Il cristianesimo oggi tra dialogo e annuncio

                                                                                                          + Enrico dal Covolo

E’ ben noto che nell’ormai bimillenaria storia del Cristianesimo il Concilio Vaticano II ha segnato una svolta decisiva, appunto per ciò che riguarda il dialogo e l’annuncio.

Così, anziché raccogliere un’antologia dei relativi testi, ci limiteremo in buona sostanza a riflettere sull’Enciclica Ecclesiam Suam del 6 agosto 1964, autentica “chiave ermeneutica” dei Documenti conciliari. 

1. Era ormai trascorso più di un anno dalla sua elezione al Soglio petrino, ma Paolo VI non aveva avuto troppa fretta nella stesura e nella pubblicazione della sua Enciclica programmatica, mentre continuavano i lavori del Concilio Vaticano II, ai quali non voleva che la sua Enciclica si sovrapponesse. 

    Un primo elemento che non deve sfuggire, fin dall’inizio dell’Enciclica, è la sollecitudine di Paolo VI per la pace nel mondo. Evidentemente – pur non rientrando nel piano dell’Enciclica questo tema specifico (già diffusamente trattato da san Giovanni XXIII un anno prima, al termine del suo pontificato, e molte volte con energia da vari Documenti del Concilio) – Paolo VI volle ugualmente inserire nell’Enciclica, al termine dell’introduzione, un paragrafo dedicato all’“assiduo e illimitato zelo” della Chiesa per la pace nel mondo.

    Conviene rileggerlo. “Alla grande e universale questione della pace nel mondo”, dichiara solennemente Paolo VI, “Noi diciamo fin d’ora che Ci sentiremo particolarmente obbligati a rivolgere non solo la Nostra vigilante attenzione, ma l’interessamento altresì più assiduo ed efficace, contenuto, sì, nell’ambito del Nostro ministero, ed estraneo perciò ad ogni interesse puramente temporale e alle forme propriamente politiche, ma premuroso di contribuire all’educazione dell’umanità a sentimenti e a procedimenti contrari ad ogni violento e micidiale conflitto. E favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra le nazioni; e sollecito parimenti di assistere – con la proclamazione dei principi umani superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono gli scontri bellici – l’armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra i popoli; e d’intervenire, ove l’opportunità Ci sia offerta, per coadiuvare le parti contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni. Non dimentichiamo infatti essere questo amoroso servizio un dovere, che la maturazione delle dottrine da un lato, delle istituzioni internazionali dall’altro, rende oggi più urgente nella coscienza della Nostra missione cristiana nel mondo, ch’è pur quella di rendere fratelli gli uomini, in virtù appunto del regno di giustizia e di pace, inaugurato dalla venuta di Cristo nel mondo” (17).

    Di per sé il tema della pace – in un’Enciclica dichiaratamente limitata “ad alcune considerazioni di carattere metodologico per la vita propria della Chiesa” (18) – non poteva che rimanere tangenziale. Ma la citazione riportata dimostra in maniera eloquente la sollecitudine per la pace, come condizione fondamentale per un dialogo sincero e per un annuncio efficace.

2. L’Enciclica si articola poi in tre parti fondamentali. La prima parte è dedicata all’“autocoscienza” che la Chiesa deve costantemente approfondire; la seconda al “rinnovamento” della Chiesa stessa; la terza, infine, al “dialogo”. 

    Soprattutto quest’ultimo tema caratterizza l’intero pontificato montiniano, mentre segna decisamente i decenni successivi, fino ad oggi.

    Nell’Ecclesiam suam Paolo VI disegna i “cerchi concentrici” del dialogo tra la Chiesa e il mondo, di cui i famosi e inediti viaggi apostolici sono la dimostrazione pratica. Il primo, immenso cerchio del dialogo, è disegnato da tutto ciò che è umano. C’è poi “un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano”, ed è il dialogo con i credenti in Dio. Il terzo cerchio è quello del dialogo con i fratelli cristiani separati. Infine, il Papa torna a parlare tout court del dialogo all’interno della Chiesa.

    Il primo cerchio del dialogo è il più importante, e il viaggio apostolico che meglio lo rappresenta è quello compiuto da Paolo VI nel 1965, per visitare l’Assemblea delle Nazioni Unite, nel ventesimo anniversario della sua fondazione.  

3. Rimane celebre il Discorso del 4 ottobre, nel quale il Papa presenta la Chiesa bimillenaria, e pure sé stesso, come “esperti in umanità”. 

Qui i temi sviluppati nel “primo cerchio del dialogo” dell’Ecclesiam suam sono ulteriormente esplicitati, e giungono a valorizzare in massimo grado quel momento di incontro “semplice e grande” del 4 ottobre 1965. 

In nome dei morti, dei poveri e dei sofferenti, il Papa parla della giustizia, che deve regolare le trattative e le relazioni fra i popoli. Afferma con decisione: “Voi siete un’Associazione… La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma questa è l’impresa; questa la vostra nobilissima impresa”. 

E finalmente giunge il grido di pace di Papa Montini: “Non più gli uni contro gli altri, non più, non mai!… Ascoltate le parole di un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: ‘L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità’… Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità”.

“Dicendo queste parole”, prosegue più avanti il Papa, “Ci accorgiamo di far eco a un altro principio costitutivo di questo Organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri… Voi promuovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l’appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli, per il bene comune e per il bene dei singoli”.

