Come ritrovare se stessi, di don Fabrizio Centofanti

Come ritrovare se stessi? È la domanda più importante, proveniente da un passato lontano, come testimonia il “conosci te stesso” scritto sul frontone del tempio di Apollo, a Delfi. Il riferimento al tempio sottolinea la sacralità del tema, che rimanda implicitamente alla presenza del divino nell’essere umano. Ciò significa che possiamo conoscerci solo tenendo conto di qualcosa che ci supera, che è oltre il nostro io, che è più profondo, e dà il senso pieno alla nostra identità. Se è qualcosa che è oltre, vuol dire che l’io ha bisogno di riceverlo: la preghiera è necessaria, non opzionale, per sapere chi siamo. Il mio consiglio è quello di mettersi davanti a un volto di Gesù e chiedergli: chi sono io per Te? Solo Lui possiede questa informazione. Nel mito antico, Prometeo ruba il fuoco agli dèi; nella fede cristiana, Dio dona il fuoco dello Spirito Santo, Spirito di intelletto, di scienza, di consiglio, di sapienza. Torna in primo piano la sacralità del conoscere se stessi: solo il dono di qualcosa che va oltre, che supera l’io, comunica una conoscenza altrimenti interdetta. Concretamente, ciò significa che la preghiera autentica non è un rito che comincia e termina in noi, ma un dialogo continuo con la presenza che ci supera. È il motivo per cui la preghiera autentica è incessante: se si interrompesse, ricadremmo nella cecità dell’io, incapace di conoscersi. Se vuoi ritrovare te stesso, sospendi per un momento il fare e cerca il tuo essere davanti allo sguardo di Cristo: troverai il tuo vero nome, scritto da sempre nel progetto eterno di Dio.

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