Mons. Dal Covolo: Laicalita’ nella storia della Chiesa

LAICI, LAICITA’ E LAICALITA’

DAI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA A OGGI.

L’insegnamento di Paolo Siniscalco

In un mio piccolo libro, intitolato Chiesa Società Politica, ho trattato la questione dei laici e della laicità nella Chiesa dei primi tre secoli. Nel capitolo conclusivo ho messo a confronto tra loro due ipotesi storiografiche molto diverse: quella di A. Faivre e quella di P. Siniscalco.

Siniscalco stesso ha accettato poi di aggiungere una nota, che qui riassumo per sommi capi, rimanendo così nel tempo che mi è concesso. 

Si tratta in sostanza di una serie di tre riflessioni, che illustrano in maniera sintetica, ma pressoché esaustiva, l’insegnamento di Siniscalco su laici, laicità e laicalità nella Chiesa.

1. La prima riflessione di Siniscalco potrebbe sembrare un po’ “fuori tema”: essa fonda invece le argomentazioni successive. Concerne la storia, e il modo di concepirla e di viverla. 

Il grande pensiero umano, quale si può cogliere nelle espressioni filosofiche e religiose più alte, ha sempre affermato che la luce giunge all’uomo dal profondo di se stesso, e che quindi il suo cammino per attingere l’Assoluto deve essere diretto alla ricerca dell’interiorità, nella profondità dello spirito e nel conseguente abbandono delle cose esteriori, che sono ombra di quelle interiori. In sintesi, sono queste indicazioni che accomunano religioni e filosofie di tanta parte dell’umanità. Esse inevitabilmente tendono a ridurre la storia umana a semplice simbolo, a illusione; tendono a marginalizzare la comunità degli uomini in cammino su questa terra; il rapporto con l’altro è come escluso, o in ogni caso perde rilievo.

Una diversa prospettiva è offerta dal giudaismo, che considera e vive la storia come dimensione essenziale e reale, senza per questo sminuire il grado dell’interiorità. E’ nel tempo infatti che Israele è salvato, perché Dio interviene nel tempo. Per cui si può ben parlare di grandi tappe del mistero della salvezza, attraverso cui passa la storia degli Ebrei, tappe che sono testimoniate dalle Scritture: l’elezione di Abramo, l’esodo dall’Egitto, l’alleanza, l’esilio babilonese, per non ricordarne che alcune.

Secondo la fede cristiana, con il Nuovo Testamento, in Gesù Cristo, il Dio-uomo entrato tutto nella storia, la storia è entrata tutta in Dio. Il tempo è redento e condotto nella sua pienezza. La storia insomma è perfetta in Cristo, ma attende di essere compiuta per l’agire degli uomini.

Se il laico – per riprendere una definizione di Y.M.-J. Congar – è colui per il quale le cose esistono, e la loro verità non è come divorata e abolita da un rinvio superiore, appare con chiarezza tutta l’importanza che il laico ha in una visione della storia, in cui Dio entra, e chiama l’uomo ad essere suo collaboratore.

2. Trascorriamo così alla seconda riflessione di Siniscalco. Procedendo nel discorso, egli rileva che nell’esperienza giudaica e cristiana è introdotta una nuova categoria, quella della fede, che costituisce, per chi ne è partecipe, un modo nuovo di collaborare alla creazione di Dio, il quale dà alla persona una libertà creatrice, e le accorda l’autonomia in un universo retto da leggi. 

Se la fede di Abramo si definisce in questo modo: “Per Dio tutto è possibile”, la fede del cristianesimo implica che tutto è possibile anche per l’uomo. Nella visione cristiana ha qui il proprio fondamento la libertà umana, che trova la sua fonte e garanzia appunto in Dio. Dove è lo Spirito di Dio, proprio lì sta la libertà; se invece non c’è Dio, non c’è neanche la libertà.

Nella prospettiva a cui ora si è fatto cenno, è centrale la relazione di laicità tra il cristianesimo e il mondo, tra l’annuncio di Cristo e l’uomo in generale, che sta nel riconoscere l’autonomia e la consistenza della creazione e, di conseguenza, l’atteggiamento di rispetto verso il mondo, nel quadro della salvezza del cosmo e del regno di Dio.

Paradossalmente si può affermare che “Dio è laico”. Nella sua libertà, egli dà inizio con un atto creativo all’universo, lo riconosce “buono”, cioè conforme con il fine e l’ordine della creazione stessa; e crea l’uomo a sua immagine e somiglianza; alla persona lascia anche la possibilità di errare, di peccare.