Tuttavia non possiamo concludere la rivisitazione del Discorso del 4 ottobre senza rilevare che, insieme alla sollecitudine sincera per il dialogo con le nazioni del mondo e le loro religioni, il Papa volle portare esplicitamente l’annuncio di Cristo, pur rispettando la laicità dell’istituzione. Anche nel profondo rispetto della “sana laicità” dei valori intramondani, a san Paolo VI urge pur sempre richiamare l’Assoluto, la pienezza del bene. I Padri della Chiesa, a lui tanto cari, parlerebbero a questo proposito dei “semi” del Verbo di verità, sparsi in qualunque cosa vi sia di buono e di autenticamente umano. Ma solo il Verbo di verità – Gesù Cristo Signore – porta a maturazione questi medesimi “semi”, che lo Spirito sparge nel mondo.

    Così nel suo Discorso alle Nazioni Unite il Papa conclude con un annuncio esplicito: “L’edificio della moderna civiltà”, afferma con decisione, “deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono che fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo? Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini”.

4. Siamo giunti così al punto d’arrivo. 

In ogni suo intervento, Paolo VI – che pure ha sempre dichiarato il suo rispetto profondo, sinceramente aperto al dialogo, verso i non credenti e verso i credenti di altre religioni, verso gli Ebrei e i fratelli cristiani separati – non ha mai cessato di mettere al centro dei vari cerchi del dialogo (ecco perché “concentrici”) l’annuncio di Gesù Cristo e della sua Chiesa.

    Si deve parlare anzi del cristocentrismo – non certo di un preteso, quanto errato, “ecclesiocentrismo” – di san Paolo VI. La parola di sant’Ambrogio risuonava sempre nella mente e nel cuore di questo Arcivescovo di Milano, divenuto Papa e santo: Omnia Christus est nobis!

    “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo!” – egli avrebbe confessato, con accenti appassionati, il 29 novembre 1970 a Manila, nel corso di un altro viaggio emblematico del dialogo con credenti e non credenti –. “Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Gesù, il Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra!”.

    Inseguendo la spiritualità del cuore di Papa    Montini, nella linea giovannea e agostiniana della sua dottrina, possiamo affermare che la vera conoscenza viene dalla fede e dall’amore; invece, quando la ragione si avvita su sé stessa, non è più in grado di approdare alla percezione del mistero.

    Questa affermazione – che ho appena fatto, e che riecheggia intenzionalmente il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI – trova un anticipo ricco di significati nelle parole, che ora cito, di un grande amico ed estimatore di Paolo VI, mons. Pietro Rossano. Lo ricordo, anche perché egli fu tra i miei predecessori nella guida dell’Università Lateranense. Queste parole hanno un sapore indubbiamente “montiniano”: “Solo la conoscenza accompagnata da affetto raggiunge la verità; la parola senza amore è menzogna. E’ questo il mio principio per il dialogo con le religioni”. 

Nullum noscitur, quod non amatur, affermava Agostino. Non c’è amore senza conoscenza, né conoscenza senza amore.

    Ecco: la centralità affettuosa – senza proselitismo alcuno – di Cristo, Parola del Dio vivente, ha illuminato costantemente la vita e l’insegnamento di Paolo VI, in piena consonanza con il magistero conciliare: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, dichiara la Costituzione Gaudium et Spes; e prosegue, poco più avanti: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (n. 22). 

E mons. Rossano – un biblista attento, che i vicini e i lontani chiamavano con ammirazione, e forse con una punta di invidia, Monsignor Dialogo – aggiungeva ancora: “I valori esterni della cultura sfumano in un silenzio, che sarebbe infinito e mortale, se non ci fosse la Parola di Dio”, anche quando essa è collocata “nel chiaroscuro in cui la contiene la Bibbia”. 

“Gesù Cristo!”, proseguiva da parte sua Paolo VI a Manila, “tu sei il rivelatore del Dio invisibile, tu sei la via, la verità, la vita!”.

    Immersi nel chiaroscuro dell’esistenza terrena, noi restiamo pur sempre di fronte all’interrogativo cruciale, posto duemila anni fa dallo stesso Gesù di Nazaret: “Voi, chi dite che io sia?”.

    La risposta a questa domanda – la risposta che stava nel cuore di Paolo VI, mentre svolgeva il suo dialogo con l’Assemblea delle Nazioni Unite – la conosciamo molto bene. E’ la risposta definitiva dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.

5. Dialogo e annuncio insieme, non l’uno senza l’altro. Così è nella tradizione cristiana autentica, dai Padri apologisti, fino a Papa Francesco.

Riguardo all’annuncio, mai disgiunto dal dialogo, concludo con una citazione dell’Esortazione apostolica programmatica di Francesco, la Evangelii Gaudium, che fin dal titolo intende riagganciarsi all’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. 

In questa citazione di Francesco troviamo un rinnovato slancio nel dialogo con il mondo e nell’annuncio del Vangelo. Vi si parla di una “Chiesa in uscita”, dunque di una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: ‘Sarete beati se farete questo’ (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze” (24).

6. In definitiva, è questo il cammino – costantemente ribadito da Papa Francesco nei suoi viaggi apostolici, che sembrano allargare i “cerchi del dialogo” di Paolo VI – su cui si stanno muovendo il dialogo e l’annuncionel Cristianesimo di oggi.

  + Enrico dal Covolo