Due testi decisivi di M. Heidegger

Se posso rispondere brevemente, e forse [284] un po’ grossolanamente, ma sulla base di una lunga riflessione, direi così: la filosofia non potrà produrre nessuna modificazione immediata dello stato attuale del mondo. E questo non vale solo per la filosofia, ma per ogni riflessione e per ogni aspirazione degli uomini. Solo un Dio, ormai, può aiutarci a trovare una via di scampo. Vedo, come unica possibilità di via di scampo, questo: preparare, nel pensiero e nella poesia, una disponibilità e una prontezza per l’apparizione del Dio oppure per l’assenza, il dis-stanziarsi, del Dio nel tramonto; in modo che il nostro destino non sia quello, per dirla brutalmente, di “crepare”, ma che sia, se dobbiamo tramontare, quello di tramontare al cospetto del Dio assente.

Noi non possiamo avvicinarlo col pensiero, siamo tutt’al più in grado di risvegliare la disponibilità dell’attesa.

La preparazione della disponibilità e della prontezza potrebbe essere il primo aiuto. Il mondo non può essere ciò che è e come è grazie all’uomo, ma neppure senza l’uomo. Secondo ciò che posso vedere, il punto è questo: quello che indico con la dizione «essere» – dizione di lunghissima tradizione e dai molteplici significati, ed ora logorata dall’uso –, ebbene, l’«essere» ha bisogno dell’uomo; infatti l’essere non è essere senza che l’uomo sia usato, impiegato per la sua (dell’essere) aperta manifestazione, per la sua custodia e per la sua configurazione. L’essenza della tecnica la vedo in quello che chiamo Ge-stell, espressione che a prima vista può essere facilmente fraintesa, ma che, se soppesata rettamente, rimanda al cuore della storia della metafisica – ossia di ciò che oggi intona e determina ancora il nostro [285] Dasein. Il vigere del Ge-stell significa questo: l’uomo è posto, preteso e reso oggetto di una ingiunzione da una potenza che diviene apertamente manifesta nell’essenza della tecnica. Ora, esattamente nell’esperienza – che l’essere umano fa – di questo essere posto, preteso e reso oggetto di un’ingiunzione da parte di qualcosa che egli stesso non è e di cui non è affatto padrone, ebbene in tale esperienza gli è offerta la possibilità di gettare uno sguardo nel fatto che l’uomo è usato, impiegato, adoperato dall’essere. Qui, nell’elemento più proprio della tecnica moderna, si nasconde la possibilità dell’esperienza dell’essere usato e impiegato e dell’essere pronto per queste nuove possibilità. Condurci a questo sguardo, a questa “visuale”: il pensiero non pretende più di questo, e la filosofia è finita.

Tratto da: https://gabriellagiudici.it/heidegger-ormai-solo-un-dio-ci-puo-salvare/

Cosa è pensare? https://www.filosofiablog.it/filosofia-contemporanea/heidegger-e-il-compito-del-pensiero-il-dono-dellessere/

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