Le parole e la vita, di don Fabrizio Centofanti

Il linguaggio, in questi nostri anni, è un campo minato. Alcune parole sono diventate impronunciabili: dottrina, tradizione, maschio, femmina. Nessuno più potrebbe intitolare un libro “Se questo è un uomo”. C’è da temere a leggere il biblico “maschio e femmina li creò “. Si rischia grosso a fare affermazioni come queste: “Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina”, anche se scritte due millenni fa, nella Seconda lettera a Timoteo. La libertà, oggi, comincia dalla riappropriazione di parole proibite, dalla decisione di non accettare censure preventive. Piegarsi al divieto vuol dire chiudere canali di comprensione che potrebbero non riaprirsi più. L’intelligenza ha bisogno di giocare tutte le carte per gestire la partita della vita. Anche a Gesù volevano interdire la possibilità di pronunciare parole decisive: Figlio di Dio, per esempio; ma non ha rinunciato, pagando il prezzo che sappiamo. La censura tocca la parola verità, col risultato che possiamo immaginare: la cancellazione di un’intera visione dell’uomo (e della donna!), col pretesto che la gente non è più in grado di recepire le categorie corrispondenti. Cosa ci sia di così incomprensibile in vocaboli come bellezza, bontà, verità, unità; o intelligenza, libertà, volontà, giustizia, amore, non è dato sapere. È evidente che è la sostanza che si intende rimuovere, perché il criterio prevalente è la sensazione, e guai a uscire dal recinto. La sostanza è l’esperienza reale dell’amore, indicibile, ineffabile, eppure assimilabile dalla coscienza proprio perché costituita da una realtà che è bella, buona, vera, intelligente, libera, concreta. Riappropriamoci della vita cominciando dalle parole che la rendono umana. Parliamone, anche in questo spazio libero per persone libere, e le cose inizieranno a cambiare.

Un intervento su “Le parole e la vita, di don Fabrizio Centofanti

  1. giorgio stella

    Grandissimo Fabrizio Centofanti!!!!! bravo! bravo! bravo! con le parole riesci a muovere le anime, da quando ti conosco mi sento migliore confermo: [ti dicevo] ‘sei il padre che non ho avuto’ anzi, aggiungo in questa sede perdonando mio padre…. che credevo di aver perdonato ma invece è stato grazie a dopo averti incontrato. E’ vero, si parte dalla parola non si parla a caso come non si scrive a caso; se sbaglio grammaticalmente sarà magari per stanchezza o ignoranza nel caso mio ma se sbaglio concettualmente adattandomi alla miseria di parole compromesse da segnali orrendi che le compromettono a priori rischio, rischiamo, di rovinare il prossimo nostro cosa imperdonabile anche a CHI perdona tutto soprattutto a LUI. Come chi contrae un/il virus e lo nasconde. La parola carissimo Fabrizio è l’unica soluzione alla memoria umana; ho conosciuto gente salvarsi la vita per una parola nel mio caso è evidente la tua. Un abbraccio.

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