Enrico Dal Covolo, Origene e il Magnificat

L’interpretazione origeniana dell’opera di Luca1
rimane documentata da 39
omelie, a noi pervenute nella traduzione latina di Girolamo. Il testo originale, in
lingua greca, è andato perduto. In ogni caso, la traduzione geronimiana rap-
presenta il più antico commento del terzo Vangelo giunto fino a noi – per
quanto, come vedremo, in maniera assai lacunosa. È andato perduto anche il
Commento origeniano a Luca, composto in 15 libri e menzionato dallo stesso
Girolamo, mentre delle 17 omelie sugli Atti degli apostoli resta solo un fram-
mento della quarta.
H. Crouzel, F. Fournier e P. Périchon, sulla scorta dell’edizione berolinense
di M. Rauer (19592
), hanno curato per le Sources Chrétiennes (1962; 19982
) il
testo delle 39 omelie2
, aggiungendo 91 frammenti greci provenienti da antichi
commenti e catene. Qui interessano i frammenti 25-28, dei quali ci occuperemo,
almeno in parte3
. Prima di iniziare questa lectio del commento origeniano al Magnificat di
Maria, conviene premettere qualche notizia essenziale sulla datazione del ciclo
delle omelie lucane, come pure sulla traduzione latina di Girolamo4
.
Ebbene, non esiste alcuna certezza circa una datazione precisa: tanto per
esemplificare, P. Nautin assegna le omelie al triennio 239-241, mentre F.
Fournier le colloca fra il 233 e il 234. In verità, non siamo neppure certi che il testo a noi pervenuto – mediamente assai più stringato rispetto alle omelie ori-
geniane che noi conosciamo – corrisponda alle omelie effettivamente pronun-
ciate dall’Alessandrino. Potrebbe trattarsi semplicemente di appunti e di note a
uso del predicatore (così soprattutto H.-J. Sieben) 5
. Quanto alla traduzione
geronimiana, è nota la circostanza a cui essa si riconduce.
Nel 391, pochi anni prima di morire, Ambrogio pubblica le sue omelie su
Luca, che dipendono evidentemente dal testo origeniano. Girolamo lo viene a
sapere mentre si trova a Betlemme con Paola e Eustochio, che lo hanno seguito
nel suo ritiro. Sollecitato dalla richiesta delle due donne, si mette a tradurre (con
scarso entusiasmo, egli dice: ma forse questo è semplicemente un tópos retorico)
il testo di Origene, certo per smascherare quello che egli ritiene essere «il plagio
ambrosiano», ma soprattutto per offrire qualche cosa di meglio rispetto alle
omelie di Ambrogio, che – a suo dire – «giocava con le parole, mentre le idee
dormivano»6
.
Il confronto con i frammenti greci pervenuti – dove ciò sia possibile –
attesta che si tratta di una versione sostanzialmente fedele, nonostante le riserve
espresse da Rufino7
.
Il commento al cosiddetto Vangelo dell’infanzia e ai due capitoli successivi
del terzo Vangelo, fino al discorso programmatico di Nazaret (Luca 1,1-4, 27),
occupa la sezione più cospicua delle omelie a noi pervenute: addirittura 33 su 39!
Tuttavia non mancano lacune neanche in questa sezione superstite.
In particolare, per quanto riguarda il Magnificat di Maria, possediamo solo
il commento alla prima parte, da: L’anima mia magnifica il Signore (1, 46), fino
a: Ha spiegato la potenza del suo braccio (1, 51)8
.
Procediamo finalmente alla nostra lectio, riportando integralmente la breve