In questo medesimo senso si può capire perché qualche teologo abbia affermato la laicità di tutta la Chiesa. Non a caso Paolo VI, parlando della Chiesa appunto, ha detto che essa ha un’autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri: espressioni, queste, che sono state riprese alla lettera nell’Esortazione Christifideles Laici di Giovanni Polo II.

3. Su questa linea – prosegue Siniscalco – si rende necessaria una terza riflessione. Nel piano di Dio la santificazione e la salvezza delle persone avvengono all’interno di una dimensione comunitaria. Dio ha voluto scegliere e costituire un popolo che lo riconoscesse e lo servisse. L’antico patto, l’alleanza con i giudei, ha preparato e “figurato” il nuovo patto: da esso è nata la Chiesa ex iudaeis et gentilibus. Cristo ha infranto il muro che separava gli uni dagli altri e ha unito in sé ambedue i “popoli” nell’unico “uomo nuovo”, riconciliato con Dio mediante la croce.

I popoli dunque sono strutture interne al disegno della salvezza, sono pienamente coinvolti nell’opera di Dio. Con ciò la dimensione personale della “chiamata”, o la rilevanza della coscienza del singolo, non sono minimamente scalfite, ma introdotte in una linea comunitaria essenziale nel progetto di Dio. Precisamente per il rapporto con l’altro l’uomo può vivere l’Assoluto, dato che per la rivelazione biblica l’Assoluto altro non è che l’Uno-comunione.

Ne derivano conseguenze importanti sul piano della vita della Chiesa che, a loro volta, si riverberano nella vita del mondo. Il popolo di Dio nei primi secoli della nostra éra, e oggi di nuovo – secondo le prospettive robustamente indicate dal Vaticano II –, è percepito come l’essere profondo della Chiesa. Il popolo è prima della distinzione nella Chiesa tra laico e chierico: prima della distinzione, perché l’emanazione di Cristo è un popolo. Questo popolo è una comunità, e nella comunità c’è anzitutto l’uguaglianza, e poi l’autorità, la quale ultima è un servizio al popolo. 

Ancora nella Christifideles Laici, al numero 15, si legge: “La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell’uguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del popolo di Dio”. La dignità battesimale rende quindi partecipi tutti i membri della Chiesa di un unico dono, che è la grazia di Dio, e tuttavia questa comune radice assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo dai presbiteri e dai religiosi. Poiché, prosegue l’Esortazione apostolica, “tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare, ma lo sono in forme diverse, il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio. Ivi sono da Dio chiamati, in quanto persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti d’amicizia, rapporti sociali, professionali, culturali”.

Qui esattamente si tratta della “laicalità” propria dei laici, e non di tutti i membri della Chiesa. Per i laici, infatti, il mondo diviene l’ambito e il mezzo della loro vocazione cristiana. Nella loro situazione intramondana, Dio manifesta il suo disegno, e comunica loro la particolare vocazione di “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (Lumen Gentium 31).

4. Siniscalco aggiunge infine una conclusione alle sue tre riflessioni, e così concludo anch’io. 

Laicità e laicalità, puntualizza Siniscalco, sono in sostanza le basi dell’essere e dell’agire del laico. Ambedue sono essenziali. Ambedue hanno il loro fondamento e il loro modello nel mistero del Dio neotestamentario, che è uno e trino. Occorrerebbe studiare dell’una e dell’altra la consistenza scritturale, storica, teologica, pastorale, esistenziale. E’ mia impressione – afferma Siniscalco – che finora i due elementi siano stati talvolta confusi o non siano stati sufficientemente distinti e approfonditi. D’altronde non si può dimenticare che, se l’esperienza del laico cristiano è stata continua durante i secoli, la riflessione su tale esperienza, e la consapevolezza che ne deriva, si stanno sviluppando solo da qualche tempo a questa parte: ed è notevole il fatto che esse prendano luce dai primi secoli cristiani.

Da una parte la laicità è la dimensione nuova e propria del cristianesimo. Essa esige la distinzione – che non è separazione né confusione – tra piani diversi, che pure agiscono in modo unitario nella vita dell’uomo. Di qui ha origine il rispetto per ogni realtà, che ultimamente è il riconoscimento di quella libertà che Dio ha dato all’uomo.

Dall’altra parte la laicalità è una dimensione (e una vocazione) che prende vita nell’ambito della comunità, corpo di Cristo, dove le funzioni e i compiti sono diversi, ma unica è la dignità per il battesimo ricevuto.

Sopra tutto e per tutti, nella Chiesa prevale l’essere “semplicemente” cristiani, quale che sia la vocazione e il servizio a cui ciascuno risponde nell’orizzonte ecclesiale e secolare.

+ Enrico dal Covolo 

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