Dom Scicolone, Il matrimonio, la celebrazione esprime la vera teologia

LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO NUZIALE

D. Ildebrando Scicolone

Mentre per gli altri sacramenti si dice che «sono stati istituiti da Gesù Cristo», per il matrimonio si dice che «Cristo ha elevato il matrimonio alla dignità di sacramento». Ciò perché il matrimonio appartiene già all’ordine della creazione, e quindi delle realtà terrestri. Ne è conferma il racconto della Genesi a proposito della creazione dell’uomo, maschio e femmina. La tradizione profetica e poi tutto il NT hanno presentato il rapporto di amore tra Dio e il suo popolo, e poi tra Cristo e la chiesa come un rapporto sponsale. La realtà del matrimonio umano è diventata simbolo dell’Unione tra Cristo e la chiesa: è stata cioè «transignificata». La riflessione del Concilio sul matrimonio cristiano ha portato ad approfondire una tale dimensione sacramentale, mentre da un punto di vista antropologico ha posto l’accento sul rapporto personale di amore dei coniugi, più che sull’aspetto giuridico del contratto. Frutto di tali indicazioni conciliari è il nuovo “Rito del Matrimonio”.

A) Il matrimonio cristiano nella storia

Prima di parlare del matrimonio dei cristiani, dovremmo tenere presente due elementi: la prassi e la teologia dei matrimoni nella Bibbia (cf.  i matrimoni di Isacco e Rebecca, Booz e Ruth, Tobia e Sara), e la prassi greco-romana, dato che in questi ambiti il primo cristianesimo si è impiantato e diffuso. Elementi comuni sono il carattere sacro di tali celebrazioni e il carattere familiare. Si tratta infatti di invocare la benedizione di Jahvè (rispettivamente delle divinità familiari), e di stringere alleanza tra due famiglie. Il carattere romano porrà l’accento sull’aspetto giuridico del consenso e della «congiunzione delle destre», ad opera del padre della «pronuba»

Nei primi secoli, il matrimonio dei cristiani non si distingueva da quello dei pagani. La Lettera a Diogneto dice esplicitamente che «i cristiani si sposano come gli altri e hanno figli». L’unica avvertenza che si registra è che essi non hanno banchetti sacrificali, ma i loro matrimoni si fanno «nel Signore», cioè – per lo più si intende così- tra cristiani. Per questo s. Ignazio richiede l’approvazione del vescovo. Ciò non sembra comportare una presenza fisica del ministro ecclesiastico, ma serve solo a far evitare i matrimoni misti, per le conseguenze negative che potevano comportare. È forse in questo senso che va interpretato il celebre passo di Tertulliano, nell’opera Ad uxorem.

«Da dove può venirci la capacità adeguata per proclamare la felicità di quel matrimonio che la comunità (ecclesia) concilia e l’oblazione conferma e la benedizione sigilla, (del quale) gli angeli portano l’annuncio (e che) il Padre ratifica?».

Da questo testo, però, l’interpretazione tradizionale deduce che già a quel tempo (verso il 200) esisteva nella chiesa un rito di benedizione nuziale e per giunta durante la messa (oblazione).  Certo è che abbiamo documenti per questa benedizione solo a partire dai secoli IV-V.  Le prime benedizioni della sposa si trovano nei sacramentari, dal Veronese in poi. Questi testi riportano le preghiere della messa e un’ampia benedizione sulla sposa, da recitarsi prima della comunione. Non si parla invece di consenso. Probabilmente ciò era avvenuto prima, in ambiente familiare, e solo dopo gli sposi cristiani ricevevano una tale benedizione. Avremmo così due momenti distinti: il consenso-contratto che aveva tutto il carattere civile, senza presenza della chiesa, e poi la benedizione della sposa. Perché si benediceva solo questa? Probabilmente per due motivi, uno di ordine antropologico (la donna è più debole, oppure si prega per la sua fecondità) e l’altro di ordine teologico (se lo sposo è segno di Cristo e la sposa della chiesa, è solo questa che riceve una benedizione).