omelia a noi pervenuta, e accompagnandola via via con un sobrio commento su
alcuni temi principali evocati dal testo.
I temi principali sono i seguenti: il parallelismo antitipico Eva-Maria;
l’antropologia origeniana e l’anima dell’uomo, «immagine dell’immagine»; la
corruzione dell’immagine e il «bestiario» di Origene; l’umiltà e la grandezza di
Maria. Il parallelismo antitipico Eva-Maria9
.Prima di Giovanni profetizza Elisabetta, prima della nascita del Signore e Salvatore
profetizza Maria. E come il peccato ha cominciato dalla donna e poi giunse fino
all’uomo, così pure il principio della salvezza ha preso inizio dalle donne, affinché
anche le altre donne, messa da parte la debolezza del sesso, imitassero la vita e la
condotta delle sante, soprattutto quelle che sono descritte ora nel Vangelo10
.
Nei Padri del secondo-terzo secolo è ricorrente il parallelismo antitipico tra
Adamo ed Eva, da una parte, e Gesù e Maria, dall’altra. «Il nodo della disob-
bedienza di Eva», scrive in particolare Ireneo nel terzo libro Contro le eresie, «ha
avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva
legato con la sua incredulità, la vergine Maria l’ha sciolto con la sua fede»11. Il
vescovo di Lione ritorna sullo stesso tema anche nel quinto libro della medesima
opera, là dove – volendo esplicitare in massimo grado la corrispondenza
antitetica tra la disobbedienza di Adamo e l’obbedienza di Cristo – ridisegna,
dopo Giustino e prima di Tertulliano e di Origene, i termini fondamentali del
confronto antitipico Eva-Maria. «Il Cristo», egli scrive, «annullò la seduzione
con la quale era stata malamente sedotta Eva… E come Eva fu sedotta dal
discorso di un angelo, a tal punto da allontanarsi da Dio trasgredendo la sua
parola, così Maria fu istruita dall’annuncio di un angelo, a tal punto da portare
nel grembo Dio, obbedendo alla sua parola. E come quella si lasciò sedurre e
disobbedì a Dio, questa si lasciò persuadere a ubbidire a Dio, affinché la vergine
Maria divenisse l’avvocata della vergine Eva»12
.
Così – nello stesso modo in cui il vescovo di Lione parla della ‘rica-
pitolazione’ di tutti in Cristo, rispetto a Adamo – egli parla anche della ‘ricirco-
lazione’ (cioè della ‘rimessa in circolo’) della storia della salvezza in Maria,
rispetto a Eva13
.
Come si può vedere, già in Ireneo il parallelismo antitipico Eva-Maria
appare definitivamente strutturato nelle sue componenti fondamentali. Integrato dal successivo apporto tertullianeo14
, esso si presenta secondo
questo schema sintetico:
Eva Maria
vergine vergine
crede al demonio; crede a Gabriele;
accoglie in sé accoglie in sé
il verbum diaboli il verbum Dei
aedificatorium mortis; structorium vitae;
reca perdizione; reca salvezza;
concepisce concepisce
Caino, Cristo,
malus frater. bonus frater.
L’allusione di Origene al parallelismo antitipico, che pure rientra in questo
alveo tradizionale, si sviluppa qui in maniera autonoma, approdando a un’esor-
tazione morale rivolta alle ‘altre donne’, le quali – sexus fragilitate deposita,
secondo il tópos ben noto della debolezza femminile15
– dovranno imitare la vita
e la condotta di Maria e di Elisabetta.

