Mons. Dal Covolo, Papa Luciani verso gli altari

LUCIANI IN CAMMINO VERSO GLI ALTARI

                                                                                        + Enrico dal Covolo, S.D.B.

    1. L’inchiesta informativa diocesana: i primi inizi del Processo canonico e le sue motivazioni

Gli inizi dell’inchiesta diocesana sull’eroicità della vita e delle virtù e sulla fama di santità di Giovanni Paolo I sono intimamente collegati con il ministero episcopale di Mons. Vincenzo Savio, Vescovo della Diocesi di Belluno-Feltre dal 9 dicembre 2000 (entrò in Diocesi il 18 febbraio 2001) fino al giorno della sua morte, avvenuta il 31 marzo 2004.

L’8 giugno 2003, solennità di Pentecoste, Mons. Savio comunicava alla Diocesi di aver ottenuto dal Vicario di Roma, card. Camillo Ruini, “una risposta gioiosamente affermativa” di fronte alla sua richiesta di trasferire da Roma a Belluno la sede del Processo diocesano per la beatificazione e la canonizzazione di Albino Luciani: in linea di principio, infatti, il tribunale diocesano competente avrebbe dovuto essere quello di Roma, dove era avvenuta la morte del Servo di Dio.

In quell’occasione Mons. Savio spiegò i motivi che l’avevano condotto a formulare la sua richiesta: Albino Luciani aveva vissuto la sua infanzia, la formazione seminaristica, il suo servizio presbiterale e di vicario generale nella Diocesi (che allora si chiamava “di Feltre e Belluno”) fino all’età di 46 anni; e i suoi impegni da Vescovo non lo avevano allontanato dalla terra veneta se non per i 33 giorni del suo pontificato. Affiancavano queste motivazioni, a dire di Mons. Savio, “la possibilità di vivere una più opportuna riflessione sulla santità ordinaria a cui ci richiama la lettera programmatica del Papa Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte; di approfondire il contesto di fede familiare e paesano in cui Albino Luciani era cresciuto; di capire la particolarità della formazione dei seminari di Feltre e di Belluno, da cui uscirono in quegli anni figure di spicco, in particolare padre Felice Cappello e padre Romano Bottegal, che costituiscono con papa Luciani una terna luminosa di preti avviati agli onori dell’altare e della testimonianza di santità per il mondo”.

Ci furono anche altre ragioni che spinsero il Vescovo Savio ad avviare il Processo di papa Luciani?

Pare di sì. Se ne trova traccia nella lettera da lui indirizzata al neoeletto Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, con la quale il Vescovo giustificava la richiesta del Postulatore della Causa nella persona stessa del Postulatore dei Salesiani (“I Francescani”, scriveva tra l’altro Mons. Savio, “hanno offerto il Postulatore per Papa Giovanni; i Gesuiti per Pio XII e per Paolo VI. Come Salesiano, mi sarebbe quanto mai gradito affidare alla nostra Congregazione la Causa di Giovanni Paolo I”).

Ecco il passaggio più significativo della sua richiesta al Rettor Maggiore: “Mi hanno indotto a questo passo”, cioè ad introdurre la Causa, “le oltre 300.000 (trecentomila) firme di petizione che ci sono pervenute, unitamente alla richiesta solidale di tutto l’Episcopato brasiliano. A questo va aggiunta l’urgenza di coordinare il pullulare di iniziative disparate, promosse in tutto il mondo da sedicenti devoti e promotori della Causa di beatificazione di papa Luciani”.

2. La sessione di apertura

Ottenuto in data 17 giugno 2003 il “nulla osta” della Congregazione per le Cause dei Santi, Mons. Savio poté aprire ufficialmente il Processo nella Cattedrale di San Martino, il 23 novembre dello stesso anno.

Attore della Causa era il “Centro di Spiritualità e Cultura ‘Papa Luciani’ di Santa Giustina Bellunese” (il cui Legale Rappresentante è il Vescovo diocesano); Postulatore era don Pasquale Liberatore, Postulatore generale per le Cause dei santi della Famiglia Salesiana (come si è visto, il Vescovo Savio, da buon Salesiano, aveva chiesto al Rettor Maggiore di “poter usufruire del Postulatore” dei Salesiani); vice-Postulatore mons. Giorgio Lise, Direttore del “Centro Papa Luciani”.

Ma prima di quel 23 novembre, quando il Processo venne solennemente aperto alla presenza del card. Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, erano ormai intervenute due tristi novità. Anzitutto era morto improvvisamente don Pasquale Liberatore, che aveva preparato con grande sollecitudine la documentazione necessaria per l’inizio dell’inchiesta diocesana. Aveva dedicato le ultime ore di vita a predisporre il formulario per l’interrogatorio dei testimoni da udire nel Processo. Con il tavolo dell’ufficio ancora ingombro di queste carte, si era ritirato nella sua camera nel primo pomeriggio del 30 ottobre. Solo all’indomani ci si accorse che era spirato serenamente. Aveva stampato sul volto lo stesso sorriso di papa Luciani.

In secondo luogo il Vescovo Mons. Savio, fin dall’autunno del 2002, aveva annunciato alla Diocesi di essere colpito da una grave malattia, un tumore, che di fatto l’avrebbe condotto alla fine della vita nel marzo 2004.

3. L’andamento del Processo diocesano

Eppure, nonostante i dolorosi lutti di cui abbiamo fatto cenno, l’andamento del Processo non subì rallentamenti di sorta.

