Vieni, Signore Gesù. Il tempo di Avvento

D. Ildebrando Scicolone O.S.B.

La parola “Avvento” significa “venuta” e anche “arrivo”, dal latino “adventus”; in greco corrisponde a “parusia”, che significa “arrivo”, “presenza”: parusia è la venuta, l’apparizione (talvolta corrisponde a epiphania) del Re, del Sovrano.

La parola parusia fa pensare alla fine dei tempi, a quando Cristo apparirà; e noi, invece, quando parliamo di Avvento pensiamo a un tempo di preparazione al Natale. Il Natale è stato istituito a Roma nel 336, come attesta il cronografo del 354. Il periodo di avvento, invece, nasce fuori di Roma, qualche secolo dopo; non è dunque nato come preparazione al Natale, ma come ultima parte dell’anno liturgico, nel senso dell’Avvento escatologico. Lo possiamo vedere alla luce della storia e dalla teologia del Concilio Vaticano II.
Storicamente, se prendiamo il messale attuale, l’anno liturgico comincia con la I domenica di Avvento. Ma se apriamo il Sacramentario Gelasiano, troviamo in prima pagina: In vigilia nativitatis ad Nonam, e in fondo al secondo libro del Gelasiano: In dominicis de Adventu. Ugualmente nel Sacramentario Gregoriano, antenato del nostro messale (sec. VI-VII), all’inizio (sez. 9) troviamo la vigilia di Natale, mentre l’Avvento si trova quasi alla fine (sezioni 185-193). Sembra chiaro quindi, che l’avvento sia alla fine e non all’inizio dell’anno liturgico. Natale era una volta l’inizio dell’anno liturgico. Noi monaci, ancora oggi, nella carta di professione scriviamo: “Nell’anno 2009 dalla sua nascita …” . Gli anni si contavano dalla nascita del Signore e prima ancora si contavano dall’Incarnazione (25 marzo). Gli ebrei contavano gli anni dalla Pasqua. L’inizio dell’anno ha oscillato. Dunque, l’anno liturgico cominciava dal Natale, perché il primo evento è la nascita di Cristo.

Del resto, non è la prima venuta del Signore che noi aspettiamo. Egli è già venuto! Noi aspettiamo la seconda venuta. Però si diceva: nell’avvento noi ci mettiamo nella prospettiva dell’Antico Testamento e facciamo nostri i sentimenti dei patriarchi, dei profeti, di quelli che aspettavano il Messia, noi lo aspettiamo come se ancora non fosse venuto. Ma la liturgia non fa finzioni. Come facciamo a dire che aspettiamo il Messia quando sappiamo che siamo nel 2009 dalla sua venuta?

L’Avvento in origine è nato come attesa dell’avvento escatologico, cioè della venuta alla fine dei tempi. Il tempo della Chiesa va dal giorno in cui noi siamo rimasti a guardare il cielo (il giorno dell’ascensione i discepoli rimasero a guardare in alto e due uomini dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare in alto? Quel Gesù che voi avete visto salire al cielo verrà di nuovo così come l’avete visto salire al cielo”) e noi stiamo ancora aspettando che venga. Da quel giorno noi aspettiamo quella venuta, “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. “Vieni Signore Gesù”, “Maranatha”, “Venga il tuo Regno”. Mentre noi umanamente parlando, vorremmo dire “Vieni Signore Gesù, ma senza premura”, la Chiesa nella sua fede e gioiosa speranza prega: Veni, Domine, et noli tardare.
Che l’Avvento non sia la prima ma l’ultima parte dell’anno liturgico, lo conferma l’articolo 102 della Sacrosanctum Concilium: “La pia madre Chiesa ritiene suo dovere celebrare con sacra memoria in giorni determinati l’opera redentrice del suo sposo divino. Nel corso dell’anno la Chiesa dispiega (esplicat) i misteri della nostra redenzione, a partire dalla Incarnazione e dalla Nascita di Cristo fino alla sua Ascensione e alla beata Pentecoste e all’attesa della sua venuta nella gloria”.

Le “Norme generali dell’anno liturgico”, pubblicate nel 1969, nell’ambito della riforma liturgica post-conciliare (si trovano all’inizio del Messale e della Liturgia delle Ore), parlando dell’Avvento recitano: “Il tempo di Avvento ha un duplice carattere: è infatti un tempo di preparazione alla solennità del Natale, nella quale si fa memoria della prima venuta del Figlio di Dio agli uomini, ed insieme il tempo in cui, attraverso tale ricordo, la mente si rivolge all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Per queste due ragioni il tempo di Avvento si presenta come un tempo di devota e gioiosa attesa” (n. 39).

