Mons. E. Dal Covolo, Libertà religiosa e principio di laicità

LIBERTA’ RELIGIOSA E PRINCIPIO DI LAICITA’

Dai primi secoli cristiani all’oggi della Chiesa

L’argomento che mi è stato proposto è complesso e delicato. Mi limiterò a puntualizzare alcune questioni, che attraversano i due millenni della storia della Chiesa.

    Tengo sullo sfondo delle mie argomentazioni due volumi, che ho pubblicato quest’anno. Il primo è così intitolato: «Semi del Verbo nella storia». Percorsi biblici e patristici dal primo al quinto secolo, Veritatem inquirere 6, EDUSC, Roma 2021, 176 pp. Il secondo, che ho curato insieme a Giulia Sfameni Gasparro, è il seguente: Pagani e Cristiani. Conflitto, confronto, dialogo. Le trasformazioni di un modello storiografico, Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Atti e Documenti 60, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, 392 pp.

1. Vale anzitutto la ben nota raccomandazione di non giudicare con gli occhi di oggi la realtà di ieri. Anche se – espressa in questo modo, la raccomandazione sembra paradossale (nessuno storico di oggi ha gli occhi di ieri!) – essa contiene tuttavia un’anima di verità. Mette in guardia, se non altro, dai troppo facili anacronismi. Giusto per fare qualche esempio, l’emotività antica del sentire religioso – che da sempre ha segnato, e continua segnare, il rapporto della persona con il Divino – solo con molte riserve può essere misurata con le moderne analisi della psiche, di cui oggi noi ci avvaliamo, grazie allo sviluppo delle scienze umane.

Pure il concetto di laicità va accostato con molta cautela. Il termine non ricorre formalmente nei testi patristici, anche se vi è presente nella sostanza. Essenzialmente, il termine laicità e il principio che ne deriva indicano un atteggiamento di rispetto delle realtà naturali, e un coerente rifiuto di sovrapporre ad esse un valore sacrale a quello loro proprio già in radice. Ma per quanto riguarda la politica (che è una realtà prettamente laicale, orientata al bene della società civile) il legame con la religione e con il sacro, sia tra i pagani, sia tra i cristiani dei primi secoli era praticamente indissolubile. Così uno sgarro nella religione poteva essere giudicato e punito come sedizione e rivolta contro l’istituzione civile. 

E veniamo all’idea di “libertà e di tolleranza religiosa”. Essa è di chiaro sapore illuministico. Per esempio, parlare di “tolleranza religiosa” ai tempi di sant’Ambrogio è un classico anacronismo.

Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è affrancata appieno da una concezione della religione, che affonda le sue radici nella cultura greco-romana (e prima ancora), e che poi è poi trascorsa nella Chiesa – più a lungo e saldamente nella Chiesa d’Oriente – con la cosiddetta “svolta costantiniana”.

2. Una seconda osservazione, collegata con la precedente, induce ad affermare che il vero scontro tra pagani e cristiani – che fu realmente segnato da momenti di grave violenza, dalla prima, ma talvolta anche dalla seconda parte – trova il suo fondamento nella questione della vera religio e nella “pretesa veritativa” del Vangelo: Ego sum via et veritas et vita, ha detto Gesù (Gv 14,6). 

3. Ma ci sono voluti duemila anni perché si potesse accogliere tale predicazione del Maestro in maniera autenticamente evangelica. 

Al riguardo, mi limito a citare il celebre Discorso di san Paolo VI all’Organizzazione delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), alla vigilia ormai della conclusione del Concilio, un anno dopo la promulgazione del Decreto Unitatis Redintegratio.

Insieme alla sollecitudine sincera per il dialogo con le nazioni del mondo e le loro religioni, in quell’occasione il Papa non volle rinunciare all’esplicito annuncio di Cristo, pur rispettando la laicità dell’istituzione. Anche nel profondo rispetto della “sana laicità” dei valori intramondani, a Paolo VI urgeva pur sempre richiamare l’Assoluto, la pienezza del bene. I Padri della Chiesa, a lui tanto cari, parlerebbero a questo proposito dei “semi” del Verbo di verità, sparsi in qualunque cosa vi sia di buono e di autenticamente umano. Ma solo il Verbo di verità – Gesù Cristo Signore – porta a maturazione questi medesimi “semi”, che lo Spirito sparge nel mondo.

    Così nel suo Discorso alle Nazioni Unite il Papa concludeva con un chiaro annuncio: “L’edificio della moderna civiltà”, affermò con decisione, “deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono che fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo? Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini”.