Uno dei primi atti di Mons. Giuseppe Andrich, Amministratore Diocesano alla morte di Mons. Savio, e poi suo successore come Vescovo, fu quello di nominare il nuovo Postulatore nella mia persona (29 aprile 2004). 

Dal 9 dicembre 2003, infatti, avevo preso il posto di don Pasquale Liberatore nella Postulazione della Famiglia Salesiana. A mia volta, confermai don Giorgio Lise nel suo incarico di vice-Postulatore.

Come si sa, l’inchiesta diocesana si compie soprattutto in due momenti: l’audizione dei testimoni, citati in apposite sedute del tribunale, e il lavoro della commissione storica, che alla fine deve presentare una relazione di sintesi con l’elenco degli archivi visitati, la lista degli scritti e dei documenti raccolti, e gli stessi scritti e documenti in originale o in copia autenticata.

Nel caso specifico, sia nella citazione dei testimoni sia nel lavoro della commissione storica, si è tenuto conto delle varie sedi attraversate da Albino Luciani nella sua vita, e in modo particolare delle Diocesi di Feltre e Belluno, di Vittorio Veneto (dove Luciani fu Vescovo dal 1958 al 1969), del Patriarcato di Venezia (dove egli fu Pastore fino al 1978) e della Sede petrina, negli ultimi 33 giorni della sua vita.

A Roma venni personalmente autorizzato a consultare l’Archivio Segreto Vaticano e quello della Congregazione per i Vescovi.

Siccome il lavoro dei due organismi, cioè del tribunale e della commissione storica, era parso ormai a buon punto, il Vescovo mons. Andrich, d’accordo con i suoi Collaboratori, decise di concludere l’inchiesta diocesana nel giorno della festa della Chiesa cattedrale, dedicata a san Martino di Tours (precisamente nei primi Vespri, e dunque nella serata del 10 novembre 2006).

4. I passi ulteriori, e la cessazione del mio incarico di Postulatore

Come si sa, nel momento stesso della conclusione del Processo diocesano i relativi Atti (il cosiddetto transunto) vengono trasferiti a Roma, presso la Congregazione per le Cause dei Santi, che è chiamata anzitutto a dare “validità canonica” agli Atti stessi, riconoscendone il corretto svolgimento.

La “validità canonica” degli Atti venne concessa dal card. J.A. Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in tempi brevi, il 13 giugno 2008.

Sulla base di questi Atti, riconosciuti “validi”, si iniziò a preparare la cosiddetta positio, cioè il dossier che deve dimostrare definitivamente l’eroicità della vita e delle virtù, nonché la fama di santità del Servo di Dio. A positio conclusa e consegnata, succedono essenzialmente due sessioni di esame: il Congresso peculiare dei Consultori teologi, e la Congregazione ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi.

A questo punto il Santo Padre, in una speciale udienza concessa al Cardinale Prefetto della stessa Congregazione, interviene a riconoscere e a confermare l’eroicità della vita e delle virtù, nonché la fama di santità del Servo di Dio, che assume ormai il titolo di “Venerabile”.

Ho potuto seguire queste fasi del Processo fino al 16 ottobre 2015, quando – come Postulatore della Causa – subentrò al mio posto il card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione del Clero, che proprio da Albino Luciani era stato ordinato sacerdote.

Nel frattempo, avevo potuto consegnare al card. Angelo Amato, Prefetto delle Cause dei Santi dopo il card. Saraiva Martins, il primo volume della Positio, che – al completo – risultò poi di cinque volumi. Occorre ringraziare per questo la dott.ssa Stefania Falasca, che io stesso avevo scelto come mia preziosa Collaboratrice.

Al termine delle imponenti indagini del caso, l’8 novembre 2017 il Papa Francesco sancì il Decreto sulla eroicità della vita e delle virtù di Papa Luciani, attribuendogli il titolo di Venerabile.

Infine, il 13 ottobre 2021 lo stesso Papa Francesco riconobbe la validità di un miracolo attribuito all’intercessione di Albino Luciani, spalancandone così la strada della beatificazione.

5. Un’eleganza della Provvidenza

Chi scrive queste note è nativo di Feltre: è dunque originario della stessa Diocesi di papa Luciani.

Bisogna dire di più. Il mio zio, fratello del mio papà, è Mons. Antonio dal Covolo (1912-1993), ben noto al clero di Belluno-Feltre, perché fu preside del Seminario Gregoriano di Belluno e docente di Teologia morale (più tardi si sarebbe trasferito a Roma, per insegnare nell’Università Lateranense), nei medesimi anni in cui don Albino Luciani, suo coetaneo, era vicario generale della Diocesi.

Ricordo che, quando ero bambino, spesso don Albino veniva a casa della nonna, donna Maria, dove abitava Mons. Antonio, in piazza di Santa Croce a Belluno. Vi si intratteneva con tanta cordialità, occasionalmente giocando a dama e a scacchi con i nipotini che venivano a trovare la nonna, lo zio e il suo Confratello don Albino.

“Tutto si tiene”, mi viene da dire a questo proposito, citando Il Santo Papa Giovanni Paolo II. Sono stato per otto anni Rettore dell’Università Lateranense 2010-2018, dove ha insegnato il mio zio Mons. Antonio.

Sono attualmente (dal 2018) Assessore nel Pontificio Comitato di Scienze Storiche; ma non potrò mai dimenticare quell’umile sacerdote, don Albino, che – quasi come un salesiano – sapeva giocare con i miei fratelli e con me.

                                                                                 + Enrico dal Covolo, S.D.B.

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