  1. Appunti di antropologia origeniana: l’anima dell’uomo, ‘immagine dell’im-
    magine’.
    Riprendiamo a questo punto la lettura dell’omelia dal suo primo paragrafo.
  2. (…) Vediamo dunque la profezia della Vergine. Dice: Magnifica l’anima mia il
    Signore, e ha esultato il mio spirito in Dio mio salvatore. Due cose, l’anima e lo
    spirito, compiono una duplice lode. L’anima celebra il Signore, lo spirito celebra Dio:
    non perché la lode del Signore sia diversa da quella di Dio, perché colui che è Dio è
    anche Signore, e colui che è Signore è anche Dio.
  3. Ci si domanda in che modo l’anima possa magnificare il Signore. Se infatti il
    Signore non può ricevere né accrescimento né diminuzione, e ciò che è è, per qual
    motivo ora Maria dice: “Magnifica l’anima mia il Signore”?
    Se io considero che il Signore e Salvatore “è l’immagine di Dio invisibile”, e se vedo che
    la mia anima è fatta “a immagine del Creatore” per essere l’immagine dell’immagine
    (infatti la mia anima non è proprio l’immagine di Dio, ma è stata creata a
    somiglianza della prima immagine), potrò allora capire in questi termini: alla maniera

di coloro che dipingono immagini e, per esempio, una volta scelto il volto di un re,
rivolgono la loro abilità artistica ad esprimere la somiglianza con il modello scelto; così
ciascuno di noi, formando secondo l’immagine di Cristo la propria anima, fa
l’immagine più grande o più piccola, e talvolta la fa trascurata e sporca, talaltra chiara
e luminosa, e rispondente all’effigie del modello originale.
Quando dunque avrò fatto grande l’immagine dell’immagine, cioè la mia anima, e
l’avrò resa grande con le opere, con il pensiero, con la parola, allora l’immagine di Dio
è resa grande, e lo stesso Signore, di cui l’anima è immagine, è magnificato nella nostra
anima. E come il Signore cresce nella nostra immagine, così, se saremo stati peccatori,
egli diminuisce e decresce16
.
Come si vede, riprendendo la distinzione lucana tra anima e spirito,
Origene si limita a precisare che si tratta di una duplice lode – anima praedicat
Dominum, spiritus Deum –, che però non differisce nella sostanza: infatti essa è
rivolta allo stesso Signore e Dio. Personalmente, non colgo in questa enuncia-
zione origeniana nessuna allusione – che invece alcuni commentatori intrave-
dono – al progresso tra anima e spirito17
.
Più complesso è il discorso che occupa per intero il secondo paragrafo
dell’omelia, nel quale l’Alessandrino intende rispondere a una classica quaestio:
in che modo – egli si chiede – un’anima può ‘magnificare’, cioè ‘rendere grande’
il Signore? Di per sé, infatti, Dio non può essere né aumentato né diminuito.
L’obiezione consente a Origene di richiamare la celebre ‘dottrina dell’im-
magine’ e, più in generale, i fondamenti della sua concezione antropologica,
secondo cui l’anima dell’uomo è ‘immagine dell’immagine’.
La dottrina è ben nota18
. In questo paragrafo dell’omelia la ritroviamo
esposta in sintesi efficace. Ne vengono poi esplicitate (soprattutto nel paragrafo
successivo) le conseguenze morali.
Propriamente parlando, afferma Origene, l’immagine del Dio invisibile è
soltanto il Signore e Salvatore. L’anima dell’uomo, che è fatta a immagine del
Creatore, è solo «immagine dell’immagine», perché è creata a immagine della
prima immagine, che è appunto il Verbo di Dio. Questa immagine del Verbo
cresce nell’anima del credente, o diminuisce, a seconda del suo comportamento
morale. Quanto più il credente, praticando le virtù, fa crescere la propria

somiglianza con Cristo – che è «la Virtù tutta intera, animata e vivente
(émpsuchos kaì zôsa)
19
» –, tanto più l’immagine si ingrandisce; e viceversa.
Capita la stessa cosa a un pittore, quando dipinge – tanto per fare un
esempio – il ritratto di un re. A seconda della sua capacità, l’artista può realiz-
zarne il volto in maniera più o meno somigliante. Così il credente, che forma la
sua anima a immagine di Cristo, può fare più grande o più piccola l’immagine;
addirittura, può farla slavata e sporca, oppure – al contrario – chiara, luminosa,
in tutto corrispondente al suo Modello.
Quando igitur grandem fecero imaginem imaginis, id est animam meam,
conclude perentoriamente Origene, tunc imago Dei grandis efficitur, et ipse
Dominus, cuius imago est, in nostra anima magnificatur. Et quomodo crescit
Dominus in nostra imagine, sic, si peccatores fuerimus, minuitur atque decrescit20
.

