Mons Enrico Dal Covolo: Roma cristiana dinanzi ai migranti

ROMA CRISTIANA DINANZI AI MIGRANTI

L’insegnamento e l’azione dei Papi dal XIX secolo a oggi 

                                        + Enrico dal Covolo

Il confronto con l’insegnamento recente dei Papi – sebbene ridotto qui a una sintesi ingenerosa – è utile per comprendere l’atteggiamento di Roma cristiana dinanzi ai migranti.

Nel corso dell’Ottocento, l’ampiezza dei flussi migratori fa emergere, a livello ecclesiale romano, la difficoltà di accogliere i numerosi migranti cattolici che arrivano, soprattutto nel Nuovo Mondo, nelle tradizionali parrocchie territoriali, dove si parla solo la lingua del luogo. 

Sotto il pontificato di Pio IX (1846-1878) si comincia, allora, a inviare in emigrazione sacerdoti che parlino la stessa lingua e condividano la stessa cultura degli emigrati. Si invitano, inoltre, alcune congregazioni religiose a sopperire alla scarsità del clero diocesano. 

Con Leone XIII (1878-1903) la scelta del rispetto di lingua, cultura e tradizioni religiose del migrante viene riaffermata soprattutto attraverso l’istituzione di parrocchie nazionali, personali o linguistiche, e attraverso l’approvazione data a Giovanni Battista Scalabrini di fondare un istituto di religiosi per l’assistenza specifica degli emigrati italiani in Brasile e negli Stati Uniti. Vengono poste così le basi per una pastorale migratoria specifica, dove emerge la convinzione che dei migranti si devono occupare sia le Chiese di arrivo sia quelle di partenza.

Il pontificato di Pio X (1903-1914), sollecito a salvaguardare la fede degli emigranti, è caratterizzato da una riorganizzazione centralizzata della pastorale migratoria con la creazione di norme giuridiche e disciplinari per il clero addetto all’assistenza degli emigranti, oltre che di apposite strutture ecclesiastiche, sia a livello locale sia a livello centrale, per l’assistenza e l’accompagnamento dei migranti.

Il pontificato di Benedetto XV (1914-1922) vede lo scatenarsi del primo conflitto mondiale, che – se da un lato rallenta i flussi migratori volontari dall’Europa verso le Americhe – dall’altro lato acuisce il dramma di sfollati, profughi e prigionieri di guerra: il papa esorta i vescovi a farsene carico, e a non trascurare nulla di quanto è richiesto dalla salute spirituale e materiale delle persone. 

Durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), anche se il fenomeno migratorio si riduce quasi ovunque a causa delle misure restrittive adottate dai principali Paesi di ìmmigrazione, la situazione non sminuisce l’importanza del fenomeno stesso. Il Papa pensa ormai a un’assistenza globale dellemigrazione, che include la dimensione religiosa (parrocchie, confraternite, associazioni religiose), quella morale e sociale (ospedali, ricoveri, patronati) e quella educativa (scuole e formazione professionale). 

Pio XII (1939-1958) è il papa che riconosce nei valori delle culture non cristiane una base sufficiente di salvezza per le persone che non conoscono Gesù Cristo. E’ anche il papa che legge il fenomeno migratorio nei suoi molteplici aspetti sociali, politici, demografici, economici, morali e religiosi, e che elabora la magna charta della pastorale migratoria con la Costituzione apostolica Exsul familia, dove i pastori delle Chiese locali sono invitati a creare le condizioni favorevoli alla vita religiosa dei migranti, mettendo in atto strumenti specifici di cura pastorale.

Giovanni XXIII (1958-1963) con il Concilio Vaticano II accende le speranze della Chiesa, e rimette in moto le forze del rinnovamento ecclesiale. Anche in campo migratorio il papa privilegia l’azione degli organismi internazionali, perché cerchino il miglior rapporto possibile tra crescita demografica, beni disponibili e possibilità di lavoro, così da evitare quegli squilibri profondamente lesivi della dignità umana e della vita morale e religiosa dell’umanità itinerante.