  Bisognerà arrivare all’epoca carolingia per vedere avvicinati i due momenti, quando il consenso-contratto si farà in facie ecclesiae, cioè materialmente davanti la porta della chiesa, e quindi anche con la presenza del sacerdote.  Dopo questo (diventato) rito, si entrava in chiesa per la messa e la benedizione.

  Questa benedizione era chiamata dai vecchi testi anche col nome di velatio: un velo copriva la testa della sposa. In oriente oltre il velo gli sposi ricevono una corona (donde il termine di incoronazione o stephania dato al matrimonio orientale). L’anello rimarrà invece un segno del consenso, esso sarà prima di ferro, poi di oro: esso (uno solo) veniva dato dallo sposo (che lo aveva ricevuto dal sacerdote) e lo metteva al dito della sposa, con o senza l’invocazione della Trinità.

  Nel Rituale romano del 1614 le due parti del rito (consenso e benedizione) si avvicinano ancora di più: si fanno ambedue in chiesa, ma il consenso viene espresso prima che inizi la messa, e la benedizione non ha luogo sempre (essa non si dà alle seconde nozze, ed è vietata in alcuni tempi penitenziali: in questi casi viene rinviata ad altro tempo, cosa che non sempre poi si verificava).

Si sviluppa così l’idea che il matrimonio consiste solo nel consenso, e la benedizione è un superfluo.

B) Il nuovo Rituale

La situazione – almeno nel rito- cambia con la riforma dell’ultimo concilio. La costituzione liturgica (art. 77-78) decreta:

“il rito della celebrazione del matrimonio, che si trova nel rituale romano, sia riveduto e arricchito, in modo che più chiaramente venga significata la grazia del sacramento e vengano inculcati i doveri dei coniugi” (77). 

“In via ordinaria il matrimonio si celebri nel corso della messa, dopo la lettura del vangelo e l’omelia, e prima della “orazione dei fedeli”. La benedizione della sposa, opportunamente

ritoccata così da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere della fedeltà vicendevole… e venga sempre impartita.

Seguendo queste indicazioni, è stato preparato un nuovo Rito del Matrimonio. La prima edizione latina è del 1969, la seconda latina del 1990 (edizione italiana arricchita del 2004). 

L’Assemblea nuziale

  •  Domani sono di matrimonio”.  
  • Dove?  
  • Al ristorante tale.

Questo è un dialogo tra amici che si sente spesso. Il matrimonio si identifica con il pranzo. Per esso ci vuole un abito di cerimonia, per cui sembra una sfilata di moda.

La “cerimonia” che si fa in chiesa è una premessa, che interessa solo gli sposi e – tutt’al più – i testimoni. I presenti in chiesa sono gli “invitati”, non importa se cristiani o no. Essi vi stanno come spettatori: non rispondono, non cantano, non partecipano, non si comunicano: non sanno di essere un’assemblea radunata per celebrare non uno, ma due sacramenti, cioè l’eucaristia e il matrimonio. Molti sacerdoti giustamente lamentano: si celebra male, sono le assemblee peggiori.

Eppure il matrimonio cristiano è sacramento della Chiesa, e come tutte le celebrazioni liturgiche – non è “azione privata, ma dell’intero corpo ecclesiale, lo interessa e lo coinvolge; i singoli vi sono però impegnati in vario modo secondo la diversità dei ruoli, dei ministeri e dell’attuale partecipazione” (cfr. SC 26).

Per una celebrazione nuziale, specialmente se avviene durante la Messa, bisognerebbe suonare le campane, cioè convocare la comunità ecclesiale, non semplicemente accogliere coloro che sono stati “invitati” dagli sposi.

