IL DISCORSO DI SAN PAOLO VI

AI SOCI ITALIANI DEL “ROTARY CLUB” (20 marzo 1965)

+ Enrico dal Covolo

Come è indicato dal titolo di questo mio breve contributo, ci occuperemo del Discorso di san Paolo VI ai Soci italiani del “Rotary Club”, tenuto il 20 marzo 1965 nell’Aula delle Benedizioni del Palazzo Apostolico.

Resta vero tuttavia – e conviene rimarcarlo – che la svolta nel dialogo tra la Chiesa e il Rotary venne anticipata da Giovanni B. Montini, Arcivescovo di Milano, il 13 novembre 1957. Montini volle includere la visita al Rotary nel programma della Missione cittadina, che egli aveva promosso per riportare Dio in tutti i settori della metropoli ambrosiana, afflitta da un’apatia spirituale sempre più diffusa.

In quell’occasione l’Arcivescovo affermò con estrema chiarezza: “Debbo con lealtà dichiararvi che in passato io ebbi molte riserve sul Rotary, frutto (questo) di ignoranza e di errore”. Così la dichiarazione esplicita dell’Arcivescovo di Milano eliminava fin d’allora ogni dubbio sulla trasparenza dei rapporti tra la Chiesa cattolica e il Rotary.

Dall’elezione al pontificato – cioè dal 21 giugno 1963 – in poi, i rapporti di Paolo VI con il Rotary si fecero più intensi. Il Papa ricevette in udienza speciale il Presidente Internazionale C.P. Miller, accompagnato dal Governatore Roberto Colagrande.

Ma certamente l’incontro più importante di Paolo VI con i Rotariani avvenne in occasione del Congresso unico dei Distretti d’Italia il 20 marzo 1965. Allora, per la prima volta, capitò che un Papa, in forma ufficiale, rivolgesse la sua parola ai Rotariani.

Molti temi cari a Paolo VI sono accennati – come vedremo – nel suo Discorso, mentre il Papa riconosce in diversi ambiti l’impegno del Rotary: la ricerca della pace, il progresso della cultura, la promozione di relazioni personali amichevoli, la valorizzazione delle professioni, la formazione e la coesione delle classi dirigenti della società, le attività artistiche, scientifiche e di beneficenza…

Tutti questi temi rientravano in realtà nel programma del pontificato di papa Montini, riassunto nella celebre massima di sant’Agostino: Sit amoris officium pascere Dominicum gregem

Tale espressione del Vescovo di Ippona venne effettivamente citata da Paolo VI nel suo primo messaggio al mondo, il 22 giugno 1963. Anticipando la dottrina dei documenti conciliari, egli intendeva esprimere così la propria sollecitudine verso pastori e laici, nella visione ampia e suggestiva di un mondo ordinato al Regno di Dio. L’apostolato dei laici, in particolare, doveva esercitarsi nell’animazione cristiana delle realtà temporali.

Alla luce di questa dottrina, si può comprendere meglio il Discorso del 20 marzo 1965, che ora rileggeremo con qualche nota di commento.

1. Dopo “una parola di saluto e di augurio… ai numerosissimi membri italiani del Rotary Club”, il Papa ricorda subito “l’incontro con i Rotariani di Milano, e la cordialità rispettosa e lieta” di cui egli si sentì circondato, quando portò alla sede del Rotary l’annuncio della Missione cittadina. Nel contempo, il Papa si rammarica “che quel Nostro colloquio non si sia dilatato in un orizzonte di più vasta ampiezza e di più sentita cordialità”. Montini sembra alludere al fatto che quell’incontro fosse rimasto un poco isolato, senza approfondimenti ulteriori, almeno durante gli anni di Milano. Ma ora che “l’intera organizzazione viene a restituirCi con gesto gentile quella Nostra visita”, prosegue il Pontefice, “amiamo confermarvi che seguiamo con interesse la vostra molteplice attività nel campo culturale, artistico, scientifico e della beneficenza”.