  1. La corruzione dell’immagine: il ‘bestiario’ di Origene.
    Il discorso prosegue – declinato soprattutto ‘in negativo’ – nel seguente
    paragrafo, il terzo dell’omelia. Leggiamo:
  2. Detto in altri termini, il Signore certamente non diminuisce né decresce, ma siamo noi
    che, invece di indossare l’immagine del Salvatore, ci rivestiamo di altre immagini; al posto
    dell’immagine del Verbo, della sapienza, della giustizia e di tutte le altre virtù, assumiamo
    la forma del diavolo, tanto che si può dire di noi: “Serpenti, generazione di vipere”. Ma
    indossiamo anche la maschera del leone, del drago e delle volpi quando siamo velenosi,
    crudeli, astuti; e anche quella del caprone, quando siamo alquanto proni alla libidine.
    Mi ricordo di aver detto un giorno – spiegando il Deuteronomio in quel passo, in cui
    sta scritto: “Non fate alcun ritratto di uomo o di donna, nessun ritratto di animale”,
    perché la legge è spirituale – che alcuni formano un’immagine di uomo, altri di donna;
    alcuni si rendono simili agli uccelli, altri ai rettili e ai serpenti; altri finalmente
    coltivano la loro somiglianza con Dio. Chi ha letto anche quella spiegazione compren-
    derà in qual modo debbano essere comprese queste parole21
    .
    Si trova qui enunciata una dottrina che ricorre spesso nelle opere del-
    l’Alessandrino: secondo il pensiero di Origene, i peccati danno all’anima l’imma-
    gine di una bestia sgradevole.
    Qui e altrove egli fornisce una ricca tipologia, nella quale a un certo tipo di
    vizio corrisponde un certo genere di animale: così nell’anima del peccatore
    l’immagine di quell’animale prende il posto dell’immagine del Verbo22
    .

Al contrario, afferma Origene nella sua terza omelia Su Ezechiele, «se noi
siamo buoni e mansueti, raddoppiamo il nome dell’uomo, in modo che egli non
è più semplicemente un uomo, ma un uomo-uomo. Quando un uomo è uomo
solo all’esterno, perché al suo interno è un uomo-serpente, allora non c’è tra noi
un uomo-uomo, ma soltanto un uomo. Quando invece, in verità, anche l’uomo
interiore si conserva secondo l’immagine del Creatore, allora nasce un (vero)
uomo, e in questo modo avviene che un uomo è due volte uomo, secondo
l’immagine esteriore e secondo quella interiore»23
.
L’aspetto originale di HLc 8 consiste in un più esplicito raccordo tra le varie
immagini bestiali e l’immagine del diavolo. In qualche maniera – sembra dire
qui Origene – la forma diaboli presiede al ‘bestiario’, e si incarna via via nelle
fiere successivamente elencate. Tale raccordo è espresso in questi termini:
Diaboli formam assumimus, ut dicatur de nobis: serpentes, generatio viperarum. Sed
et leonis personam induimus et draconis et vulpium…24
.
Quanto poi all’autocitazione di Origene, con riferimento all’esegesi di
Deuteronomio 4,16-17 (Ne faciatis omnem similitudinem…), si tratta di un
commentario perduto, come perdute sono le 13 omelie sul Deuteronomio
menzionate da Girolamo.