Il ruolo della comunità, sia nella preparazione, sia nella celebrazione del sacramento, è richiamato più volte nelle premesse al nuovo Rito.

n. 12: “La preparazione e la celebrazione del matrimonio, … per quanto attiene alla dimensione pastorale e liturgica, è competenza del Vescovo, del parroco e dei suoi vicari e, in qualche modo almeno, di tutta la comunità ecclesiale”.

n. 14: “I pastori d’anime devono aver cura che questa assistenza sia offerta nella propria comunità…”.

n. 26: “Altri laici possono…, in vari modi, svolgere compiti sia nella preparazione dei fidanzati sia nella celebrazione stessa del rito. È necessario poi che tutta la comunità cristiana cooperi a testimoniare la fede e a manifestare al mondo l’amore di Cristo”.

n. 28: “Poiché il matrimonio è ordinato alla crescita e alla santificazione del popolo di Dio, la sua celebrazione ha un carattere comunitario che consiglia la partecipazione anche della comunità parrocchiale, almeno attraverso alcuni dei suoi membri”.

Ma perché ciò si possa realizzare è necessario che “il matrimonio sia celebrato nella parrocchia di uno dei fidanzati, oppure altrove con licenza del proprio Ordinario o del parroco” (n. 27).

Tenuto conto di tutto questo, è necessaria un’opportuna e costante catechesi perché i presenti a una celebrazione nuziale abbiano coscienza di essere una comunità cristiana e una assemblea, a suo modo “celebrante”.

Nella stessa celebrazione è quanto mai opportuno che il sacerdote e altri eventuali ministri stimolino alla partecipazione. Se nessuno, per esempio, risponde al saluto iniziale, è bene che il sacerdote, con opportuni modi, esorti a rispondere, perché non ci sono spettatori, ma popolo celebrante, chiamati cioè a partecipare con il corpo e la mente. Bisogna far capire che sono lì, non solo per pregare per gli sposi e con loro.

Il rito stesso fa rivolgere la parola a tutta l’assemblea. Così l’invito a far memoria del Battesimo è rivolto a tutta la comunità presente:

“Fratelli e sorelle, ci siamo riuniti con gioia nella casa del Signore, nel giorno in cui N. e N. intendono formare la loro famiglia. In quest’ora di particolare grazia siamo loro vicini con l’affetto, con l’amicizia e la preghiera fraterna.  Ascoltiamo attentamente la Parola che Dio oggi ci rivolge … supplichiamo Dio Padre… Facciamo ora memoria del Battesimo…”

Il popolo tutto poi acclama alla formula trinitaria. I fedeli (“fratelli e sorelle”) sono invitati, dopo il consenso degli sposi, a pregare perché essi mantengano ciò che hanno promesso. Essi invocano “ascoltaci, o Signore”. Ancora, prima della benedizione nuziale, il sacerdote invita tutti, “fratelli e sorelle” ad invocare “con fiducia il Signore…”, e in alcune di queste benedizioni il popolo è chiamato ad acclamare e a supplicare.

Un elemento importante di una celebrazione festiva è il canto. Ora, nei matrimoni, difficilmente l’assemblea canta. Ci si contenta (!) di sentire brani di organo, o si invita un tenore o un soprano a cantare pezzi d’opera, che nulla hanno a che fare con una celebrazione eucaristica o liturgica. Il n. 30 recita: «I canti da eseguire siano adatti al rito del matrimonio ed esprimano la fede della Chiesa, in modo particolare si dia importanza al canto del salmo responsoriale nella liturgia della Paola».

Come si può fare ciò, se i presenti non sono abituati a farlo, o se in quel momento, non sanno di essere assemblea celebrante?

Non potrebbe il sacerdote, o un altro ministro, nell’attesa della sposa (che arriva sempre all’ultimo momento) fare un minimo di preparazione, almeno dei canti più necessari, quali il ritornello del salmo, l’Alleluia e il Santo?

