Mons. Dal Covolo, Origene tra fede e scienza

ORIGENE TEOLOGO E “MISTICO”

La ricerca scientifica tra il XX e il XXI secolo

                                                                                  + Enrico dal Covolo

“E’ praticamente impossibile sopravvalutare Origene e la sua importanza nella storia del pensiero cristiano: il posto che gli compete è certo a fianco di Agostino e di Tommaso”.

1. Mi sono introdotto con le parole di Hans Urs von Balthasar, che – insieme ad altri – contribuì decisamente al cosiddetto ressourcement théologique del XX secolo, cioè a quel “ritorno alle fonti” teologiche, che avrebbe impresso una nota caratteristica decisa al Concilio Vaticano II. 

Tra queste sources von Balthasar, come i suoi confratelli Henri de Lubac e Jean Daniélou – giusto per fare qualche altro nome illustre –, intesero privilegiare Origene, la cui opera sopravvissuta potevano consultare quasi interamente negli Origenes Werke, prima ancora di avviare autonomamente nel 1942, insieme a Claude Mondésert, le celebri – e significative fin dal nome – Sources Chrétiennes

Di fatto, Origene con la sua opera – per la maggior parte perduta (si parla a ragione di un vero “naufragio” dei suoi scritti) – stabilì quel legame inscindibile fra teologia ed esegesi, che avrebbe segnato in maniera irreversibile l’intera teologia dei Padri.

La “svolta origeniana” corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nell’esegesi, o meglio alla perfetta simbiosi fra teologia ed esegesi: “Solo con Origene si giunge”, a dire di Manlio Simonetti, “all’interpretazione sistematica di libri interi della Scrittura o di larga parte di essi, e questo modo di insegnare”, cioè di fare teologia, “si sarebbe perpetuato nella scuola alessandrina. La conoscenza, ampia se ben lungi che completa, che abbiamo sia delle omelie sia dei commentari di Origene ci permette di conoscere a fondo il modo di insegnare, che s’identifica col suo modo d’interpretare la Scrittura, e anche i temi prediletti del suo insegnamento”.

2. Rimane, è vero, il De Princípiis, che si configura come una serie abbastanza organica di discussioni relative a fondamentali argomenti teologici (Dio, l’uomo, il mondo), affrontati in modo da approfondire razionalmente il dato di fede. Ma è altrettanto vero che proprio nel De Princípiis Origene teorizza l’esegesi spirituale della Bibbia come cardine della conoscenza di fede e della perfezione di vita.

In verità la “sigla” propria del “metodo teologico” di Origene sembra risiedere appunto nella sua incessante raccomandazione a trascorrere dalla lettera allo spirito (allegoria) delle Scritture per progredire nella conoscenza di Dio: e questo “allegorismo”, osservava ancora von Balthasar, “non è nient’altro che lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa; insegnamento che è, esso stesso, Scrittura in atto”.

3. Così caratterizzata, vale a dire in “profonda simbiosi” con la Scrittura, la “teologia dei Padri” affronta la crisi ariana e le grandi controversie trinitarie e cristologiche dei secoli IV-VII (dal concilio di Nicea al Costantinopolitano III del 680-681).

Soprattutto in questo periodo si assiste in teologia al laborioso passaggio dal kerygma biblico alla definizione dogmatica. E’ ben noto che le antiche formulazioni conciliari – lungi dal rappresentare una creazione teorica aprioristica – nascono dall’impegno del teologo e della sua comunità di fornire un punto di riferimento sicuro di fronte alla sollecitazione delle eresie di volta in volta emergenti. La definizione calcedonese, in particolare, segna il tornante di un’epoca, e rimane alla base delle speculazioni teologiche successive.

Così la rilevanza di queste controversie dottrinali (trinitarie e cristologiche) è decisiva nella storia della teologia, in Occidente non meno che in Oriente.

Occorre riconoscere tuttavia che gli interessi più profondi della teologia occidentale sono altrove.

    Radicate nell’atteggiamento pratico e nella mens giuridica del mondo latino, le Chiese dell’Occidente prediligono problemi e discussioni che noi assegneremmo piuttosto agli ambiti disciplinari dell’antropologia teologica, dell’ecclesiologia e della morale. Così i teologi latini giungono a cimentarsi – oltre che con le eresie trinitarie e cristologiche – anche con il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo.