  1. L’umiltà di Maria.
    Esaurita finalmente la risposta alla quaestio affacciata – cioè per quale
    motivo Maria possa dire: ‘Magnifica l’anima mia il Signore’ –, Origene ritorna al
    commento puntuale della pericope. E scrive:
  2. In primo luogo l’anima di Maria magnifica il Signore; in secondo luogo il suo spirito
    esulta in Dio. Infatti, se prima non siamo cresciuti, non possiamo esultare.
    “Perché ha guardato”, dice, “all’umiltà della sua serva”. A quale umiltà di Maria ha
    guardato il Signore? Che cosa aveva la madre del Signore di umile e di basso, lei, che
    portava nel suo grembo il Figlio di Dio? Perché quando dice: “Ha guardato all’umiltà
    della sua serva”, è come se dicesse: “Ha guardato alla giustizia della sua serva, ha
    guardato alla temperanza, ha guardato alla sua fortezza e alla sua sapienza”. È giusto
    infatti che Dio guardi alle sue virtù. Qualcuno potrebbe rispondere e dire: “Capisco che
    Dio guardi alla giustizia e alla sapienza della sua serva; ma non è sufficientemente
    chiaro perché guardi proprio all’umiltà”.
    Chi domanda queste cose consideri che proprio nelle Scritture l’umiltà è considerata
    una delle virtù.
  1. Dice il Salvatore: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo
    per le anime vostre”. E se vuoi sapere il nome di questa virtù, cioè come essa è
    chiamata anche dai filosofi, sappi che l’umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella
    stessa virtù che i filosofi chiamano atyphía oppure metriótes. Noi possiamo peraltro
    definirla con una perifrasi: l’umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si
    abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l’Apostolo, “nella condanna del diavolo”
    – il quale appunto ha cominciato con il gonfiarsi di superbia –; l’Apostolo dice: “Per
    non incappare, gonfiato d’orgoglio, nella condanna del diavolo”.
    “Ha guardato l’umiltà della sua ancella”: Dio mi ha guardato – dice Maria – perché
    sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento25
    .
    La nuova quaestio che Origene affronta lascia capire tutta la resistenza della
    mentalità ellenica ad accogliere l’umiltà come una virtù. Le quattro virtù
    cardinali riconosciute dai Greci erano la giustizia, la temperanza, la fortezza e la
    prudenza, chiamata qui sapientia (phrónesis o sophía nel testo originale? Non lo
    sappiamo).
    Perché dunque lo sguardo di Dio si rivolge proprio a una virtù, che non è
    contemplata nel catalogo cardinale dei Greci?
    Origene ha buon gioco a richiamare il Vangelo, e in ispecie la figura stessa
    di Gesù. Il discernimento delle virtù autentiche, infatti, non va condotto con i
    criteri della sapienza mondana, bensì con Colui che è la Virtù tutta intera,26 e che
    ha detto: Discite a me, quia mansuetus sum et humilis corde27
    .
    Peraltro, l’umiltà dei Vangeli trova il suo corrispondente anche in una virtù
    che non è certo cardinale, ma che è pur sempre apprezzata dalle filosofie
    sapienziali ellenistiche, in modo particolare dagli stoici: l’atyphía – esatto con-
    trario della hybris (si noti l’alfa privativa rispetto alla radice del verbo typhóo, che
    significa ‘gonfiare’ e ‘far inorgoglire’) –, ovvero la metriótes, o metriopátheia, che
    indica la moderazione e l’equilibrio delle passioni28
    .
    Così la virtù dell’umiltà caratterizza in modo speciale la figura di Maria in
    Origene. La sua esemplarità per ogni anima credente resta indubbiamente legata
    al progresso in questa virtù.29 Si veda al riguardo il frammento greco 26 delle

HLc: «Chi sono io per una simile opera?», si interroga Maria stessa. E risponde:
«È lui che mi ha guardata, non io che mi sono proposta: infatti, io ero umile
(tapeiné) e rigettata. Ora trascorro dalla terra al cielo, e sono attratta in un
disegno di salvezza ineffabile»30
.

  1. La grandezza di Maria.
    Siamo giunti così alla conclusione della nostra lectio.
    Si tratta degli ultimi due paragrafi – il sesto e il settimo – dell’omelia.
  2. “Ecco infatti che sin d’ora tutte le generazioni mi chiameranno beata”.
    Se intendo “tutte le generazioni” secondo il più semplice significato, ritengo che si
    faccia allusione ai credenti. Ma se cerco di vedere il significato più profondo, capirò
    quanto sia vantaggioso aggiungere: “Perché fece grandi cose per me colui che è potente”.
    Proprio perché “chiunque si umilia sarà esaltato”, Dio ha guardato l’umiltà della
    beata Maria; per questo ha fatto per lei grandi cose colui che è potente, e il cui nome è
    santo.
    “E la sua misericordia si estende di generazione in generazione”. Non è su una
    generazione, né su due, né su tre, e neppure su cinque che si estende “la misericordia”
    di Dio; essa si estende eternamente “di generazione in generazione”.
    “Per coloro che lo temono ha spiegato la potenza del suo braccio”. Anche se sei debole,
    se tu ti accosti al Signore, se avrai timore di lui, potrai udire la promessa che il Signore
    ti fa, per il timore che nutri verso di lui.
  3. Qual è questa promessa? Dice: “Per coloro che lo temono si è fatto potenza”. La forza
    o il potere è attributo regale. Infatti la parola krátos, che noi possiamo tradurre con
    imperium, si applica a colui che impera, oppure a colui che tiene tutto in suo potere.
    Ebbene, se tu temi il Signore, egli ti comunica la sua forza e il suo imperium; egli ti dà
    il suo regno, affinché tu, assoggettato al “re dei re”, possieda il “regno dei cieli” in Gesù
    Cristo, “al quale appartengono la gloria e l’imperium nei secoli. Amen”31
    .
    L’elemento più interessante e originale di questa conclusione è il seguente:
    chi è che proclama Maria beata?
    A un primo livello di interpretazione (simpliciter), afferma Origene, sono
    senz’altro i credenti (omnes generationes); ma a un livello più profondo e più
    vero (altius) è Dio stesso, la cui misericordia si estende di generazione in
    generazione.
    Qui entra la grandezza, e insieme l’esemplarità di Maria: chi – come lei –
    coltiva l’umiltà e il santo timore di Dio, esperimenta efficacemente la potenza
    dell’Altissimo. Si ergo timueris Dominum – così conclude Origene, e così conclu