Un’ultima osservazione, che ritrovo nelle Premesse, al n. 37: “Anche se i pastori sono ministri del Vangelo di Cristo per tutti, abbiano tuttavia una speciale premura verso coloro che, sia cattolici sia non cattolici, mai o quasi mai partecipano alla celebrazione dell’Eucaristia”. La celebrazione deve riuscire attraente e diventare essa stessa una catechesi, per sollecitare il desiderio di ritornare in chiesa, dal momento che si è “gustato quanto è buono il Signore”. 

Riti di ingresso

    Normalmente per “ingresso” si intende la processione del celebrante e dei ministri. Nel caso del matrimonio invece si pensa all’ingresso dello sposo e soprattutto della sposa, al suono di una marcia nuziale. In questa fase, cerimoniere è il fotografo. Il Rituale invece prevede due forme di ingresso: 

a) il sacerdote accoglie gli sposi all’ingresso della chiesa, e processionalmente, prima i ministri e il sacerdote, poi gli sposi. “Durante la processione si esegue il canto d’ingresso” (n. 46). 

b) dopo che gli sposi sono entrati e hanno raggiunto il loro posto, “il sacerdote li accoglie e li saluta cordialmente, manifestando la partecipazione della Chiesa alla loro gioia” (49).

Invece dell’atto penitenziale, il rituale italiano prevede una “memoria del battesimo” con l’aspersione dell’acqua benedetta.        

La liturgia della Parola

Il n. 35 delle Premesse al rito del Matrimonio, tra “i principali elementi della celebrazione” elenca, al primo posto “la liturgia della Parola, nella quale si esprime l’importanza del matrimonio cristiano nella storia della salvezza e i suoi compiti e doveri nel promuovere la santificazione dei coniugi e dei figli” (p. 25).

Già nella prima edizione era presente un’abbondante scelta di letture; ora, in questa seconda edizione, il numero delle pericopi è stato aumentato, fino ad un totale di 82 letture (dispiace il fatto che non sono state numerate), così distribuite:

a) Prima lettura: 16 dell’Antico Testamento, 6 del Nuovo (nel Tempo Pasquale)

b) Seconda lettura: 19 dalle Lettere degli Apostoli

c) Vangelo: 23 brani

d) Salmo responsoriale: 18 Salmi (alcuni di essi si ripetono)

Al n. 29 delle Premesse si raccomanda: “secondo l’opportunità, si scelgano insieme con gli stessi fidanzati le letture della Sacra Scrittura che saranno commentate nell’omelia…”. Ora è chiaro che, per scegliere, i fidanzati dovrebbero averle lette tutte. Non potrebbe questa lettura, specialmente se fatta insieme col sacerdote celebrante, essere una ricca e fruttuosa catechesi sul sacramento del matrimonio? Si potrebbe così passare in rassegna tutta la teologia biblica del sacramento, dalla Genesi (uomo e donna) all’Apocalisse (lo Spirito e la Sposa).

Grande aiuto per questa preparazione potrebbe essere la Presentazione al Lezionario del Matrimonio, che la Conferenza Episcopale Italiana offre all’inizio del Capitolo IV del Rito. Sono 8 numeri abbastanza lunghi, che vanno letti e studiati. Si tratta di criteri di lettura dei brani biblici:

