Mons. Dal Covolo, Omelia per Don Bosco

OMELIA PER LA SOLENNITA’ DI DON BOSCO

Letture:

Geremia 1,4-8

Filippesi 4,4-8

Matteo 18,1-6.10

1. Abbiamo sentito narrare nella prima lettura la storia della vocazione di un ragazzo, di nome Geremia. Geremia diventerà poi un grande profeta dell’Antico Testamento.

Questa storia di molti secoli fa ce ne richiama un’altra, più vicina a noi nel tempo. E’ la storia della vocazione di san Giovanni Bosco. 

C’è una canzone molto nota, che dice così: «Camminiamo sulla strada che han percorso i santi tuoi…». Ebbene, oggi noi vogliamo parlare della strada percorsa da lui, da Don Bosco – quel santo, che Giovanni Paolo II (il quale, sia detto tra parentesi, di santità se ne intendeva molto bene…) ha definito solennemente “il padre dei giovani” –. 

In buona sostanza, la strada di Don Bosco si snoda tra un sogno e un pianto.

«A nove anni» – ecco il sogno, raccontato da Don Bosco stesso nelle sue Memorie – «a nove anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole. In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Il Signore mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi…».

Da questo sogno si snoda tutta la strada di Don Bosco.

Non sto qui a raccontarla di nuovo. Richiamo solo una celebre scena, molto felice, di un  film su Don Bosco, quello del centenario della sua morte. Si vede Giovannino, che per divertire i suoi piccoli compagni dei Becchi, fa il funambolo, e cammina in equilibrio sulla corda, a piedi scalzi, da un albero all’altro. E una voce fuori campo, la voce di Don Bosco adulto, commenta: “Nella mia vita ho sempre dovuto camminare così: guardando avanti e in alto. Diversamente sarei caduto giù…”. Don Bosco sa che a partire da quel primo sogno la sua vita è tutta guidata dall’alto: tutto scorre come se fosse stato pensato prima, per un provvidenziale disegno d’amore dedicato alla salvezza dei giovani.

E’ questa consapevolezza matura, convalidata dai numerosi segni che Don Bosco stesso sperimentò lungo il suo cammino, la causa del lungo pianto, il 15 maggio 1887, pochi mesi prima della sua morte, nella Basilica del Sacro Cuore a Roma. 

Don Bosco ha appena portato a termine la costruzione della chiesa, tra infinite difficoltà e fatiche, per obbedire a un preciso invito del Papa. Sostenuto da don Rua, che diventerà poi il suo successore, e da don Viglietti, il fedele segretario, scende nella chiesa per celebrare la Messa all’altare di Maria Ausiliatrice. La folla si accalca attorno all’altare. 

Ed ecco, appena cominciata la Messa, Don Bosco scoppia a piangere. Un pianto lungo, irrefrenabile, che accompagna tutta la Messa. Don Rua e don Viglietti sono impressionati. Tra la gente c’è un silenzio teso, che quasi si tocca. Alla fine della Messa, Don Bosco deve essere portato di peso in sacrestia. Don Viglietti gli sussurra: «Don Bosco, ma perché?…». E lui: «Avevo davanti agli occhi, viva, la scena del mio primo sogno, a nove anni».

In quel lontano sogno, gli era stato detto: «A suo tempo, tutto comprenderai». Ora, guardando indietro nella sua vita, gli pareva di comprendere tutto. 

2. Adesso diamo uno sguardo alla terza lettura, il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato.

E’ l’inizio di un discorso importante di Gesù sulle caratteristiche distintive di ogni comunità cristiana. 

C’è una domanda, una risposta e una parabola.

La domanda è espressa dai discepoli in questi termini: “Chi è il più grande nel Regno dei cieli?”. 

Allora Gesù prende un bambino, e spiega che, se non si faranno piccoli così, non entreranno proprio nel Regno dei cieli. Poi sposta il discorso sullo scandalo. Guai a voi, dice, se scandalizzerete una sola di queste persone semplici… E conclude la sua risposta con una breve parabola, quella della pecorella smarrita, riportata anche da Luca tra le parabole della misericordia. 

Ma qui, in Matteo, la parabola della pecorella smarrita ha un senso un po’ diverso: in Luca è la parabola di Dio misericordioso, padre del figlio prodigo, che lascia le novantanove pecore per cercare quell’unica che si era perduta; in Matteo è piuttosto la parabola della comunità cristiana, che non può mai “perdere di vista” le pecorelle più deboli. In Luca l’accento va tutto sulla misericordia di Dio; in Matteo, invece, l’accento va sull’impegno della comunità, affinché nessuna pecorella vada perduta.

Che cosa significa tutto questo per noi?

Per essere “grandi in senso evangelico” – non secondo le logiche di potere del mondo, ma secondo la sapienza del Vangelo –, persone e comunità devono essere realmente “sbilanciate” dalla parte dei piccoli, di chi ha più bisogno, di chi fa più fatica…

3. Proprio questa attenzione privilegiata ai piccoli è il cardine del metodo educativo di Don Bosco e del cosiddetto sistema preventivo

Così l’attenzione privilegiata ai piccoli, e la coerente amorevolezza che Don Bosco ci raccomanda, rappresentano un valore irrinunciabile per tutte le comunità cristiane, ma in modo particolare per chi vuole condividere il metodo educativo, il carisma di san Giovanni Bosco. 

Ma – obietterà forse qualcuno – non si rischia così di mortificare chi è più ricco di doti? Un comportamento di questo genere non rischia di “appiattire” la comunità? 

Risponde Dietrich Bonhoeffer, un pastore protestante che, per la sua statura morale, non esiterei a mettere a fianco di san Massimiliano Kolbe. 

Il pastore Dietrich – uno dei protagonisti del famoso attentato contro Hitler – aveva meditato a lungo sul capitolo 18 di Matteo, prima di essere impiccato nel carcere di Flossenburg, e ha lasciato scritte alcune parole, che non dovremmo mai dimenticare. Eccole: “Ogni comunità deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma anche i forti non possono fare a meno dei deboli. L’esclusione dei deboli è la morte della comunità” (La vita comune, trad. it., Brescia 1969, pp. 143-144).

Chi è più grande? Più grande è colui che si fa piccolo; chi – per servire gli ultimi – da ricco si fa povero, e nulla considera un privilegio per sé. Più grande è chi “butta” la sua vita per gli altri, soprattutto per i più piccoli e per i più poveri.

Il dono di sé – quello che Gesù Cristo proclama con la sua esistenza – è veramente “la chiave della vita”. Ma, per esperimentare questo, occorre che ci mettiamo con decisione sulla strada dei santi, la strada di Don Bosco. La storia della sua vocazione è come un «testimone» da raccogliere nelle nostre mani, è una consegna per tutti noi: che sulla stessa strada ci troviamo a camminare anche noi, ciascuno con la sua irripetibile storia di vocazione, con tutta la fede e la passione di cui siamo capaci.

E allora – volgendoci indietro a guardare il tempo che scorre, all’alba di questo nuovo anno di grazia –, allora anche a noi sembrerà di comprendere tutto: che tutto è grazia, perché il dono e le promesse di Dio non deludono mai.

                                                                        + Enrico dal Covolo