diamo anche noi –, dat tibi fortitudinem sive imperium, dat regnum, ut factus sub
rege regum possideas regnum caelorum in Christo Iesu: cui est gloria et imperium in
saecula saeculorum32
.

Note

1 Riprendo così, aggiornandolo in parte, un mio precedente studio, pubblicato in M.
Maritano – E. dal Covolo (edd.), Omelie sul Vangelo di Luca. Lettura origeniana, Roma 2011.
Non risultano sul tema ulteriori contributi scientifici. Mi sembra chiaro il motivo per cui
dedico ora all’amico Lucio de Giovanni questo contributo: in molti momenti della nostra vita
abbiamo vissuto insieme il Magnificat di Maria.
2
È questa l’edizione che seguiremo: cfr. Origene, Omelia sul Vangelo di Luca 8, edd. H.
Crouzel – F. Fournier – P. Périchon, SC 87, Paris 1962, pp. 164-173 (d’ora in poi HLc, seguito
dall’indicazione del passo e della pagina). Per la traduzione mi riferisco a S. Aliquò, Origene.
Commento al Vangelo di Luca, Roma 1974, pp. 79-83, rielaborandola però in maniera
sostanziale.
3
Ibidem, pp. 480-483.
4 Riassumo per questo la voce di C. Gianotto, «Luca (scritti esegetici su)», in A. Monaci
Castagno (ed.), Origene. Dizionario. La cultura, il pensiero, le opere, Roma 2000, pp. 243-245.
Alla bibliografia ivi citata aggiungo almeno C. Corsato, Letture patristiche della Scrittura,
Padova 2004, che dedica il primo capitolo del libro a «Origene interprete del Vangelo di Luca
nelle omelie», pp. 18-64.

5 Cfr. F. Fournier, «Les Homélies sur Luc et leur traduction par saint Jerome», in SC 87,
pp. 65-92.
6 HLc Praefatio, p. 94.
7 Cfr. F. Fournier, «Les Homélies», cit.
8 Vedi però il frammento greco 28, relativo a Luca 1, 54 (Ha soccorso Israele, suo servo…).
A questo riguardo, Origene spiega che il riferimento di Maria a Israele può essere interpretato
sia katà sárka, cioè materialmente, sia noetôs, cioè spiritualmente. In questa seconda
interpretazione, afferma Origene, si parla di noi: siamo noi infatti l’Israele spirituale, «noi che
abbiamo creduto, convertendoci dai pagani» (HLc framm. 28, p. 482).