Di seguito il Papa accenna allo sviluppo del Rotary nel mondo, e spende parole autentiche di elogio e di ammirazione per la formula associativa, per il metodo degli incontri e per gli scopi assunti dai Rotariani. 

“Da quando l’avvocato Mr. Paul Harris fondava a Chicago, nel 1905, il Rotary, sono trascorsi sessant’anni”, annota il Pontefice; “e questo tempo è bastato a che l’istituzione si diffondesse dappertutto, e riuscisse ad interessare ceti di persone non facili a lasciarsi avvicinare in forma continuata e metodica, quali sono gli uomini d’affari, i liberi professionisti, gli esponenti della scienza e del pensiero. E’ segno che la formula associativa era buona: amicizia e cultura; e buono il metodo: il periodico incontro conviviale, coronato da un discorso informativo su qualche questione di attualità. Buoni pertanto anche gli scopi: infondere nelle diverse professioni dei soci un’esigenza di serietà e di onestà, e favorire il progresso della cultura e delle relazioni amichevoli fra gli uomini e fra le nazioni. Tutto questo è bello e vi fa onore. La vostra attività contribuisce alla formazione e alla coesione delle classi dirigenti della società; e mentre distingue e qualifica a un livello superiore al comune i Soci del Rotary, non li separa, non li oppone alle altre classi sociali, sì bene li stimola ad assumere con più avveduta coscienza le funzioni loro proprie, e li esorta a mettersi con più generosa dedizione a servizio del bene comune”.

2. Dopo questo sincero riconoscimento, inizia la seconda parte del Discorso, che forse oggi – a oltre cinquant’anni di distanza – qualcuno potrebbe accusare di “confessionalismo”, o addirittura di “integrismo”. Come abbiamo già accennato, invece, e come avremo modo di spiegare più diffusamente dopo la nostra rilettura del Discorso, anche questa seconda parte va interpretata alla luce del programma pastorale di san Paolo VI, e più in particolare dell’Enciclica Ecclesiam suam, autentica “chiave ermeneutica” del pontificato montiniano e dei documenti conciliari.

“Naturalmente”, prosegue il Papa ai Rotariani, “codesto, anche se buono e lodevole, non può essere un programma completo per dare alla vita dell’uomo il suo vero e profondo significato. Le esigenze ideali della vita superano il perimetro molto sobrio e discreto degli statuti del Rotary, che, nell’intento di associare uomini di diverse tendenze ideologiche e religiose, si astiene dall’imporre ai suoi Soci qualsiasi professione determinata di pensiero, o di fede. Cotesto aspetto del vostro programma, voi lo sapete, ha incontrato riserve da varie parti, e anni fa anche dalla Chiesa cattolica; le riserve erano fondate sul timore che la mentalità, nascente dal vostro programma, subisse l’influsso di altre ideologie, ovvero si ponesse come norma sufficiente a guidare la coscienza dell’uomo”.

Immediatamente, però, Paolo VI attenua questo rilievo, tornando a motivi di elogio nei confronti dell’Associazione. Dice infatti: “Ma fortunatamente voi qui dimostrate che la saggezza del Rotary, proprio perché aperta a varie correnti, conosce i suoi limiti; rispetta perciò il pensiero dei suoi Soci, e non rifiuta che talvolta voci autorevoli portino anche nel suo seno le testimonianze della filosofia perenne e del messaggio cristiano”.

Da parte mia – soprattutto trovandomi qui, a Bergamo – non posso passare sotto silenzio un fatto, certo ben noto a Paolo VI. Già Angelo Giuseppe Roncalli, come Nunzio apostolico a Parigi, aveva intrattenuto rapporti con alti dirigenti del Rotary in Francia, e – così san Giovanni XXIII era solito fare – ne lasciò diligente nota il 2 marzo del 1951 nel suo Diario

Poi, negli anni sessanta-settanta del secolo scorso – nel bel mezzo dei quali si colloca l’intervento di san Paolo VI ai Rotariani –, da Lercaro a Luciani furono numerosi i Vescovi che coinvolsero nelle loro iniziative le associazioni del Rotary, o che vi tennero affollate conferenze. Qualche decennio più tardi, lo stesso Arcivescovo di Buenos Aires, Jorge M. Bergoglio, venne fatto membro onorario dell’Associazione.

