Dal Covolo: Patristica e Sacro Cuore

FONDAMENTI PATRISTICI DELLA DEVOZIONE
AL SACRO CUORE DI GESU’

In questo breve intervento – che si presenta come una sorta di prolusione rispetto alle relazioni successive – vorrei richiamare tre icone patristiche, che la tradizione cristiana riprende largamente nella devozione al sacro cuore di Gesù: devozione – giova ricordarlo – perennemente attuale nel santo popolo di Dio.

1. La prima icona ci conduce nella notte dei tempi, rifacendosi al racconto biblico della creazione. 

Nel libro della Genesi leggiamo che dal fianco del primo Adamo nacque Eva, la madre dei viventi (Gen 2,21 s.): “Quando un soldato gli aprì il fianco – commenta al riguardo sant’Ambrogio – immediatamente uscì acqua e sangue, che fu effuso per la vita del mondo. Questa vita del mondo è la costa [vale a dire, il cuore] di Cristo, questa è la costa del secondo Adamo: il primo Adamo infatti divenne un’anima vivente, l’ultimo Adamo uno spirito vivificante; l’ultimo Adamo è Cristo, e la costa di Cristo è la vita della Chiesa”.

Conviene osservare che il potente squarcio esegetico di Ambrogio non elabora tutti gli aspetti dell’immagine tradizionalmente collegata con l’effusione del sangue dal cuore di Cristo. In particolare, non risulta tematizzato il riferimento giovanneo all’acqua e al sangue, né vi si trova eco della relativa copiosa allegorizzazione patristica.

Da questo punto di vista è più esplicito un passo di Rufino tratto dalle catechesi battesimali sul Simbolo.

Spiegando il lemma Crucifixus sub Pontio Pilato et sepultus descendit in Inferna, egli propone anzitutto un’interpretazione globale dei misteri della crocifissione e morte del Signore. Rufino rammenta fra l’altro che “con l’effusione del suo sangue immacolato” il Figlio di Dio distrusse i peccati di tutti, “almeno di quelli che avevano segnato con il sangue gli stipiti della loro fede”. 

Ma poco oltre egli riconosce l’insufficienza delle argomentazioni addotte, e dichiara che “queste verità devono essere ulteriormente confortate da evidenti testimonianze della divina Scrittura”. “Che se poi non sembra troppo laborioso”, egli prosegue, “descriveremo in qual modo le cose dei Vangeli siano predette una per una nei profeti”. Fedele a siffatta impostazione metodologica, Rufino presenta in questi termini l’effusione del sangue dal cuore di Gesù: “Sta scritto che Gesù, colpito nel fianco, profuse acqua e sangue insieme: hoc quidem mysticum est. Egli stesso infatti aveva detto (di sé): “Fiumi d’acqua viva scaturiranno dal suo grembo” (Gv 7,38). Ma emise anche il sangue, che i Giudei avevano chiesto scendesse su di loro e sui loro figli. Profuse dunque l’acqua, che salva i credenti; e profuse il sangue, che condanna gl’increduli. 

Tuttavia si può intendere anche questo, che egli abbia voluto simboleggiare la duplice grazia del battesimo: quella che è donata attraverso il battesimo dell’acqua, e quella che si consegue attraverso il martirio con la profusione del sangue. Ambedue si chiamano infatti ‘battesimo’. Se poi ricerchi perché si dica che egli effuse acqua e sangue dal costato, e non da qualche altro membro, a me pare che nel fianco si alluda alla donna, per via della costola. Poiché infatti la fonte del peccato giunse dalla prima donna, che fu la costola del primo Adamo, così anche la fonte della redenzione e della vita scaturisce dalla costola del secondo Adamo”.

2. Potremmo addurre numerose testimonianze ulteriori. Ma quelle di Ambrogio e di Rufino sono sufficienti per cogliere la centralità dell’effusione del sangue e dell’acqua dal cuore di Gesù, come “riparazione salvifica” definitiva rispetto al peccato delle origini.

Ed ecco – immediatamente – la seconda icona, conseguente alla prima. I Padri della Chiesa, infatti, hanno visto in Adamo, nel primo Adamo, la figura di Gesù Cristo, e in Eva la figura della Chiesa. Dal cuore trafitto del nuovo Adamo nasce la nuova Eva, la Chiesa, misticamente simboleggiata dai segni dell’acqua e del sangue, costantemente evocati in rapporto al battesimo, al martirio (il “secondo battesimo”, quello del sangue) e all’eucarestia. 

Così nella vita del credente il sangue versato e donato dal cuore di Cristo in primo luogo è esperienza sacramentale nella liturgia della Chiesa; in secondo luogo è progetto di vita per ogni discepolo, chiamato sull’esempio del Maestro a rendere testimonianza di amore e di servizio, fino al dono supremo. Così da una parte il il tema sangue salvifico effuso dal cuore di Gesù costituisce un motivo ricorrente nelle catechesi patristiche ai catecumeni e ai neofiti, e la liturgia, culminante nella solenne celebrazione del triduo pasquale, si fa essa stessa catechesi per tutti i fedeli: si pensi solo al posto centrale che già nel primo secolo Ignazio di Antiochia riservava all’eucarestia nella sua “spiritualità del sangue”. 

D’altra parte la contemplazione del sangue prezioso scaturito dal cuore di Gesù e l’assunzione sacramentale di questo sangue fondano la vita nuova del cristiano. Al riguardo, è opportuno citare almeno un passo della sesta omelia del Crisostomo Sul Vangelo di Giovanni: “Questo sangue”, esclama l’omileta, riproduce in noi la regale splendida immagine di Dio, ci arricchisce di una bellezza incredibile, non lascia deturpare la dignità dell’anima… Questo sangue sparso per noi ha lavato tutto il mondo”.

3. Ed ecco, di sèguito alla precedente, la terza icona, che giunge a varcare i confini dell’età patristica.

Il fianco squarciato di Gesù, il suo cuore trafitto, sono infine la nostra culla, la nostra sorgente, il nostro alimento, la nostra vita, la nostra consolazione. Con questo cuore – stando all’insegnamento dei Padri – dovremmo costantemente confrontarci, riplasmando, in qualche modo, il nostro cuore con quello di Gesù.

Cor ad cor loquitur, recita una famosa espressione, di cui non conosciamo l’autore. Certamente proviene dalla spiritualità agostiniana; venne valorizzata in massimo grado da Francesco di Sales, e fu assunta da John Henry Newman nel proprio stemma cardinalizio. 

Cor ad cor loquitur: il cuore del discepolo deve costantemente dialogare con il cuore di Gesù. E’ questa l’icona del discepolo amato, che poggia il suo capo sul cuore del Maestro (Gv 13,23).

L’invito che rivolgo a tutti voi, al termine di questa prolusione, è quello di somigliare sempre di più a questo discepolo, l’agapetós, colui che ha contemplato il sacro cuore di Gesù sulla croce, e che ha dato la testimonianza autentica – de visu – del sangue e dell’acqua effusi dal fianco squarciato.  

Di questo discepolo non si fa il nome, lungo tutto il quarto vangelo. Evidentemente, l’apostolo Giovanni ha voluto lasciare una casella vuota, perché ciascuno di noi potesse inserirvi il proprio nome.

      + Enrico dal Covolo

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