Una bella omelia di mons. Dal Covolo

Sua Eccellenza Reverendissima, Mons. Enrico Dal Covolo

Omelia pronunciata a Nole il 25 settembre 2021
in occasione del 250º anniversario di dedicazione
della Chiesa Parrocchiale di San Vincenzo Martire

Miei cari fratelli e care sorelle, con gioia e letizia celebriamo oggi la riedificazione del campanile e la benedizione del battistero di questa chiesa: bella, antica e veneranda. È come se si ripetesse oggi, esattamente a duecentocinquant’anni di distanza, quella grande festa del 25 settembre 1771, quando l’Arcivescovo di Torino fece l’inaugurazione, o meglio, tecnicamente parlando: la dedicazione di questa stessa chiesa.

Conosco bene la tragedia che vi ha colpito quindici anni fa nel mese di novembre del 2006, quando l’antico campanile seicentesco crollò distruggendo parte della chiesa e il Battistero. Non vi furono vittime, grazie a Dio e certamente grazie anche all’intercessione potente dei vostri Santi patroni, i martiri San Vincenzo e San Vito, ma anche il Venerabile Giuseppe Picco. Ex allievo di Lanzo Torinese, il Padre Picco era uno dei ragazzi di Don Bosco, il mio fondatore, colui del quale l’oratorio porta il nome – è vero o no? Certo! Perché ve l’ho visto scritto anche… bello! Preghiamo dunque perché Don Bosco vegli sui nostri ragazzi e sui giovani di questa comunità e ne faccia degli onesti cittadini e dei buoni cristiani, proprio come lui voleva.

Però, carissimi, non è di questo che voglio parlarvi adesso, perché, voi lo sapete, l’omelia non è una commemorazione: è una conversazione, ecco! In greco, omelia significa proprio questo: conversazione; una conversazione semplice e possibilmente breve – come vi augurate tutti voi, no? che sia breve – sulle letture che abbiamo appena sentito. Esse ci propongono una riflessione sul Tempio, cioè sul luogo del culto.

In ogni religione il luogo del culto è chiaramente collegato con la presenza di Dio. Nella religione greco-romana, il tempio veniva indicato proprio come l’abitazione materiale della divinità e a questo serviva la cella interna al tempio. Invece, nella rivelazione cristiana, dall’Antico al Nuovo Testamento, assistiamo a una decisa relativizzazione del tempio. La presenza di Dio, infatti, non è né locale, né materiale e non può essere rinchiusa in un ambiente fisico. Lo riconosce con chiarezza Salomone nella bella preghiera che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Egli aveva costruito con grande devozione per quarantasei anni il tempio di Gerusalemme, glorioso e bellissimo. Il Salomone confessa: «Signore, Dio di Israele, i cieli non ti possono contenere; tanto meno questa casa che io ti ho costruito». Da parte loro, i profeti dell’Antico Testamento non cessano di ripetere che Dio non abita materialmente in un ambiente fisico, piuttosto Egli abita spiritualmente in un popolo fedele: nel popolo dei fedeli, nel santo popolo di Dio. Ma la venuta di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, inaugura una novità assoluta nella presenza di Dio in mezzo al suo popolo: dal vecchio Tempio entriamo nel nuovo Tempio, e questo nuovo Tempio è Gesù Cristo stesso, Lui in persona. Lo abbiamo sentito nel Vangelo di oggi, Gesù parla di se stesso come del vero Tempio, che è il suo Corpo. E il Corpo di Cristo, risorto dopo tre giorni, continua a rimanere in mezzo noi sacramentalmente, cioè nel segno visibile e nel mistero invisibile, attraverso la Chiesa che vive dell’Eucarestia.

Il Tempio di pietra, che noi veneriamo come la casa del Signore, per esempio questo bellissimo tempio di belle pietre rinnovate (in parte), intanto ha valore in quanto custodisce il Corpo di Gesù Cristo, anzitutto, l’Eucarestia. Ma anche quando l’Eucarestia non fosse custodita in una chiesa, essa accoglie i fedeli, cioè noi stessi che siamo la chiesa, ed è sempre il Corpo di Cristo che viene accolto. Noi, cari, proprio noi siamo le pietre vive che edificano la Chiesa! Ce lo ha ricordato San Paolo apostolo nella seconda lettura di oggi.

Facciamo adesso un ultimo passo, andando oltre le letture della Messa. Dopo l’Antico e dopo il Nuovo Testamento, vengono i padri della Chiesa, cioè coloro che ci hanno insegnato a leggere le scritture e che hanno fondato la dottrina in cui crediamo. I nostri padri, in particolare Orìgene di Alessandria (siamo nel terzo secolo) insistono sul fatto che le mura del tempio non devono e non possono fermare il cammino dei fedeli verso la santità. La santità non può essere rinchiusa in queste mura: che brutto sarebbe se uno frequentasse, sì, la messa alla domenica, quei quarantacinque minuti, ma poi dopo la sua vita non camminasse nella santità!

Il tempio è la casa del Signore, è la casa della Chiesa, e in questo risiede la sua altissima dignità, ma è una casa in movimento, un po’ come una tenda, diceva Orìgene, che si sposta continuamente verso il tempio definitivo, sempre più in alto verso la Santa Gerusalemme che tutti ci attende.

Ecco, questa Chiesa è in movimento e, guardandovi, io penso proprio che la Santa Gerusalemme oggi è scesa dal cielo ed è qui; da qui noi dobbiamo ripartire per questo santo viaggio. Così, le comunità cristiane che si ritrovano a pregare nelle varie chiese del mondo devono sentirsi sempre in pellegrinaggio: sono pellegrine! Etimologicamente il termine parrocchia si spiega proprio così: non abbiamo qui una casa, una abitazione permanente, ma camminiamo verso la patria definitiva, quella dei santi che ci hanno preceduto. I muri delle chiese non sono certo costruiti per fermare il cammino della santità, al contrario, fedeli e comunità sono chiamati a progredire senza fermarsi mai. Solo al termine di questo cammino si realizzerà l’incontro definitivo con il Signore Gesù, quel Volto tanto amato, l’unico vero Tempio che tutti ci attende. Veneriamo e amiamo dunque questo Tempio, mettiamoci ogni giorno in cammino verso la santità come pietre vive e pellegrinanti di questa bella chiesa parrocchiale che oggi, nuovamente, in un certo senso, inauguriamo.

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