Mons. Dal Covolo, Memoria e pace

COLTIVARE LA MEMORIA

E’ COSTRUIRE LA PACE

Sant’Ivo alla Sapienza, 25 ottobre 2022

Mi introduco al tema suggestivo che mi è stato affidato  (Coltivare la memoria e/è costruire la pace) riferendomi a a quel grande biblista e studioso dei Padri della Chiesa e delle origini cristiane, che fu il cardinale Carlo Maria Martini. 

Alla domanda: “Il messaggio degli antichi autori è davvero attuale per la cultura di oggi?” (il che, per noi oggi, sta a dire, appunto: che rapporto c’è tra la memoria storica e la cultura della pace?), Martini rispose decisamente, più o meno in questi termini: “Sicuramente, c’è un rapporto formidabile. Gi autori antichi, di cui è doveroso conservare la memoria – sia dei classici pagani, come degli autori cristiani – ci sono vicini soprattutto nella riflessione sulle radici della nostra cultura”. 

“Essi”, proseguiva il compianto cardinale, “hanno contribuito decisamente a diffondere il messaggio della sapienza, e il loro studio non è un puro ritorno alle origini, ma è in continuità con i problemi della cultura e della società di oggi. In definitiva, appare doveroso e urgente impegnarsi per una scoperta ulteriore di questi antichi scrittori nella formazione intellettuale, culturale e spirituale, a cominciare dai giovani che frequentano la scuola e l’università”. 

“Ritengo infatti – concludeva Martini – “che valgano per tutti le parole con cui san Benedetto, patrono d’Europa, terminava la sua Regola, invitando i monaci alla lettura degli Antichi, poiché, spiegava, tali insegnamenti possono condurre l’uomo al grado più alto della perfezione”. 

Qui il riferimento del compianto cardinale va diritto a Benedetto, uomo di pace e patrono dell’Europa: ma questo è un altro argomento, di cui ho già parlato alter volte.

1, Di conseguenza – ed è questo il messaggio che vorrei  lasciare a voi questa sera: e ve lo comunico da vero salesiano! –, occorre investire generosamente nel campo dell’educazione giovanile, perché la cultura di questa vecchia Europa (troppo spesso “sazia e disperata”) possa trovare una linfa nuova.

Naturalmente, per poter accostare in modo fecondo gli antichi scrittori, classici e cristiani, occorre guardarsi da due rischi estremi, fra loro contrapposti. 

C’è da una parte il rischio di chi pretende di rintracciare nella memoria del passato formule idealizzate o ricette immediatamente utilizzabili nel nostro oggi.

Nelle mie ricerche ho studiato con particolare interesse i primi tre secoli della Chiesa. Mi è parso chiaro che in questo periodo i cristiani si trovarono ad essere autentici soggetti di una “nuova cultura” nel confronto ravvicinato tra eredità classica e messaggio evangelico. 

Ma le soluzioni del dialogo tra fede e cultura non furono certo univoche: talvolta nella stessa persona – come si può vedere nel caso emblematico di Tertulliano – si riscontrano atteggiamenti intolleranti, e viceversa posizioni aperte e possibiliste. In ogni caso questi atteggiamenti vanno valutati come delle “realizzazioni storiche”, che non possiedono, come tali, altro magistero, se non quello – altissimo tuttavia per se stesso – della storia.

L’altro rischio è quello di chi non è disposto ad accettare il carisma della tradizione. Da parte mia sono convinto che lo studio delle antiche testimonianze è sorgente di discernimento per l’uomo di ogni tempo. 

