un’esitazione che trattiene, uno scrupolo, e non un sentimento che dirige verso un’azione, o che incita a praticare il culto”.

Così nell’età classica religio indica anzitutto un atteggiamento fatto di scrupoloso rispetto verso le istituzioni, ed è questo il senso che mantiene lungo il tragitto della latinità. In rapporto all’identità del cittadino, impegnato per la sua stessa sopravvivenza a conservare le istituzioni della città, religio è ciò che dà loro forza, e ne garantisce la durata.

3. Depositario coerente di tali convinzioni è Costantino il Grande (+ 337). Come già Diocleziano e Galerio, e come tutti gli imperatori prima di loro, egli vede nella religione l’unica garanzia della prosperità dell’impero e della sua unità. Costantino però – a differenza dei suoi predecessori – si rende conto lucidamente che, per diversi motivi, la religio tradizionale non è più in grado di assolvere il suo compito, e che occorre “sostituire” gli dei dell’Olimpo con il Deus christianorum, senza però toccare minimamente il nodo saldo che unisce tra loro religione e politica. In questa prospettiva si comprende come la “svolta costantiniana” sia nella realtà assai meno rivoluzionaria di quanto molto spesso si voglia credere, e si capisce anche il grave equivoco con cui la nuova religione venne accolta e riconosciuta fra le istituzioni dell’impero. Da Costantino, infatti, essa fu compresa anzitutto come un’etica: per lui, Gesù Cristo non era tanto il Logos, quanto piuttosto il Nomos, e la religione dei cristiani aveva essenzialmente lo scopo di propiziare, mediante un culto esatto, il favore della Divinità, senza la quale era impossibile la sopravvivenza e la prosperità dell’impero. La differenza è che, mentre prima il giusto culto della divinità sembrava esigere necessariamente la repressione della religione cristiana, non integrabile nel culto tradizionale, ora la Divinità da cui si attende protezione, l’unica capace di garantire l’unità e la durata dell’impero, è quella dei cristiani.

4. A questo punto, è necessario richiamare la ben nota raccomandazione di non giudicare con gli occhi di oggi la realtà di ieri. Anche se – espressa in questo modo, la raccomandazione sembra paradossale (nessuno storico di oggi ha gli occhi di ieri!) – essa contiene tuttavia un’anima di verità. Mette in guardia, se non altro, dai troppo facili anacronismi. Giusto per fare qualche esempio, l’emotività antica del sentire religioso – che da sempre ha segnato, e continua segnare, il rapporto della persona con il Divino – solo con molte riserve può essere misurata con le moderne analisi della psiche, di cui oggi noi ci avvaliamo, grazie allo sviluppo delle scienze umane.

Pure il concetto di laicità va accostato con molta cautela. Il termine non ricorre formalmente nei testi patristici, anche se vi è presente nella sostanza. Essenzialmente, il termine laicità, e il principio che ne deriva, indicano un atteggiamento di rispetto delle realtà naturali, e un coerente rifiuto di sovrapporre ad esse un valore sacrale a quello loro proprio già in radice. Ma per quanto riguarda la politica (che è una realtà prettamente laicale, orientata al bene della società civile), il legame con la religione e con il sacro, sia tra i pagani, sia tra i cristiani dei primi secoli era praticamente indissolubile. Così uno sgarro nella religione poteva essere giudicato e punito come sedizione e rivolta contro l’istituzione civile. 

E veniamo all’idea di “libertà e di tolleranza religiosa”. Essa è di chiaro sapore illuministico. Per esempio, parlare di “tolleranza religiosa” ai tempi di sant’Ambrogio è un classico anacronismo.

Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è affrancata appieno da una concezione della religione, che affonda le sue radici nella cultura greco-romana (e prima ancora), e che è poi trascorsa nella Chiesa – più a lungo e saldamente nella Chiesa d’Oriente – con la cosiddetta “svolta costantiniana”.

5. Un’altra osservazione, collegata con la precedente, induce ad affermare che il vero scontro tra le religioni – che fu segnato da momenti di grave tensione e violenza, anche da parte cristiana – trova il suo fondamento nella questione della vera religio. Qual è la vera religione? Prendiamo in conderazione, in modo particolare, la “pretesa veritativa” del Vangelo: Ego sum via et veritas et vita, ha detto Gesù (Gv 14,6). 

6. Ma ci sono voluti duemila anni perché si potesse accogliere tale predicazione del Maestro in maniera autenticamente evangelica. 