    3. Siamo giunti ormai alla conclusione del Discorso di san Paolo VI. Si può dire che “il peso cade a poppa”, cioè che il “gran finale” offre un’indicazione sicura per l’interpretazione dell’intero testo montiniano. 

“Noi siamo a ciò molto sensibili”, scrive il Papa alludendo alla “filosofia perenne e al messaggio cristiano”. “E senza pretendere che i Rotary Clubs abbiano a cambiare il loro stile e il loro programma, facciamo voti che sempre in essi, come è seria e alta l’espressione culturale e scientifica, così sia riguardoso il loro atteggiamento verso i valori spirituali e religiosi, e non vi sia del tutto forestiero il Maestro dell’umanità, Cristo Signore”. 

    Dopo questo passaggio centrale del Discorso, Paolo VI aggiunge un’osservazione importante per gli sviluppi successivi della dottrina sociale della Chiesa: “Nell’auspicare un buon lavoro a tutti voi”, così il Papa si congeda dai Rotariani d’Italia, “il pensiero si rivolge altresì ai vostri consoci di tutto il mondo, con i quali siete legati da vincoli di mutua estensione; anche questi rapporti di amicizia fra i rappresentanti di diversi popoli, uniti in speciali organizzazioni, possono meravigliosamente contribuire a cementare quell’unione nella concordia e nella pace, che la dottrina sociale della Chiesa e l’insegnamento pontificio inculcano con tanta insistenza e con invitta speranza”.

    4. Come si può vedere, il Discorso che abbiamo appena riletto offre un efficace “spaccato” – ancora non sufficientemente conosciuto e studiato – del magistero montiniano, anche perché molti temi caratteristici dell’impegno rotariano coincidono di fatto con la sensibilità pastorale di san Paolo VI.

    Riprenderemo – a prova e approfondimento di quello che abbiamo detto finora – l’Enciclica Ecclesiam suam del 6 agosto 1964. 

Era ormai trascorso più di un anno dalla sua elezione al Soglio petrino, ma Paolo VI non aveva avuto troppa fretta nella stesura e nella pubblicazione della sua Enciclica programmatica, mentre continuavano i lavori del Concilio Vaticano II, ai quali non voleva che la sua Enciclica si sovrapponesse. 

Solo pochi mesi più tardi, il Papa terrà il suo Discorso al Rotary.

    Un primo elemento che non deve sfuggire, fin dalle prima pagine dell’Enciclica, è la sollecitudine di Paolo VI per la pace nel mondo. Evidentemente – pur non rientrando nel piano dell’Enciclica questo tema specifico (già diffusamente trattato da san Giovanni XXIII un anno prima, al termine del suo pontificato, e molte volte con energia da vari documenti del Concilio), Paolo VI volle inserire nell’Enciclica, al termine dell’introduzione, un paragrafo dedicato all’“assiduo e illimitato zelo” della Chiesa per la pace nel mondo.

    Conviene rileggerlo. “Alla grande e universale questione della pace nel mondo”, dichiara solennemente Paolo VI, “Noi diciamo fin d’ora che Ci sentiremo particolarmente obbligati a rivolgere non solo la Nostra vigilante attenzione, ma l’interessamento altresì più assiduo ed efficace, contenuto, sì, nell’ambito del Nostro ministero, ed estraneo perciò ad ogni interesse puramente temporale e alle forme propriamente politiche, ma premuroso di contribuire all’educazione dell’umanità a sentimenti e a procedimenti contrari ad ogni violento e micidiale conflitto. E favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra le nazioni; e sollecito parimenti di assistere – con la proclamazione dei principi umani superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono gli scontri bellici – l’armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra i popoli; e d’intervenire, ove l’opportunità Ci sia offerta, per coadiuvare le parti contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni. Non dimentichiamo infatti essere questo amoroso servizio un dovere, che la maturazione delle dottrine da un lato, delle istituzioni internazionali dall’altro, rende oggi più urgente nella coscienza della Nostra missione cristiana nel mondo, ch’è pur quella di rendere fratelli gli uomini, in virtù appunto del regno di giustizia e di pace, inaugurato dalla venuta di Cristo nel mondo” (17).