Sulla scia della speranza di rinnovamento veicolata dal Concilio Vaticano II, il pontificato di Paolo VI (1963-1978) immerge la Chiesa nei nuovi scenari del mondo, sempre più attenta alle istanze dei poveri, e dal punto di vista migratorio meno legata alla realtà italiana e più preoccupata della connotazione mondiale del fenomeno. In tale ottica l’emigrazione è vista come fenomeno complesso, nel quale al diritto di emigrare devono corrispondere l’impegno di integrazione e il dovere di collaborare allo sviluppo da parte del Paese di accoglienza. Le stesse strutture ecclesiali si evolvono, tanto che, nel 1970 il papa istituisce la Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo, con il compito di coordinare a livello centrale la cura pastorale dei migranti e degli itineranti.

Nei suoi diversi e numerosi interventi sulle migrazioni, Giovanni Paolo II (1978-2005) si schiera chiaramente a difesa dei diritti dei lavoratori migranti, delle loro famiglie e dei rifugiati, diritti che non sempre trovano riscontro nelle legislazioni e nelle prassi nazionali e internazionali. Perciò la Chiesa deve esercitare la sua tutela, insieme a una costante opera educativa. Il papa, però, non si limita a enunciare i diritti, ma invita la Chiesa a promuovere attivamente tutte quelle iniziative che possono valorizzare le migrazioni come elemento importante per l’arricchimento reciproco, per rinsaldare i vincoli di comprensione tra i diversi Paesi e per la costruzione della grande famiglia dei popoli. Occorre occuparsi del benessere integrale dei migranti, che ha come obiettivo principale quello di favorire il processo della loro integrazione nella Chiesa e nella società: per la Chiesa di Roma, afferma con forza Giovanni Paolo II, «nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano».

Ai nostri giorni, Benedetto XVI ha chiaramente annoverato tra gli odierni segni dei tempi il fenomeno delle migrazioni (specialmente nelle sue componenti femminili, familiari e giovanili), che ha assunto una dimensione strutturale delle società odierne, diventando una caratteristica importante del mercato del lavoro a livello mondiale, come conseguenza, tra l’altro, della globalizzazione, Il papa emerito è cosciente che, da un lato, la solidarietà esige risposte politiche, una più ampia comprensione delle cause dell’’emigrazione, una volontà reale di affrontarle e unaccettazione delle responsabilità internazionali, e che, dall’altro lato, l’esercizio della carità costituisce il culmine e la sintesi della vita cristiana.

Infine, per presentare il magistero di papa Francesco sulla questione migratoria, sarebbe necessaria un’intera monografia.

Ci limitiamo qui a citare un passo significativo della sua Enciclica più recente, firmata ad Assisi lo scorso 3 ottobre: «Gesù dice: Ero straniero e non mi avete accolto», scrive Francesco, citando il racconto del giudizio universale di Matteo 25. E prosegue: «Gesù poteva dire queste parole perché aveva un cuore aperto, che faceva propri i drammi degli altri… Quando il cuore assume tale atteggiamento, è capace di identificarsi con l’altro, senza badare a dove è nato o da dove viene» (Fratelli tutti, 84).

In conclusione, anche in seguito ai cambiamenti radicali nel mondo della mobilità umana, appare sempre più rilevante da parte di Roma cristiana e del suo magistero pontificio un approccio globale al fenomeno migratorio, con un7azione pastorale e sociale a tutto campo, che supera le barriere tra gruppi di origine diversa, e tende a non considerare le migrazioni come mere emergenze problematiche da fronteggiare, ma soprattutto come eventi potenzialmente positivi, dal punto di vista spirituale, sociale, economico e culturale, tanto per le società di partenza, come per quelle di arrivo, e soprattutto per i migranti stessi.

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