Su questo triplice fronte si impone la figura di Agostino, uno dei massimi teologi di tutti i tempi. Ma non si può ignorare che Agostino, “discepolo di Ambrogio”, di fatto introdusse in Occidente porzioni cospicue, e soprattutto l’impostazione teologica,  della dottrina origeniana.

4. Mi è parsa opportuna questa introduzione per inquadrare storicamente la rilevanza di Origene nella storia della teologia. Essa rimane talmente importante, che ogni studio e approfondimento sul maestro alessandrino non può che risultare parziale, e questo giustifica la “sterminata bibliografia” che ne circonda la figura e l’opera lettararia.

Che io sappia, l’ultimo studioso che si è cimentato in una Bibliographique critique d’Origène è il mio maestro Henri Crouzel, scomparso nel 2003.

Ma la sua bibliografia si arresta agli anni ottanta del secolo scorso. Lo stesso Crouzel pubblicò nel 1985 il suo volume-compendio su Origene – ancora perfettamente utile –, che contiene in buona sostanza le lezioni che egli teneva all’Istituto Patristico “Augustinianum” di Roma.

5. Quali studi, strumenti e collane si sono aggiunti in questi ultimi decenni, a cavallo tra il secondo e il terzo millennio?

Lo ripeto. Si tratta di una “bibliografia sterminata”, per cui rinuncio in partenza ad elencare gli studi, anche i più importanti: con due rapide eccezioni, però, data la loro attualità.

5.1. Cito anzitutto un vero e proprio “manuale” su Origene, edito da Ronald E. Heine e da Karen Jo Torjesen: The Oxford Handbook of Origen, Oxford University Press 2022, 596 pp. I collaboratori sono trentun origenisti di varie nazioni, tra i più affermati e conosciuti.

5.2. L’altra pubblicazione è una tesi di dottorato della Marquette University (Milwakee, Wisconsin). La cito anche perché tocca uno dei punti più noti e discussi della dottrina origeniana, la questione dell’apocatastasi. Ne tratta diffusamente Lee W. Sytsma, Reconciling Universal Salvation and Freedom of Choice in Origen of Alexandria.  

6. Preferisco invece fermarmi sugli strumenti e sulle collane.

6.1. Uno strumento indispensabile è stato pubblicato all’inizio del nuovo millennio. Si tratta di Origene, Dizionario. La cultura, il pensiero, le opere, edito a nel 2000 a Roma da Città Nuova, a cura di Adele Monaci Castagno. Si tratta di 108 articoli, arricchiti da 129 lemmi di rimando. Gli argomenti più importanti della dottrina origeniana sono trattati in lucida sintesi, e accompagnati da una bibliografia essenziale. Per utilizzare al meglio questo strumento è necessario leggere con attenzione la Presentazione della Monaci Castagno (pp. V-VII), che è una vera e propria guida alla consultazione dell’opera.

6.2. Tra le collane, la più importante e utile per gli italiani (ma non solo) è quella intitolata Opere di Origene, edizione greco/latina-italiana a cura di Manlio Simonetti e di Lorenzo Perrone, edita a Roma da Città Nuova. Inizialmente preventivata in 21 volumi, essa è ancora in corso di pubblicazione, a partire dal primo, Omelie sulla Genesi, che è del 2003. Sono stati già pubblicati 17 volumi. Gli ultimi due usciti, che originariamente non erano previsti, sono curati da Lorenzo Perrone, e mettono – almeno in parte – a disposizione degli studiosi di lingua italiana la più recente scoperta di nuovi testi origeniani. Si tratta delle Omelie sui Salmi: Codex Monacensis Graecus 314. Vol. I: Omelie sui Salmi 15,36,67,73,74,75 (Opere di Origene 9, 3a), Roma 2020; Vol. II: Salmi 76,77,80,81 (Opere di Origene 9, 3b), Roma 2021. Entrambi i volumi sono – come d’abitudine nella collana – dotati di introduzione, testo critico riveduto, traduzione e note.

6.3. L’imponente impegno degli studiosi italiani nella ricerca origeniana ha un motivo ben preciso. Nel 1994, per iniziativa degli origenisti italiani, è sorto il “Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina” (Girota) che, fin dall’anno successivo, ha iniziato a pubblicare la rivista “Adamantius”, un’autentica miniera per la ricerca. Si tratta di un liber annuus, che nel 2020 ha raggiunto la pubblicazione del ventiseiesimo volume.