  1. “Nelle pagine della Bibbia, il matrimonio – mysterium magnum – è una realtà costante e molteplice”. Se ne parla – come dicevo – “dalla creazione della prima coppia, fatta ad immagine di Dio”, fino all’Apocalisse, dove si ha il compimento della storia della salvezza “nell’incontro finale dell’Agnello con la Gerusalemme celeste, contemplato come un incontro sponsale”. Bisogna perciò inserire ogni brano che si legge in questa visione d’insieme, perché “ogni singolo brano in sé stesso è insufficiente a dire tutta la ricchezza del matrimonio”. È necessario altresì ricordare che la Bibbia ci presenta una progressiva evoluzione, nella linea della pedagogia divina, che vuole purificazione le deviazioni che l’uomo ha introdotto (la poligamia, il ripudio, la mortificante concezione della donna, vista talvolta come “proprietà” dell’uomo) riportando il matrimonio alla “santità della sua prima origine”, anzi a esprimere già nel segno quell’unione tra Cristo e la Chiesa che si compirà nel mondo futuro (senza bisogno del segno).
  2. Se i brani della Genesi, dalla creazione della coppia, benedetta da Dio, ai matrimoni con la benedizione di Isacco con Rebecca e di Giacobbe con Rachele (a cui si aggiunga quello di Tobia con Sara), manifestano che il matrimonio unico e indissolubile sono voluti dal Creatore, i testi profetici di Isaia, Geremia, Ezechiele, Osea, come pure il testo del Cantico dei Cantici, mostrano che “nella Scrittura è chiara la coscienza che Matrimonio e Alleanza sono realtà misteriosamente collegate” (n. 4).
  3. Al n. 7 della Presentazione del Lezionario si mette in luce che le varie pericopi “illuminano le dimensioni del vivere da credenti la realtà del matrimonio”:
    • la dimensione ecclesiologica, per non chiudere la celebrazione del matrimonio in un limitato orizzonte di semplice rapporto personale e di puro avvenimento familiare;
    • la dimensione pneumatologica, … in quanto lo Spirito Santo è fonte dell’amore (vedi Ezechiele 36 e Rm 5,5; Gv 14, 16-17);
    • l’aspetto di vocazione-missione che ha la nascita di una famiglia cristiana, e il ruolo che ne consegue di essere segno del mistero divino e della vita trinitaria;
    • il tema di Cristo-sposo proposto come mistero in cui immergere tutta la vita di coppia… (vedi i testi paolini di Efesini 5, Gv 2; Gv 3,29; Ap19).
  1. Il n. 8 presenta le varie aree tematiche del Lezionario, che qui riassumo:
    • Amore sponsale e carità del Padre: la vita trinitaria come fonte e modello dell’amore sponsale cristiano (cfr Rm 5,5; 1 Gv 4,7-12; Gv 17,20-26)
    • Il matrimonio nel mistero di Cristo e della Chiesa (cfr Ef 5; Gv 3,28-29)
    • Spirito Santo e matrimonio (cfr Ef 5, Gv 14, 12-17)
    • Matrimonio e alleanza (cfr Osea, Geremia 31, Ezechiele 16)
    • Famiglia, Chiesa domestica (cfr Efesini, Colossesi, 1 Pietro, Matteo 5)
    • Valore della persona nel matrimonio (vedi i testi di Matteo 5 e 19)
    • Matrimonio e fedeltà; amore gratuito e capace di perdono (cfr Osea, Ezechiele, Matteo 18,19-22)
    • Matrimonio e preghiera (cfr Tobia 8, 4b-8; Colossesi) 
    • Il valore del corpo (cfr 1 Corinzi 6, 13-15. 17-20).
  2. Oltre a tutte queste letture, se ne potrebbero utilizzare altre? A mio modesto giudizio, sì. Il rapporto sponsale, per esempio, tra Cristo e la Chiesa si potrebbe vedere già nel Prologo del Vangelo di Giovanni. La divinità si è unita “indissolubilmente” all’umanità, quando “il Verbo si è fatto carne” (in qualche rito orientale, si legge il Prologo nella Messa di fidanzamento). Tale unione sponsale poi si è consumata sulla Croce, quando la Sposa (la Chiesa) è stata tratta “dal costato di Cristo che dorme sulla Croce” (cfr Gv 19,34). Stranamente, a mio avviso, questi brani non sono presenti nel Lezionario.

La Parola di Dio che illumina il significato cristiano del matrimonio è tanto importante che anche quando si celebra in una solennità o domenica dei tempi forti, pur dovendosi usare il lezionario domenicale e festivo, “una delle letture può essere scelta tra quelle previste per la celebrazione del matrimonio” (Premesse, n. 34).