4. Siamo giunti così a un punto d’arrivo. 

In ogni suo intervento, Paolo VI – che pure ha sempre dichiarato il suo rispetto profondo, sinceramente aperto al dialogo, verso i non credenti e verso i credenti di altre religioni, verso gli Ebrei e i fratelli cristiani separati – non ha mai cessato di mettere al centro dei vari cerchi del dialogo (ecco perché “concentrici”) l’annuncio di Gesù Cristo e della sua Chiesa.

    Si deve parlare anzi del cristocentrismo – non certo di un preteso, quanto errato, “ecclesiocentrismo” – di Paolo VI. La parola di sant’Ambrogio risuonava sempre nella mente e nel cuore di questo Arcivescovo di Milano, divenuto Papa e santo: Omnia Christus est nobis!

    “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo!” – egli avrebbe confessato, con accenti appassionati, il 29 novembre 1970 a Manila, nel corso di un altro viaggio emblematico del dialogo con credenti e non credenti –. “Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Gesù, il Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra!”.

    Inseguendo la spiritualità del cuore di Papa    Montini, nella linea giovannea e agostiniana della sua dottrina, possiamo affermare che la vera conoscenza viene dalla fede e dall’amore; invece, quando la ragione si avvita su sé stessa, non è più in grado di approdare alla percezione del mistero.

    Questa affermazione – che ho appena fatto, e che riecheggia intenzionalmente il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI – trova un anticipo ricco di significati nelle parole, che ora cito, di un grande amico ed estimatore di Paolo VI, mons. Pietro Rossano. Lo ricordo, anche perché egli fu tra i miei predecessori nella guida dell’Università Lateranense. Queste parole hanno un sapore indubbiamente “montiniano”: “Solo la conoscenza accompagnata da affetto raggiunge la verità; la parola senza amore è menzogna. E’ questo il mio principio per il dialogo con le religioni”. 

Nullum noscitur, quod non amatur, affermava Agostino. Non c’è amore senza conoscenza, né conoscenza senza amore.

    Ecco: la centralità affettuosa – senza proselitismo alcuno – di Cristo, Parola del Dio vivente, ha illuminato costantemente la vita e l’insegnamento di Paolo VI, in piena consonanza con il magistero conciliare: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”, dichiara la Costituzione Gaudium et Spes; e prosegue, poco più avanti: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (n. 22). 

E mons. Rossano – un biblista attento, che i vicini e i lontani chiamavano con ammirazione, e forse con una punta di invidia, Monsignor Dialogo – aggiungeva ancora: “I valori esterni della cultura sfumano in un silenzio, che sarebbe infinito e mortale, se non ci fosse la Parola di Dio”, anche quando essa è collocata “nel chiaroscuro in cui la contiene la Bibbia”. 

“Gesù Cristo!”, proseguiva da parte sua Paolo VI a Manila, “tu sei il rivelatore del Dio invisibile, tu sei la via, la verità, la vita!”.

    Immersi nel chiaroscuro dell’esistenza terrena, noi restiamo pur sempre di fronte all’interrogativo cruciale, posto duemila anni fa dallo stesso Gesù di Nazaret: “Voi, chi dite che io sia?”.

    La risposta a questa domanda – la risposta che stava nel cuore di Paolo VI, mentre svolgeva il suo dialogo con l’Assemblea delle Nazioni Unite – la conosciamo molto bene. E’ la risposta definitiva dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.

5. Dialogo e annuncio insieme, non l’uno senza l’altro. Così è nella tradizione cristiana autentica, dai Padri apologisti, fino a Papa Francesco.

Riguardo all’annuncio, mai disgiunto dal dialogo, concludo con una citazione dell’Esortazione apostolica programmatica di Francesco, la Evangelii Gaudium, che fin dal titolo intende riagganciarsi all’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. 

In questa citazione di Francesco troviamo un rinnovato slancio nel dialogo con il mondo e nell’annuncio del Vangelo. Vi si parla di una “Chiesa in uscita”, dunque di una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: ‘Sarete beati se farete questo’ (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze” (24).

6. In definitiva, è questo il cammino – costantemente ribadito da Papa Francesco nei suoi viaggi apostolici, che sembrano allargare i “cerchi del dialogo” di Paolo VI – su cui si stanno muovendo il dialogo e l’annuncio nel Cristianesimo di oggi. 

Ritengo che in questo orizzonte definitivo vada studiato – senza anacronismi di sorta – il tema della libertà religiosa e della laicità nel chiaroscuro della storia. 

                                                  + Enrico dal Covolo

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