Enrico Dal Covolo, Amorevolezza salesiana ed emergenza educativa

Nel mese dedicato a don Bosco

L’AMOREVOLEZZA SALESIANA

di fronte all’emergenza educativa

                                    + Enrico dal Covolo

Mi introduco a questo tema con un riferimento alla situazione del nostro tempo, richiamando quei «segni dei tempi», a cui il salesiano dev’essere sempre attento nell’esercizio della propria missione educativa.

1. L’amore figura come «la punta emergente» nella graduatoria dei valori espressa da un campione di 1000 giovani italiani. Alla domanda: «Quale valore ritieni in assoluto il più importante?», il 99% dei mille ragazzi intervistati ha risposto: «L’amore. L’amore è quel valore che, unico, mi ripaga della fatica del vivere».

Al riguardo, Sergio Zavoli commentava che questa generazione è, probabilmente, la più «amorevole» che sia mai esistita. Ma poi, da persona intelligente, avanzava un dubbio: chissà se con la parola amore tutti questi giovani intendono alludere alla medesima realtà? Amore è parola abusata, persino logora…

Che cos’è in profondità questo amore, di cui i giovani di sempre (e non solo loro) sono assetati, e quelli di oggi sembrano esserlo in maniera particolare?

E’ certo che chi intende raccogliere la missione educativa di don Bosco, e in particolare l’eredità della sua amorevolezza, non può rimanere indifferente di fronte a questa domanda d’amore dei giovani d’oggi.

D’altra parte, è questo uno di quegli interrogativi (che cos’è l’amore) dinanzi ai quali chi tenta una risposta si sente subito inadeguato. Quasi gli sembra presuntuoso e ridicolo qualsiasi tentativo.

Tuttavia cercheremo di dire qualcosa, prendendo come punto di partenza qualche riflessione di E. Fromm. In quel best-seller che è L’arte di amare egli scrive: «Amore è soprattutto dare, e non ricevere. Che cosa dà una persona a un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso… E dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà…» (E. Fromm, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1971, pp. 37-39). 

Possiamo commentare così questa frase: amore non è un semplice rapporto di accettazione (anche se l’accettazione reciproca è già molto: quante intolleranze, quante discordie nelle coppie, nelle famiglie, nelle comunità, perché non ci si acccetta per quello che si è, e non si accettano gli altri per quello che sono…). Secondo Fromm, infatti, amore vero è qualche cosa di più rispetto alla semplice conoscenza e accettazione reciproca: amore è quando uno, dimenticandosi di sé, fa essere di più la persona che ama.

Potremmo proseguire il discorso di Fromm, e dire – con l’apostolo Giovanni – che il vero amore (quello di chi «si dimentica di sé per far essere di più le persone che ama») è l’amore di Dio, che Gesù Cristo ci ha rivelato: «Nessuno ha un amore più grande» di Gesù, «che dà la vita per i suoi amici», cioè per ognuno di noi. Questo amore trova le sue radici nella vita stessa di Dio. Quello che Gesù ci ha rivelato, infatti, è l’amore che lega tra loro le tre Persone della Trinità divina: il Figlio non poteva rivelarci un altro amore… Ci ha rivelato la carità, perché Dio è carità.

2. Ebbene, il salesiano è chiamato a portare questo amore davanti alle attese e agli immensi bisogni degli uomini d’oggi.

La missione del salesiano, infatti, è quella di essere «segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani, soprattutto ai più poveri» (Costituzioni, art. 2).

L’amorevolezza salesiana è esattamente questo. Lo dice l’art. 15 delle nostre Costituzioni, intitolato appunto «amorevolezza salesiana»: «Il salesiano è mandato ai giovani da Dio, che è “tutto carità”… Il suo affetto è quello di un padre, di un fratello e amico, capace di creare corrispondenza di amicizia: è l’amorevolezza tanto raccomandata da don Bosco».

E don Bosco, per aiutarci a compiere la nostra missione, ed essere «segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani», ci ha raccomandato nella celebre Lettera da Roma del 10 maggio 1884, chiamata «il poema dell’amore educativo» (rileggila nella terza Appendice delle Costituzioni): «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati… Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani». E ancora: «Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore».

Allora, quando tu metti in pratica l’amorevolezza come base attiva del processo educativo e, dimenticandoti di te, fai essere di più le persone a cui sei mandato, allora succedono i «miracoli dell’amore educativo».

Perché, in negativo, occorre ammettere che una persona a cui è negata l’esperienza dell’amore e che non cresce in un ambiente in cui ci si ama, rimane compromessa nella sua crescita e in tutte le sue esperienze vitali, compresa quella della fede. Qui il commento al nostro testo costituzionale – proprio riguardo dell’art. 15 – cita Agostino, un ragazzo di Arese morto tragicamente a 16 anni, che scriveva, in forma di preghiera: «Dicono anche che l’amore è una prova della tua (di Dio) esistenza. Forse è per questo che io non ti ho incontrato: non sono mai stato amato in modo da sentire la tua presenza…» (Il progetto di vita dei Salesiani di don Bosco. Guida alla lettura delle Costituzioni salesiane, Roma 1986, p. 177, nota 2).

Ma in positivo possiamo dire che, quando uno riesce finalmente a fare l’esperienza dell’amore, allora anche atteggiamenti che sembravano irricuperabili appaiono ricuperabilissimi, e vengono di fatto ricuperati.

3. A ben guardare, Don Bosco ci propone un progetto di santità intimamente collegato con la carità pastorale, «centro e sintesi» dello spirito salesiano (Costituzioni, art. 10).

In questo progetto di santità l’unità perfetta con Cristo e la dedizione totale ai destinatari della missione non appaiono semplicemente due caratteristiche costitutive e irrinunciabili. Esse costituiscono un’unica realtà. Sono come le due facce di una stessa medaglia. L’una invera l’altra.

Sulle rive del mar di Galilea Gesù chiese a Pietro se lo amava. Alla triplice risposta affermativa di Pietro, Gesù concluse: «Se mi ami, pasci…» (cfr. Giovanni 21,17). La condizione per pascere il gregge di Cristo (e per noi, in particolare, quella porzione preziosa che sono i giovani, soprattutto i più bisognosi) è sempre la stessa: è l’innamoramento per Gesù. Sit amoris officium pascere Dominicum gregem, diceva  Agostino al termine dei suoi Sermoni sul Vangelo di Giovanni (123,5).

San Giovanni Bosco ha educato così, da innamorato di Cristo, con il cuore del buon Pastore: quel buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (cfr. Giovanni 10,11).

In ultima analisi, educare con l’amorevolezza di Don Bosco significa essere disposti a dare la vita per i giovani e le giovani che educhiamo.

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