Il consenso sponsale

Purtroppo il Rituale titola “Liturgia del Matrimonio” la parte che comprende la parte in cui i fidanzati esprimono il loro consenso. In questa parte non c’è nessuna preghiera, tranne la breve benedizione degli anelli. Ma questo non è il sacramento, ma solo quello che, nelle ordinazioni e nelle professioni religiose, è chiamato “Interrogazioni” previe.

Questo ha fatto pensare che non solo la volontà dei due, cioè il consenso è l’essenza del matrimonio, ma ha fatto dire che “ministri del matrimonio” sono gli sposi. Essi sono ministri – se così vogliamo chiamarli – del matrimonio umano o civile, ma non del sacramento, che è opera dello Spirito. 

Comunque sia, questa è una parte necessaria, perché già il Diritto romano sanciva: il matrimonio lo fa il consenso, non la coabitazione” (matrimonium consensus, non concubitus facit).

    Prima che gli sposi esprimano il vero e proprio consenso, il sacerdote (o il diacono) rivolge agli sposi una triplice domanda: se si sposano in piena libertà e consapevolezza, se accettano la indissolubilità e se sono aperti alla procreazione. Senza questi requisiti, il matrimonio è invalido.

    Gli sposi si danno la mano destra (gesto che risale al diritto romano (la dexterarum iunctio). Il consenso può essere espresso in vario modo: importante è che sia chiaro. Il rituale propone due formule: a) prima lo sposo e poi la sposa dichiarano: 

Io N. accolgo te, N., come mio sposo/a. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. 

b) Lo sposo chiede alla sposa: N., vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti? La sposa risponde: Sì, con la grazia di Dio, lo voglio.

Il Sacerdote, stendendo la mano sulle destre unite, accoglie il consenso, e ammonisce:

Non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce.

Segue la benedizione e lo scambio degli anelli. L’anello è l’unico segno rimasto nel rito romano. Ma le tradizioni liturgiche orientali (in particolare la bizantina) hanno altri segni, quali la corona e la velazione. Il nuovo rituale italiano prevede che – con il consenso del Vescovo – si possa fare sia l’una che l’altra. L’incoronazione è prevista dopo lo scambio degli anelli (n. 78): La rubrica recita: Il sacerdote, tenendo le corone nuziali (dorate o argentate, o di fiori) sul capo degli sposi, con le mani incrociate incorona prima lo sposo e poi la sposa dicendo: N., (servo/serva di Dio) ricevi N. come corona” e prosegue pregando: O Signore nostro Dio, incoronali di gloria e di onore. La velazione invece accompagna la solenne benedizione degli sposi. La rubrica recita: 

    “Nei luoghi dove c’è la consuetudine, o altrove con il permesso dell’Ordinario si può fare a questo punto l’imposizione del velo sugli sposi (velazione), segno della comunione di vita che lo Spirito, avvolgendoli con la sua ombra, dona loro di vivere. Insieme, genitori e/o testimoni, terranno disteso il ‘velo sponsale’ (bianco, con eventuale appropriato e sobrio ornamento) sul capo di entrambi gli sposi per tutta la durata della preghiera di benedizione”.

La benedizione degli sposi (e la Velatio)

Tra i principali elementi della celebrazione del matrimonio da mettere in evidenza, accanto al consenso, alla liturgia della Parola e alla comunione eucaristica, il n. 35 delle Premesse annovera “la solenne e veneranda preghiera con cui si invoca la benedizione di Dio sopra la sposa e lo sposo”. 

    Potremmo allora dire che lo specifico cristiano della celebrazione del matrimonio sta proprio in questa benedizione. Essa aveva luogo dopo la Preghiera eucaristica, prima della comunione, precisamente dopo il Padre Nostro.