9
Sul tema, dopo L. Cignelli, Maria nuova Eva nella Patristica greca, Assisi 1966, vedi,
più complessivamente, E. Peretto, «Maria nell’area culturale greca», in E. dal Covolo – A. Serra
(edd.), Storia della mariologia, 1. Dal modello biblico al modello letterario, Roma 2009, soprat-
tutto le pp. 263-271.
10 HLc 8, 1, p. 164.
11 Ireneo, Contro le eresie 3, 22, 4, edd. A. Rousseau – L. Doutrelau, SC 211, Paris 1974,
pp. 442-444.
12 ibidem 5, 19, 1, edd. A. Rousseau et alii, SC 153, Paris 1969, p. 248.
13 Cfr. A Orbe, «La “recirculación” de la Virgen María en San Ireneo (Adv. Haer.
III,22,4,71)», in S. Felici (ed.), La mariologia nella catechesi dei Padri (età prenicena), Roma
1989, pp. 101-120.

14 Cfr. Tertulliano, Sulla carne di Cristo 17, 3-6, ed. J.-P. Mahé, SC 217, Paris 1975, pp.
280-282 (vedi nel commento dello stesso Mahé, SC 217, Paris 1975, pp. 401-406, la sinossi dei
testi paralleli di Giustino e di Ireneo); E. dal Covolo, «Riferimenti mariologici in Tertulliano»,
in S. Felici (ed.), La mariologia, cit., pp. 121-132.
15 Vedi al riguardo l’equilibrata disamina di E. Prinzivalli, «Origene», in E. dal Covolo
(ed.), Donna e matrimonio alle origini della Chiesa, Roma 1996, pp. 63-82.

16 HLc 8, 1-2, pp. 164-166.
17 Non mi pare infatti che Origene voglia impegnarsi in questa direzione. Nel
frammento greco 25 egli giunge a dire che, in questo caso, «alcuni affermano che pnéuma e
psyché sono la stessa cosa» (HLc framm. 25, p. 480). A meno che – cosa che è pure possibile, e
che qualche sconnessione del periodo lascia sospettare – il testo non ci sia pervenuto integro.
18 Rimane classico, al riguardo, H. Crouzel, Théologie de l’image de Dieu chez Origène,
Toulouse 1956. HLc 8 vi è citata molte volte: cfr. pp. 157-158, 191, 197-198, 208, 224. Dello
stesso, vedi ancora Origene, Roma 1986, pp. 136-144. Con riferimento specifico al nostro
passo, vedi infine F. Cocchini, «Maria in Origene. Osservazioni storico-dottrinali», in S. Felici
(ed.), La mariologia, cit., pp. 133-140, soprattutto p. 138.

19 Origene, Commento a Giovanni 32, 127, ed. C. Blanc, SC 385, Paris 1992, p. 242.
20 HLc 8, 2, p. 166.
21 HLc 8, 3, pp. 166-168. Cfr. M. P. Ciccarese (ed.), Animali simbolici. Alle origini del
bestiario cristiano, 1. Agnello – Gufo, Bologna 2002, p. 276.
22 Cfr. ancora H. Crouzel, Théologie de l’image…, pp. 197-206: «Images bestiales».

23 Origene, Omelia su Ezechiele 3, 8, ed. M. Borret, SC 352, Paris 1989, pp. 142-144.
24 HLc 8, 3, p. 166.

25 HLc 8, 4-5, pp. 168-170.
26 Cfr. supra, nota 19 e suo contesto.
27 Matteo 11, 29.
28 Com’è noto, è proprio questo uno dei tratti che separa Origene da Clemente
Alessandrino, il quale preferisce parlare dell’apátheia, piuttosto che della metriopátheia, come
virtù.
29 Cfr. H. Crouzel, «La Théologie mariale d’Origène», in SC 87, Paris 1962, pp. 11-64; C.
Gianotto, «Maria», in A. Monaci Castagno (ed.), Origene…, pp. 263-266; M. I. Danieli,
«Maria “terra di profeti viventi”. Profezie mariane in Origene», in Theotokos 10, 2002, pp. 43-
52; R. Scognamiglio, «La fisionomia “teologica” di Maria. Maternità e verginità», ibidem, pp.
53-69; F. Cocchini, «Maria “modello del cristiano” nell’interpretazione origeniana», ibidem,
pp. 71-85, soprattutto 80-82.

30 HLc framm. 26, p. 482.
31 HLc 8, 6-7, pp. 170-172.

32 HLc 8, 7, p. 172.

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