Al riguardo, mi limito a citare il celebre Discorso di san Paolo VI all’Organizzazione delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), alla vigilia ormai della conclusione del Concilio. Pochi giorni dopo (28 ottobre) l’Assemblea conciliare avrebbe promulgato la Dichiarazione Nostra Aetate sul dialogo interreligioso, che sanciva in maniera irreversibile il nuovo cammino della Chiesa. La conferma più recente e autorevole è rappresentata dal Documento sulla Fratellanza umana firmato dal Papa Francesco e dal Gran Imam il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. Il Documento è scritto “in nome di Dio, che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace”. 

Insieme alla sollecitudine sincera per il dialogo con le nazioni del mondo e le loro religioni, nel suo Discorso alla Nazioni Unite Paolo VI non volle comunque rinunciare all’esplicito annuncio di Cristo, pur rispettando la laicità dell’istituzione. Anche nel profondo rispetto della “sana laicità” dei valori intramondani, a Paolo VI urgeva pur sempre richiamare l’Assoluto, la pienezza del bene. I Padri della Chiesa, a lui tanto cari, parlerebbero a questo proposito dei “semi” del Verbo di verità, sparsi in qualunque cosa vi sia di buono e di autenticamente umano. Ma solo il Verbo di verità – Gesù Cristo Signore – porta a maturazione questi medesimi “semi”, che lo Spirito sparge nel mondo.

    Così nel suo Discorso alle Nazioni Unite il Papa concludeva con un chiaro annuncio: “L’edificio della moderna civiltà”, affermò con decisione, “deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono che fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo? Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini”.

7. Siamo giunti così a un punto decisivo. 

In ogni suo intervento, Paolo VI – che pure ha sempre dichiarato il suo rispetto profondo, sinceramente aperto al dialogo, verso i non credenti e verso i credenti di altre religioni, verso gli Ebrei e i fratelli cristiani separati – non ha mai cessato di mettere al centro dei vari cerchi del dialogo (ecco perché “concentrici”) l’annuncio di Gesù Cristo e della sua Chiesa.

    Si deve parlare anzi del cristocentrismo – non certo di un preteso, quanto errato, “ecclesiocentrismo” – di Paolo VI. La parola di sant’Ambrogio risuonava sempre nella mente e nel cuore di questo Arcivescovo di Milano, divenuto Papa e santo: Omnia Christus est nobis!

    “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo!” – egli avrebbe confessato, con accenti appassionati, il 29 novembre 1970 a Manila, nel corso di un altro viaggio emblematico del dialogo con credenti e non credenti –. “Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Gesù, il Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra!”.

    Inseguendo la spiritualità del cuore di Papa    Montini, nella linea giovannea e agostiniana della sua dottrina, possiamo affermare che la vera conoscenza viene dalla fede e dall’amore; invece, quando la ragione si avvita su sé stessa, non è più in grado di approdare alla percezione del mistero.

    Questa affermazione – che ho appena fatto, e che riecheggia intenzionalmente il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI – trova un anticipo ricco di significati nelle parole, che ora cito, di un grande amico ed estimatore di Paolo VI, mons. Pietro Rossano. Lo ricordo, anche perché egli fu tra i miei predecessori nella guida dell’Università Lateranense. Queste parole hanno un sapore indubbiamente “montiniano”: “Solo la conoscenza accompagnata da affetto – affermava Rossano – raggiunge la verità; la parola senza amore è menzogna. E’ questo il mio principio per il dialogo con le religioni”. 

Nullum noscitur, quod non amatur, affermava Agostino. Non c’è amore senza conoscenza, né conoscenza senza amore.

    Ecco: la centralità affettuosa – senza proselitismo alcuno – di Cristo, Parola del Dio vivente, ha illuminato costantemente la vita e l’insegnamento di Paolo VI, in piena consonanza con il magistero conciliare: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, dichiara la Costituzione Gaudium et Spes; e prosegue, poco più avanti: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (n. 22). 

E mons. Rossano – un biblista attento, che i vicini e i lontani chiamavano con ammirazione, e forse con una punta di invidia, Monsignor Dialogo – aggiungeva ancora: “I valori esterni della cultura sfumano in un silenzio, che sarebbe infinito e mortale, se non ci fosse la Parola di Dio”, anche quando essa è collocata “nel chiaroscuro in cui la contiene la Bibbia”. 

“Gesù Cristo!”, proseguiva da parte sua Paolo VI a Manila, “tu sei il rivelatore del Dio invisibile, tu sei la via, la verità, la vita!”.

    Immersi nel chiaroscuro dell’esistenza terrena, noi restiamo pur sempre di fronte all’interrogativo cruciale, posto duemila anni fa dallo stesso Gesù di Nazaret: “Voi, chi dite che io sia?”.

    La risposta a questa domanda – la risposta che stava nel cuore di Paolo VI, mentre svolgeva il suo dialogo con l’Assemblea delle Nazioni Unite – la conosciamo molto bene. E’ la risposta definitiva dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.