Per quanto i due temi, avvento nella carne e avvento escatologico siano piuttosto intrecciati, trovo che l’Avvento, così come è ora, è diviso chiaramente in due parti: fino al 16 dicembre la prima parte, dal 17 dicembre la seconda parte. È un taglio netto, perché il 17 dicembre noi cominciamo le antifone “O”, o “antifone maggiori”: sono le antifone al Magnificat, di origine medievale. Sono state disposte in modo che quando si completano, il 23 dicembre, le iniziali, dall’ultima alla prima, formano un acrostico, che dice: ERO CRAS (= sarò domani). Esse sono: O Sapientia, O Adonaj, O Radix Iesse, O Clavis David, O Oriens, O Rex Gentium, O Emmanuel. Sono rivolte a Cristo, invocato con titoli che provengono da diversi testi dell’AT, letti come profezie di Cristo.
Dal 17 dicembre inoltre ci sono antifone proprie per le lodi e i vespri di ogni giorno. E infine, il Messale prevede due prefazi per l’Avvento, il primo fino al 16 dicembre, di chiara intonazione escatologica:: “…verrà di nuovo…“, il secondo dal 17, con riferimento al prossimo Natale: “La Vergine Madre l’attese in grembo con ineffabile amore….“.
Non solo, ma il 17 dicembre noi cominciamo a leggere la prima pagina del primo vangelo e dal 17 al 24 leggiamo i vangeli dell’infanzia, di Matteo e di Luca, tutti i preparativi della nascita: la genealogia, l’angelo che appare a Giuseppe, l’apparizione a Zaccaria, a Maria, Maria che va a trovare Elisabetta, Maria che canta il Magnificat, finalmente la nascita di Giovani Battista e Zaccaria che canta il Benedictus; arriviamo così al 24, poi nasce Gesù. La nascita di Gesù è preparata dal 17 dicembre, ma fino al 16 è l’avvento escatologico.

Se guardiamo il Lezionario della Messa domenicale, si vede chiaramente che nella I Domenica di Avvento si parla della venuta alla fine dei tempi (la “parusia”), ma in fondo anche le ultime domeniche dell’anno precedente hanno già questi discorsi escatologici, quindi c’è continuità. È vero poi che, nella seconda e nella terza domenica di Avvento, abbiamo la figura e la predicazione di Giovanni Battista. Ma egli non annunzia la nascita di Gesù (la loro differenza di età è di soli sei mesi!); il Battista annunzia, anzi minaccia un Messia giudice: “La scure è posta alla radice dell’albero… Sta per venire colui che ha in mano il ventilabro per separare il grano dalla pula“, è il Signore, che viene a raccogliere “i frutti”. Sono discorsi escatologici.
Potremo dire allora che l’anno liturgico comincia il 17 dicembre? Cioè che comincia con la nascita di Gesù preparata dal 17 dicembre, ma fino al 16 siamo alla fine della storia. 

Se l’anno liturgico è un cerchio, non è un cerchio che ritorna sempre su se stesso. E noi dovremmo viverlo sempre su un piano superiore. La storia alla luce di Cristo è orientata verso un compimento, però per circulum anni e qualcuno l’ha raffigurato come una spirale: ogni anno ritorniamo alla stessa festa, ma sempre su un piano superiore. Perciò questo cerchio possiamo cominciarlo da qualunque punto, anche a Pasqua, ma, di per sé, la Chiesa lo comincia dalla nascita di Cristo fino al suo ritono. Ogni anno ripercorriamo questa storia. 

Di fatto l’Avvento dovrebbe ricordarci che Gesù è Colui che era, Colui che è, Colui che viene. Facciamo memoria della prima venuta (il passato), lo facciamo presente con la celebrazione di oggi (il presente), e anticipiamo la seconda venuta (il futuro). Così il tempo di Avvento diventa un sacramentum, come espressamente troviamo in un prefazio del Supplemento Anianense (n. 1699): “adventus admirabile sacramentum“, per indicare non solo la prima, ma ogni venuta. Il sacramento è un evento della storia della salvezza, di cui facciamo memoria, che si rende presente, e di cui pregustiamo il futuro. Il Signore è venuto, viene, verrà definitivamente.

Non solo il Avvento aspettiamo il Signore: queste poche settimane sono come il “sacramento” di tutta la vita e di tutta la storia: la nostra vita cristiana è tutta un’attesa, non del giudice, ma dello Sposo. È chiaro che, per una sposa infedele, l’arrivo improvviso dello sposo, è temuta come una sciagura, ma per una fedele, sarà una lieta, lietissima sorpresa.
Il tempo di Avvento è un tempo di gioiosa speranza. La Chiesa “non vede l’ora” che arrivi lo Sposo. E lo attende vigilante, ansiosa, non paurosa.