Alla rivista si accostano poi diverse importanti monografie, raccolte nella “Biblioteca” e nei “Supplementi” di “Adamantius”. 

6.4. Una collana particolare è quella dei volumi che raccolgono gli atti dei colloqui internazionali di studi origeniani, iniziati a Montserrat, in Spagna, nel 1973. Celebrati normalmente ogni quattro anni, essi sono ormai giunti nell’agosto scorso alla tredicesima edizione. I volumi degli atti, tuttavia, non costituiscono una vera e propria collana, in quanto sono pubblicati da editrici differenti.

7. Last, but not least, vorrei intrattenermi d’ora in poi su un’iniziativa scientifica che ha riscosso notevole successo nella promozione degli studi origeniani. Si tratta della Lectio origeniana tenuta a Roma dal 1996 al 2010. Promossa dalla Facoltà di Lettere dell’Università Salesiana in collaborazione con il Girota, essa fu energicamente sostenuta e accompagnata dal compianto prof. Manlio Simonetti.

Su tale iniziativa ha raccolto informazioni e osservazioni critiche dettagliate Lorenzo Perrone, in una conferenza tenuta presso l’Università Lateranense il 9 maggio 2011, e poi pubblicata nella rivista “Salesianum”.

7.1. La lectio ha prodotto i seguenti volumi, tutti editi dalla Biblioteca (e dalla Nuova Biblioteca) di Scienze Religiose della Libreria dell’Ateneo Salesiano di Roma. Per comodità, ne elenco qui i titoli, con l’anno di pubblicazione e il rispettivo numero nella Biblioteca: Mosè ci viene letto nella Chiesa, Lettura delle Omelie di Origene sulla Genesi, 1999, 153; Omelie su Geremia, 2001, 165; Omelie sull’Esodo, 2002, 174; Omelie sul Levitico, 2003, 181; Omelie sui Numeri, 2004, 186; Commento a Giovanni, 2006, 198;  Omelie su Giosuè, 2007, Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 5; Le parabole del Regno nel Commento a Matteo, 2009, Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 19; Omelie sul Vangelo di Luca, 2011, Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 28.

7.2. Vorrei ora scendere sul pieno pratico, e mostrare almeno un progresso, fra i tanti, che gli studi appena elencati hanno prodotto. Questo ci consentirà anche un approccio diretto all’esegesi origeniana.

Si tratta di un progresso raggiunto nel corso della «lettura pubblica» delle Omelie sui Numeri.

7.2.1. La XVII Omelia sui Numeri contiene una delle pagine più ispirate di tutta l’opera di Origene. “Anni fa”, scriveva al riguardo Manlio Simonetti, “si amava discutere se Origene, oltre che parlare di argomenti di mistica, avesse di fatto vissuto qualche esperienza di tal genere: questo passo, insieme con pochi altri, fa pensare che effettivamente egli l’ha avuta”. 

Ecco come inizia il passo in questione, nel quale Origene commenta il testo della benedizione di Balaam (“Come sono belle le tue case, Giacobbe, le tue tende, Israele”, Num 24,5): “Se ricercherai la differenza fra case e tende e la diversità fra Giacobbe e Israele”, avverte subito l’omileta, “si deve fare una certa distinzione. La casa è una realtà fondata e stabile, circoscritta da limiti precisi; invece le tende sono le abitazioni di coloro che sempre sono in via, sempre camminano, e non hanno trovato il termine del loro viaggio. Così Giacobbe è da vedersi come figura dei perfetti nelle azioni e nelle opere; Israele è da intendersi come coloro che si applicano alla sapienza e alla scienza”.

La superiorità del nome Israele rispetto a Giacobbe è per Origene un fatto assodato. A questo tema egli dedica buona parte della XV Omelia sulla Genesi. Tale superiorità è insita nella vicenda stessa del patriarca, che – Giacobbe di nome – venne chiamato Israele dopo la sua lotta notturna col personaggio sconosciuto (Gen 32,24-25), ed è ribadita dall’etimologia del nome Israele, interpretato comunemente come “colui che lotta con Dio”.

La novità è che qui, nella XVII Omelia sui Numeri, Origene fonda su questa una seconda superiorità. L’abitazione di Giacobbe è la casa, l’abitazione di Israele è la tenda: di conseguenza, dato che Israele è superiore a Giacobbe, la tenda è superiore alla casa.