    Di per sé il tema della pace – in un’Enciclica dichiaratamente limitata “ad alcune considerazioni di carattere metodologico per la vita propria della Chiesa” (18) – non poteva che rimanere tangenziale. Ma la citazione riportata dimostra in maniera eloquente la sollecitudine per la pace, che accomuna la dottrina montiniana e il programma del Rotary.

    Come è noto, l’Enciclica si articola poi in tre parti fondamentali. La prima parte è dedicata all’“autocoscienza” che la Chiesa deve costantemente approfondire; la seconda al “rinnovamento” della Chiesa stessa; la terza, infine, al “dialogo”. 

    Soprattutto quest’ultimo tema caratterizza l’intero pontificato montiniano, mentre spiega in maniera esauriente i fondamenti del Discorso al Rotary.

    Nell’Ecclesiam suam Paolo VI disegna i “cerchi concentrici” del dialogo tra la Chiesa e il mondo, di cui i famosi e inediti viaggi apostolici sono la dimostrazione pratica. Il primo, immenso cerchio del dialogo, si configura con tutto ciò che è umano. C’è poi “un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano”, ed è il dialogo con i credenti in Dio. Il terzo cerchio è quello del dialogo con i fratelli cristiani separati. Infine, il Papa torna a parlare tout court del dialogo all’interno della Chiesa.

    Nella prospettiva che qui ci interessa, il primo cerchio del dialogo è il più importante, e il viaggio apostolico che meglio lo rappresenta è quello compiuto da Paolo VI nel 1965, per visitare l’Assemblea delle Nazioni Unite nel ventesimo anniversario della sua fondazione.  

Rimane celebre il Discorso del 4 ottobre, nel quale il Papa presenta la Chiesa bimillenaria, e pure se stesso, come “esperti in umanità”. 

Qui i temi sviluppati nel “primo cerchio del dialogo” dell’Ecclesiam suam, e poi ripresi in rapida sintesi nel Discorso ai Rotariani del 20 marzo 1965, sono ulteriormente esplicitati, e giungono a valorizzare in massimo grado quel momento di incontro “semplice e grande” del 4 ottobre 1965. 

In nome dei morti, dei poveri e dei sofferenti, il Papa parla della giustizia, che deve regolare le trattative e le relazioni fra i popoli. Afferma con decisione: “Voi siete un’Associazione… La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma questa è l’impresa; questa la vostra nobilissima impresa”. 

E finalmente giunge il grido di pace di Papa Montini: “Non più gli uni contro gli altri, non più, non mai!… Ascoltate le parole di un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: ‘L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità’… Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità”.

“Dicendo queste parole”, prosegue più avanti il Papa, “Ci accorgiamo di far eco a un altro principio costitutivo di questo Organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri… Voi promuovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l’appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli, per il bene comune e per il bene dei singoli”.

Appare così evidente la sintonia profonda con cui il Papa guarda ai principi costitutivi dei due organismi a cui ci riferiamo, assumendo come “chiave ermeneutica” l’Enciclica Ecclesiam suam: le parole di san Paolo VI valgono per l’Organizzazione delle Nazioni Unite come per i Rotary Clubs, nelle rispettive competenze degli organismi stessi.

