Cambiare è la cosa più difficile. I motivi sono tanti, ma la causa ricorrente è che niente ci sembra così garantito come il nostro io. Anche facendo l’esperienza di continui fallimenti nei rapporti, di fratture insanabili, di strappi irricucibili, la colpa non è nostra, ma sempre degli altri. Preferiamo coltivare il vittimismo, piuttosto che contraddire un io inamovibile e immutabile. Di fronte a questo muro, la vita non trova altre soluzioni se non quella di umiliarci, colpirci nell’orgoglio, metterci in crisi con eventi dolorosi e inaspettati. Di fronte a essi si presentano due scelte: confermarci ulteriormente nel ruolo di vittime predestinate, oppure optare per il passo della vita, la svolta mai presa sul serio, quella di cambiare. È la funzione preziosa delle umiliazioni, che non possiamo cercarci da soli: la vita stessa si incarica di prestarci un servizio più prezioso di tanti successi e di tante gratificazioni nocive, se illusorie. È il momento in cui usciamo dal sentimento di onnipotenza conscio o inconscio, facendo un passo verso l’umiltà, ossia la verità di noi stessi. Gesù stesso ci ha dato l’esempio di questa spoliazione, indispensabile per la carità, ossia l’amore vero. “Bene per me se sono stato umiliato”, recita il salmo 119: una sapienza ardua ma preziosa per arrivare a essere se stessi.