    Prima del Concilio Vaticano II, la benedizione riguardava la sola sposa; era chiamata anche benedictio sponsae. Si portavano per questo due ragioni: una antropologica e l’altra teologica. Da una parte si pensava che la benedizione fosse invocata in vista della fecondità, riferendosi alla Genesi, dove si dice che “Dio li benedisse dicendo: siate fecondi e moltiplicatevi”. E allora si pensava che la fecondità o la sterilità dipendesse dalla donna. Alla luce della teologia del sacramento, poi, lo sposo è segno di Cristo, la sposa della Chiesa: si benediceva quindi la sposa, non lo sposo. 

    Il Concilio ha esplicitamente voluto che “la benedizione della sposa, fosse opportunamente ritoccata così da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere della fedeltà vicendevole”. Così il rituale precedente la intitolava “Solenne benedizione della sposa e dello sposo” (notate l’ordine delle parole che ricorda la storia precedente!). Oggi il nuovo rito la chiama semplicemente “benedizione nuziale”.

    Per quanto riguarda il momento di questa benedizione, il nuovo Rituale, pur conservando quello tradizionale, e cioè dopo il Padre Nostro, prevede un’altra possibilità: “Se lo si ritiene opportuno, a questo punto [dopo lo scambio degli anelli] può essere anticipata la benedizione nuziale”. Io penso che sia opportuno, per due motivi: 1. Nel caso contrario, il rito vero e proprio del matrimonio, che è previsto dopo la liturgia della Parola (e l’omelia) non avrebbe alcuna preghiera (salvo la benedizione degli anelli); 2. la benedizione data dopo il Padre Nostro non viene spesso compresa, e si pensa che sia nient’altro che una preghiera in più del sacerdote. 

All’unica preghiera degli antichi Sacramentari, il Rituale del 1990 ne aveva aggiunto altre due; il nuovo ne aggiunge ancora una quarta. Ognuna di queste preghiera si compone di due parti: nella prima parte “si ricorda” (anàmnesi) o “si fa presente” a Dio il progetto che ha avuto nella creazione dell’uomo e della donna “donandoli l’uno all’altro [non all’altra, perché è un dono reciproco] come sostegno inseparabile, perché siano non più due ma una sola carne”. Ricorda poi che il mistero nuziale è “sacramento di Cristo e della Chiesa”. Ricorda ancora “quella benedizione che nulla poté cancellare, né il peccato originale né le acque del diluvio”. Nella seconda parte si invoca (epiclesi): “Guarda con bontà questi tuoi figli che, uniti nel vincolo del Matrimonio, chiedono l’aiuto della tua benedizione”. E poi in modo esplicito (cosa nuova!) si invoca lo Spirito Santo: “effondi su di loro la grazia dello Spirito Santo perché, con la forza del tuo amore diffuso nei loro cuori (Rom 5,5) rimangano fedeli al patto nuziale”. Sottolineo che questa epiclesi esplicita è cosa nuova. Non può esistere infatti sacramento senza l’azione dello Spirito Santo; era proprio strano che il sacramento dell’amore sponsale non risultasse frutto della presenza e dell’azione dello Spirito di amore tra il Padre e il Figlio,

La seconda formula è simile alla prima quanto a struttura, ma il linguaggio è più vicino alla moderna sensibilità. Nella parte anamnetica si ricorda, oltre alla creazione, il patto di alleanza: quello dell’AT, cantato dai profeti, e compiuto poi nel “mistero nuziale di Cristo e della Chiesa”. L’epiclesi è così espressa: “O Dio, stendi la tua mano su N. e N. ed effondi nei loro cuori la forza dello Spirito Santo”. Seguono delle espressioni molto belle, per esprimere la comunione di vita e il senso del dono che Dio fa ad entrambi: “Fa’, o Signore, che, nell’unione da te consacrata, condividano i doni del tuo amore e, diventando l’uno per l’altro segno della tua presenza, siano un cuor solo e un’anima sola”. E si invoca: “Dona a questa sposa N. benedizione su benedizione, perché come moglie e madre, diffonda la gioia nella casa e la illumini con generosità e dolcezza”. Per lo sposo si chiede: “Guarda con paterna bontà N., suo sposo, perché, forte della tua benedizione, adempia con fedeltà la sua missione di marito e di padre”. La preghiera si conclude con un accenno alla comunione eucaristica: “concedi a questi tuoi figli che, uniti davanti a te come sposi, comunicano alla tua mensa, di partecipare insieme con gioia al banchetto del cielo”. Mi piace pensare che la prima cosa che, come sposi, mangiano insieme, è il corpo e il sangue di Cristo. 