5. Non possiamo concludere, tuttavia, senza rilevare che a tutte e due le organizzazioni il Papa volle portare esplicitamente l’annuncio di Cristo, pur rispettando la laicità di entrambe. Anche nel profondo rispetto della “sana laicità” dei valori intramondani, a san Paolo VI urge pur sempre richiamare l’Assoluto, la pienezza del bene. I Padri della Chiesa, a lui tanto cari, parlerebbero a questo proposito dei “semi” del Verbo di verità, sparsi in qualunque cosa vi sia di buono e di autenticamente umano. Ma solo il Verbo di verità – Gesù Cristo Signore – porta a maturazione questi medesimi “semi”, che lo Spirito sparge nel mondo.

    Come Paolo VI ammoniva i Rotariani perché non fosse a loro “del tutto forestiero il Maestro dell’umanità, Cristo Signore”, così nel suo Discorso alle Nazioni Unite il Papa conclude con un messaggio altrettanto chiaro: “L’edificio della moderna civiltà”, afferma con decisione, “deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono che fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo? Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini”.

    6. Siamo giunti così al punto di arrivo. 

In ogni suo intervento, Paolo VI – che pure ha sempre dichiarato il suo rispetto profondo, sinceramente aperto al dialogo, verso i non credenti e verso i credenti di altre religioni, verso gli Ebrei e i fratelli cristiani separati – non ha mai cessato di mettere al centro dei vari cerchi del dialogo Gesù Cristo e la sua Chiesa.

    Si deve parlare anzi del cristocentrismo – non certo di un preteso, quanto errato, “ecclesiocentrismo” – di san Paolo VI. La parola di sant’Ambrogio risuonava sempre nella mente e nel cuore di questo Arcivescovo di Milano, divenuto Papa e santo: Omnia Christus est nobis!

    “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo!” – egli avrebbe confessato, con accenti appassionati, il 29 novembre 1970 a Manila, cinque anni dopo l’incontro con i Rotariani –. “Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Gesù, il Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra!”.

    Inseguendo la spiritualità del cuore di Papa    Montini, nella linea giovannea e agostiniana della sua dottrina, possiamo affermare che la vera conoscenza viene dalla fede e dall’amore; invece, quando la ragione si avvita su sé stessa, non è più in grado di approdare alla percezione del mistero.

    Questa affermazione – che ho appena fatto, e che riecheggia intenzionalmente il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI – trova un anticipo ricco di significati nelle parole, che ora cito, di un grande amico ed estimatore di Paolo VI, mons. Pietro Rossano. Lo ricordo, anche perché egli fu tra i miei predecessori nella guida dell’Università Lateranense. Queste parole hanno un sapore indubbiamente “montiniano”: “Solo la conoscenza accompagnata da affetto raggiunge la verità; la parola senza amore è menzogna. E’ questo il mio principio per il dialogo con le religioni”.

    Ecco: la centralità affettuosa – senza proselitismo alcuno – di Cristo, Parola del Dio vivente, ha illuminato costantemente la vita e l’insegnamento di Paolo VI, in piena consonanza con il magistero conciliare: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, dichiara la Costituzione Gaudium et Spes; e prosegue, poco più avanti: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (n. 22). 

E mons. Rossano – un biblista attento, che i vicini e i lontani chiamavano con ammirazione, e forse con una punta di invidia, Monsignor Dialogo – aggiungeva ancora: “I valori esterni della cultura sfumano in un silenzio, che sarebbe infinito e mortale, se non ci fosse la Parola di Dio”, anche quando essa è collocata “nel chiaroscuro in cui la contiene la Bibbia”. 

“Gesù Cristo!”, proseguiva da parte sua Paolo VI a Manila, “tu sei il rivelatore del Dio invisibile, tu sei la via, la verità, la vita!”.

    Immersi nel chiaroscuro dell’esistenza terrena, noi restiamo pur sempre di fronte all’interrogativo cruciale, posto duemila anni fa dallo stesso Gesù di Nazaret: “Voi, chi dite che io sia?”.

    La risposta a questa domanda – la risposta che stava nel cuore di Paolo VI, mentre si rivolgeva ai Clubs del Rotary, come pure all’Assemblea delle Nazioni Unite – la conosciamo molto bene. E’ la risposta definitiva dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.