Per un cristiano, poi, il periodo delle origini cristiane – di cui Nicea (325) rappresenta per molti aspetti un traguardo oggettivo – conserva un valore tutto speciale. E’ il momento in cui il deposito della fede apostolica si consolida nella tradizione della Chiesa. E proprio riguardo al tema specifico della pace – così come è affrontato nei primi tre secoli cristiani – mi è parso opportuno intervenire a Sidney, nel Congresso mondiale delle Scienze storiche

2. Per restare nella nostra questione – quella della memoria storica e della pace – l’incontro tra il cristianesimo e la cultura classica produsse frutti decisivi, tali da non poter essere mai più dimenticati – sui piani del rispetto e del recupero delle diverse culture e della storia intera, dell’individuazione di una comune “anima cristiana” nel mondo e della formulazione concreta di proposte di pace nella convivenza umana. 

Da questo punto di vista il ricorso attento e vigile ai classici è utile, e addirittura necessario, per comprendere e interpretare il nostro presente. 

Ritengo che tale ricorso sia particolarmente valido dinanzi ad alcune questioni, che forse oggi più di ieri appassionano l’uomo, e in particolare interessano la cultura della pace (per esempio la questione sociale in genere, la questione femminile, la valutazione dei cosiddetti “diversi”, il rapporto fede-mondo, la questione ecologica…), perché in ciascuna di tali questioni il magistero della storia può contribuire decisamente a illuminare problemi e soluzioni.

Porto ancora come esempio il caso emblematico di Tertulliano (Apologeticum 17 e 37), e la sua celebre affermazione che “la nostra anima è naturaliter cristiana” (qui Tertulliano evoca la perenne attualità degli autentici valori umani e cristiani); e anche l’altra sua riflessione, mutuata dal Vangelo, secondo cui “il cristiano non può odiare nemmeno i propri nemici” (dove il risvolto morale, ineludibile, propone la non violenza come regola di vita: e non è chi non veda la drammatica attualità di questo insegnamento, proprio per quanto riguarda le nostre riflessioni di questa sera, e soprattutto la tragica situazione del mondo, nel corso di una terza guerra mondiale praticamente in atto).

Svolgo infine una riflessione conclusiva.

Il nostro mondo vive quella che è stata definita la “cultura della (post)globalizzazione”, dentro a una sorta di “dittatura del relativismo” e del paradigma tecnocratico; cioè, alla fine, la scala dei valori che oggi impera sembra trovare il suo vertice nella finanza e nella tecnologia. 

E’ una cultura che in verità conosce numerose contraddizioni, esposta com’è al rischio ricorrente di dolorose frammentazioni. 

In ogni caso, è una cultura che comporta gravi pericoli, che sono anzitutto quelli dell’“appiattimento” culturale e – al limite – di una dolorosa perdita dell’identità propria di ciascuno. 

L’itinerario storico, copiosamente illustrato dalle letterature classica e cristiana antica, insegna qualche cosa di decisivo sul mistero della persona umana e sui suoi irripetibili drammi esistenziali, sul rapporto “non globalizzabile” dell’uomo con Dio, con gli altri, con il mondo circostante, sui diversi cammini dei popoli alla ricerca della loro identità, sulla speranza dell’uomo di poter raggiungere la Verità, sulla pace…

E’ ben noto il celebre asserto, divenuto proverbiale: Historia magistra vitae. Certo, la storia è davvero maestra di vita, a patto però che essa trovi discepoli disposti ad ascoltarla: diversamente, senza scolari, la storia rimane una povera maestra di vita.

Viene da chiedersi se noi – uomini e donne di questo tempo – siamo veri discepoli della storia. Evidentemente non abbiamo ancora imparato una delle lezioni più importanti della storia: che con la guerra tutto può essere perduto, mentre la pace è la condizione indispensabile per edificare una civiltà a misura d’uomo.

Ci auguriamo tutti che il ricorso generoso alla storia e alla letteratura dei nostri Centro interuniversitario di studi e di iniziative, intitolato a Sant’Ivo alla Sapienza – contribuiscano a renderci discepoli attenti della storia, per costruire un mondo più unito, autenticamente umano, in cui ogni persona è un fratello e una sorella da amare e da servire, fino al dono della propria vita.

                                                                                    + Enrico dal Covolo

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