8. Dialogo e annuncio insieme, non l’uno senza l’altro. Così è nella tradizione cristiana autentica, dai Padri apologisti, fino a Papa Francesco.

Riguardo all’annuncio, mai disgiunto dal dialogo, riporto qui una citazione dell’Esortazione apostolica programmatica di Francesco, la Evangelii Gaudium, che fin dal titolo intende riagganciarsi all’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. 

In questa citazione di Francesco troviamo un rinnovato slancio nel dialogo con il mondo e con le religioni, e nell’annuncio del Vangelo. Vi si parla di una “Chiesa in uscita”, dunque di una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: ‘Sarete beati se farete questo’ (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze” (24).

9. In definitiva, è questo il cammino – costantemente ribadito da Papa Francesco nei suoi viaggi apostolici, che sembrano allargare i “cerchi del dialogo” di Paolo VI – su cui si stanno muovendo il dialogo e l’annuncio nel Cristianesimo di oggi.

Cosi all’analisi storica appare evidente che la religione diventa luogo di scontro quando essa si chiude al dialogo, quando pone un’errata gerarchia di valori. Allora essa smette di essere vera religione, e diventa un idolo. Si verifica una sorta di boomerang: la presunta religione si ritorce contro se stessa e contro l’uomo, asservendolo alle ideologie e alla violenza. Perché, se la religione è legame tra l’uomo e Dio, allora possiamo affermare con sicurezza che una presunta religione, quando predica e attua la violenza, non è una vera religione. Non esiste un dio violento, al quale l’uomo possa legarsi!

Se invece la religione accoglie sinceramente i valori del dialogo e dell’amore, allora non può essere luogo di scontro. L’abbiamo sperimentato tragicamente nel secolo ventesimo, e ancora lo sperimentiamo oggi. Una ragione che si avvita su se stessa, e fa di sé la propria religione, costruisce i mostri dei lager, dei gulag, degli stermini più abietti.

Ritengo che in questo orizzonte di idee vada studiato – senza anacronismi di sorta – il tema della religione. 

Solo così la religione potrà essere – quale deve essere – luogo di incontro, e mai di scontro, tra generazioni e civiltà.

                                    + Enrico dal Covolo  

Card. Biffi, Primo comandamento

Card. Ladaria, La terra luogo della salvezza

Guido Oldani, Il ritorno (XXXIII Domenica del Tempo ordinario, anno b)

Mc 13,24-32

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.


Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

IL RITORNO

quando si cuce il sole allora accade

e la luna è una candela spenta

ed il cielo non è più in forza tanto.

lui viene sulle nubi galleggianti

e da in fondo alla terra o in cima all’alto

gli angeli radunano gli eletti

portandoli con sé dai quattro venti

e tutto passa, se ne va in malora

ma il suo parlare fa dei monumenti.

Guido Oldani- Inedito

Sant’Ignazio, gli scrupoli

Card. Ladaria, Nuove forme di solidarietà

Inaugurazione anno accademico Università di Santa Croce

A. Sosa Abascal, omelia per l’anno accademico

Galli della Loggia, Siamo in pieno pensiero unico

https://drive.google.com/file/d/1IgFfGs4dOarSTSyc3RV5DM9116yIo4z2/view?usp=sharing

Fonte: Corriere della Sera

Card. De Donatis: Il card. Ugo Poletti

Guido Oldani, Le briciole del troppo (XXXII Domenica del Tempo ordinario, anno b)

Mc 12,38-44

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.


Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

LE BRICIOLE DEL TROPPO

delle vedove mangiano anche i muri,

gli scribi che s’ingozzano di case

dandosi poi gran tono con le vesti

e pregano, ma è solo l’antipasto.

poi quando è il momento dell’offerta

la povera dà le miserie intere

e i ricchi invece briciole del troppo,

come del vino bere solo il tappo,

ma ne avranno le sberle più severe.

Guido Oldani- inedito

Marcello Silvestri a Tarquinia

Padre Jenaro Fernandez Echeverria

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.agustinosrecoletos.com/wp-content/uploads/2016/09/6840doc_discurso_cardenal_agostino_vallini_jenaro_fernandez.pdf&ved=2ahUKEwi2m-jwgLDzAhWBzqQKHa0nDZQQFnoECAcQAQ&usg=AOvVaw2eTuGnC5aV2Bl_BhBGSciV&cshid=1633324808740

Benedetto XVI racconta la sua vocazione

Resurrezione dei morti

Card. Ladaria, Sant’Ignazio

Zamagni, Settimana sociale

https://www.agensir.it/chiesa/2021/10/25/settimana-sociale-zamagni-il-mondo-cattolico-non-e-succube-al-pensiero-di-nessuno/

Un libro sinodale: Fatti di vangelo in pandemia

Copertina del volume Fatti di Vangelo in pandemia. Settantadue storie italiane di morte e risurrezione nella stagione del Covid-19, che Luigi Accattoli e Ciro Fusco hanno realizzato in un anno e mezzo di lavoro e che l’editrice ViTrenD manda ora in libreria. Nei commenti il chi, il che e il perchè di questa minima impresa di lettura della drammatica stagione che l’umanità sta vivendo sul pianeta.