Il fatto desta una certa sorpresa, anzitutto perché lo stesso Origene nella sua XIV Omelia sulla Genesi sembra teorizzare piuttosto la superiorità della casa sulla tenda, là dove afferma: “Dove c’è una tenda, anche se viene piantata, senza dubbio è destinata a essere disfatta; dove invece ci sono le fondamenta, e la casa è edificata sopra la roccia, questa casa non viene mai abbattuta, appunto perché è fondata sulla roccia”. In tale contesto, la casa è la Chiesa, e la roccia è Cristo. 

Nel nostro passo, invece, la tenda è connessa con Israele e la casa con Giacobbe, e – data la superiorità di Israele su Giacobbe – ne consegue anche la superiorità della tenda sulla casa.

Infatti, prosegue Origene, “di coloro che procedono per la via della sapienza di Dio, [Balaam] non loda le case – infatti non sono ancora giunti alla fine –, ma ammira le tende, nelle quali sempre camminano e sempre progrediscono, e quanto più progrediscono, tanto più per loro la via del progresso si allunga e procede verso l’infinito”. 

La metafora delle tende in progresso viene così a significare la dottrina più cara al maestro alessandrino, relativa all’inesausto cammino di perfezione – “di virtù in virtù” (Sl 83 [84],8) – da parte di chi coltiva la scienza delle Scritture, e rappresenta un’espressione fra le più suggestive della mistica origeniana.

7.2.2. A questa luce va interpretato il successivo sviluppo omiletico, nel quale Origene, seguendo alla lettera l’articolazione del testo biblico, confronta le tende di Israele con le tende che il Signore ha piantato (Num 24,6). “Forse”, osserva l’omileta, “un ascoltatore attento potrà stupirsi che il discorso faccia menzione come di due specie di tende. Infatti dice: ‘Come sono belle le tue case, o Giacobbe, le tue tende, o Israele! Come boschi ombrosi, come giardini su fiumi’; e di nuovo paragona tende a tende, e dice: ‘E come tende che il Signore ha piantato’.

Ci sono dunque altre tende, che il Signore ha piantato. Quali siano queste tende, è dato di comprenderlo soltanto nella visione dell’aldilà: “Bisogna dunque”, continua Origene, “che io progredisca oltre questo mondo, per vedere quali sono le tende che il Signore ha piantato”.

Il discorso prosegue con il riferimento ai primi apostoli, pescatori di mestiere, e a Paolo, fabbricatore di tende, e con l’applicazione della festa ebraica delle Tende (o dei Tabernacoli) al cammino individuale di perfezione. Così Origene riprende, e per certi aspetti conclude, il discorso da cui siamo partiti: “Quando, mediante le Scritture, l’anima progredisce e, dimenticando le cose che sono dietro di lei, sempre si protende a quelle che sono davanti (Fil 3,13-14), e avanzando da un punto inferiore cresce e progredisce a cose più elevate, per l’aumento delle virtù e la sua nuova condizione che deriva dal progresso, si dirà con ragione che abita sotto le tende… Se tu abiti in queste tende, ti sarà offerta la manna celeste e mangerai il pane degli angeli. Purché tu continuii e non ti spaventi, come abbiamo detto, la solitudine del deserto”.

7.2.3. Il senso mistico di questo “procedere per tende” viene ulteriormente ripreso e spiegato nella successiva Omelia XXVII sui Numeri, che commenta le varie mansioni (o tappe) di Israele nel deserto. 

Si tratta di un testo difficile, come osserva lo stesso Origene all’inizio dell’Omelia; e proprio per ricavarne il significato nascosto egli procede ad applicare le singole tappe al cammino individuale di perfezione. Per Origene infatti “queste sono le mansioni, e questi i tabernacoli… Comprendi dunque, se lo puoi, quali siano queste peregrinazioni dell’anima nelle quali, con gemito e dolore, essa piange, perché così lungo è il suo pellegrinaggio; però, fino a che essa è pellegrina, l’intelligenza di questa situazione è fievole e oscura; quando sarà ritornata al suo riposo, cioè alla sua patria, il Paradiso, essa sarà ben più veracemente illuminata, e comprenderà con maggiore verità quale sia stata la ragione del suo pellegrinaggio… Ma intanto l’anima è pellegrina, e fa strada, e fa mansioni, certamente per una ragione di utilità dispensata, mediante esse, dalla provvidenza di Dio… Queste dunque sono le mansioni attraverso le quali si fa strada dalla terra al cielo”.