    La terza preghiera ha un’anamnesi più breve, mentre l’epiclesi è più sviluppata: “Scenda, o Signore, su questi sposi la ricchezza delle tue benedizioni, e la forza del tuo Santo Spirito infiammi dall’alto i loro cuori… Ti lodino, Signore, nella gioia, ti cerchino nella sofferenza: godano del tuo sostegno nella fatica e del tuo conforto nella necessità; ti preghino nella santa assemblea, siano tuoi testimoni nel mondo. Vivano a lungo nella prosperità e nella pace…”.  Questa preghiera, così come la quarta, può essere intervallata da due acclamazioni dell’assemblea: all’anamnesi si acclama: “Ti lodiamo, Signore e ti benediciamo. Eterno è il tuo amore per noi”. All’epiclesi invece si invoca: “Ti supplichiamo, Signore: ascolta la nostra preghiera”.

    La quarta formula è proprio nuova, e più adatta a essere usata nel tempo pasquale. L’anamnesi è più lunga e più incentrata sul Nuovo Testamento. Dopo aver ricordato la creazione, passa a ricordare l’incarnazione di Cristo in una famiglia umana; ricorda la presenza di Cristo alle nozze di Cana quando, “cambiando l’acqua in vino, è divenuto presenza di gioia nella vita degli sposi”. Si ricorda soprattutto il mistero pasquale, da cui ogni sacramento trae senso e forza: “Nella Croce, si è abbassato fino all’estrema povertà dell’umana condizione, e tu, Padre, hai rivelato un amore sconosciuto ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio. Con l’effusione dello Spirito del Risorto hai concesso alla Chiesa di accogliere nel tempo la tua grazia e di santificare i giorni di ogni uomo”. L’invocazione epicletica è pure molto sviluppata: “Ora, Padre, guarda N. e N., che si affidano a te: trasfigura quest’opera che hai iniziato in loro e rendila segno della tua carità. Scenda la tua benedizione su questi sposi, perché, segnati col fuoco dello Spirito, diventino Vangelo vivo tra gli uomini”. La preghiera diventa poi augurio e raccomandazione: “Siano lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Non rendano a nessuno male per male, benedicano e non maledicano, vivano a lungo e in pace con tutti” (cfr Rom 12, 12-18). 

La Preghiera e la Comunione eucaristica

    Il centro della celebrazione è la Preghiera eucaristica. In essa rendiamo grazie a Dio per tutta l’opera salvifica operata da Cristo nel suo mistero pasquale. In essa, nella prima parte (prefazio) e nelle “intercessioni” si fa menzione della particolare festività che si celebra o del sacramento che vi è inserito (nel nostro caso, il matrimonio). Abbiamo così tre prefazi che inseriscono l’evento sponsale nel “mistero grande” e si prega per gli sposi.

    Il momento della comunione è la pregustazione del banchetto escatologico: “beati gli invitati alla cena dell’Agnello”, secondo la beatitudine di Apocalisse 19,9:

“beati gli invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. La vita eterna sarà un abbraccio eterno dello Sposo e la sposa. 

    Il matrimonio cristiano, come tutti i sacramenti, è un segno “rememorativo”, ricorda cioè l’unione sponsale del Verbo con l’umanità, e segno “ripresentativo” nella vita terrena degli sposi, e segno “prognostico” che annunzia quel banchetto escatologico.

    Altro che un semplice “rito”! 

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