In questo libro sono raccontate 72 storie esemplari di pandemia, raccolte a partire dalla fase più acuta dell’emergenza Covid-19, dalle quali gli autori credono di poter cavare un messaggio di speranza. Per i richiami alla conversione e alla profezia lasciati da chi è morto. Per le attestazioni di fede, di affidamento nella preghiera, di avvertenza della presenza di Dio da parte di chi è guarito dopo essere passato per la grande tribolazione. Per le testimonianze di coloro che si sono messi in gioco, fino a dare la vita, nel soccorso del prossimo. Per come i giovani si sono occupati degli anziani, negli ospedali e nelle case. Di ognuna di queste vicende – colte in ogni angolo del Paese, da Nord a Sud – viene riportata una breve narrazione e l’essenzialità delle parole che meritano memoria, da conservare e custodire.

Abbiamo raccolto in questa antologia settantadue storie esemplari vissute da italiani nelle stagioni della pandemia. Le proponiamo come vicende esemplari perché potrebbero valere a esempio o modello di tante altre e perché segnalano un qualche vivo elemento testimoniale. Abbiamo fatto le nostre scelte tra migliaia di casi passati al vaglio, puntando a quelli che segnalassero, direttamente o indirettamente, un riscatto dell’umano, un apporto di speranza che aiuti a guardare avanti. Ed è in riferimento alla speranza che abbiamo messo nel titolo la parola “risurrezione”.
Abbiamo condotto la ricerca nel nome cristiano ma – sapendo che lo Spirito soffia dove vuole – non ci siamo limitati alle vicende segnate da un rimando evangelico esplicito. Lavorando a queste storie ci siamo incontrati a ogni pagina con sofferenze e generosità che meritano ascolto. L’incoraggiamento che trasmettono è il dono di questa stagione tribolata e noi ci siamo proposti di segnalarlo con l’arte della comunicazione giornalistica che è quella della narrazione di storie di vita
. [Dalla prefazione di Luigi Accattoli].

Nel 2019, un anno prima dello scoppio della pandemia, in un discorso rivolto il 9 maggio alla diocesi di Roma, Papa Francesco invitava a “esercitare uno sguardo contemplativo sulla vita delle persone”. “Cerchiamo di raccogliere – suggeriva il Papa – storie di vita. Storie di vita esemplari, significative di quello che vive la maggioranza delle persone”. E l’8 giugno 2021, intervenendo alla cerimonia per l’anno accademico 2020-2021 dell’Università degli Studi di Milano, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella esortava a “mantenere alta l’attenzione su quanto è avvenuto, perché quando l’emergenza sarà alle nostre spalle sarà bene non pensare di rimuoverla dal ricordo, sarà bene tenerla sempre presente
per comprendere quel che è avvenuto e per ricavarne alcuni criteri di comportamento”.
Confidiamo, con questo lavoro, di aver dato un piccolo contributo in risposta alla sollecitazione ecclesiale e a quella civile
. [Dalla postfazione di Ciro Fusco]

Card. Brandmuller, Riforma del Conclave

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/meno-elettori-e-piu-eleggibili-il-conclave-sognato-dal-cardinale-brandmuller/amp/&ved=2ahUKEwj-k8m6sfHzAhURGewKHermDfMQFnoECAQQAQ&usg=AOvVaw2V2ZGDWI6G_fHj7iPaDr6D&ampcf=1

Mons. Palmieri vescovo di Ascoli Piceno

Guido Oldani, Requiem (Commemorazione di tutti i fedeli defunti)

REQUIEM

chi arriva, lui di certo non lo caccia

come farebbe mai il parcheggiatore

con chi non ha più soldi e scade l’ora.

tutti mi siete dati come dote

e se credete in me vi porto a casa

e mentre verdi suona il grande requiem,

come un aspirapolvere vi aspiro

dal suolo dove finirete tutti

che certo io nessuno lascio in giro.

Guido Oldani- inedito

Guido Oldani, Nelle fondamenta (Solennità di Ognissanti)

NELLE FONDAMENTA

e sale, sopra ad una montagnola

come quelle dei materiali edili,

ma giusta per capire il bene e il male.

dice i modi per essere beati,

con frasi che comprende anche un tamburo

e sono robe piccole ma grandi

che mi vanno fin nelle fondamenta:

il meglio al mondo, così disse gandhi .

Guido Oldani- inedito

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