Come si vede, l’Alessandrino svolge la sua esegesi a un duplice livello: quello mistico, fondato sul noto concetto di illuminazione (illuminatio, photismós); e quello morale, ritmato dal progresso (profectus, prokopé), dove il “procedere di tenda in tenda” dell’Omelia XVII risulta equiparato al procedere «di virtù in virtù» (Sl 83 [84],8), “fino a giungere all’ultimo, cioè al grado supremo delle virtù; fino ad attraversare il fiume di Dio, e a ricevere l’eredità promessa”.

Le varie tappe vengono poi spiegate ricorrendo sistematicamente all’interpretatio nominum, decodificandone cioè il senso riposto mediante una lettura etimologica. Ma a ben guardare, come osserva Antonio Cacciari nella sua esemplare lettura dell’Omelia XXVII, “l’approccio analitico basato sull’interpretatio nominum non rappresenta in realtà il punto d’arrivo finale nell’esegesi del lemma (qui, della singola ‘tappa’): esso non è bensì che un primo livello interpretativo, la cui funzione precipua, indispensabile seppure solo strumentale, consiste nell’aprire la strada ad altri – e più elevati – traguardi ermeneutici”.

E veramente ciò che sta a cuore a Origene è soprattutto l’esegesi morale, intimamente connessa con l’interpretazione mistica del testo biblico.

E’ precisamente questo il senso dell’improvvisa apostrofe, con cui Origene si rivolge a chi lo ascolta: “O mio viaggiatore (viator)” – così l’omileta apostrofa il lettore nel bel mezzo della sua interpretatio nominum – “considera con grande attenzione quale sia l’ordine dei progressi; dopo che avrai seppellito e consegnato alla morte la concupiscenza della carne, giungerai alla dilatazione degli atrii, giungerai alla beatitudine. Beata dunque l’anima che non è più oppressa da alcun vizio della carne”.

Riguardo infine al significato del termine viator, qui impiegato da Rufino, rimane suggestiva la comparazione proposta da Cacciari con lo hodoipóros del Commento a Giovanni 32,1: è certo che, secondo Origene, “viator per eccellenza è l’uomo nel suo percorso all’interno della Scrittura”.

7.2.4. Ecco perché nelle Omelie sui Numeri Origene sposa con decisione la tesi, a prima vista sorprendente, della superiorità delle “tende” sulle “case”.

Questa scelta si giustifica per il contesto specifico in cui essa è collocata, che riguarda appunto il cammino di perfezione nello studio delle Scritture (e coerentemente il progresso ascetico “di virtù in virtù”), inteso da Origene come unico itinerario adeguato per conseguire la scienza e la conoscenza (una conoscenza che è evidentemente di natura “mistica”, ulteriore e complementare rispetto a quella semplicemente razionale).

In tale contesto è evidente che la «tenda», intesa come abitazione dell’anima che progredisce nella scienza e nelle virtù, eccelle di gran lunga sulla «casa» e sul «tempio».

7.2.5. Allo stesso modo la «gerarchia della santità» eccelle sulla «gerarchia visibile».

E’ da notare che proprio nelle Omelie sui Numeri si rintracciano alcuni aspetti caratteristici della singolare “ecclesiologia” origeniana, che l’immagine della tenda suggestivamente adombra, Per esempio nella V Omelia, avventurandosi in un’ardita interpretazione del testo biblico (Num 4,7-9), l’Alessandrino legge in modo allegorico i vari elementi che costituiscono la “tenda del convegno”. A suo dire, ci sono in questa tenda “alcuni personaggi più elevati in merito e superiori nell’ordine della grazia”. Questi sono i re e i principi, che, spiega Origene nella XII Omelia della medesima raccolta, “possono togliere la terra dal pozzo delle Scritture, cioè rimuovere la superficie della lettera e far sgorgare dalla pietra interiore – dov’è il Cristo – i sensi spirituali come acqua viva”. E se “tutti quelli che reggono la Chiesa di Dio a diritto si chiamano re”, molto più giustamente ancora lo sono “quelli che con le loro parole e gli scritti reggono quegli stessi dai quali sono rette le Chiese”.

Così la “gerarchia della santità” – formata anzitutto da coloro che coltivano la scienza delle Scritture – eccelle sulla “gerarchia visibile”, come la “tenda” eccelle sulla “casa”.

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